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Autore: Kokky    04/07/2010    3 recensioni
Un mondo parallelo e antico, popolato da vampiri che si muovono nell'ombra e umani troppo ciechi sui nemici succhiasangue. L'esercito, i positivi e gli alchimisti sono gli unici che possono proteggere l'umanità da ciò che stanno bramando i vampiri...
Un'umana insicura. Due piccoli gemelli. Un vampiro infiltrato. Una squadra di soldati. Una signora gentile e un professore lunatico. Una bella vampira e il capo. Due Dannati. L'Imperatore e i suoi figli. Una dura vampira. E chi più ne ha più ne metta!
Di carne sul fuoco ce n'è abbastanza :)
Provare per credere!
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Positive Blood' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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96 – Echoes

L’eco dei loro passi umani – troppo, troppo rumorosi; gli altri li avrebbero presi – riempiva i saloni lussuosi. Le guardie correvano via da quei mostri senza cuore inviati a cacciarli.
La polvere della distruzione, marmorea, si era impigliata sulle loro divise rosse, rendendole bianche. I blocchi di pietra, mandati in frantumi dai vampiri, giacevano immoti, mentre loro vi salivano sopra e cercavano di scacciare via ogni traccia d’ombra, ogni bestia infiltrata.
Francis brandiva la spada in quel silenzio assordante, fatto di rumori e voci che si univano fino a svuotarsi di significato – erano echi che invocavano persone mai esistite, speranze ormai annientate.
Lui continuava a lottare, dimentico di quando quegli stessi corpi pallidi lo avevano sconfitto alla Villa Bianca; non notava la decadenza di quel palazzo, ormai distrutto, sporco, vecchio sotto quell’assedio profano.
I vampiri, sempre non parlando, muovevano se stessi come macchine da guerra – armi bianche, si disse Francis, spezzando la propria spada contro una donna vetusta e dagli occhi rossi.
Quello che appariva negli sguardi degli “altri” non era solo animalità – e i soldati non guardavano per non vedere se stessi specchiati in essi – e non c’era soltanto crudeltà nei loro gesti; vi erano ricordi profondi in quelle bestie e l’eco delle loro anime stillava ancora sangue, mentre uccidevano brutalmente.
Anche loro erano stati uccisi, secoli prima, da un morso cruento – ed ora erano le ombre di loro stessi. Quella offesa ricevuta era rimasta nel loro disprezzo, nel loro odio; nel loro assassinio.
Gli umani, d’altra parte, si piegavano e si riunivano cercando una via d’uscita. Poco prima avevano sopraffatto i nemici, ma poi una frotta scura si era aggiunta alle loro schiere e ora la salvezza appariva offuscata e lontana.
Francis attaccò con ardore, tentando di conficcare la spada inutilizzabile nella cassa toracica di un vampiro apparentemente venticinquenne. Quello gli afferrò l’arma con una mano e la spezzò in piccole parti, con un ghigno beffardo sul volto; poi gli sferrò un pugno al viso.
Francis deviò l’assalto, chinandosi, e lo spinse al petto con le braccia, provando a buttarlo giù da un balcone lì vicino.
La notte che si intravedeva da lì portava con sé i primi segni dell’albeggiare. Francis si distrasse a guardare il cielo grigio scuro e non parò l’attacco dell’avversario.
Imprecò allora per la sua distrazione, mentre i denti affilati dell’altro cercavano, come una tenaglia, di stringergli il braccio destro in una morsa; e una sua mano ferrea gli afferrava il collo chiaro.
Francis annaspò e si mosse convulsamente, aggrappandosi al corpo del vampiro. Quello allontanò la bocca dal suo braccio e aumentò la stretta per soffocarlo, sollevandolo da terra.
La sua forza era inumana e Francis, pur essendo un positivo, non riusciva a contrastarla.
«Fermati», sussurrò Francis, alzando le proprie dita e agguantandogli la pelle della guancia; in questo modo lo distrasse e gli sferrò un pugno alla pancia. Gli avrebbe mozzato il fiato, se solo fosse stato umano.
Il vampiro – era di bell’aspetto, notò allora Francis, allontanandosi dal predatore – aveva i capelli a spazzola e gli occhi sinistri, crudeli (ben più degli altri vampiri che aveva sconfitto prima).
«Mai, soldato», sibilò l’altro, muovendosi celere e artigliando il suo braccio destro. «Questa è la tua arma, questa carne e il tuo sangue pompato nelle vene – la tua vita è un’arma dell’Impero».
«E tu sei il cane del tuo capo», gli sputò contro Francis, sfuggendogli: iniziò a correre, non per codardia, ma per riuscire a trovare una spada o qualcosa che lo aiutasse a combattere il nemico.
«Io cerco la libertà di essere quello che sono – l’anarchia. Tu cerchi solo la tua salvezza fatta di improbabili certezze e di ipocrisie sociali», gli rise in faccia l’altro, spuntandogli dinnanzi.
Francis odiò la vista dei suoi denti affilati e il suo sorriso roseo; gli urlò contro qualcosa, animalesco, e gli diede un calcio sugli stinchi.
«Tu cerchi soltanto la nostra morte, eppure sei un eco, sei un’ombra e dovresti già essere nella tomba da tempo, da secoli! Sei morto, non ti basta questo? A che serve la tua vendetta? Noi non abbiamo il diritto di vivere nel nostro paese? Non abbiamo il diritto di continuare a sperare? Che senso ha il vostro dominio sul mondo, sugli uomini? Porterà alla morte di tutti noi, di tutti quanti; alla vostra stessa morte», esclamò Francis, fronteggiandolo.
«Idiozie da bambino», ribatté il vampiro e fendette l’aria con la mano, tagliando in due lo spazio.
Francis si allontanò da lui con una smorfia, tentando di trovare un modo per batterlo, ma il mostro lo seguì con rapidità e rise senza contegno.
«Ti reputi intelligente e scaltro, eppure anche tu sei una nullità. Un eco come noialtri», lo insultò, aspirando dal naso con violenza e trasformando la bocca in una maschera d’odio; poi lo colpì con la mano, tagliando netto la carne del suo braccio.
Francis urlò di dolore, mentre l’altro affondava le sue dure dita nella ferita, fino a spezzare l’osso e a renderlo monco.

Elisabeth si mosse fra le reliquie di quella battaglia, fra i tendaggi bruciati dai roghi dei vampiri e le mattonelle spezzate dalla forza degli avversari.
Le guardie, infine, avevano vinto contro i nemici e l’ordine era stato ristabilito: erano rimasti alcuni feriti, alcuni cadaveri che aspettavano la degna sepoltura, ma per il resto tutto era a posto – o così dicevano.
Elisabeth pensava, invece, che il palazzo, con le sue macerie e le sue sale danneggiate, sembrava la dimora di fantasmi, di ombre appartenenti a un altro mondo. Potevi vederli, ma non sentirne la voce.
La mestizia che ricopriva ogni cosa si mescolava al suo turbamento: non aveva ancora trovato suo fratello, e ciò era insolito. Nelle battaglie avevano sempre combattuto fianco a fianco, lasciandosi solo per pochi minuti; questa volta, al contrario, erano rimasti lontani per tutto il tempo.
Aveva paura per lui... era suo fratello, d’altronde, e non riusciva ad immaginare persona più importante al mondo. Non in quella sua vita da soldatessa, in cui non c’era molto spazio per l’amore e in cui Elisabeth si era raramente concessa il lusso di fuggevoli relazioni, dai pochi incontri e dai sentimenti brevi.
Francis le era sempre rimasto accanto e così erano divenuti compagni di squadra; insieme formavano una coppia imbattibile, soprattutto in campo militare.
Elisabeth scavalcò una sedia che occupava il passaggio ed entrò in un salotto dorato: vi erano due divani di morbido raso, dai decori fioriti, e una tappezzeria del secolo scorso. Da un balconcino entrava un vento fresco.
Elisabeth non s’avvide di tutto quello, bensì s’accorse subito che c’era qualcosa che non andava. Una nota che stonava, in quella bellezza lussuosa e ridondante: il sangue sul pavimento chiaro, la macchia d’umanità che rendeva il luogo ancora più impersonale, distante agli occhi di Elisabeth.
Non volle immaginare di chi fosse quella linfa vitale, non volle pensare a nulla, mentre correva – annaspando e sentendo i muscoli del petto contrarsi sino a farla soffocare – e correva e correva per raggiungere il ferito. Inciampò nel tappeto, ma continuò sino a che non lo trovò.
Elisabeth si bloccò nel vederlo: i suoi occhi verde giada indugiarono poco sul ferito, poi si chiusero, serrati sotto le palpebre, a trattenere le lacrime; il suo cuore le parve fermarsi, divenire pesante, rompersi... non era una pena d’amore per una sua fiamma qualunque, era lo strazio dovuto a quel sentimento che unisce le persone sino a renderle vicine, indissolubilmente legate. Le mani tremanti si strinsero sul suo petto, coccolandosi e cercando di respirare normalmente. Doveva stare calma o non si sarebbe trattenuta dal piangere, dallo strillare; aprì finalmente gli occhi e lo guardò.
Era coricato a terra, con la testa poggiata sul divano e gli occhi socchiusi che la osservavano senza dire nulla, immoti. Il verde delle iridi era spento: forse aveva perso troppo sangue per muoversi.
«Francis», lo chiamò Elisabeth con la voce liquida, mesta. Tese una mano e gli sfiorò il viso sbarbato in malo modo, la mattina prima, e i capelli biondicci che ricadevano sulla fronte anch’essi stanchi, smorti.
«Fratello mio, chi, chi ti ha fatto questo?», continuò con tono accorato, stringendo il suo torace con un braccio, cercando di non toccargli la ferita. «Il tuo braccio, il tuo bellissimo braccio... dovrei fasciarlo, dovrei disinfettarlo e chiamare aiuto».
Elisabeth si portò vicina a ciò che rimaneva di Francis: il suo arto destro era andato, i muscoli pure; il taglio aveva superato di netto metà dell’omero, il sangue impiastricciato con la carne e il tessuto della divisa rendeva il tutto confuso.
Tagliò, con un coltello che portava sempre attaccato alla cintura, la manica e scoprì meglio la ferita. Le tremavano le mani, ma non piangeva ancora; un groppo di sofferenza in petto le impediva di dire altro, eppure continuava.
«È andata via la mia parte migliore, la mia unica difesa», sussurrò Francis, continuando a fissare il vuoto, mentre qualche lacrima gli solcava il volto. «L’unica che mi legittimava, fonte del mio lavoro».
Il suo pianto era calmo e non un lamento usciva dalla sua bocca; Elisabeth intanto si strappava la giacca per fare qualche striscia di tessuto e potergli così fasciare la ferita.
«Non devi... puoi vivere anche senza un braccio», rispose Beth, cercando in qualche modo di andare avanti.
«Una mano. Come mangerò? Come potrò lottare, quando la guerra è la mia vita? Sono un soldato... si accinge una battaglia ed io non posso parteciparvi, infermo, inutile, inutilizzabile. Le mie dita che hanno sfiorato molte cose e posti non ci sono più», continuò lui, atono. Le lacrime scendevano copiose, senza suono, senza un gemito; sembrava liberarsi in modo indolore, con poca fatica, ma Elisabeth sapeva che era soltanto un uomo forte e che quello non bastava ad ucciderlo... ma era abbastanza per spegnerlo dentro.
Sin da quando avevano diciassette anni, i due erano entrati nell’esercito, prima erano stati addestrati, poi avevano avuto un ruolo effettivo; sin da allora avevano voluto proteggere la gente, combattere per il proprio paese, per il proprio popolo. Francis, sempre bonario e scherzoso, nel profondo aveva un gran sentimento di fratellanza con il mondo: sentiva di dover fare qualcosa e sapeva che il miglior modo per farlo era combattere. Contro i vampiri, contro chi poteva togliere agli uomini la libertà.
«Ne riparleremo più avanti, Fra’», disse Elisabeth, alzandosi per cercare aiuto. «Ma potrai continuare a lottare in qualsiasi modo, l’importante è volerlo», esclamò, allontanandosi da lui.
Percorse la stanza e, uscendo, si fermò qualche istante. Lasciò che il pianto prendesse il posto di quella calma ordinatrice, che la riempisse tutta, otturandole il naso e la bocca. Scosse la testa, per continuare ad andare.
C’erano ancora tante cose da fare, una guerra da intraprendere, ma lei, probabilmente, avrebbe curato Francis, lo avrebbe coccolato finché non ne sarebbe uscito fuori. Portarlo sul campo di battaglia non sarebbe stato il massimo, quindi avrebbe preso un congedo, anche se quello era il periodo peggiore per farlo.
Maledicendo le circostanze, il vampiro che aveva reciso parte della sua vita e l’Imperatore stesso, chiese aiuto a dei soldati lì vicino.
Aspettava, Elisabeth aspettava un po’ di requie per il suo cuore. Chissà se sarebbe arrivata – Beth aveva ancora la verde speranza di vittoria sui vampiri – e se quella avrebbe preso Francis; se lo augurava con tutto il cuore. Desiderava che con essa quella disgrazia divenisse un eco abbastanza lontano da poter essere dimenticato.
*














Salve gente! *_* ma che bello, un altro capitolo positivo, felice ed appagante, non è vero?
Ormai si è capito che sono un'autrice alquanto angst, ma la speranza è l'ultima a morire. Comunque, il titolo riprende quello di una canzone dei Pink Floyd, appunto Echoes: QUI se volete ascoltarla.
Sto organizzando un po' le idee per i prossimi capitoli, ma non siamo affatto lontani alla battaglia u_ù ahhh non vedo l'ora! Anche se non so se so descrivere lotte e bullettini vari, perché non l'ho mai fatto, però provare male non fa (a volte XD, se è Moccia a provare di male ne fa a tutti quanti noi). However, voglio ringraziare chi ha recensito:
mikybiky-> Grazie, cara *-* ecco, sono tornata e adesso siamo entrambe molto più libere, è estate +w+ ahhh che bellezza. Mi fa piacere che tu legga PB perché è un piacere *-* (gioco di parole XD)
Aryadaughter-> Grazie =)
Cloud Ribbon-> Ovviamente ti tocca distruggere qualcosa XD perché ci avevi azzeccato sulla parola "disgrazia" (ma quanto sono sadica? ç_ç). Coff. Grazie, grazie *__* per Sofi, buh, ormai è andata e non so bene se tornerà mai, ma credo che Adam amasse troppo la sua umanità per farla rimanere così xD con lui ha ancora dei sentimenti e dei ricordi del passato. Mh. Anyway, - 17 giorni *w*

E infine... a presto, con un Imperatore desolato, un Cancelliere inorridito, un Eve impaurita e un Richard vendicativo! Muahahah.
   
 
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