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Autore: Pichichi    25/06/2010    5 recensioni
Io lo guardai con crudele compassione. Sì, lo compativo, perché non riusciva affatto a comprendere la bellezza che si trovava fra le mani e
di cui – povero idiota – credeva di essere il padrone. La osservai stirare le
labbra in un sorriso tirato, per farlo vincere ancora una volta. Non capivo affatto la sua passività, il suo comportarsi da perfetta fidanzatina. Fingeva per accontentarlo, eppure lo sapevamo tutti che non le si confaceva affatto quell’atteggiamento, sapevamo che se fosse stata libera di dire la sua si sarebbe fatta valere. Con me si comportava così, almeno.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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            -Non sta andando niente affatto male, vero?-
Sebbene stessi cercando di mascherare il mio disagio da più di due ore, credevo che chiunque guardandomi bene in faccia avrebbe potuto capire che l’unica cosa che desideravo era andarmene via, il più lontano possibile da quel posto. Feci un sorriso assolutamente falso alla mia amica, ma lei era troppo presa dalla contemplazione del posto per accorgersi del mio umore.
            -No, per niente-
Feci un piccolo sospiro e preferii, piuttosto che ascoltare le chiacchiere delle altre ragazze, dedicarmi a far ruotare il liquido all’interno del calice.
Da un punto di vista oggettivo, non avrei certo potuto lamentarmi: il ristorante che era stato prescelto per trascorrere il Ferragosto era uno dei più rinomati e frequentati della costa; era abbastanza grande da ospitare tutti gli amici, ma al contempo garantiva un’atmosfera raccolta e familiare; le pareti verniciate da un arancione delicato bastavano inoltre per assicurare la mia approvazione. Un altro punto a favore del posto era la vicinanza col mare, cosicché dopo un’abbondante mangiata avremmo potuto trasferirci sulla spiaggia, e se per entrare in acqua ci sarebbe stato da aspettare, almeno ci saremmo goduti il paesaggio.
Più che la festa di compleanno di Andrea, sembrava la rimpatriata di un vecchio gruppo di surfisti, a giudicare da come eravamo vestiti.
Neanche lo avessimo fatto apposta, portavamo tutti dei pantaloncini che non oltrepassavano il ginocchio e canottiere molto scollate. Da sotto gli indumenti spuntavano i lacci di costumi colorati, segno che avevamo deciso di trascorrere l’intera giornata in spiaggia. Non che avessi niente in contrario a questo, anzi, ma la compagnia che dovevamo sopportare non mi andava proprio a genio.
Per evitare l’inconveniente di restare insieme a persone che non conoscevo nemmeno di vista, mi ero portata appresso due amici. Ironia della sorte, sembrava che loro due avessero trovato scopi molto più divertenti a cui dedicarsi, piuttosto che darmi retta.
Sebastiano aveva scelto, per arginare la noia a cui sarebbe stato sottoposto, di portarsi dietro la canna da pesca e il barattolo dei vermi, così da poter trascorrere il pomeriggio seduto su uno scoglio a lanciare l’amo nella speranza di pescare qualcosa.
Inutile dire che la scoperta del barattolo di vermi nella tasca del costume di Sebastiano aveva prodotto cinque buoni minuti di urla disgustate da parte di Sonia, la quale per il resto della giornata non aveva voluto più avvicinarsi a lui. Sebastiano, che con l’ausilio della luce del sole sembrava un vero e proprio marocchino, aveva trovato fra gli amici di Andrea numerosi figli di papà affascinati dalla sua pseudo competenza nel campo della pesca, e ora se ne stava dritto sulla sedia, tutto orgoglioso di poter spiegare come fare a prendere i pesci più grossi.
A me, osservandolo, veniva da ridere: l’unica volta in cui si era cimentato con costanza nella pesca, e cioè un paio di giorni all’inizio di Agosto, era stato capace di rimanere dalle sei della mattina, ora in cui la spiaggia è libera e i pesci abboccano meglio, fino alle otto della sera con la canna in mano, una scatola di esche appena comprate e un secchio per raccogliere le ignare prede; a fine giornata era tornato imbronciato e deluso, portando un secchio riempito di acqua salata nel quale si agitavano cinque pesciolini della lunghezza di undici centimetri; per non offenderlo, per gratificare il suo orgoglio e rendere omaggio allo sforzo, li avevamo fritti e ce li eravamo mangiati.
Non si poteva quindi definire il miglior pescatore della zona, ma quegli idioti lo stavano a sentire e a me faceva piacere che lui si vantasse di fronte ad Andrea, che nel pomeriggio avrebbe certamente cercato di emularlo.
            -Ci sei?-
Sonia mi sventolò una mano davanti agli occhi, dato che da più di un minuto osservavo il tavolo dei ragazzi con interesse.
            -Sì, ci sono- dissi tornando a guardare il menu.
            -A che pensi?- mi domandò.
Era incredibile che non si accorgesse di quanto mi annoiassi a stare lì e fosse al contempo capace di cogliere la minima sfumatura di “pensosità” nel mio sguardo.
            -A niente, guardavo Sebastiano pavoneggiarsi- risposi con un sorriso.
            -Ma quanto è bello quello biondo, mamma mia...- mormorò lei, voltandosi a guardarlo.
Mi ero giocata l’altro diversivo per evitare una giornata noiosa circa a metà mattinata, quando sulla spiaggia aveva fatto la sua comparsa il gruppo di amici di Andrea, con relativo capobanda.
Fino a quel momento la giornata era andata abbastanza bene, considerando che Sebastiano se ne stava sdraiato al sole per abbronzarsi, con l’intento di acquisire l’etnia di un cittadino del Marocco, e noi due passavamo il tempo ad interrogarci su come avevano potuto eliminare la nostra modella preferita in un reality show.
Poi comparvero quei ragazzi, e sia io che Sonia ci giocammo la giornata.
Lei era stata catturata in particolare dal fisico di un ragazzo alto e biondo, dalla pelle chiara e gli occhi verdi, che per quanto ne sapevo io faceva il cameriere in un famoso ristorante costiero.
Inutile dire che da quel momento lei non aveva avuto occhi che per lui, ed io non avevo più avuto nessuno con cui commentare quanto fosse palesemente truccato quel programma.
Per quei motivi ora mi trovavo sola, perduta nella noia e intrappolata fra le due amiche di Andrea che spettegolavano su questioni che non m’interessavano.
            -Io ho scelto- annunciai alle altre, e chiusi il menu per catturare l’attenzione del cameriere.
            -Sì, anche noi- mi sorrise Andrea, dall’altro tavolo, posto accanto al nostro.
Ora, io non volevo sembrare maleducata, ma non mi riusciva proprio di replicare al suo sorriso con altrettanto entusiasmo. Feci una smorfia che più che contentezza esprimeva dolore, secondo me. Per fortuna lui non parve accorgersene e tornò a chiacchierare con i suoi amici, attendendo il cameriere.
 
            -Bene, vi serviamo subito gli antipasti-
Dopo aver preso le ordinazioni di tutti il cameriere si allontanò verso la cucina, e dopo non molto tempo ci vennero serviti su dei piattini bruschette col pomodoro, piccoli panini ripieni di olive e acciughe immerse nell’olio.
Mentre mi accingevo a prelevare un po’ di queste ultime prima che le ragazze me le soffiassero, Andrea si rivolse a me dall’altro tavolo.
            -Quest’anno avete partecipato al raduno dei windsurf?-
Io masticai il boccone prima di rispondere, e mi stupii di tanto interesse nei miei confronti. Probabilmente, pensai, la sua voleva essere una domanda carina, per mettermi a mio agio.
            -In realtà è Sebastiano che ha gareggiato, io e Sonia gli abbiamo solo fatto il tifo-
            -Sai windsurfare?- domandò Simone, il ragazzo di cui Sonia si era infatuata.
            -Sì- rispose lui, tutto contento di potersi vantare di un’altra abilità.
Io detestavo tutti e tre i ragazzi, sia Andrea che Simone che Luca, e perciò ero ben felice che si sentissero in qualche modo in difetto di fronte al mio amico.
Qui non c’erano campi da golf o da rugby su cui potessero provare la loro superiorità maschile, bisognava purtroppo arrangiarsi col mare, o al massimo con un campetto delimitato da quattro pali incastrati nella sabbia.                 
            -Ed è anche bravo. L’anno scorso è arrivato decimo- aggiunse Sonia, sorridendogli con complicità.
In realtà Sebastiano si era classificato ufficialmente come quindicesimo, ma quei tre che potevano saperne? D’altronde, venivano qui poche volte all’anno, solitamente durante le festività natalizie, pasquali e nel periodo estivo; Andrea scendeva con la sua fidanzata e portava con sé i due amici, per compagnia.
            -Be’, nemmeno tu te la cavi male-
Percepii chiaramente il mio cuore mancare un battito a quelle parole, e probabilmente le mie guance divennero rosse per la vergogna; per dissimulare il mio imbarazzo mi affrettai a mandare giù altro vino, e fortunatamente nessuno lo notò.
            -Non esagerare, è già tanto se sto in piedi sulla tavola-
Sonia, che mi aveva immediatamente guardato negli occhi e che sicuramente aveva colto il mio imbarazzo, si affrettò a depistare l’attenzione degli altri raccontando la nostra esperienza come windsurfiste, iniziata e conclusasi piuttosto in fretta.
L’adorai per quel gesto carino nei miei confronti, perché nel momento in cui tutti furono distratti dalle sue parole potei dare una lunga ed eloquente occhiata alla ragazza seduta di fronte a me, fra Sonia ed Andrea.
Mi ero categoricamente imposta per tutta la durata del pranzo di guardare da ogni parte fuorché nella sua direzione, perché conoscevo il mio livello di resistenza e probabilmente questo sarebbe crollato in fretta.
Lei, da parte sua, non fece alcun movimento strano o azzardato, limitandosi a piantare i suoi occhi celesti nei miei verdi. Mi era molto difficile trattenere tutto quello che mi passava per la testa, ma lei nemmeno mi aiutava, col suo abbigliamento: i capelli biondo scuro lunghi oltre le spalle, e sistemati con una riga laterale, risentivano ancora dell’acqua salata del mare che li increspava in un modo delizioso; la canottiera nera creava un piacevole contrasto con la sua pelle chiarissima e non dava modo di indovinare su cosa potesse celarsi al di sotto di essa, ma in compenso le arrivava poco sopra l’ombelico, cosicché stando in piedi avrebbe potuto fare mostra del suo ventre liscio e magro; per completare il quadro, un paio di pantaloncini bianchi del tutto inconsistenti e provocanti, specie se portati sopra un costume nero.
Insomma, sembrava in tutto e per tutto una sfida al mio autocontrollo.
Forse il mio minuto di contemplazione si prolungò troppo a lungo, perché mi arrivò un calcio sullo stinco, e a giudicare dalla potenza impiegata doveva essere stata Sonia, che come me giocava a pallone.
Nell’esternare il mio disprezzo verso Andrea, non avevo preso in considerazione il motivo più importante, quello per cui lo ritenevo la creatura più ripugnante dell’intero pianeta: oltre ad essere uno spocchioso figlio di papà, oltre alla sua mania di ricordare ogni due per tre quanto difficile fosse stato il suo esame di odontoiatria e come lui nonostante ciò fosse riuscito a superarlo, oltre alla sua fede milanista che lo classificava immediatamente come un essere da non prendere in considerazione, lui era il fidanzato della ragazza seduta di fronte a me e della quale io, ovviamente, ero innamorata.
C’era voluto un po’ di tempo perché potessi accettare quest’ultima parola, eppure non avevo trovato altro modo di definire il rapporto che mi legava a lei, che mi impediva perfino di considerare le proposte di altre ragazze discretamente gradevoli.
L’avevo definita come una specie di calamita, che mi attirava con una forza magnetica superiore addirittura alla resistenza orgogliosa che facevo, cosicché mi ritrovavo spesso a gironzolarle attorno come un cagnolino scodinzolante e in attesa del suo osso succulento.
Le cose avrebbero potuto essere anche più semplici, se lei non fosse stata la fidanzata di Andrea, se non fosse stata la migliore amica per la quale in tanti anni non avevo provato altro che affetto e se non avesse ricambiato i miei sentimenti.
Invece lei, con mia estrema sorpresa e incredulità, aveva accettato di buon grado il mio affetto speciale, e mi aveva dato momenti di grande felicità per i quali avrei potuto sopportare tutti gli sproloqui di Andrea.
Il problema stava nella sua incapacità di affrontare la realtà che stavamo vivendo, nell’interrompere la relazione con Andrea e nelle nostre frequenti litigate.
Prima di entrare in questa situazione a dir poco cinematografica, i nostri caratteri si mantenevano su due piani completamente opposti, ma forse proprio a causa di questo ci trovavamo bene stando insieme; da quando il nostro rapporto era sfociato in quell’assurda situazione, complici la tensione, la paura di essere scoperte, il tempo sempre più rado che potevamo trascorrere assieme, le nostre divergenze si erano amplificate.
Lei era diventata più tesa e irritabile, tanto da arrabbiarsi per ogni minima cosa dando sfogo alla sua indole altamente infiammabile, mentre io in risposta ai suoi sbalzi di umore diventavo più fredda, quasi indifferente e ribattevo col sarcasmo gratuito.
Non poche volte, a dir la verità, eravamo arrivate a litigare urlandoci addosso di tutto, promettendoci di non rivederci mai più e dimenticare l’esistenza dell’altra, per poi trovarci a quel tavolo, l’una di fronte all’altra, entrambe con gli occhi bassi e sfuggenti e la paura mista al nervosismo che ci faceva comportare quasi come due estranee.
Poteva l’amore rovinare in quel modo un’amicizia bellissima?
Era questa la domanda che mi ronzava per la testa in quel momento, ma le mie elucubrazioni furono interrotte bruscamente dall’arrivo della prima portata.
 
Forse i miei pensieri ingarbugliati condizionavano più di quel che credessi le mie azioni, perché sembrava proprio che il piatto di spaghetti al nero di seppia fosse lo specchio del mio stato d’animo: contorto, confuso e pessimista.
Detto ciò, bisognava ammettere che erano buonissimi. Nessuno degli altri prediligeva quel primo, perché avevano deviato le loro preferenze sulle cozze e le acciughe al pomodoro. Personalmente mi piaceva l’idea che quegli spaghetti impiastricciati di nero e così poco gradevoli alla vista fossero in realtà deliziosi.
Per un po’ nessuno parlò, poiché eravamo tutti impegnati a consumare il pranzo con soddisfazione. Involontariamente i miei occhi si posarono sul suo piatto e sorrisi della sua difficoltà di estrarre le cozze dal guscio. Stava cercando di farlo senza utilizzare le mani, in modo da non risultare troppo grossolana, al pari delle amiche di Andrea. Teneva il coltello in una mano e la forchetta nell’altra, cercando di estrarre il mollusco, ma non ci riusciva.
Anche questa volta mi dilungai troppo nella mia contemplazione, perché mi arrivò un nuovo calcio da sotto il tavolo.
            -Ahio!- stavolta non vi ero preparata ed inoltre Sonia aveva centrato un preciso punto della tibia che già mi doleva in precedenza.
Lei, per dissimulare il significato di quel gesto, finse di allungarsi per prendere un piattino.
            -Scusa, non volevo...- mi sorrise, e io di quel sorriso non colsi né allegria né dispiacere, ma un severo monito.
Per questo tornai a concentrarmi sui miei spaghetti a testa bassa, cercando di non pensare troppo.
            -Sei ancora lì? Ne hai aperte solo due o tre...- commentò Andrea rivolgendosi a lei.
            -Non ci riesco...- rispose lei con una mezza risata.
            -Sei troppo lenta, una vera lumaca. Quando usciamo insieme devo venire sotto casa sua mezz’ora dopo, per non dover aspettare tutto il tempo fuori-
Lo guardai con crudele compassione. Sì, lo compativo, perché non riusciva affatto a comprendere la bellezza che si trovava fra le mani e di cui – povero idiota – credeva di essere il padrone.
La osservai stirare le labbra in un sorriso tirato, per farlo vincere ancora una volta. Non capivo affatto la sua passività, il suo comportarsi da perfetta fidanzatina. Fingeva per accontentarlo, eppure lo sapevamo tutti che non le si confaceva affatto quell’atteggiamento, sapevamo che se fosse stata libera di dire la sua si sarebbe fatta valere. Con me si comportava così, almeno.
Di nuovo mi guardò dritta negli occhi per un nanosecondo di complicità, e poi tornò a dedicarsi al suo piatto, scegliendo di mangiare la pasta e lasciare per ultimi i molluschi.
Com’era stupido quel ragazzo, pensai spontaneamente, trattenendomi per non sorridere alla vista del modo in cui spostava i gusci neri da parte e avvolgeva gli spaghetti.
Io, al contrario di Andrea, adoravo la delicatezza e la cura con cui compiva anche i più piccoli gesti, il modo educato di non strafogarsi di cibo, la meticolosità nello scegliere un vestito e acconciarsi i capelli, anche nel suo modo di masticare vedevo una certa raffinatezza.
Ogni suo gesto trasudava eleganza e nonostante fosse vestita di una semplice canottiera e un paio di shorts bianchi, avesse i capelli tenuti fermi da un singolo ferretto, risultava molto più bella delle altre ragazze, benché queste portassero collane, bracciali e costumi ricercati.
La semplicità era una delle caratteristiche che più mi piacevano della sua persona. Mi accorsi di essere rimasta con lo sguardo perduto sui suoi lineamenti e mi stupii di come Sonia non mi avesse richiamato.
Tornando ad interessarmi della conversazione in atto, capii il motivo della distrazione della mia amica: Simone si stava versando da bere e nel frattempo raccontava della sua esperienza come cameriere.
            -C’era una signora di mezza età seduta al tavolo con delle amiche- stava raccontando –e trovava tutte le scuse possibili per trattenermi... credo si sarebbe versata il vino addosso da sola, purché poi fossi io a ripulirla-
Sonia rise forzatamente assieme agli altri ragazzi, e per questo ne approfittai per prendermi una rivincita e darle un’occhiata eloquente: detestavo quando si comportava in modo così frivolo!
            -Oh, non mi vanno tutte. Chi ne vuole un po’?-
Lei smise di armeggiare con le posate e mise il piatto in bella vista perché uno di noi terminasse le poche cozze che erano rimaste.
Stupendomi del mio tono del tutto naturale e privo di qualsiasi artificio, anticipai le due ragazze sedute accanto a me allungando le mani per prendere il piatto.
            -Dai ti aiuto io-
Sicuramente nessuno di loro avrebbe potuto immaginare che lei avesse solo cercato una scusa per potermi parlare, e che io non aspettassi altro che un modo per poterla sfiorare fisicamente.
In tempi reali impiegai meno di cinque secondi a prelevare i molluschi dal suo piatto e restituirglielo, ma nella mia concezione del tempo il momento in cui le sfiorai leggermente gli avambracci e le mani durò un’eternità.
Dopodiché, disinteressandoci della conversazione, ci guardammo nuovamente e mi sembrò di cogliere nel suo sguardo un certo rimprovero, come se avessi fatto qualcosa di male.
Allora tentai di comunicarle il mio smarrimento aggrottando leggermente la fronte, ma lei rispose distogliendo lo sguardo e facendo un lieve gesto con la mano che volevano significare: parliamo dopo.
Possibile che non fossimo nemmeno arrivati al secondo e già fossi in ansia a causa sua?
Nel frattempo pulendomi le labbra mi accorsi di averle tutte macchiate col nero di seppia, e per questo mi alzai dal tavolo per recarmi in bagno.
Il ristorante non era molto grande e poteva ospitare al massimo una cinquantina di persone, ma quel bagno era veramente straordinario: spazioso, con vetrate colorate che lasciavano entrare grandi quantità di luce dall’esterno, piastrellato di un bel colore tenue e decorato con fantasie tipicamente marittime. Mi piacevano i bagni enormi e provvisti di uno specchio lungo tutta la parete, oltre che di una serie di lavandini perfettamente funzionanti.
Cominciai a sciacquarmi la bocca per bene in modo che il nero venisse via e poi mi sistemai i capelli e lo scollo della canottiera.
Avrei voluto gettarmi subito in acqua a causa del caldo soffocante, amplificato poi dal fatto di dover essere rinchiusi in una sala assieme a tante persone, costretta ad indossare dei pantaloncini verde militare e delle scarpe chiuse. Avvertivo chiaramente il tessuto sintetico del mio costume appiccicarsi alla pelle.
Prima che potessi uscire dal bagno, la porta si aprì. Il mio cuore fece un salto di dimensioni spropositate, credendo che fosse lei, perciò subì una brusca delusione quando scoprì trattarsi di Sonia.
            -Che c’è? Non sono bellissima, d’accordo, ma non c’è bisogno di fare quella faccia!- commentò per farmi ridere.
            -La devi smettere di tirarmi calci, mi hai fatto male-
            -Tu continui a fissarla, non è colpa mia! Vaglielo a spiegare ad Andrea che stavi esaminando la sua acconciatura!-
Io risi divertita del suo sarcasmo e grata per avermi ricordato che dovevo trattenermi.
            -Capirai- replicai – non si accorgerebbe di niente-
Sonia scosse la testa mentre si asciugava le mani.
            -Va bene che è talmente pieno di sé da non interessarsi di nient’altro, ma se non stai attenta se ne accorgerà. E poi saranno cazzi amari-
            -Hai ragione-
            -Parlando di altro, ho scoperto che il ristorante in cui lavora è lo stesso in cui lavora mio cugino!- mi comunicò.
            -In cui lavora chi?- domandai.
            -Simone!-
Mi ero un momento disinteressata del suo discorso, così quando capii di chi si stava parlando storsi il naso come disgustata.
            -Il più carino è il terzo, quello coi capelli neri! Quello lì è proprio brutto!-
            -Ma che vuoi capirne tu?-
            -Si fa le sopracciglia. Ho detto tutto-
Lei rise con me e tornammo a sederci al tavolo, per scoprire che era arrivata la seconda portata.
Avevamo ordinato due orate a dir poco gigantesche, in modo da dividercele in eque parti.
Il pesce era davvero buonissimo, specie accompagnato con le patate che ci avevano portato, e nuovamente tutti quanti, troppo occupati ad usare la bocca per mangiare, evitammo di fare commenti.
Una spina lunga e sottile mi aveva pizzicato la guancia e per questo stavo cercando di sfilarmela. Ero particolarmente concentrata su questo gesto per cui non mi resi subito conto che c’era un ginocchio che sfiorava quasi impercettibilmente il mio, sotto il tavolo.
Credendo fosse ancora opera di Sonia guardai la mia amica con aria interrogativa, prima di accorgermi che non era stata lei.
Tornai a mangiare la mia porzione senza badarvi più di tanto, e a quanto pareva il suo era stato un gesto casuale, perché non si ripeté più.
Andrea scelse proprio il momento sbagliato per allungare un braccio sulla sua spalla e darle un bacio sulla guancia, cosa che fece salire in me una rabbia indicibile. Fu come se la spina che avevo rimosso poco prima fosse rimasta incastrata nella gola, per quanto mi dava fastidio quella scena.
Sentii un impellente bisogno di fare qualcosa, di ricordarle che ero proprio davanti a lei, per non dover ingoiare quel boccone amaro senza possibilità di dire la mia.
Sistemandomi meglio sulla sedia riuscii a fare in modo che le nostre gambe si sfiorassero in un gesto apparentemente casuale.
Dapprima nemmeno lei se ne accorse, ma ad un certo punto la vidi abbassare e poi alzare verso di me lo sguardo, per chiedere spiegazioni.
Oh, se avessi potuto avrei gridato a squarciagola come il mio unico desiderio fosse rimanere da sola con lei!
Andrea continuava imperterrito, quasi lo facesse apposta, a parlottare con lei in modo affettuoso, e io come per protestare proseguii nel mio tentativo di infastidirla.
Lei comprese la situazione ed ebbi l’impressione che volesse tirarmi un calcio da sotto il tavolo, ma continuò ad ascoltare quel che le diceva il fidanzato con sempre minore interesse.
Forse perché mi sentivo del tutto impotente e trascurata in quel momento, o perché non sopportavo che Andrea pomiciasse con lei a quel modo, poggiai un gomito sul tavolo e con l’altra mano provai ad accarezzarle il ginocchio.
Con mio sommo divertimento non appena venni a contatto con la sua pelle liscia quasi sobbalzò e mi lanciò un’occhiata poco amichevole, come a dire: smettila subito.
Io nascosi un sorriso beffardo e sadico dietro la mano e la osservai arrossire.
Quel dettaglio mi provocò una tremenda scarica di adrenalina, perché non era causato dalle attenzioni che le stava riservando Andrea, ma dal mio movimento ed essere consapevole di averla fatta arrossire mi conferì un’espressione vittoriosa.
            -Scusate-
Scegliendo una via diplomatica per uscire dalla situazione, lei scansò Andrea con una mano e si fece spazio per alzarsi dalla sedia e recarsi in bagno. Nel farlo mi guardò in un modo che non mi piacque per nulla. Feci un sospiro impercettibile, mentre seguivo con gli occhi la sua sagoma sparire dietro la porta della toilette. Probabilmente l’avevo fatta arrabbiare.
Ciononostante, ero stata costretta a farlo per non cadere sconfitta di fronte a quell’essere che ora stava pigramente adagiato sulla sedia e faceva battute sconce con i suoi amici. Colsi l’espressione annoiata di Sebastiano e gli sorrisi, grata per aver fatto lo sforzo di integrarsi in una compagnia di cui non gliene fregava niente.
Prima di mangiare il gelato i ragazzi si alzarono da tavola per andare a fumare, e siccome Sonia era corsa al loro seguito per cercare di scoprire altri dettagli su Simone, mi trovai libera da ogni impiccio e potei a mia volta alzarmi, per recarmi in bagno.
Lei si stava sciacquando la faccia e quando mi vide subito mise su un’espressione dura e irritata, e seppi che stava per arrivarmi una lavata di capo.
            -Sei un’idiota!- cominciò, gettando i fazzoletti nel bidone dei rifiuti – Cosa ti salta in mente?-
Roteai gli occhi per aver sentito quell’incipit decine di volte e risposi:
            -Non mi salta in mente niente, mi dava fastidio...-
            -Sì ma a te non dovrebbe dare fastidio!- replicò lei, incrociando le braccia al petto.
Da quel gesto capii che non era affatto intenzionata a lasciar correre e che se l’era presa sul serio.
            -Cosa vuoi che faccia, che me ne stia lì a guardarvi? Scusa tanto, non ci penso nemmeno... non so nemmeno perché sono venuta qui oggi, a rompermi le palle!- risposi,stringendomi nelle spalle.
            -Be’ per quanto mi riguarda potevi anche startene a casa! In effetti sarebbe stato meglio per tutti, tu non dovevi esserci!-
            -Ma se mi hai invitato tu, cosa dici!-
Era solo quello il motivo per cui avevo accettato di trascorrere il Ferragosto lì, perché me l’aveva chiesto lei con molta gentilezza; e d’altronde come avrei potuto dirle di no?
Sarei stata capace di sopportare centinaia di pranzi con tutti gli amici di Andrea, se fosse stata lei a chiedermelo.
Risentita perché effettivamente non poteva scampare a quell’affermazione prese fiato e poi, con forza ancora maggiore come per voler sostenere ciò che diceva, disse:
            -Guarda, ti odio! Non fare mai più una cosa del genere, non ti azzardare!-
            -Il fatto è che ti dà fastidio che abbia ragione, tutto qui...-
            -Non è vero!-
            -Come non è vero, è sempre stato così, vuoi forse dirmi che avresti preferito startene appiccicata a quello lì?-
Più io cercavo di mantenere un tono basso e mi affidavo alle frecciatine, più lei andava su tutte le furie e alzava la voce.
            -Non parlare così di lui!-
            -Io parlo come mi pare e piace-
            -Ti detesto quando fai la persona immatura-
            -E io invece detesto vederti assieme a lui!-
Ecco, l’avevo detto. Tutto d’un fiato, proprio quando non se l’aspettava, l’avevo tirato fuori velocemente sperando che così fosse meno doloroso.
Lei rimase un momento spiazzata e forse stupita di quella mia inaspettata ed esplicita ammissione, ma cercò di riprendersi subito.
            -Sarebbe il mio fidanzato-
            -Tu non lo ami-
L’avevo detto evitando accuratamente di guardarla in faccia e preferendo osservare le piastrelle di quel fantastico bagno, tenendo sulle labbra un sorriso strafottente.
Mi aggrappavo a quella convinzione con tutta me stessa, me la ripetevo all’infinito quando la mia sicurezza vacillava, quando lei mi mandava a quel paese e minacciava di chiudere per sempre ogni legame, in balia dei suoi sbalzi d’umore. Non pretendevo di essere io l’oggetto del suo amore, non aspiravo a diventare per lei ciò che lei era per me, però mi auto-convincevo che Andrea non fosse affatto il suo fidanzato, che lei ci stesse assieme per convenienza, per il sesso, per gioco.
Gioivo immensamente quando mi raccontava quanto a tratti lo detestasse, ma dentro di me non volevo che lo lasciasse.
Avevo paura che lei, dovendo fare una scelta libera da queste complicazioni, mi mettesse da parte. Questo non l’avrei mai sopportato, quindi preferivo starmene in un angolo ad aspettare che lei mi permettesse di venirle vicino. Più volte mi era stato fatto notare come questo comportamento non fosse affatto coerente col mio modo di agire e di pensare, eppure non riuscivo proprio ad allontanarmi da lei.
Ci avevo provato, ma ero stata male come non mi era mai successo per nessun altra o altro che fosse. La mia malattia aveva capelli biondi e in quel momento mi guardava con uno strano sguardo, quasi sospettoso. Io sapevo cosa volevano significare quegli occhi celesti leggermente socchiusi: non voleva continuare a portare avanti una colossale bugia, cioè quella di amare Andrea, ma nemmeno era capace di illudermi.
A volte si presentava alla mia mente il pensiero terrificante che lei mi considerasse nient’altro che la sua migliore amica, che i baci e le carezze non avessero per lei lo stesso significato che avevano per me, che mi volesse bene ma non con la mia stessa intensità.
Quel pensiero era angosciante e per quanto tentassi di scacciarlo a forza dalla mia testa questo tornava sempre prepotentemente in primo piano. Non potevo costringerla, non era nei miei desideri, ma allo stesso modo non ero abituata ad arrivare seconda, a perdere, a vedermi soffiare il premio da sotto il naso.
Purtroppo in quel caso non avrei potuto farci nulla, non c’era nulla di sbagliato in lei, se non ricambiava i miei sentimenti.
            -Non stiamo parlando di lui, ora- disse lei, cercando di riacquistare il comando della discussione – il problema è che tu non puoi fare in questo modo-
            -Cioè?-
Si era un po’ calmata e a giudicare da come si muoveva non era più tanto sicura delle sue affermazioni.
            -Non puoi fare così, lo sai che mi fa arrabbiare-
            -Anche tu mi fai arrabbiare- replicai – è così palese che ti piacerebbe essere da qualsiasi parte meno che con lui-
            -Bene, io sono arrabbiata con te e tu con me. Non c’è niente da dire-
Distolse lo sguardo per far capire che la discussione terminava lì, e a giudicare dal modo in cui aveva stretto le labbra si era dovuta trattenere per non aggiungere altro e non arrabbiarsi eccessivamente con me. L’idea che si sentisse in dovere di controllarsi di fronte a me, di mostrarsi tranquilla ed equilibrata come invece non era, non mi piacque affatto.
Così quando cercò di sorpassarmi per tornare nel salone, la tenni  ferma per un braccio e domandai:
            -Ma perché no? Perché se lui può farlo io no?-
            -Perché a me di lui non me ne frega niente!-
Lei reagì d’istinto, com’era prevedibile, e poco ci mancò che non mi tirasse uno schiaffo. Quando si arrabbiava diventava rossa come un papavero, e su di lei che aveva la pelle chiarissima quel colore faceva un effetto curioso.
            -Pensa se ci lasciamo. Bene, chi se ne frega, è andata male!- spiegò, spintonandomi via.
            -E allora?-
Stavolta prima di rispondere esitò e quando parlò preferì osservare la fila di lavandini piuttosto che il mio volto.
            -Pensa se invece noi due ci mettiamo insieme e poi ci lasciamo. Non ci parleremo più. Io non voglio che accada...-
Anche io persi di colpo tutta la sicurezza e mi limitai a domandare:
            -Perché dovremmo lasciarci?-
Nella mia testa una simile opzione non era stata nemmeno concepita, per quanto effettivamente probabile fosse.
Lei riprese coraggio e il suo solito tono spavaldo.
Alzò la testa e rispose:
            -Perché litighiamo sempre!-
            -Che razza di risposta sarebbe?-
            -Lo vedi anche tu, ogni tot litighiamo e sempre per la stessa questione...-
            -Sei tu che ti arrabbi per ogni minima cosa!-
            -Oh, guarda caso mi arrabbio sempre con te!-
Era vero, litigavamo molto spesso e per questioni che alla fine non ricordavamo nemmeno per quanto erano futili, ma a me non importava per niente. Anche se provavo ad offendermi per ciò che mi diceva, non riuscivo a tenere in piedi la farsa neanche per un giorno: dovevo assolutamente chiederle scusa, perché non sopportavo l’idea di non parlarle. Anche se avevo ragione, e anche se il mio orgoglio ne usciva umiliato grandemente, non m’importava un fico secco.
Ero come un elastico: più lei cercava o faceva finta di allontanarmi, più io venivo attirata da una forza incredibile verso il punto di partenza. Più lei mi trattava male, più quell’attrazione spontanea cresceva.
Lei si stava arrabbiando perché sosteneva che non avessi alcun diritto a contraddirla, cosa che mi parve molto stupida. Alla fine, poiché come sempre accadeva da un preciso argomento scivolavamo in questioni più futili, mi stufai delle sue chiacchiere e chiusi la discussione come sempre facevo in quei casi:
            -Senti, a me non me ne frega niente di chi ha ragione o chi ha torto, l’unica cosa che voglio è stare con te, lo capisci?-
Era una frase molto diplomatica, forse non del tutto veritiera ma comunque adatta a quel tipo di situazioni.
Lei ammutolì e dimenticò la sua rabbia. Vedendola esitare affondai il colpo decisivo.
            -E tu no?-
            -Io...-
 
Non importava quanto avesse gridato prima, quanto si fosse incavolata, quanto avesse finto di essere restia, perché io sapevo che poteva cambiare idea da un momento all’altro e il tutto stava nel saper interpretare bene l’attimo giusto. Lei fece un passo indietro e diede l’impressione di voler abbassare lo sguardo.
Allora capii che quello era il momento giusto, e approfittando del suo attimo di esitazione mi avvicinai e velocemente le poggiai le labbra sulle sue, anche per impedire che dicesse qualcosa e rovinasse tutto.
Facendole reclinare la testa di lato con una mano, cercai appoggio trovandolo in un muro, addosso al quale la feci poggiare.
Sentii la sua mano premere sulla mia guancia e artigliarla con le unghie, così mi spostai leggermente per guardarla negli occhi.
Lei non era proprio contrariata, la sua era più un’espressione rassegnata, di chi sa di non poter andare contro le proprie sensazioni, pur volendole mascherare abilmente.
La volta successiva fu più disponibile e stringendosi – forse istintivamente – al mio corpo lasciò che partecipasse al bacio anche la sua lingua.
Quel gesto in particolare fece saltare tutti i buoni e casti propositi che avevo in testa e attraversata da un’altra e più potente scarica di adrenalina feci intrecciare le nostre gambe e la spinsi di più contro il muro.
Prima che una delle mie mani potesse scivolare sotto i suoi abiti e commettere atti completamente fuori luogo, riuscii a riprendere consapevolezza della situazione e a limitarmi al semplice bacio.
Non fui capace di quantificare il tempo che passammo in quel bagno, in particolare quello che impiegammo baciandoci, ma ripresi la piena coscienza della realtà solo quando udimmo un rumore dietro la porta.
Prima era stato tutto uno scambio di odori, di saliva, di sensazioni che parevano protrarsi all’infinito e che ci avevano estraniato dal mondo reale proiettandoci in una dimensione tutta nostra.
Ma il rumore dietro la porta la fece spaventare e così immediatamente, prima che avessi anche solo il tempo di staccarmi autonomamente, mi diede uno spintone per togliermi di mezzo, nel vero senso della parola.
Le due amiche di Andrea trovarono lei appoggiata alla colonna con le guance rosse, e me che cercavo di mantenermi in equilibrio dopo essere stata bruscamente allontanata.
            -Ah voi eravate qui?- domandò una di loro, superandoci.
            -Stanno servendo il gelato, se ne volete-
Lei fu la prima a ricomporsi e a tornare di là, mentre io aspettai un po’ e preferii sciacquarmi il viso.
Non mi aveva dato uno schiaffo, non mi aveva respinto e anzi era stata ben felice di partecipare al bacio, ma lo spavento che aveva provato nel sentire il rumore dietro la porta e che avevo percepito benissimo, aveva rovinato tutto.
 






Bene, ecco un'altro racconto diviso in due capitoli. Spero di riuscire a postare l'altro prima di martedì, nel frattempo farebbe piacere sapere che ne pensate.
 
   
 
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