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Autore: vannagio    26/06/2010    7 recensioni
Quel corso era la cosa più stupida che avesse mai fatto in vita sua, secondo solo all’essersi dipinta i capelli di verde per partecipare a una manifestazione contro la deforestazione dell’Amazzonia.
Il marito e la suocera l’avevano convinta - forse sarebbe più corretto dire
costretta - a iscriversi al corso preparto, ma Rebecca era sempre stata scettica a riguardo: stare semidistesa su un tappetino di spugna, per far entrare e uscire aria dai polmoni a intervalli regolari, non era il modo migliore per trascorrere il pomeriggio, secondo lei.
[Storia sospesa]
[Seconda classificata al "Storie Incompiute contest", indetto da (Solly) e giudicato da Kukiness]
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quileute, Rebecca Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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Papà, ti presento tuo nipote!


2. Il babysitter scodinzolante





«Come hai potuto fare una cosa del genere?».
Rebecca sbuffò e roteò gli occhi, esternando platealmente tutta la sua esasperazione.
«Sono tua sorella!».
Rebecca era famosa per avere un colabrodo al posto della memoria, ma quel particolare lo ricordava benissimo. Purtroppo.
«Sorella gemella!».
Non aveva dimenticato neanche quel dettaglio, ma apprezzava il fatto che Rachel lo stesse ripetendo più volte: adesso Rebecca era sicura che non l’avrebbe mai più scordato.
“Grazie, Rachel”, pensò sarcastica.
«Mi è quasi venuto un infarto».
Rebecca rivolse uno sguardo scocciato al perver… - ops! - al ragazzo di sua sorella, che spaparanzato sul divano con le gambe divaricate si ingozzava di patatine e teneva gli occhi fissi sullo schermo del televisore. Possibile che non provasse nemmeno un filo di imbarazzo per quello che era successo?
«Non sei cambiata per niente».
Rebecca si costrinse a riportare lo sguardo sulla sorella, senza smettere di domandarsi che cosa ci avesse visto Rachel in un tale troglodita.
«Mi stai ascoltando, sì o no?», chiese infine Rachel. Portò le mani ai fianchi, inarcò il sopraciglio e la squadrò con espressione stizzita.
Rebecca sorrise istintivamente. Nonostante sembrassero fatte con lo stampino, era Rachel quella che, delle due, assomigliava più alla madre. Non si trattava di una somiglianza fisica ma di gesti, espressioni, modo di parlare… tutto un insieme di cose che evocavano il volto di Sarah Black in una maniera impressionante. Non era difficile capire, quindi, perché Rachel fosse di gran lunga la preferita del padre.
«Rebecca!», esclamò Rachel al limite della sopportazione.
«Ehm… sì, sì! Ti ascolto», rispose frettolosamente, anche se in realtà si era persa gli ultimi cinque minuti di ramanzina.
Rachel sospirò, scosse la testa con fare rassegnato e si lasciò cadere sulla poltrona accanto alla sorella. Rebecca aveva cercato di spiegare a Rachel che l’increscioso incidente accaduto poco prima non fosse colpa sua. Lei stava dormendo e non poteva farci nulla se il perver… - ops, un'altra volta! - se Paul le era saltato addosso, troppo arrapato per accorgersi che stava irretendo la gemella sbagliata.
«Insomma, sto per diventare zia e non mi hai detto niente?».
Rebecca si voltò di scatto verso la sorella, fissandola con occhi sbarrati.
«Come?».
«Perché sei così sorpresa? Dovevi immaginare che mi sarei infuriata, scoprendo che mi avevi nascosto una cosa tanto importante», continuò Rachel. Il suo volto si era addolcito improvvisamente. Posò una mano sul pancione di Rebecca e cominciò ad accarezzarlo affettuosamente. «E poi sei piombata qui, all’improvviso, senza degnarti di avvisare».
Rebecca era rimasta spiazzata da quella rivelazione.
«Pensavo che…», la frase le morì in gola, quando Rachel prese a guardarla con espressione perplessa. Rebecca lanciò un’occhiata in tralice a Paul, che non sembrava interessato alla loro conversazione, e poi tornò a scrutare il volto della gemella con sguardo interrogativo. «Non sei arrabbiata per…».
«Cosa? No, no!». Rachel si lasciò scappare una risata allegra. «Non è colpa di nessuno: tu stavi dormendo nella mia stanza e, insomma, abbiamo la stessa faccia. Paul ha tratto le conclusioni sbagliate. Tutto qui. Certo, da parte sua non mi sarei mai aspettata uno sbaglio del genere, soprattutto considerando alcune sue capacità».
“Capacità?”.
Ma Rachel non sembrava incline a spiegarsi meglio. Scrollò le spalle e le rivolse un sorriso mite.
«Errare è umano. Paul non mi tradirebbe mai».
Così dicendo, Rachel si alzò, raggiunse Paul e gli scoccò un bacio sulla fronte.
Il ragazzo rimase impassibile di fronte a quella pubblica dimostrazione d’affetto, ma quando la ragazza gli diede le spalle per tornare a sedersi sulla poltrona, con un gesto fulmineo l’afferrò per la vita e la fece cadere tra le sue braccia.
«Dove pensi di andare, dolcezza?».
La baciò sul collo, senza alcun pudore, mentre il soggiorno si riempiva delle risate ilari di Rachel.
Rebecca fissava la coppia come se stesse assistendo al rituale di accoppiamento di due marziani. Quella non era sua sorella. La dolce e pudica Rachel. La ragazza dedita esclusivamente allo studio che conosceva lei non si sarebbe mai comportata in quel modo in casa del padre. Quelle erano cose che faceva Rebecca, non Rachel!
Ripresasi dallo shock iniziale, Rebecca si schiarì la voce per ricordare ai due piccioncini che lei si trovava ancora nella stanza. Senza nascondere un certo fastidio per l’essere stato interrotto, Paul lasciò andare Rachel.
«Sta’ tranquilla, non sono arrabbiata con te, come potrei? Sei la mia pazza sorellina e ti voglio un mondo di bene». Rachel si lanciò su Rebecca e la abbracciò di slancio con tutta la forza che aveva in corpo. «Sono felice che tu sia tornata, finalmente».
Rebecca ricambiò l’abbraccio con entusiasmo. E una parte dei suoi timori vennero dissipati dall’affetto incondizionato della sorella.
«Anche se…». Un sorriso sornione comparve sul volto di Rachel, quando si slacciò dall’abbraccio di Rebecca. «A essere onesta, trovo inquietante la facilità con cui finisci sulle labbra dei ragazzi altrui. Pensavo che con il matrimonio avessi messo la testa a posto».
«Che cosa intendi?».
Rebecca fece la finta tonta e incrociò le braccia al petto in atteggiamento difensivo.
«Ti concedo tre parole», rispose Rachel, mettendole davanti al naso tre dita. «Abete, bacio, Sam!».
Rebecca sbuffò per la seconda volta nel giro di pochi minuti. Erano passati sette anni e ancora veniva perseguitata per quel misero bacio. Certo, tanto misero non era stato. Sam Uley se la cavava abbastanza bene come baciatore e il fatto che fosse anche un bel ragazzo non guastava. Tuttavia Rebecca trovava ridicolo quell’accanimento.
Okay, era vero. Leah Clearwater - a quei tempi una delle sue migliori amiche - aveva sempre avuto una cotta pazzesca per Sam e probabilmente Rebecca avrebbe dovuto tenere in considerazione quel piccolo particolare. Ma era stato Sam a baciarla per primo!
Certo, lei lo aveva desiderato con tutta se stessa - non poteva negarlo - ma la cosa si era fermata lì: un bacio e una storia estiva della durata di un mese. La prima cotta, il primo amore. Quello che non si scorda mai e che fa sorridere come dei cretini ogni volta che ci si ripensa.

Accadde tutto durante l’estate insolitamente calda del duemila.
A La Push non faceva mai veramente caldo - nemmeno ad agosto -, ma quell’anno sembrava che l’inferno fosse emerso dal centro della terra e si fosse trasferito definitivamente alla riserva.
Per sfuggire alla calura di mezzogiorno, Rebecca aveva preso l’abitudine di rifugiarsi sotto la chioma del grande abete, che sovrastava lo spiazzo di fronte alla casa dei Black. Quel giorno, seduta ai piedi dell’albero con la schiena appoggiata al tronco, teneva gli occhi chiusi e in silenzio, persa nelle sue fantasie di quattordicenne, ascoltava il canto degli uccellini e il cicaleggio ipnotico delle cicale impazzite.
«Ciao».
Rebecca sorrise automaticamente, senza aprire gli occhi. Non aveva bisogno di
vedere per riconoscere il proprietario di quella voce.
Sam Uley.
Le loro madri si frequentavano spesso e così era nata una strana amicizia tra i due ragazzini. E nelle ultime settimane quel legame si era intensificato parecchio.
Rebecca avvertì uno spostamento d’aria accanto a lei.
Sam si era seduto al suo fianco.
Il braccio del ragazzo sfiorò appena quello di Rebecca, e lei, già in fibrillazione per la sua vicinanza, dovette mordersi il labbro inferiore per impedirsi di sussultare a causa di quel contatto inaspettato.
Rebecca era talmente sudata che la camicetta di cotone le si era appiccicata addosso come una seconda pelle e non era una sensazione piacevole.
Faceva troppo, troppo caldo.
«Dormi?», chiese Sam.
Il fiato caldo di lui le solleticava il viso -
era troppo, troppo vicino - e il suo cuore perse un battito nel giungere a tale consapevolezza.
«No», rispose Rebecca con un filo di voce. Deglutì a vuoto.
La sua gola era troppo, troppo secca.
Le goccioline di sudore scorrevano lungo le tempie e scendevano giù, giù fino a raggiungere il mento. Il dito di Sam si posò sulla guancia di Rebecca e ne raccolse una.
La ragazzina avvertiva sulla sua pelle il calore emanato dal corpo dell’amico -
decisamente troppo, troppo vicino - ma non aveva il coraggio di aprire gli occhi: temeva che anche il più piccolo dei movimenti avrebbe rotto l’incantesimo e infranto i suoi sogni.
All’improvviso, le labbra di Sam - così calde, morbide, bagnate - si posarono su quelle di Rebecca. E il suo cuore parve esplodere per l’emozione.
Sam, impacciato e tremendamente inesperto, sfiorava timidamente gli angoli della sua bocca, chiedendo il permesso per osare di più. E lei, ancora più imbranata di lui, cercava di trarre insegnamento da tutti quei film romantici e strappalacrime che sua sorella Rachel l’aveva costretta a guardare.
Finalmente dischiuse le labbra, affacciandosi così a un mondo fatto di sensazioni nuove e sconosciute, dal sapore esotico e proibito.
Il sapore di Sam.

La loro piccola storia d’amore era durata un mese. Si era estinta insieme al caldo torrido di quella strana e indimenticabile estate. Sam si era fidanzato con Leah Clearwater mezz’anno più tardi, Rebecca aveva incontrato Sol, l’uomo della sua vita…
E vissero tutti felici e contenti.
Più o meno.
Rebecca decise che era meglio cambiare argomento.
«Dove sono Jake e… papà?», chiese, mostrando titubanza sull’ultima parola.
Rachel sembrò non fare caso al repentino cambio di argomento.
«Papà è andato a pescare con Charlie Swan. Ti ricordi di lui? L’Ispettore Capo Swan?».
«Sì, sì, certo», la interruppe Rebecca, annoiata. «Ha una figlia dal nome italiano, noiosa come un ghiro in letargo e fredda come un ghiacciolo».
«E non hai idea di quanto lo sia adesso. Fredda, intendo», si intromise Paul, sghignazzando come un cretino e guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Rachel.
«Bella non è fredda», si affrettò a replicare Rachel. «È una ragazza molto timida, poco espansiva forse, ma tutto sommato simpatica».
Paul non voleva smettere di ridacchiare e Rebecca iniziava a temere per le facoltà mentali del perver - ehm - ragazzo.
Tuttavia lo ignorò e si rivolse ancora una volta alla sorella.
«E Jake?».
Non vedeva l’ora di riabbracciare il suo piccolo, dolce, tenero, impacciato fratellino.
Purtroppo per lei, fu di nuovo Paul a rispondere.
«È molto preso dal suo nuovo lavoro».
«Lavoro? Che tipo di lavoro?», chiese Rebecca, aggrottando la fronte.
Dare corda al deficiente era l’ultimo dei suoi desideri, ma la curiosità era più forte del suo orgoglio. Possibile che Jake avesse iniziato a lavorare presso un’officina, proprio come aveva sempre desiderato?
«Il babysitter scodinzolante», rispose lui e scoppiò in un’altra, fragorosa risata. Assomigliata tantissimo a un latrato, pensò Rebecca. Ma dove diavolo l’aveva trovato? In un manicomio?
«E guadagna bene?», chiese poi. Non riusciva a trattenersi.
«Sicuramente gli è andata meglio che a Quil. Quel poveretto dovrà aspettare ancora molto tempo prima di… riscuotere. Ma sono io quello davvero fortunato». Rivolse un’occhiata lasciva a Rachel, che avvampò come una scolaretta in calore.
Stavano ancora parlando di bambini?
Rebecca aveva dei seri dubbi in merito. Inoltre stava veramente perdendo la pazienza. Aveva la netta sensazione che tra quei due ci fosse una sorta di linguaggio in codice che lei non riusciva a decifrare.
«Vado a farmi una doccia», annunciò offesa.
Lasciò la stanza senza degnare di uno sguardo il demente, che presto, sfortunatamente, sarebbe diventato suo cognato.



Dopo una rigenerante doccia calda, Rebecca si diresse in cucina. Fu subito costretta, però, a deviare il percorso verso il giardino, poiché una certa sorella gemella di nome Rachel e un individuo ancora-in-attesa-di-una-qualche-classificazione, rispondente al nome Paul, avevano avuto la bella pensata di darsi alla pazza gioia sul ripiano da lavoro della cucina.
«Rebecca potrebbe tornare da un momento all’altro».
Rachel ansimava in maniera indecente, mentre si aggrappava alle spalle di lui.
«In questo momento non mi importa un granché di tua sorella», aveva risposto Paul, impegnato in chissà quali attività.
Quasi correndo, Rebecca raggiunse la porta sul retro, la spalancò con violenza e si ritrovò nel giardino di casa Black. Si sedette sulla vecchia panca che risaliva ai tempi di suo nonno e fece finta di non sentire i sospiri che provenivano dall’interno della casa.
Rebecca era semplicemente allibita e ciò, già di per sé, non era una cosa molto rassicurante.
Non era una ragazza che si faceva sconvolgere tanto facilmente e il ripiano da lavoro della cucina non era il posto più strano in cui avesse fatto l’amore. Tuttavia la nuova versione di sua sorella l’aveva decisivamente spiazzava.
Che diavolo stava succedendo?
Quando era scesa dal taxi, Rebecca aveva avuto la sensazione che tutto fosse rimasto uguale a come lo aveva lasciato. Adesso, invece, cominciava a pensare che il detto ‘l’apparenza inganna’ facesse proprio al caso suo.
Chiuse gli occhi e cercò di calmarsi.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
L’inutilità del corso preparto diventava sempre più evidente.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
Come avrebbe reagito suo padre, se avesse scoperto che la sua bambina prediletta - dalla fedina penale immacolata - trascorreva il suo tempo con un aitante ragazzone super pompato in un modo tutt’altro che casto?
Probabilmente sarebbe esploso.
Rebecca ridacchiò tra sé e sé. Stava ripensando alla volta in cui Billy Black l’aveva colta in flagranza di reato con Sol nel capanno degli attrezzi. Sul momento, a dire il vero, non si era divertita un granché. A distanza di tre anni, però, Rebecca doveva ammettere che si trattava di un aneddoto davvero esilarante da raccontare.
Anche se non condivideva i suoi gusti in fatto di uomini, Rebecca era felice per Rachel. In fondo… chi era lei per giudicare? Lei che aveva fatto il diavolo a quattro pur di sposare Sol? Per la prima volta Rachel si stava godendo la vita.
«Nice guys finish last. E ti assicuro che vale anche per le ragazze. Molla i libri e trovati un pollo: troppo studio fa male». Rebecca glielo aveva ripetuto spesso.
Finalmente Rachel aveva cominciato a darle retta.



«Chi sei?», chiese qualcuno.
Rebecca si era addormentata sulla panca senza rendersene conto: un altro effetto collaterale della gravidanza che non sopportava. Aprì gli occhi, sbattendo stupidamente le palpebre, e per la seconda volta nello stesso giorno pensò di stare sognando.
In piedi di fronte a lei, una bellissima bambina la stava fissando con espressione curiosa e sinceramente interessata.
«Rebecca. E tu?», rispose la ragazza.
Da dove era saltata fuori quella bambina? Si guardò intorno ma non c’era nessun altro nei paraggi. Forse era la nipote o la figlia di qualche vecchio conoscente. La esaminò attentamente, nel tentativo di riconoscere qualche tratto somatico familiare. Il viso tondo e paffuto era incorniciato da piccoli boccoli castano-rossicci che le ricadevano oltre le spalle. La pelle era così bianca da sembrare trasparente, ma le guance erano colorate da una spruzzata di rosa. Gli occhi castani, troppo intelligenti per una bambina di sei anni, trapassavano Rebecca da parte a parte, come per capire quali fossero le sue intenzioni.
«Ti sei persa?», domandò ancora Rebecca con un sorriso gentile. «Sei da sola? Come sei arrivata qua?».
La bimba scosse la testa.
Prima che potesse aggiungere qualcos’altro, un richiamo ansioso attirò la loro attenzione.
«Nessie, Nessie!». Le grida provenivano dal bosco. Si trattava di un ragazzo, forse un uomo. «Quante volte devo dirti di non scomparire in questo modo?». Insieme alla voce profonda, che per Rebecca aveva un non so che di familiare, dalla vegetazione emerse una figura imponente e massiccia. «E se non ti avessi ritrovata? Hai idea di che cosa mi avrebbero fatto tua madre e quella psico-bionda che ti ostini a chiamare zia? Per non parlare di tuo…». Il ragazzone, che inizialmente si era chinato per prendere in braccio la bambina, si era bloccato a metà del movimento. Lo sguardo puntato su Rebecca.
No, non poteva essere lui.
La bimba stava osservando la scena incuriosita.
«Rebby?».
«Jake? Sei tu?».
No. Rebecca scuoteva la testa, incredula e frastornata. Quel coso enorme, alto quasi due metri, con i capelli corti e spettinati, non poteva essere davvero suo fratello. Il suo piccolo, dolce, tenero, impacciato fratellino!
«Jake!», urlò di gioia Rebecca.
Raggiante, gli corse incontro e si buttò tra le sue braccia. Il ragazzo la sollevò da terra e ruotò su se stesso, ridendo allegramente.
«Non ci posso credere! Che cosa ti è successo?», chiese Rebecca, alludendo a quell’incredibile cambiamento fisico. Jake non dimostrava per niente i suoi diciassette anni: sembrava più grande. Molto più grande!
«Sono cresciuto», rispose lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Gettò la testa indietro e scoppiò a ridere come un matto. «Tu, piuttosto», aggiunse tra una risata e l’altra. «Ti mancavo talmente da annegare il dispiacere nel cibo?», domandò, indicando la pancia di Rebecca.
«Sono incinta, idiota!», lo rimproverò lei scherzosamente.
Jacob impallidì.
«Vuoi dire che… che…», balbettò impacciato.
Fisicamente poteva passare per un uomo adulto, ma Jake rimaneva lo stesso ragazzino imbranato di sempre. Quel pensiero la rincuorò un po’: forse, in fondo, non proprio tutto era cambiato. Un sorriso materno attraversò il viso di Rebecca.
«Sì, stai per diventare zio. Tanti auguri, Jake», disse, ridendo dell’espressione scioccata del fratello.
Mentre Jake fissava la pancia di Rebecca con la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite, la bimba di nome Nessie gli andò vicino. Strattonò un lembo dei suoi bermuda consumati e costrinse il ragazzo ad abbassare lo sguardo nella sua direzione. Indicò il pancione di Rebecca e dopo aver posato una manina paffuta sul polpaccio di Jake, rimase in attesa di chissà che cosa.
«Sì, mostriciattolo. Lì dentro c’è un bambino. Lei è mia sorella Rebecca. Ti ho parlato di lei qualche volta, ricordi?››, spiegò Jake, rivolgendole un sorriso dolcissimo. Sotto lo sguardo da cerbiatto della bimba, Jake si sciolse letteralmente, neanche fosse fatto di burro. Rebecca assisteva a quella strana conversazione - sempre che conversazione fosse il termine corretto, visto che la bambina non aveva aperto bocca - senza nascondere stupore e meraviglia: quei due riuscivano a capirsi senza bisogno di usare le parole.
«Ma allora è vero!», esclamò infine Rebecca, incapace di trattenersi.
«Cosa?», chiese Jake, allarmato.
«Che fai il babysitter».
Un latrato li raggiunse dall’interno della casa, interrompendo lo scambio di battute.
«Giuro che prima o poi lo ammazzo», ringhiò Jake, fissando con espressione torva l’entrata dell’abitazione.
La risata aumentò di volume. Paul aveva sentito tutto.
Proprio il quel momento, però, sopraggiunse un altro ragazzo, che era sbucato dal bosco proprio come Jacob.
«Per fortuna l’hai trovata!».
Il nuovo arrivato sembrava sinceramente sollevato di vedere Nessie accanto a Jake.
«Tutto a posto, Seth».
Seth? Seth Clearwater? Il fratello minore di Leah? Che cosa mangiavano per colazione i ragazzi della riserva? Latte e steroidi? Se i calcoli di Rebecca erano esatti, Seth aveva circa quindici anni. Ne dimostrava venti, invece, come minimo.
«Ho preso due piccioni con una fava. Ti ricordi di mia sorella Rebecca?», chiese Jacob, mettendo un braccio intorno alle spalle della sorella.
Fu solo in quel momento che Seth si accorse della ragazza.
Nel momento esatto in cui suoi occhi incontrarono quelli di Rebecca, sul piccolo giardino di casa Black cadde un silenzio inquietante e carico di tensione, che venne interrotto soltanto dalla…
«Merda!».
…elegante esclamazione di Jacob.





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Nota di fine capitolo.
*Nice guys finish last: titolo di una canzone dei Green Day, facente parte dell’album Nimrod.





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Note autore:
Allora?
Piaciuto il secondo capitolo?
Spero di sì.
Ho pubblicato il capitolo, prima di quando avevo annunciato, ma le mani mi prudevano per la voglia di scrivere... non so quando posterò il prossimo capitolo: rimaniamo di nuovo tra due settimane, prima sì, dopo no! :)
Non ci sono molte precisazioni da fare su questo capitolo, quindi lascio a voi la parola.
Dimenticavo…
Contrariamente a quanto avevo annunciato nel precedente aggiornamento, questa storia potrebbe contare qualche capitolo in più rispetto ai tre preannunciati. Non so ancora quanti, ma sicuramente il prossimo aggiornamento non sarà l’ultimo.
Prima dei ringraziamenti, inoltre, voglio consigliarvi una one-shot davvero carina: Everything is changed for you di Dackota. Anche questa ff vede protagonista Rebecca Black.
Poiché Dackota ed io abbiamo pubblicato le nostre storie su questo personaggio quasi in contemporanea, mi sembra giusto farle un po’ di pubblicità.
Perciò, andate a dare uno sguardo, ok?

Ringraziamenti.
Per noe_princi89: grazie! Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento. Fammi sapere. A presto, vannagio.
Per edwardina4e: grazie per i complimenti. Cosa ne pensi di questo capitolo? A presto, vannagio.
Per Dackota: ciao carissima! Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto e che apprezzi il carattere della “mia” Rebecca. Nei libri, vengono spese poche parole su di lei, ma stranamente mi sono bastate per delineare facilmente la sua personalità. Ho subito pensato a lei come a una ragazza che ha avuto un rapporto conflittuale con i genitori e che non ha risparmiato grattacapi al padre. Per questo motivo il rapporto con Billy non sarà dei più armoniosi (infatti nella mia storia Rebecca non tornava a La Push da tre anni, cioè da quando era “scappata” con il surfista samoano). Per quanto riguarda la scena con Paul, anch’io mi sono divertita un sacco a scriverla XD. Davvero stai scrivendo un’Originale? Non appena la pubblichi, fammi sapere, ok? Sono molto curiosa di leggerla! Grazie per i complimenti. Bacioni, vannagio.

Ringrazio anche coloro i quali leggono, preferiscono e seguono questa ff.
Mi piacerebbe molto conoscere il vostro parere.
Qualsiasi tipo di giudizio, nel limite della buona educazione, è ben accetto.

A presto, vannagio.
   
 
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