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Autore: Maggie_Lullaby    15/06/2010    15 recensioni
Olive Monroe ha diciotto anni e da quando è nata vive nel Bronx, con una madre menefreghista, un padre assente e quattro fratelli a cui badare. Affoga i suoi dispiaceri nell'alcool, senza sapere che combinare della sua vita.
Poi, una sera, un'illuminazione, spontanea, come un fulmine a ciel sereno, un'idea che potrebbe cambiare totalmente la sua vita.
Nick Jonas è un diciottenne all'ultimo anno di liceo, chiuso in se stesso, senza nessuno con cui parlare, sempre chino sui suoi spartiti. Sì, perché lui scrive, scrive musica. Scrive vita. Scrive amore.
Joe Jonas è il cantante di una band hard rock della scuola, frequenta solo i membri del suo gruppo e a casa è assente, lontano. Vuole allontanarsi dal suo fratellino sfigato e dal maggiore pacifista.
Kevin Jonas va all'università, e sogna di rivedere a casa l'armonia di una volta. Ma, mentre aspetta, suona la chitarra.
Una storia d'amore, ma non l'amore che intendiamo noi. L'amore per una sola, unica, perfetta parte della vita di tutti noi...
La Musica.
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sì, sono io.

In vista della fine di Under The Moonlight, mi sono decisa di pubblicare questa nuova long che – avverto – non dovrebbe avere più di una decina di capitoli (ma chi lo sa). È, diciamo, un intermediario tra l'addio alle sorelle Campbell e un salve alla nuova long che ho intenzione di pubblicare in Settembre, nella quale sto riversando il cuore.

Pubblicherei volentieri un nuovo capitolo di Forever&Always, ma non ho un'idea che sia una quindi spero ancora di ricevere un'illuminazione divina, chissà mai che arrivi...

Questa è una fic totalmente diversa da quelle che ho scritto fin ora: in primis è più matura, più volgare, anche, ma racconta tematiche più serie di Brothers and Sisters; non stupitevi di leggere imprecazioni, accenni al sesso, forse – non so – anche risse. Si svolge nel Bronx, quindi forse con questo ho detto tutto.

In questo primo capitolo (piuttosto corto, i prossimi saranno più lunghi), che forse è quasi un prologo, apparirà unicamente la presentazione della protagonista, Liv. Dal prossimo, invece, si conosceranno anche i Jonas che, surprise!, non sono famosi. Solo dei semplicissimi ragazzi del New Jersey. :)

Che altro dire? Spero vi piaccia! <3

Olive& An Arrow


Chapter 1}

«Dimmi, Olive...».

«Ti prego, Regis, chiamami Liv».

«Okay, Liv, quando hai capito che avresti dovuto fondare una band?».

«Beh, Regis, probabilmente quando ho capito che sarei finita come mia madre se non avessi fatto qualcosa e la musica... La musica ha fatto il resto».


«Uno scotch liscio», ordinò Liv Monroe, sedendosi sullo sgabello tremolante del locale sporco e affollato, illuminato a stento da qualche lampadina lampeggiante e piena di vecchi ubriaconi arrapati. In pratica un bar comunissimo del Bronx.

Il cameriere, un venticinquenne con il pizzetto, gli occhi acquosi e arrossati di chi ha bevuto troppo, gli lanciò un'occhiata piena di desiderio, soffermandosi sul seno prosperoso della diciottenne.

«Ma tu ce l'hai l'età per bere, bellezza?», domandò, biascicando a stento le parole.

«E tu ce l'hai l'età per scopare?!», ribatté, acida, la mora, senza scomporsi troppo, erano diciotto anni che aveva a che fare con individui simili.

Il ragazzo incassò il colpo e si voltò, afferrando un bicchiere lurido, sciacquandolo appena sotto a un rubinetto arrugginito e versandoci poi dentro una quantità esagerato di alcolico, ma Liv non commentò, andava bene. Più che bene.

Si avvicinò il bicchiere alle labbra e assaporò l'odore familiare, insieme aspro e dolce, buono e cattivo.

Fece un respiro profondo e lo bevve tutto d'un fiato, appoggiando dopo il bicchiere sul bancone polveroso e facendo cenno al cameriere di riempirlo di nuovo.

«E i soldi? Non è che ti sbronzi e poi non mi paghi, eh?», fece lui, con tono lagnoso che fece subito irritare la ragazza.

Gli lanciò venti dollari stropicciati sotto agli occhi.

«Vedi di non rompermi più i coglioni, va bene?», lo minacciò, accennando di nuovo al bicchiere vuoto e ordinando di riempirlo un'altra volta. E poi ancora. E ancora.

«Ehi, bellissima», commenta un uomo di mezza età, strascicando le parole, «ti va di fare un giro con me, eh?».

Liv si voltò, scoccandogli un'occhiataccia che avrebbe intimidito chiunque.

«Fottiti».

Si alzò e, barcollante, si trascinò fuori dal locale, legandosi i capelli corti in una coda spettinata.

Se sua madre fosse stata psicologicamente sotto controllo avrebbe dovuto chiamarla per dirle di andare a casa, che era tardi, rimproverala per l'orario e metterla in punizione; ma se Eloise Monroe fosse stata una madre degna di essere chiamata tale Olive non si sarebbe nemmeno trovata alle due e mezzo del mattino a girovagare – ubriaca – tra le stradine secondarie del Bronx.

La vita di Liv Monroe faceva schifo. Sua madre era un esaurita, la cui unica occupazione sembrava far figli; chissà poi chi era il padre... Il suo no di sicuro: Timothy era un uomo che compariva e scompariva a suo piacimento, a volte mancava di casa anche per degli anni, poi, quando tornava, passava le sue giornate a dormire sul divano lercio di casa, ubriaco fradicio, senza quasi parlare ai figli. Se erano figli suoi.

Olive aveva quattro fra fratelli e sorelle; Sean era il secondo per ordine di nascita, quindici anni suonati, un ragazzo che faceva le regole da sé, la scuola?, un ricordo lontano. Passava le sue giornate a farsi le canne con la sua banda di amici nel loro posto, il Buco, un angolo sperduto in un quartiere sconosciuto a moltissimi.

Poi c'erano Lisa e Timothy Junior, i due gemelli dodicenni, gli unici che in casa la aiutassero a pulire, a tenere tutto a posta a casa. Infine c'era la piccola Lauren, di soli due anni, e l'esserino più dolce che Liv conoscesse. Sua madre quasi non le badava, in un certo senso la vera “mamma” della situazione era proprio Olive, strano che Lauren non la chiamasse ancora così.

Di solito Liv lo reggeva bene l'alcool, quella sera invece si sentiva la testa scoppiare e, avrebbe scommesso, che avrebbe vomitato da lì a poco. Fantastico.

Si appoggiò a un muro pieno di graffiti, facendo un respiro per recuperare il fiato e cercando di far smettere di girare la città intorno a lei.

Aveva bisogno di un bicchiere d'acqua, o di un caffè, non importava.

Entrò nel primo locale che incontrò sulla sua strada, tenendosi una mano sulla fronte imperlata di sudore.

Il bar era relativamente affollato, rumoroso e asfissiante. La diciottenne sentì il respiro mancarle e si portò una mano al petto, stanca.

Si avvicinò al bancone, sgomitando per farsi strada tra ragazzi e ubriachi e qualcuno fatto di coca ed eroina, e chiese al cameriere di turno una bottiglietta d'acqua.

Il barista gliela diede quasi senza guardarla in faccia, troppo intento a guardare a sinistra, lontano, oltre la folla, verso la fonte della musica.

Cinque ragazzi vestiti di scuro suonavano concentratissimi: due la chitarra, un terzo la batteria e un quarto la pianola, mentre un ultimo, un ragazzo biondo, cantava con la bocca che quasi baciava il microfono.

Era musica rock, vecchie canzoni dei Queens riciclate, e dei Beatles, così come dei Rolling Stone.

Liv non ascoltava musica. Non era come la maggior parte dei suoi coetanei che passavano le ore ad ascoltare canzoni ormai conosciute a memoria con le cuffie nelle orecchie. A lei piaceva la musica, certo, ma non la ascoltava. Semplice.

Quei suoni, però, quelle canzoni in quel momento le fecero tremare l'anima.

Ora il gruppo estraneo cantava una canzone a lei sconosciuta, armoniosa, magica.

Scappare, era il suo titolo. E Liv voleva scappare, andare lontano, via dal Bronx, da New York, dall'East Coast. Sparire nel nulla. Odiava la sua vita, odiava il fatto che con ogni probabilità sarebbe finita come sua madre, a fare la mantenuta, quasi a fare l'elemosina, facendo un figlio dopo l'altro, senza preoccuparsi di loro, della propria vita, di nulla. Cercava una via di uscita, una scappatoia per evadere.

Rise tra sé e sé, pensando che magari fare musica l'avrebbe potuta aiutare, dandosi subito della stupida.

L'alcool giocava brutti scherzi...


Continua...

  
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