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Autore: Hayley Lecter    17/06/2010    0 recensioni
Los Angeles, la città degli angeli, di quel demone chiamato droga. Grace, 19 anni, è la protagonista che racconta in prima persona questa storia, la sua storia, la sua vita caduta nel vorticoso tunnel delle sostanze chimiche. Si accetta ogni tipo di recensione, ringrazio tutti coloro che posano gli occhi su questa storia.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Hai detto bene, mi stupisce che all'interno di un collegio giri questo genere di cose.. a quanti anni hai cominciato? -

Rifletto, sembra esser passato un millennio da allora, nella mia mente una sorta di diapositiva trasmette immagini, ricordi della mia vita passata.

- Quattordici anni. Ero ancora una ragazzina.. ma non tanto diversa da adesso. -

Annuisce incantato, quasi rapito dalla confidenza che ci racchiude, come in una bolla.

- Dai, raccontami un pò di te, di quello che sei, che cosa fai, cosa ti è accaduto per essere arrivata qui. -

Alzo il sopracciglio destro, sbigottita. Che diavolo gli passa per la testa? Tuttavia, sento di potermi fidare, sento di potermi sfogare, confidare con questo strambo ometto dai capelli meschati di rosso.

- Ne sei sicuro? E' una storia un pò lunga.. -

Abbasso la testa in cerca di un appiglio, non ho mai raccontato nulla ad anima viva della mia vita, eccezion fatta per Tony, è chiaro. Tutto ad un tratto, non ho più voglia di raccontare qualcosa. A volte rievocare il passato può essere doloroso, come può essere anche una liberazione.

- Mi piacciono le storie lunghe. -

Mi sorride bonariamente, scosta un ciuffo dalla fronte e aspetta che proferisca parola.

- Beh, sono finita in un collegio perchè i miei.. volevano liberarsi di me, diciamo che ero la battuta imprevista sul copione. Aspettarono che crescessi un pò, e poi mi hanno parcheggiata in un collegio. Le visite dei genitori avvenivano molto frequentemente, nei giorni di festa o anche nel weekend. Io riuscivo a vederli una volta, a malapena due in tutto l'arco dell'anno. Non venivano con il sorriso sulle labbra, non mi hanno mai portato un pacchetto di caramelle o un orsacchiotto di peluche. Osservavo le famiglie riunite in cortile, che si scambiavano segni di affetto, doni e conversavano, ridevano. Di cosa ridevano o parlavano non l'ho mai saputo, perchè di rado io mi intrattenevo in una chiacchierata con la mamma o il papà. Semplicemente credevano che il solo vedermi avrebbe potuto bastare a me quanto a loro, e io me ne accorsi presto, forse troppo presto. Cominciai a rifiutarmi di partecipare ai colloqui. A cosa sarebbe servito dopotutto? Loro sembrarono acconsentire alla mia scelta, e di punto in bianco non li rividi più. Non so dove abitano o che fine abbiano fatto. Non sono mai venuta a conoscenza del lavoro di mio padre, della loro casa, dei miei nonni. Niente di niente. Durante quei giorni lì, cercavo di evitare di passeggiare per il corridoio, di prendere una boccata d'aria fresca nel cortile. Me ne stavo chiusa nel dormitorio, perchè mi faceva male vedere tutti quei sorrisi, quelle carezze che non avevo mai ricevuto. Non sapevo neanche cosa fossero allora, ma ne volevo, sapevo che erano cose importanti, che ne avrei avuto bisogno, ma ecco.. stare stesa sul letto, mi dava un pò di sollievo. Anche se li ho visti pochissime volte, ricordo benissimo i loro volti... impassibili, duri come il marmo. Continuai a rimanere in collegio per tantissimo tempo, probabilmente l'unica cosa che li legava a me era il pagamento mensile che il collegio imponeva ai parenti, per assicurare ai figli il posto sicuro tutto l'anno. -

John, attonito, si accende un'altra sigaretta.

- Continua, ti prego. -

Mi incita, affascinato. Non so perchè voglia sapere tutto questo, ma continuo imperterrita il mio racconto, come un fiume che scorre senza sosta.

- Crebbi, diventai una "signorinella", ci chiamavano così le custodi e le bidelle, ma di femminile, signorile avevo ben poco. Con il passar del tempo, ero diventata un maschiaccio, una teppistella. Inizialmente, quando ero un pesce fuor d'acqua, mi concedevo raramente qualche marachella, me ne stavo in disparte, ero molto timida e riservata. Ma pian piano, non avendo un'educazione, un'impostazione alle spalle, decisamente uscì fuori il peggio di me. Le insegnanti non facevano altro che richiamarmi e adottai un carattere molto scontroso con tutti, sebbene eccellevo in tutte le materie. Solo due persone riuscirono a cogliere la mia vera essenza, la signorina Bubbles, l'insegnante di inglese e Tony. La signorina Bubbles seppe da subito con chi avrebbe avuto a che fare. La prima volta che la vidi, erano ormai passati tre anni dal mio ingresso in collegio, e la nostra insegnante d'inglese era andata in pensione. Entrò in classe e mi guardò. Non so, scattò qualcosa tra di noi. Ti dirò, alle volte mi stava sul culo e diventava isterica. Ma era la professoressa più intelligente di quel cazzo di posto, e cazzuta, Cristo, era testarda come un mulo. Ma si dimostrò anche dolce, la maggior parte delle volte, almeno con me per quel che riguardava l'ambito extra-scolastico. Non ricordo se di sabato o di domenica, stavo stesa sul letto come al solito a contemplare il soffitto, quando entrò lei e mi colse di sorpresa. Cominciammo a chiacchierare, diventammo amiche. Durante quella conversazione mi confidò di essere stata lasciata in orfanotrofio, a pochi mesi dalla sua nascita, così le raccontai della mia situazione, non così diversa dalla sua. Riuscii a parlare, a sfogarmi e a dimostrare qualcosa che agli altri non avevo mai esposto. Credo che sia stata il primo essere umano, con cui abbia mai avuto un contatto diretto, sentito. Tony invece, lo conobbi per caso. Il settore dei maschi era diviso da quello delle femmine, ma i due gruppi si mischiavano ugualmente durante i cambi dell'ora, la ricreazione o i giorni di riposo. La prof. mi aveva appena sbattuta fuori, dopo aver trasgredito le tre regole essenziali per poter far lezione con lei: capelli ben curati, niente gomme da masticare in bocca e neanche mezzo dito in tasca. Stavo lì per i fatti i miei a contorcermi le mani, quando spuntò questo ragazzo, con un buffo taglio di capelli, la faccia da schizzato, gli occhi azzurrissimi, magnetici. Mi chiese cosa avevo che non andava, e da lì cominciò la nostra vita insieme, all'interno del collegio. Eravamo due anime in pena, in cerca di qualcuno, di un coetaneo con cui confrontarsi, e la reciproca compagnia ci aiutò in quello che fu il periodo più difficile per noi, l'adolescenza. -

Dopo aver chiuso la bocca, osservo bianche nuvole in lontananza. E John si immedesima sempre di più.

- Ti confesso che non pensavo che la tua vita fosse stata un tale casino. Adesso ho capito un bel pò di cose... -

Faccio cenno di si con la testa.

- Bene, sono contenta. -

- Voglio sentire come va a finire, racconta. -

- Come va a finire? -

Ridacchio divertita.

- Gli studenti più grandi cominciarono a far girare roba dentro il collegio. Noi sapevamo cos'era, cosa provocava... ma rubò lo stesso la nostra attenzione. Raccimolammo i soldi in due e comprammo dell'erba. Ce la sparammo insieme in un finesettimana, nascosti in bagno. Fu assolutamente l'esperienza più strana e in un certo senso bella, mai vissuta prima di allora. Capii che in una striscia di carta e in due pezzi di erba essiccata, c'era il trucco per sconfiggere un pò di quella sofferenza che aveva sempre alleggiato in me, anche se non l'avevo mai dato a vedere. Diventò una routine, ogni weekend, ci appostavamo nel bagno guasto dei maschi e aspiravamo come due poveri folli, avidi di emozioni, sensazioni illusorie. Finita la canna, ci sentivamo svuotati e depressi, e colmavamo quella voragine psicologica con dei dolci, della cioccolata sgraffignati dalle cucine. Sono sicuramente i ricordi più belli che ho. Dopo l'entrata della signorina Bubbles e di Tony nella mia vita, potevo considerarmi fortunata. Non avevo niente che non andasse, mani in tasca, capelli scompigliati e gomma da masticare apparte. Compiuti i diciotto anni, uscii dal collegio assieme a Tony. Prima di andare definitivamente via, fu un trauma dire addio alla signorin Bubbles, ma una nuova vita attendeva me, ed ero eccitata all'idea di poterla gestire, pilotare dove volevo. Scegliemmo un monolocale ciascuno, un lavoro ciascuno, ci dividevamo i pasti, passavamo la maggior parte del tempo libero ad accannarci nei sobborghi di Los Angeles, ascoltavamo la stessa musica, frequentavamo la stessa gente, e così è stato sempre, fino ad un paio di giorni fà.... -

Concludo sventolando le mani, imitando la chiusura di un sipario teatrale.

- Sai, potresti scriverci un libro. -

Scoppio in una risata, priva di allegria.

- Certo.. e chi pensi voglia leggerlo? La mia vita fa completamente schifo, non farebbe altro che deprimere la gente. -

- Invece no, la tua vita potrà anche essere una merda, ma è avvincente, attraente. Perchè non ci pensi? -

Scuoto la testa, in un netto no.

- Parli sul serio? Non servirebbe a nulla! A nessuno interesserebbe la vita di una tossica. -

John alza gli occhi al cielo, ferma lo sguardo sull'oceano impetuoso.

- Sei una brava ragazza, Grace. La vita è stata crudele con te. Devo ammettere che non pensavo alla tua vita in relazione a come me l'hai raccontata. Direi che sono stato avventato, in molti dei nostri scontri. Mi sembra piuttosto ragionevole da parte tua, adesso, la reazione che hai avuto ad ogni mio rimprovero. -

- Bene, adesso lo sai..sai chi sono, cosa e come ho fatto, a ridurmi così.

Il verso acuto di due gabbiani che volano alti nel cielo e il rumore del mare che sbatte e si ritira continuamente, mi tranquillizzano.

Ad un tratto, ho un'idea pazzesca. Cosa siamo venuti a fare qui? Impiego pochi minuti a spogliarmi, sotto lo sguardo colpito, la fronte aggrottata di John, che non capisce quali intenzioni abbia.

- Che fai, non ti bagni? -

Domando, scossa da un fremito. Dopo questo racconto intriso di episodi piacevoli o meno, sento la vecchia Grace, quella bambina impalata nel cortile, bloccata dall'urlo incessante del silenzio, dalle sue mille paure, dalle sue sofferenze. Adesso quella bambina batte i piedi per terra, e necessita di spensieratezza, di libertà, ha bisogno di ritrovare se stessa, come un animale cresciuto in cattività che sente di appartenere ad un certo luogo e vuole raggiungerlo.

- Ti seguo! -

Esclama lui. Sfila i vestiti con velocità sorprendente, e ci fiondiamo insieme in acqua.

Sono scossa da violenti brividi di freddo, ma basterà qualche secondo ancora e il mio corpo si abituerà.

- Hai freddo? -

M chiede, battendo i denti. Si avvicina, cingendomi per la vita, cosa del tutto strana.

- Già da qualche giorno avevo intenzione di dirti una cosa.. ti prego, perdonami se sono stato incauto nelle parole. Ma.. ci tengo a te, non so spiegarmi il motivo, ma è così. Non ti avrei rimproverato a quel modo, se non ci avessi tenuto. La verità è... che mi piaci, Grace. -

Basita, muovo braccia e gambe per rimanere a galla, ma la sue parole mi fanno sprofondare giù, giù, giù nell'abisso più nero. Ho paura di queste parole, e le sento pesanti, come incudini di piombo legate alle caviglie che non mi lasciano possibilità di scampo.

- Intendi forse, che vuoi portarmi a letto? Perchè se è così, tu sei carino, ma non mi faccio incantare. -

- Niente di tutto ciò. Mi piaci e basta, anche se ammetto che una ripassatina te la darei! -

Scoppia a ridere, scosso dalle onde.

- Idiota! -

Sorrido anche io, incastrata tra il dire e il fare.

- Suggerisco di rientrare, le tue labbra sono diventate blu. -

Annuisco, sempre più disorientata dalla sua confessione.

Di ritorno sulla riva, osservo con più attenzione il suo giovane corpo, scolpito qui e là, il petto un pò adulto un pò con qualche traccia da adolescente, gli addominali, la schiena bianca imperlata di goccioline.

- Ma adesso, come diavolo rientriamo a casa? Abbiamo le mutande, e nel mio caso anche il reggiseno bagnati fradici. -

Commento la situazione piuttosto contrariata, non mi vergogno, ma di certo preferisco andare in giro senza mettere in bella vista più del dovuto.

- Lasciamo che quel che abbiamo addosso si asciughi un pò, abbiamo ancora tempo. -

Mi siedo sul plaid, frastornata da mille domande che si accavallano, fanno a gara per arrivare prime alla bocca.

- Perchè dovrei piacerti? -

Ritorno sul discorso, con tono piatto ed estremamente serio.

- Perchè.. sei una ragazza forte, molto forte. Carina, sensibile e anche un pò pazza. Hai i tuoi difetti, ma chi non li ha? Uno in particolare dovresti tagliarlo via di netto, ma spero capirai al più presto, che quella merda che introduci nel tuo corpo serve solo a spianarti la strada per la morte. -

- Già. -

  
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