OPEN YOUR EYES
EXTRA:
ROMEO vs
GIULIETTA?
- Arrivai a scuola con il sorriso,
oggi mi sentivo più
felice del solito. Forse perché sapevo l’argomento della lezione di
letteratura
inglese, Romeo e Giulietta, uno dei miei testi preferiti.
Speravo che il
tempo passasse velocemente e che arrivasse subito la quarta ora.
- “ciao Amber!” la salutai con
entusiasmo. Lei mi
guardò con uno sguardo carico di dispiacere, non sapevo però se fosse
davvero
sincero. Quel giorno ero così euforica che non riuscivo più a capire se
le
persone fossero sincere o meno.
- “oh, Isa, scusa se stamattina non
ho potuto passare a
prenderti…” implorò. Le sorrisi, alzando le spalle: “Figurati, no
problem.” Poi
proseguii da Nikki e Ash, che erano poco più in là.
- “siamo contente oggi.” Costatò
Nikki, vedendo il mio
sorriso cominciante da un orecchio e finente all’altro. “Già, oggi ‘Romeo
e
Giulietta’!”
- Le mie amiche risero, sapevano che
adoravo quella
storia, gliel’avevo confidato io stessa, tempo prima. La classe di
Nikki e Ash
questa lezione l’aveva fatta la settimana prima. Era una specie di
dibattito
sull’argomento. Da loro, praticamente, aveva parlato solo la prof, con
suo
enorme rammarico. Alle mie amiche come lezione non era dispiaciuta. Io
non
avevo intenzione di stare lì solo come spettatrice passiva, mi piaceva
ascoltare i pareri altrui, ma dovevo anche dire la mia. Soprattutto
confrontarmi con persone che avevano le mie stesse passioni, e in
questo caso
la letteratura.
- Sentivo che quella giornata non
avrebbe potuto
rovinarla niente e nessuno, nemmeno quell’idiota di Cullen versione
stronzo.
- Al suono della campanella ci
dirigemmo all’interno
dell’ente scolastico.
- Beh, forse l’unica cosa davvero
negativa della
situazione – oltre il mononeurone* Cullen – era che il martedì
avevo
pure matematica. Era in assoluto la materia che più detestavo, anche
più della
biologia ( dato che avevo dietro Cullen, che mi faceva sempre
richiamare),
soprattutto perché non mi entrava in testa. Un tempo, quando pensavo
ingenuamente che la mia vita fosse speciale accanto a quell’ameba,
facevo ripetizione proprio con lui. Non che riuscissi a capire molto,
anche
perché, all’insaputa di mio padre- convinto che fossimo bravi e seri
studenti-
finivamo sempre per cambiare i programmi del pomeriggio, mettendoci a
guardare
un film in compagnia di bibite e pop-corn.
- Vecchi, obsoleti tempi. Che ormai
non mi appartenevano
più. Tempi che se rivisitavo con i ricordi, mi portavano solo dolore,
malinconia, rimpianto e ancora dolore.
- Marciai fino alla mia aula, con
una strana sensazione;
la professoressa Phillips era famosa per interrogazioni e test a
sorpresa, e
purtroppo non le andavo troppo a genio. Io come il resto della
scolaresca, sia
chiaro. Solo un ragazzo era riuscito ad abbonirla, ed era
proprio quel
microcefalo con certificato di Cullen. Eh, quanto era dura la vita a
volte. Entrai nell’aula e vidi la prof già in classe, insieme a altri
due miei
compagni.
- “signorina Swan, pronta per il
compito in classe di
oggi?” la mia espressione doveva essere di puro terrore, perché un
ghigno
perfido si disegnò sulle labbra di quella strega. Cattiva e stronza
come poche,
era quella. Era zitella, infatti, - quasi impossibile provare un minimo
di
affetto per lei, in quanto non rispettava gli altri e godesse nel
vedere il
panico sui visi altrui- , e tutti i prof non erano d’accordo con quel
suo modo
di insegnare. Lo ritenevano troppo ‘bacchettone’, e non avevano tutti i
torti.
Benché anche gli altri non fossero troppo indulgenti, non raggiungevano
la
severità e la perfidia di quella donna nemmeno a volerlo. La
professoressa
Phillips era il terrore di ogni studente di questa scuola, eccetto che
di
‘Leccaculo- Cullen’. Incredibile come quel sorriso riuscisse a
incantare anche
la stronzaggine e la perfidia fatte persona. Secondo me, ciò non aveva
fatto
che far crescere il suo ego a dismisura- ovvero facendolo diventare
ancora più
irritante, nonché più fastidiosamente fastidioso e strafottente
nei miei
confronti.
- Deglutii a vuoto, annuendo
lentamente. Proseguii e
andai a sedermi al mio posto; tirai fuori subito il libro per ripassare
– o meglio,
studiare, dato che non avevo aperto libro. L’aula cominciò a riempirsi,
e ogni
studente che entrava sentiva la cattiva aria che girava nella stanza.
Era
difficile non notare gli sguardi terrorizzati – il mio per primo – dei
ragazzi che erano lì da prima con me. Non ero l’unica che aveva
sfruttato quei
pochi minuti per conoscere il minimo dell’argomento che avremmo
sviluppato
nella verifica.
- Una volta che tutti i banchi
furono occupati, la
Phillips cominciò: “Bene, ragazzi. Come sapete, oggi ho organizzato un
test a
sorpresa. Il lavoro è personalizzato per ognuno, chi ovviamente è più
bravo,
avrà quesiti pari al suo livello. È attitudinale, ma i voti li do’
comunque”.
Un mormorio si levò tra i banchi, che per quanto fosse basso, le diede
fastidio. “piantatela di comportarvi come una balbettante banda di
babbuini
balbettanti!” tuonò, lanciando un’occhiataccia alla classe. “vi
chiamerò in
ordine alfabetico; non aprite il fascicolo finché non ve lo dirò.” Uno
a uno
andammo là, e quando fu il mio turno, la sua espressione mutò un poco.
Era un
misto tra soddisfazione e perfidia. Non capivo il perché; il mio non
doveva
essere troppo difficile, in quanto ero un’incapace in matematica, e lei
lo
sapeva bene. Almeno, speravo.
- “Avete due ore di tempo… da ora.”
E dettò ciò, tutti
aprimmo l’inserto. Guardai la prima domanda: ma che..? Sembrava
il mio
peggiore incubo. Non mi ricordavo di aver fatto cose del genere qui.
Girai
pagina, un altro problema, un altro punto di domanda. Infine, l’unica
cosa che
sapevo compilare era il mio nome.
- Di sicuro era uno zero, il voto
che avrei preso.
- Rilessi il primo quesito, sperando
che un qualche
santo del cielo m’illuminasse. Ma niente. Io non.. aspetta.
Quell’argomento l’avevo già affrontato, a Forks. Peccato che fosse uno
di quelli
di cui non capivo un fico secco. E il seguente mi ricordava vagamente
un
compito affidatoci dal prof al secondo anno di superiori.
- Un momento.
- Avevo il vago sospetto che la
professoressa avesse
volontariamente spulciato nel programma che avevo affrontato gli anni
scorsi a
Forks, ma non poteva aver azzeccato tutti gli argomenti in cui avevo
delle
lacune. Almeno che..
- Almeno che il suo beniamino non
l’avesse aiutata con i
quiz.
- Solo Edward sapeva quanta fatica
avevo fatto per
meritarmi la sufficienza piena negli argomenti difficili. Solo lui,
perché –
oltre a Alice, che in matematica non mi aiutava mai, in quanto non era
una cima
nemmeno lei – nessun altro mi dava delle dritte in queste materia.
- Non riuscivo a crederci: ma
quanto era diventato
cattivo?
- Tralasciando quanto fosse cambiato
quello che era il
mio migliore amico, spulciai nei miei vaghi ricordi qualche nozione
datami da Edward-
stronzo- Cullen.
- Fortunatamente non avevo cestinato
tutto ciò che avevo
imparato gli anni scorsi, e tra vaghe formule e calcoli improvvisati,
riuscii a
terminare il test al suono della seconda campanella. Richiusi con un
sospiro
pesante il fascicolo, misi in spalla lo zaino e aspettai che gli altri
consegnassero, dato che ero l’ultima ad aver finito.
- La classe era ormai vuota quando
diedi il libretto
all’insegnante, che mi guardò con sufficienza. “bravo vero, il signor
Cullen a
dare esercizi?” e rise malignamente. Non le risposi, e voltandole la
schiena
uscii da lì. Poco importava che mi avesse messo uno zero. La detestavo.
- Odiavo Edward Cullen, il suo
cocco.
- “ehi Isa, a te come è andata?” mi
domandò Kristen,
sorridente. “a me, benissimo, era semplicissimo!” esultò, felice.
- “il mio era difficilissimo, eppure
non sono brava in
matematica” sbottai, arrabbiata.
- “che strega che è quella donna.
Non devi starle molto
simpatica, ma chi può dire di essere sotto l’ala protettrice della prof
‘megera’?”.
Cercò di tirarmi su il morale, ma non funzionò.
- “grazie del sostegno, Kris, ma ora
devo andare.”
Sospirai, proseguendo spedita verso la nuova aula.
- Come nei miei sogni peggiori mi
comparve davanti Mr.
Cretino in persona.
- “Swan, ma che dispiacere vederti!”
esclamò, solo il
suo sorrisino mi faceva venire la voglia di prenderlo a schiaffi.
Diceva:
picchiami, picchiami!
- “Sei così stronzo che mi verrebbe
voglia di
sputarti in faccia” dissi sincera, incenerendolo con lo sguardo. Lui
fece una
risatina sarcastica, per poi tornare a guardarmi con malizia.
- “Swan posso farti una domanda?”
- “se ci riesci, chiedi pure”
risposi, preparandomi ad
una frecciatina delle sue.
- “Se uso il microscopio, riesco a
vedere il tuo
cervello?”
- “Questa domanda se la pongono le
persone che vedono
te, non me. Sai che è illegale essere così irreparabilmente idioti,
stronzi e
cretini?”.
- “ e allora perché non sei ancora
in galera?” domandò,
e li dovetti iniziare a contare i secondi per non perdere la mia
pacatezza.
Respiravo con calma, cercavo di mantenere il controllo di me stessa.
- Non ero una persona violenta, io.
- Mi dovevo iscrivere ad un corso di
Yoga, o un giorno
di questi l’avrei mandato all’ospedale. Ne ero capace.
- “ah.” Mi ricordai “ grazie di aver
aiutato la prof con
la scelta degli esercizi per il mio quiz a sorpresa.” Lui alzò le
spalle:
“dovere”.
- “ma vai a quel paese, va.” Gli
dissi, sorpassandolo
diretta alla mia classe.
- “ci vediamo in classe, Ameba!”
esclamai poi, ma non
sentii la sua risposta perché ero già nell’aula. Ero in ritardo, ma il
prof
ancora non c’era. Mi sedetti vicino ad Amber. “ ehi, perché Taylor non
c’è
ancora?” le chiesi, mentre lei si smaltava le unghie con lo smalto rosa
shocking. “belle, mi piacciono così” commentai poi.
- “grazie!” mi sorrise, posando
l’attenzione su di me.
“Comunque, è assente. Non lo sapevi? Questo fine settimana è andato in
gita con
le seconde a Sidney. Sai che lui si vantava di essere quel grande
surfista,
no?” annuii, divertita.
- “me lo immagino, non sa nemmeno
fare due passi senza
inciampare!” esclamai, facendo ridere la mia amica. “già, appunto! Un
ragazzo
l’ha sfidato, e lui ha accettato. Si è fatto male.” Si strinse nelle
spalle.
“niente test lunedì, perlomeno.”
- Avevamo l’ora buca, ma rimanevamo
tranquilli nella
classe. Ognuno si faceva i fatti suoi, senza badare a ciò che gli altri
combinavano.
Tirai fuori dalla tracolla il mio Ipod e misi le cuffie nelle orecchie.
La
musica era al massimo, ma il suono della canzone che stavo ascoltando
era così
delicato che non poteva dare fastidio.
- Claire de lune.
- La nostra canzone.
- Quella stessa musica che lui mi
aveva sempre suonato,
dicendomi che la nostra amicizia era infinita come le volte che lui
aveva fatto
vibrare le note di Debussy nell’aria.
- Certo, infinita. Era bastato che
fossimo abbastanza
distanti, per odiarci. Non c’eravamo fatti niente di male, ma da quel
primo
incontro a scuola non c’eravamo più sopportati. Io.. io sinceramente
non avevo
nulla contro di lui. Io tenevo alla nostra amicizia. Ma a lui
non
interessava, lui mi odiava, lui mi aveva spezzato il cuore.
- Da quando mi ero trasferita, non
c’era giorno che lui,
che loro, non tornassero nella mia mente, ferendomi il cuore. La fioca,
debole
speranza che il mio amore per lui scomparisse era morta quasi subito.
Perché,
nonostante tutto, io non riuscivo a non amarlo incondizionatamente. Gli
rispondevo male, lo insultavo, ma era un modo per nascondermi, per
difendermi.
Non avrei retto senza la mia maschera.
- Edward era il mio fottutissimo
primo amore.
- E sfortunatamente comportava una
serie di problemi,
che a distanza di tempo, non riuscivo a risolvere.
- Già, fottutissimo.
- Era come un tormentone
dell’estate; quando cerchi di
levartelo dalla testa, inspiegabilmente non ci riesci. E benché tu
voglia
liberartene, anche a costo di prendere delle capocciate sul muro, sai
che ti
sentiresti vuoto senza. Strana la vita.
- Edward era il mio tormentone. Ma
lui non sarebbe stata
una moda per il mio cuore, che poi, finita la stagione sarebbe
diventata ‘out’.
Lui era incredibilmente, sfortunatamente sempre ‘in’. Era uno stile
eterno, di
quelli che persistono sempre in alto alla classifica.
- Senza che nemmeno me ne
accorgessi, il mio scudo si
era abbassato. Il segno evidente della mia vulnerabilità: una
lacrima.
Era riuscita furbescamente a rigarmi la guancia, senza che potessi
fermarla.
Stupida e inutile goccia salata.
- La asciugai, con rabbia quasi.
- In quel momento, tra i miei
compagni, accanto alla mia
amica, mi sentivo sola.
- Beh, una persona che tiene a te
dovrebbe accorgersi
che qualcosa non va, soprattutto se è evidente. Qui io potevo
mettermi
ad urlare, e nessuno mi avrebbe veramente ascoltata. Ne ero certa.
- Era un gioco di popolarità e
amicizie false, una gara
a chi conquistava più ragazzi e a chi aveva la simpatia di certe
persone, anche
a costo di ferirne altre.
- Ero stufa di tutta questa
ipocrisia, eppure non potevo
farne a meno. Stavo diventando un manichino, assoggettata dal mio
copione, una
parte che mi ero scritta da sola. E mi pentivo di averlo fatto.
- Avevo bisogno di figure davvero amiche.
Sincere
come Nikki e Ashley. Ma forse volevo solo che tornasse tutto come
prima. Avrei
sopportato anche il dolore per l’amore non corrisposto, pur di averlo
di nuovo
vicino a me. Pur di avere di nuovo l’amicizia di Alice, Rosalie, Emmett
e
Jasper. Pur di rivedere il sorriso amorevole di Carlisle e Esme. Pur di
poter
riabbracciare mio padre.
- Non dovevo pensarci. Scossi la
testa, per scacciare
quei pensieri tristi. Come invocata, suonò la campanella.
- Andai in bagno, prima di andare
alla penultima, tanto
attesa, ora.
- Il mio viso era pallido, le
occhiaie marcate e gli
occhi spiritati. Dovevo ringraziare Edward, per tutto questo.
- Grazie Edward!
- Mi sciacquai la faccia con l’acqua
fredda, e
rabbrividii. Il mio viso, nonostante l’avessi ravvivato un po’, era
sempre
segnato dalla tristezza e dal dolore.
- Avevo bisogno di sfogarmi, un
incontenibile bisogno di
sfogarmi.
- Lo odiavo.
- Odiavo quel verme del ragazzo che
amavo.
- Ero una continua contraddizione,
con i miei pensieri.
- Lo odiavo e lo amavo.
- Volevo che tornasse tutto come
prima, ma non volevo
amarlo di nuovo.
- Desideravo sfogarmi, ma non
potevo.
- Già.
- Raccolsi la tracolla, cercai di
fare un accenno di
sorriso, e uscii. Quasi correndo, raggiunsi l’aula di Letteratura.
Positività,
entusiasmo: ecco cosa mancava ora nella mia vita. Tutto quello che
riusciva a
trasmettermi con un sorriso o una battuta, la mia meravigliosa ex
famiglia
allargata.
- La classe era ancora mezza vuota,
perciò avevo libera
scelta di posto.
- Mi misi a sinistra, rispetto alla
cattedra della prof
Callaway, che in quel momento canticchiava tre sé.
- Era la prof che più stimavo e
rispettavo. La ritenevo
un mito, era una di quelle persone che ti accettano per quello che sei
e anzi,
ti faceva sentire migliore di quello che eri. Era esattamente il
contrario
della Phillips, che ti faceva sentire insignificante e al posto
sbagliato.
Queste due prof erano costantemente in conflitto, poiché avevano delle
idee
completamente differenti: una era buona, gentile, che cercava di
incoraggiarti
ed era contraria all’annientamento della stima di una persona; l’altra
ti
smerdava, faceva si che ti ritenessi una nullità, cattiva e
sadica.
- “allora, Isabella, pronta per il
dibattito sull’opera
più famosa di Shakespeare?” domandò, pimpante, avvicinandosi al mio
banco.
“prontissima, professoressa.” Dissi sicura, rivolgendole un sorriso
sincero.
Lei ricambiò, poi tornò alla cattedra.
- Per ultimo, come sempre
ovviamente, Edward arrivò in
classe.
- “buongiorno, ragazzi. Lei, signor
Cullen sempre in
orario, vedo.” Lui sorrise a mo’ di scusa.
- “bene, molti di voi già sapranno
cosa faremo oggi: un
dibattito su ‘Romeo e Giulietta’..” guardò la classe.
- “no, che pizza!” Bryan Mitchell
aveva detto la sua al
compagno di banco in un modo assolutamente non discreto, sicché
l’avevano sentito
tutti, e ovviamente anche la prof. “ Bryan, chi ha scritto ‘Romeo e
Giulietta’?” incalzò la prof.
- “ohmmm… Leonardo Di Caprio?” alzai
un sopracciglio,
scettica: ma si poteva essere più cretini di così?
- “no, ignorante, quello è un
attore!” esclamò Edward,
il tono era fintamente divertito, la sua espressione era a dir poco
indignata.
La classe però la prese sul ridere, anche Mitchell.
- “Edward.” Lo richiamò la prof
bonariamente, e lui
chiese scusa. “comunque, una persona più furba che sappia qualcosa,
potrebbe
rispondere? Edward!” chiamò.
- “ William Shakespeare.” Rispose
lui semplicemente.
- “sai dirmi qualcosa di più?”
chiese ancora la
Callaway.
- “è una storia d’amore, rapida, dal
finale tragico. I
due amanti, Giulietta e Romeo, appartengono a due casate nemiche di
Verona..”
la prof lo bloccò, e fece continuare me. “ I Montecchi e i Capuleti.
Lui di una
famiglia, lei dell’altra. Si conoscono ad un ballo organizzato dal
padre di
quest’ultima, in occasione del fidanzamento di Giulietta con Paride, un
nobile
che aveva chiesto la sua mano.”
- “ stringiamo un po’: quella sera
si incontrano, il
giorno dopo si sposano, il terzo muoiono.” La prof fece un attimo di
pausa. “
Lei non è morta, finge di esserlo, per poi tornare dal suo amato. Per
uno
strano scherzo del destino, lui crede che sia morta davvero, e si
toglie la
vita. Lei, al risveglio, trovandolo morto, si uccide a sua volta. Ora,
voglio i vostri pareri”. Disse, alzando lo sguardo sulla classe, in
silenzio
tombale. Edward parlò: “Romeo è solo un rammollito, non avrebbe dovuto
suicidarsi, soprattutto perché lei era viva.”
- “ non sono d’accordo.” Intervenni
io. “ Romeo era
sinceramente innamorato di Giulietta. Lei era diventata tutta la sua
vita, lui
non avrebbe potuto vivere senza di lei. Ha voluto seguire la donna che
amava
anche nella morte.”
- “ si, insieme fino alla fine,
guarda.” Disse lui, a
mo’ di presa in giro, il che mi diede fastidio. “ Non doveva
suicidarsi. Se
avesse aspettato solo un secondo di più, Giulietta si sarebbe svegliata
e
sarebbero scappati insieme. Ma poi era una cavolata la messa in scena
della
presunta morte di Giulietta. Bastava dire la verità: siamo sposati.”
Ormai non era più un dibattito della classe, ma solo mio e di Edward.
- “no, Edward, sai che non è così
semplice. Ma scusa, tu
chi sei per giudicare le scelte dello scrittore? Voleva che il loro
amore fosse
più potente della morte, ha voluto far riappacificare le due famiglie
nel modo
più semplice.”
- “nel modo più meschino, direi.
Bastava il matrimonio
dei figli. Isabella, cresci, non puoi sempre attaccarti alle fantasie.
Nessuno,
nemmeno il più innamorato, sarebbe così disinteressato nel dare la
propria vita
per la persona che ama. L’uomo è egoista di natura. Nemmeno tu
riusciresti a
farlo.” Scoppiai. Non aveva il diritto lui, di parlare d’amore. “ Ma
cosa ne
sai tu, che non hai mai amato nessuno?! Sei solo invidioso, il fatto è
che ti
rode non sapere cosa sia l’amore, Edward. Cresci tu, e smettila
di fare
il bambino.”
- Lui digrignò i denti: “tu parli
tanto, ma non sai
niente. Ti credi tanto profonda, credi di essere migliore di me. La
realtà non
è quella che ti sei costruita da sola, leggendo libri e guardando film.
La vita
è crudele e spietata, ma tu ancora non l’hai capito. La verità è che
non vuoi
capire”.
- Le parole erano sincere, convinte,
e trapassarono la
barriera, colpendo il mio cuore.
- Stavo per rispondere, quando la
mia attenzione fu
catturata dalla mia migliore amica di un tempo. Alice si accasciò sul
banco;
era pallida, troppo, quasi verdognola. Volevo correre da lei,
abbracciarla,
starle vicino. Ma non potevo farlo..
- Edward le fu subito vicino, e
mezza classe si mise
intorno a lei. “Ragazzi, lasciatela respirare. Chiamate l’infermiera.”
Esclamò
la Callaway.
- Edward le scostò la frangia dalla
fronte. Vedevo il
suo volto contorto dall’ansia e dalla paura. Era il vecchio Edward,
quello
iperprotettivo nei confronti della folletta troppo esuberante.
- Quell’immagine di Alice smorta, mi
tolse tutte le
forze. Non potevo vederla così.
- Di nascosto tirai fuori il
telefono.
- To Amber: Chiama Jasper, digli
che Alice è svenuta.
Ha bisogno di lui.
- E inviai. Pochi secondi dopo, un
Jasper tutto
trafelato entrò in classe, seguito da Rose e Emmett. “Amber mi ha detto
che
Alice è stata male, cos’è successo? Piccola, tesoro?! ”. La chiamò
Jasper,
preoccupato e teso.
- “ Jasper, portala in infermeria,
tu che sei il suo
ragazzo”. La prese in braccio, e uscì dall’aula. Al suono della
campanella,pochi
istanti dopo, tutti si dileguarono.
- Tutti a parte Edward.
- Mi osservava, con una strana
espressione in volto.
- “Amber non è una veggente.” Disse,
solamente. “Perché
lo hai fatto?”
- “chi ti dice che l’abbia avvisata
io?”mi scrutò
intensamente, sapeva ancora bene come leggermi. Però non capiva la cosa
più
semplice di tutte.
- “forse perché le voglio bene.”
*Angolino autrice*
Ecco qui il primo 'extra'
della storia, nel periodo in cui Edward e Bella
amavano scannarsi a vicenda ^^"
Si vede qui che Bella non
ha smesso di amare Edward, e che non ha dimenticato
comunque la sua famiglia. Diciamo che la mente di questa giovane è un
po'
contorta: ti odio e ti amo, ti picchio e non ti voglio far del male..
xD
Beh, che ci volete fare:
era depressa!
In questo extra, Edward
si è lasciato andare, si vedeva un po' che la sua era
una maschera. Ma loro, no! Prima che lo capiscano, campiamo cent'anni!
^^"
xD
Devo dire che mi sono
divertita - ma anche indepressita - a scrivere questo
capitolo.
Adoro farli litigare.
Chiamatemi sadica, ma amo quando i protagonisti
arriverebbero volentieri alle mani.^^ xD Sono peggio della Phillips! Oh
my
Volvo! 0.0
Nei punti tristi di
Bella, invece, ho sfogato tutta la mia tristezza per la
fine della scuola. Chiamatemi pazza, ma è così: ormai, ho finito la
terza
media, e mi mancherà moltissimo la mia classe, massiccia fino all'osso.
Non
voglio perdere i miei amici, e un po' mi sono messa nei panni di Bella,
che ha
perso tutti quelli a cui voleva bene, anche se nella storia decide lei.
Ma
ricordiamo Renèe, quella cattivona. U.U xD
E poi, non so cosa mi è
capitato, ma ho fatto stare male il mio idolo, povera
Aliciuccia *-*. MA NON SI PUO'! Sono partita ormai. E sadica, perfida
come
poche. 0.0
Ma.. Don't worry, be
happy! Alice si è ripresa subito dopo, era un semplice
calo di pressione, ma sentiva l'ansia di Cip e Ciop che discutevano
e... BOOM,
Alice è crollata fisicamente ed emotivamente. Puaretta.
* Mononeurone: cito la mia ormai ex prof di
mate, sigh ç_ç, fanatica di
Hallo Kitty, caffè dipendente, che beve per dimenticare. Cavolo, era un
mito.
Beh, ecco, il mononeurone è diviso in 13 individui del genere maschile
della
mia classe. U.U
Ho divagato troppo. Mi
dispiace, avete subito già troppo scleri mentali della
sottoscritta.
GRAZIE A CHI SEGUE
ANCORA, CHI HA RECENSITO LO SCORSO CAPITOLO, E CHI ANCORA
TIENE QUESTO OBBROBRIO TRA I PREFERITI. GRAZIE INFINITE!
Ciau, Giorgia.^^