Azioni avventate
L’autobus traballava ad ogni metro, l’odore di
sudore aleggiava tra le sue file e io rimanevo pietrificata
lì dove poco prima avevo parlato con Thoas.
“ Non sei pazza” con quelle semplici parole aveva
risposto al mio grande dubbio: ciò a cui avevo assistito la
notte scorsa non era soltanto un sogno, era molto di più,
quasi reale.
Quindi ero davvero stata in pericolo come mi aveva detto Thoas nel mio
sogno?
Se era vero, cosa avevo fatto per finire in mezzo a queste situazione
alquanto assurda?
Tutte queste domande potevano trovare risposta solo da una persona, e
quella persona mi aveva lasciata come un’idiota
sull’autobus.
In quel momento sentii molta collera dentro di me e senza esitazione mi
diressi verso il tramviere.
- Scusi, per favore, potrebbe accostare e aprire le porte? Ho sbagliato
fermata.-
Grugnando qualcosa, l’uomo si fermò vicino a un
marciapiede e mi lasciò scendere, poi con tutta
l’energia in corpo cominciai a correre nella direzione di
casa mia. Qualche istante dopo, riuscii a scorgere la fermata del tram
dove poco prima c’era stato Thoas, ora invece senza nessuno.
Quando raggiunsi la casa di Thoas mi sentì quasi svenire per
lo sforzo della corsa. Respirai a pieni polmoni e appoggiandomi al
cancello scoprii che era aperto.
Potevo veramente varcare i confini determinati dalla
proprietà privata? Ero disposta ad arrivare a tanto? Avevo
già perso il tram per la scuola, era impossibile ormai
rimediare. Ciò non significava che dovessi spingermi ancora
più in basso. Chiamare mia madre e dirle ciò che
avevo fatto, questa era la cosa giusta da fare. Eppure varcai il limite
e attraversai rapida il giardino fino a giungere davanti alla porta di
casa, anch’essa spalancata che cigolava mossa leggermente dal
vento.
Mi sporsi per osservarne l’interno e bussai. Un ultimo senso
di educazione per dimostrarmi che non ero del tutto
condannata alla prigione.
Dominava un’oscurità impressionante, ma di cosa
potevo stupirmi dato che le finestre erano tutte chiuse?
- C’è nessuno? Thoas?- dissi avanzando di qualche
passo fino a trovarmi in quello che immaginavo il salotto.
-Thoas, Thoas mi senti?-
- Credo che si stia nascondendo da lei Madam.- disse una voce a eco.
Poco dopo vidi una fievole luce contro il muro che prendeva sempre
più rilievo: un signore anziano vestito di cappotto, scarpe
e cilindro neri era appoggiato al muro e si sosteneva con un bastone di
meravigliosa fattura. Era circondato da un bagliore che nonostante
fosse fievole mi trasmetteva un grande senso di calore.
- Salve, ma voi chi siete?- il signore elegante si staccò
dalla parete e mi porse un inchino togliendosi il cappello.
- Perdonate per la maleducazione Madam, il mio nome è
Benifastu Torconto Nubifragio. Ma voi potete chiamarmi Ben- disse
sorridendomi.
Non ci capivo più niente, chi era questo sconosciuto in casa
di Thoas? Non osai domandarglielo, poiché ero anche io
un’intrusa. Tanto valeva cercare di capirci qualcosa.
- Salve Ben. Scusami, perchè Thoas si sta nascondendo?- un
altro sorriso illuminò il viso raggrinzito
- Perché crede di poterti proteggere maggiormente se tiene
le distanze.-
- E… Da cosa dovrebbe proteggermi? La prego Ben mi spieghi
cosa sta succedendo!-
- Non posso. Un discorso così interessante merita che gli
sia dedicato un certo lasso di tempo e io non posso trattenermi troppo
a lungo. Ma Thoas può spiegarti…- disse
affievolendosi sempre di più e infine sparendo.
Rimasi così immobile a fissare il punto del muro appoggiato
al quale, fino a qualche attimo prima, c’era stato un uomo.
Stavo forse diventando pazza?
Ero entrata senza permesso in una proprietà privata, avevo
saltato il primo giorno di scuola e ora avevo delle visioni.
Sentii poi un rumore provenire dal piano di sopra; senza pensarci due
volte salii le scale ritrovandomi in un corridoio con una porta a
sinistra – la più vicina –, una porta
centrale e un’altra nella parete opposta al cui fianco vi era
una quarta porta.
Notai che quella centrale era accostata, poiché emise un
leggero cigolio. Bussai, e lentamente la aprii.
La stanza era dominata dal disordine: circa un terzo dello spazio era
occupato da un letto a castello. Dei due letti il più
normale era quello sopra, al contrario quello sottostante era disfatto
con paia di jeans e magliette amalgamate in una piccola montagnetta.
Contro la parete adiacente era posizionato uno scaffale con quattro
cassetti e sopra di esso un televisore con registratore, vecchio per la
mia generazione.
L’aria puzzava di chiuso per colpa, probabilmente, delle
finestre eternamente serrate. Mi avvicinai ad una di esse aprendo la
vetrata e, con un cigolio, infine anche gli scuri.
La luce, pensavo, avrebbe reso la stanza più confortevole;
al contrario sembrava ancor più disordinata in quanto il
buio impediva la visione di tre grosse ragnatele agli angoli e dei
libri accatastati uno sopra l’altro, posati senza riguardo su
una scrivania verde chiaro. All’improvviso le ante del primo
degli armadi affiancati alla porta si aprirono e Thoas
precipitò fuori. In pochi istanti si rimise in piedi,
scuotendosi un po’ ovunque il cappotto impolverato. Lo
guardai sbalordita.
- Ciao Rebecca, come mai qui?- stavo per rispondergli per le rime a
quella domanda insensata ma prima di ciò Thoas mi interruppe.
- Immagino che tu abbia altre cose da fare molto più
interessanti che guardare il mio disordine quindi...- disse facendo un
passo verso l’uscita. Gli impedii la fuga scattando verso la
porta e chiudendola.
- No, al contrario sono curiosa. Perché ti stavi
nascondendo? Cercavi di evitarmi dopo quello che mi hai detto neanche
un quarto d’ora fa?- dissi in tono duro.
Il ragazzo abbassò il capo come segno di ammissione:
- In effetti, forse, avrei dovuto…- tutto in un colpo, come
svegliatosi, rialzò la testa e alzò un
sopracciglio.
- Aspetta un momento, questa è casa mia e sei tu
l’intrusa. Io non devo proprio dire niente!-
- Spiegami la connessione tra te e il mio sogno, ho il diritto di
sapere.-
- Forse c’è troppa polvere in questa camera, inizi
a farneticare. Cosa c’entro io con il tuo sogno?-
- E’ quello che ti chiedo di spiegarmi!-
- Un sogno non è reale, io sono reale. Ciò
dovrebbe bastarti. Probabilmente la nuova abitazione e tutto il resto
ti avranno un po’ stressata.-
Volevo saltargli al collo e strozzarlo: in breve mi stava dando della
pazza isterica.
- Adesso comunque non ho tempo devo… riordinare la stanza.-
si arrampicava sugli specchi.
- Cos’è che non vuoi dirmi? Prima, alla domanda
che ti ho fatto alla fermata, tu mi hai risposto che non sono pazza.
Quindi un collegamento hai ammesso che esiste.- Thoas si
strofinò agitatamente i capelli.
- Quale sarebbe la parte tanto complicata della faccenda? Tu eri
nervosa e io ti ho risposto in modo da tranquillizzarti, niente di
più!-
- Non sembrava solo questo. Tu credevi seriamente a ciò che
dicevi. Come puoi dirmi questo adesso?-
- Devi andare a casa, tranquillizzarti e io devo assolutamente prendere
le distanze da te per qualche giorno.-
- Ma se mi hai incontrata per la prima volta ieri!-
Si muoveva agitato per la stanza senza una meta precisa.
- Poco fa ho incontrato un signore strano giù in
sala, diceva di chiamarsi Benifragiu… O qualcosa del genere.
Mi ha detto che avresti risposto alle mie domande.-
Thoas si era fermato non appena aveva udito quella formula bislacca del
possibile nome. Passarono alcuni istanti interminabili,
dopodiché scattò.
- Immaginiamo, per ipotesi, che io ritenga possibile ammettere reale
una minima parte dell’affermazione che ho fatto
prima… Saresti in grado, sempre per ipotesi, di mantenere un
segreto?-
Lo guardavo perplessa.
Perché doveva per forza complicare le cose, solo per dirmi
di non fare parola con nessuno di ciò che mi avrebbe
svelato? Ma non commentai per evitare di metterlo ancora più
in dubbio.
- Non dirò nulla a nessuno.- prima che potessi terminare la
frase Thoas aprì la porta e, afferrandomi per un braccio, mi
trascinò via con sé. Ripercorsi con lui le scale
fino a ritornare nel soggiorno.
- La prossima volta prima di partire in quarta fai un fischio, ok?- gli
dissi sarcastica.
- Ascolta Rebecca, ciò che ti dirò mi
farà apparire pazzo, ma tu dovrai crederci.-
- Come faccio a sapere che mi dirai la verità?-
- Perché non ne ho altre da raccontare.- disse trattenendo
una risata.
Non potendo fare altro feci cenno di sì e lo lasciai
proseguire.
- E’ da parecchio tempo che mi preparo questo discorso, sai
non ne ho fatto mai parola con nessun estraneo prima d’ora.-
agitato contorse le mani -Dunque, quando avevo sette anni caddi in una
buca fangosa giocando con un mio amico. Mentre lui andava a chiamare
suo padre per tirarmi fuori, uno strano, basso uomo iniziò a
parlarmi. Disse che era uno gnomo e che si chiamava Dolan, conosceva il
mio nome. In quel nostro breve incontro mi avvertì che avrei
dovuto vedere delle luci. Insomma, ero solo un bambino, non ci capivo
assolutamente niente. Eppure, quando fui tirato fuori dalla fossa non
riuscii a badare a niente intorno a me tranne che ad una signora su una
panchina che tranquillamente si leggeva un libro. Sul suo petto
splendeva una luce.- fece una pausa, probabilmente per darmi il tempo
di assimilare un simile racconto.
-Iniziai da allora a vederne sempre di più e il mio istinto
mi portava da loro, mi diceva di conoscerle meglio, e se non riuscivo
da solo nell’intento erano loro a venire da me.-
- E questo cosa c’entra con me? Cosa c’entrano
delle luci con il mio sogno?- dissi quell’ultima frase con
poca convinzione.
Riflettei: avevo sognato Thoas o almeno qualcuno che aveva la sua voce.
Quel vortice di migliaia di splendenti e piccole luci mi avevano
salvato dalla figura oscura.
- Ci sto arrivando, non mi interrompere.- disse ciondolando le mani per
aria -Quando sono venuto a casa tua, ieri, per darti il benvenuto, non
sapevo neanche che foste qui, stavo tornando da… Un giro in
bici. Sono queste luci che mi hanno attirato, una sola a dire il vero.-
disse fissandomi serio.
- Cosa? Io? Perché?-
- Una domanda interessante. La stessa che mi pongo da…
Dodici anni.- disse sarcastico. All’inizio pensai di
rispondergli, ma mi resi conto che se ciò che diceva Thoas
era vero, non doveva essere facile per lui conviverci.
- Quello che mi stupisce di te, rispetto a tutti gli altri,
è che sei molto giovane.-
- In che senso?- chiesi preoccupata
- Più si è maturi di età,
più il metodo per soddisfare il destino della lucciola
è semplice da apprendere e parlo di
un’età non al di sotto dei trent’anni,
mentre tu ne hai solamente diciotto.-
- E come faccio a capire cosa mi aspetta?-
- Devi apprendere ciò che non sai, comprendere
ciò che non capisci e vedere quello che ti è
nascosto alla semplice vista.- riconobbi quella voce anche se
l’avevo udita per una solo volta oltre quella nella mia vita.
Dal centro della sala si mostrò luminescente il signor
Nubifragio.
- Thoas, vedo che finalmente ti sei deciso a spiegarle la situazione.
Direi che avete poco tempo ragazzi miei.- disse tirando fuori
l’orologio da una tasca interna e aprendone il coperchio.
Guardò qualche istante l’orologio e infine con un
colpo secco chiuse nuovamente il coperchio rimettendolo infine nel
taschino.
- Saranno qui fra breve. Devi portarla via Thoas, dal vecchio Ardol nel
cimitero. Passando in mezzo a delle persone non interverranno.-
- E se ci manda i Fantokki?- Nubifragio corrugò la fronte e
alzò un sopracciglio sorpreso.
- Ragazzo mio, da tutti questi anni di pratica speravo che avessi
capito che sarà la prima mossa che eseguirà.-
Thoas annuì pensoso.
- Ora basta smettetela! Non mi importa di luci o fantocosi, io non me
ne vado senza dire niente a mia madre!- Thoas sorrise beffardo.
- Sei stata tu a chiedere chiarimenti, li avrai, dopo che sarai al
sicuro.-
- Al sicuro da cosa?- Thoas mosse leggermente la mano in direzione
della finestra che, come aperta da una forza invisibile, si spalanco
assieme alle ante mostrando in lontananza nel panorama una piccola
nuvola che sembrava muoversi a gran velocità verso casa.
Pochi istanti e capii che non era affatto una nuvola, bensì
uno stormo di uccelli neri. Forse corvi.
- Sono stati troppo veloci. Presto, non perdiamo altro tempo.- disse
Thoas scattando verso la porta. Si fermò
all’improvviso notando che non mi muovevo.
- Rebecca, prometto che ti spiegherò tutto, ma adesso fidati
di me e andiamo.- disse avvicinandosi e prendendomi per il braccio.
- Ricorda hai promesso.- dissi infine seguendolo fuori dalla porta.
In pochi minuti avevamo raggiunto la fermata e per un soffio salimmo
sul tram con ancora il fiatone.
- Appena arriviamo in centro dobbiamo subito prendere il quattro.- mi
sussurò Thoas guardando fuori dal finestrino.
- Mentre andiamo potresti spiegarmi. Così potrei esserti
più utile.- Thoas si girò verso di me con
espressione seria.
- Per essere di utilità devi restare in vita e per restare
in vita devi fare ciò che ti dico.-
- Un minimo dovrei sapere anch’io. Perché
scappiamo? Per quegli uccelli? Cosa rappresentano? Ed io cosa
rappresento per loro?-
- Non adesso. Ti ho promesso di spiegarti tutto, ma non adesso. Il
tempo stringe.- detto questo chiuse gli occhi e abbassò
leggermente il capo come per concentrarsi su un rumore, un suono che
solo lui sentiva.