Capitolo XV
Ore 10.00 –
San Pietroburgo
<< Quindi lei vorrebbe un’altra auto? >> chiese Demidoff, dall’altra parte del telefono, lievemente
stizzito. Non era una domanda, piuttosto una constatazione poco amichevole.
Xander spense il televisore,
facendo piombare l’appartamento freddo e spoglio nel silenzio. La lama di luce
che filtrava dalla finestra illuminava la cucina rendendola stranamente
sinistra, così vuota e anonima. Si mise più comodo sulla sedia traballante e
guardò fisso il muro, come se avesse il russo davanti.
<< Sì, voglio
un’altra auto >> ribatté, << Non posso andare in giro con una
Scirocco, per di più con un vetro rotto… Se devo farmi notare, ho bisogno di
un’altra macchina >>.
Demidoff sembrò ghignare,
quasi avesse a che fare con un bambino capriccioso. << E cosa vorrebbe?
>>.
<< Quello che
potete darmi >> rispose Xander, << Avevo
chiesto una Ferrari, ma non mi è stata fornita. Se non posso avere quella, mi va
bene un’altra auto, basta che non sia un’utilitaria qualsiasi… >>. C’erano un sacco di macchine che potevano fare al caso suo, e
nemmeno troppo costose: non gli sembrava di chiedere troppo.
<< Per quando
le serve? >> domandò Demidoff, e questa volta
gli sembrò serio.
<< Per
stasera >> rispose Xander.
Ci fu un attimo di
silenzio, poi il russo disse, divertito: << Ah, Went…
Per stasera. Mi dica, agente, ha altre richieste? Non
si è chiesto perché le abbiamo dato un’utilitaria poco appariscente, come la definisce
lei? >>.
Xander arricciò il
labbro: non era uno stupido, sapeva qual’era il piano
e come funzionavano le cose. Forse non era un veterano dell’F.B.I.,
ma in quel campo poteva vantare una certa esperienza.
<< So che non
devo dare troppo nell’occhio, ma in questo caso le cose sono diverse >>
rispose, cercando di non sembrare troppo piccato, << Non mi prenderanno mai sul serio se arrivo con una Scirocco in
allestimento base e con il finestrino sfondato, non le pare? Oltretutto, anche
con quella che voi considerate un’auto “discreta” sono
già stato oggetto di minaccia… Mi considerano già pericoloso così, è chiaro.
Che differenza fa che auto io abbia? >>.
<< Lei non
conosce il campo, agente Went >> commentò Demidoff, una nota infuriata nella voce, << Non sa
come pensano, come la stanno valutando… >>.
Xander si sentì punto sul
vivo. << Se hanno mandato me, un motivo c’è >> ribatté, <<
Sono uno dei migliori agenti specializzati in questo campo, e so esattamente
come pensano i piloti clandestini, non fa differenza di dove sono. Devono
capire che sto facendo sul serio, che non sono un pivellino, e mi serve
un’altra auto… Sono io che devo portare a termine la missione, e mi sembra di
essere in grado di capire cosa devo fare >>.
Sin dalla prima
volta che lo aveva visto, Demidoff non gli era stato
particolarmente simpatico, ma ora capiva che viaggiavano anche su due onde
completamente diverse: il piano dei russi era quello di
fare tutto con discrezione, di non dare nell’occhio e agire di soppiatto,
mentre la sua era quella di “prendere il toro per le corna” e sbattere tutti
dentro in men che non si dica. Aveva sempre agito in
quel modo e aveva sempre avuto ragione: non ci stava a farsi
riprendere come un bambino da un russo a cui non doveva nemmeno rispondere.
<< D’accordo,
agente Went, se vuole un’altra auto, la avrà >>
concluse Demidoff, << Raggiunga Sokolòva ai nostri uffici e si faccia dare la sua auto… Ma
mi lasci dire che ha commesso un errore >>.
<< Quale?
>> fece Xander, sperando che non gli desse modo
di perdere di nuovo la pazienza.
<< Non è lei
che deve portare a termine questa missione >> rispose Demidoff,
una punta di divertimento nella voce, << E’ l’agente Dwight che ha
l’incarico principale di arrestare la Lince… Lei è superfluo,
lo ricordi >>.
Xander rimase zitto,
spiazzato. Che Demidoff avesse o
meno ragione, odiava il fatto che si permetteva di parlargli in quel
modo. Non era abituato a sentirsi dire di non essere necessario, e detto da un
russo la cosa gli andava giù ancora di meno.
<< Vediamo se
mi considererà superfluo quando le consegnerò la Lince su un piatto d’argento…
>> ringhiò, chiudendo la telefonata.
Arrabbiato, gettò
un rapido sguardo all’orologio e poi rimase a fissare la stanza vuota e
spoglia. Qui russi non facevano altro che dargli fastidio, come se avessero
preferito non averlo tra i piedi. Ora si rifiutavano anche di dargli un’altra
auto…
Superfluo, lui… Ma
quando mai era capitato? Era un esperto, nel suo campo, e i suoi piani non
fallivano mai…
Improvvisamente
però gli venne da sorridere, quando scoprì che era stato messo in diretta
competizione con Irina. Era lei che doveva portare a termine la missione, sì,
certo…
Sbuffò,
ricordandosi improvvisamente che iniziava a mancarle davvero, e si alzò.
Sperava che almeno ci fosse una nota positiva in quella storia, e che i russi
gli dessero un’auto degna di quel nome, e non che Sokolòva
gli riservasse una brutta sorpresa.
Ore 14.00 –
Mosca
Irina fece rallentare
la Punto in mezzo al grande garage sotterraneo illuminato dai neon, la luce che
si rifletteva fastidiosamente sul liscio pavimento verdognolo e sulle lucide
carrozzerie delle auto parcheggiate lì in intorno, in perfetto ordine e più
numerose di quanto si era aspettata. Oltre che dalle linee stranamente inusuali.
Dan, in piedi
vicino al muro, le indicò con la mano uno spazio lasciato vuoto vicino alla
parete, vicino a un’innumerevole serie di strumenti da lavoro e di componenti per auto. Irina parcheggiò la Punto e scese,
guardandosi intorno incuriosita.
Come aveva detto,
Dan era un appassionato di auto italiane, ma non aveva creduto che nel suo
garage contasse così tante macchine da far invidia persino a William,
soprattutto in quanto a bellezza.
A poca distanza da
lei, c’era quella che era una vecchia Fiat 500 bianca, di quelle che negli anni
’60 avevano rappresentato l’Italia in tutto il mondo. La riconobbe perché
l’aveva giù vista in una foto in bianco e nero, ma dal vivo la trovò sorprendentemente
simpatica, come se si trattasse di una persona che le veniva
presentata e che trovava amichevole al primo sguardo. Era buffa in mezzo a
tutte le altre auto super moderne e sportive, alcune delle quali lei non aveva
mai nemmeno visto.
<< Scommetto che
quella la conosci >> disse Dan, quasi orgoglioso, mostrando la 500 come
se di trattasse di una Ferrari, << Fiat 500 del
’66, con gli interni addirittura in simil-pelle, una rarità. La sto
restaurando, quando avrò finito sarà un capolavoro
>>.
Irina si lasciò
scappare un sorriso, osservando i fari tondi come due occhietti della macchina,
e i baffi cromati sul muso davanti.
<< E poi c’è
una Lancia Delta del ’90, quella con gli adesivi >> continuò Dan,
sventolando la mano estasiato dalle sue stesse auto, << Una Alfa 147 modificata, una Ferrari 348 del ’93… L’ultima
arrivata è quella, un’Alfa Romeo Mi.To, già pronta
per correre >>.
Irina guardò le
varie macchine, accorgendosi che avevano tutte una linea particolarmente
gradevole. Gli italiani erano bravi in fatto di auto, soprattutto per quanto
riguardava il desing… Poi ricordò che uno dei motivi
per cui aveva scelto la Punto era proprio la bellezza.
<< Questo è
il mio garage >> concluse Dan, allargando le
braccia per mostrare tutte le macchine, << Che ne dici? >>.
Irina sorrise di
nuovo, individuando la Grande Punto simile alla sua parcheggiata in fondo, il
cofano aperto sul motore che sembrava ancora non essere stato modificato. A
differenza della sua, però, la vernice era blu metallizzato e i fari leggermente
bruniti. Molte parti erano ancora quelle originali, e forse a parte il nome non
aveva nulla in comune con la sua Punto.
<< Bé, sono
senza parole >> disse Irina, poi indicò la Fiat, << E’ quella
l’auto di cui mi parlavi, vero? >>.
<< Sì
>>, Dan si avviò verso la Punto, << Ma come vedi è ancora in fare
di costruzione. Prenderò qualche spunto dalla tua, se mi dai
il permesso di darle un’occhiata >>. Ammiccò amichevolmente.
<< Fai pure
>> disse Irina, notando in mezzo alle altre un’auto particolare, che
catturò la sua attenzione. Si avvicinò.
Era un’Alfa Romeo,
color rosso rubino metallizzato, compatta, dalla linea fluente e originale, con
i fari contornati da bordini cromati: una 8C Competizione, arrivata dritta dritta dall’Italia.
Irina ricordò di
averla già vista su Internet, ma l’aveva sempre immaginata più grande: dal vivo
era più piccola, meno imponente di quanto aveva creduto, però le trasmetteva
un’incredibile sensazione di velocità e agilità. Cercò di guardare dentro, ma i
vetri erano oscurati e non le permettevano di scorgere come fosse all’interno.
<< Alfa Romeo
8C Competizione >> disse Dan, notando il suo interesse, << Prodotta
in soli 500 esemplari, esclusiva quanto una Ferrari,
se non addirittura di più >>. Passò una mano
sulla carrozzeria luccicante, gli occhi che brillavano: doveva essere una delle
sue auto preferite.
<< Come te la
sei procurata? >> chiese Irina, guardandolo stupita.
Dan si strinse
nelle spalle. << L’ho trovata in uno spaccio di auto rubate >>
rispose, << Così l’ho comprata. L’ho pagata anche poco: non la voleva
nessuno… Se vuoi salire è aperta >>.
Irina aprì
delicatamente la portiera dell’auto, infilandosi dentro. I morbidi sedili in pelle rossa erano avvolgenti, il logo impresso a caldo
sul poggiatesta, il cruscotto in fibra di carbonio nero e con le spie colorate
in quel momento spente; i bocchettoni dell’aria cromati e il volante a tre
razze ricoperto anch’esso in pelle. Nel complesso, tutto sportivo al punto
giusto.
Quell’auto le
piacque subito: non era troppo grande, come potevano esserlo una Ferrari o
Lamborghini, e le diede una sensazione immediata di padronanza, nonostante non
l’avesse nemmeno accesa. Come facilità di guida doveva avvicinarsi molto alla
Punto.
“Forse sarebbe un’ottima sostituta, in caso di
bisogno…”
pensò, poi aggiunse: “Naaah,
nessuna è come la mia Punto”.
Scese, guardando i
cerchi in lega diamantati, poi cercò con lo sguardo Dan: aveva la testa
infilata nel cofano della sua Grande Punto.
<< Ma che
motore è, questo?! >> lo sentì esclamare, la
voce stranamente soffocata, << Ecco perché riuscivi
a superare i duecentocinquanta come niente… >>.
Irina si avvicinò,
ricordando all’improvviso di non avergli mai detto che la sua Punto aveva il
motore di una BMW…
<< Il mio
meccanico ha dovuto farle una modifica un po’ particolare, qualche anno fa…
>> spiegò lei, guardandolo mentre metteva le mani sulla scatola del
turbo, << Sono rimaste delle componenti
originali, ma il motore è quello di una M3… >>.
Dan fischiò.
<< Ahi, ahi… Per un purista come me, questo è un
sacrilegio >> borbottò, << Non si può avere un’auto italiana con un
motore tedesco. Però mi incuriosisce… Come mai questa
modifica? >>.
Leggermente
rabbuiata, Irina riportò alla mente ciò che era successo.
<< Ho avuto
un incidente, e la macchina ne è uscita distrutta >> rispose, variando un
po’ i fatti, << Ha preso fuoco, e il motore è andato perso… Mi serviva in
fretta, così ho fatto montare il motore di un’altra macchina che avevo a
disposizione in quel momento. Non potevo aspettare i ricambi >>.
Dan inarcò un
sopracciglio. << E usare direttamente la M3? >> fece.
Irina sorrise.
<< Era una questione di principio… Volevo la mia auto >>.
Dan sembrò
accettare la risposta, gettandole un’occhiata perplessa.
<< Bè, come cosa non mi fa impazzire, però l’estetica non è
male >> disse, tornando a guadare la Punto, << Prenderò spunto
dalla tua, per modificare la mia… Vieni, ti spiego
quello che devi fare per l’incarico che ti hanno dato. Meglio passare alle cose
serie, altrimenti poi se la prendono con me se arrivi in ritardo >>.
La condusse verso
il bagagliaio della piccola 500, che poi non era altro che il cofano anteriore,
come si usava una volta, e lo aprì. Tirò fuori un pacco rettangolare, avvolto
in carta marrone e ben sigillato con del nastro adesivo.
<< Buraschenko vive in un bel palazzo nel centro della città
>> spiegò Dan, << Ed è il nostro ministro dell’interno… Ma lasciamo
stare i dettagli. Quello che devi fare tu è
consegnargli questo, seguendo passo passo quello che
ti dirò: la procedura è semplice, ma deve essere corretta, altrimenti la
consegna non va a buon fine >>.
<< Ok, ti
ascolto >>.
Ore 18.00 –
Mosca
Irina fermò la
Punto esattamente dove Dan gli aveva indicato, lasciandola in un vicolo buio e
vuoto, dove le era stato assicurato che nessuno l’avrebbe toccata. Afferrò la
valigetta in cui era stato infilato il pacco di coca e scese dall’auto,
gettando una rapida occhiata all’alto palazzo che si parava dall’altra parte
della strada, nel pieno centro di Mosca.
Faceva molto
freddo, come al solito, e il buio era già sceso per le
vie della città. L’edificio a cui era diretta aveva
l’aria di essere piuttosto lussuoso, con le balconate sorrette da sculture
antiche e piccoli capitelli in marmo bianco, molto antichi. Le alte finestre,
con pesanti tende pregiate, erano illuminate. A una era affacciato un uomo, che
teneva gli occhi puntati su di lei, studiandola attentamente.
Rimase trenta
secondi ferma sul ciglio della strada, come le aveva detto Dan, per permettere
al tizio, che altri non era che una delle guardie del
corpo di Buraschenko, di identificarla: doveva solo
fare finta di telefonare al cellulare e passeggiare avanti e indietro per due
volte, con un per un esatto numero di passi.
Irina prese il
telefono, lo portò all’orecchio e poi tornò sui suoi passi; si voltò di scatto
e ne fece altri tre, poi guardò dritto dritto
verso la finestra: l’uomo la fissò ancora un istante, poi le fece un cenno con
il capo. Era il segnale che poteva passare.
Chi faceva le
consegne naturalmente non poteva passare dalla porta principale, dove c’era una
coppia di poliziotti a fare sempre la guardia, ma doveva entrare da quella di
servizio, collegata con la scala antincendio. Irina imboccò una piccola viuzza
buia, al lato del palazzo, e raggiunse l’ingresso.
Una volta davanti
ai battenti, Irina li trovò aperti. Si infilò dentro,
e risalì rapidamente la scala metallica fino al terzo piano, sentendo solo i
suoi passi rimbombare leggeri sulla lamiera, e il battito leggermente più
rapido del solito del suo cuore. Anche se doveva essere una cosa facile,
provava un minimo di apprensione.
Una volta sul
pianerottolo, di fronte alla porta antipanico, si
fermò e riprese fiato, il pacchetto ben stretto in mano. Poi bussò per quattro
volte, a intervalli sempre più lunghi, e attese.
Poco dopo uscì il
Ministro Buraschenko in persona, il completo blu
scuro e l’espressione da politico navigato; dietro di lui intravide la guardia
del corpo di prima, che la scrutava feroce, forse insospettito dal fatto che
non era la solita persona a effettuare la consegna.
Buraschenko le rivolse
un’occhiata poco più che incuriosita e Irina gli porse la valigetta, senza che
si dicessero nulla come era stato stabilito. Il tutto
doveva avvenire nel più completo silenzio, per evitare che la loro
conversazione venisse registrata da qualche microspia
nascosta, di cui né il politico né la sua guardia erano al corrente, messa lì
dalla polizia con lo scopo di proteggerlo. Come se ne avesse bisogno…
Il russo aprì
rapidamente la valigetta, controllò che ci fosse tutto, poi le passò una busta
di carta bianca piuttosto pesante che conteneva il denaro. Irina non controllò
se ci fosse tutto, perché Dan le aveva detto di non farlo: Buraschenko
si sarebbe offeso e poteva credere che non fosse venuta da parte delle solite
persone.
Il politico le
rivolse un’altra occhiata, poi tornò da dove era arrivato insieme alla sua
guardia, lasciandola sola per le scale, nel più completo silenzio.
“Bè, è stato più
facile di quanto avrei immaginato. Nikodim voleva
solo spaventarmi, allora”, pensò, mentre
scendeva di sotto. Notò una videocamera di sorveglianza
appesa al muro, ma sapeva che in quel momento era spenta: la guardia del corpo
di Buraschenko la spegneva il tempo necessario per la
consegna.
Risalì sulla Punto,
ora molto più rilassata, e fece retromarcia. Mentre usciva lentamente da
vicolo, per vedere se passava qualcuno, una Subaru Impreza
nera le passò davanti a velocità sostenuta, sparendo subito dopo oltre l’angolo
della strada, facendola tornare di nuovo deserta.
Irina rimase a
fissare qualche istante il punto in cui era sparita l’auto, incuriosita. Quella
era sicuramente la stessa Impreza che aveva visto la
sera della sua gara: aveva le stesse strisce gialle sul cofano. Chissà cosa ci
faceva da quelle parti…
Mentre ripercorreva
la strada diretta al garage di Dan, per portargli i soldi, si chiese chi fosse
il tipo che guidava la Subaru, e cosa avesse a che fare con Dimitri. Perché
sicuramente il russo le nascondeva qualcosa anche su quella faccenda…
<< Visto, non
è stato troppo difficile >> fece l’italiano, vedendola rientrare,
<< E’ filato tutto liscio come sempre. Stasera darò i soldi a Nikodim e vedremo se sarà soddisfatto… Ma da quello che ho
capito, non gli sei molto simpatica, quindi non sarà particolarmente contento
del risultato della tua missione >>. Ammiccò, divertito.
<< No…
>> borbottò Irina, poi le venne in mente una cosa: aveva davanti qualcuno che sicuramente conosceva qualcosa in più
su Dimitri, e che non era un russo. Forse avrebbe avuto la lingua più sciolta, visto che sembrava decisamente più amichevole…
<< Senti >> continuò,
avvicinandosi, << Forse tu che sei di queste parti da diverso tempo, puoi
aiutarmi a capire una cosa… Più che altro si tratta di una curiosità >>.
Assunse un’aria noncurante, per fargli capire che la questione era si scarsa
importanza per lei.
Dan la guardò
interessato.
<< Dimmi
>>.
<< Per caso
sai qualcosa del passato di Dimitri? >> chiese Irina, appoggiandosi alla
Punto e soppesando le parole, << Intendo dire: da quello che ho capito,
deve guardarsi le spalle da qualcuno. Come mai? Ne sai niente? >>.
Dan assunse una
strana espressione, come se in qualche modo si fosse già posto
quella domanda. << A dir la verità, non so molto di lui >> rispose,
<< Su questo aspetto, intendo. Quando sono arrivato da queste parti,
qualche anno fa, lui viveva a Los Angeles… E qualsiasi cosa sia successa prima,
nessuno dei russi che stanno qui è disposto a parlarne >>.
<< Perché?
>> domandò Irina. Non gli sembrava che Dan stesse mentendo, e sembrava curioso quanto lei.
<< L’unico
che può parlare del suo passato è Dimitri stesso >> rispose il ragazzo,
<< Rispettano una sua richiesta, da quello che ho capito. Lui non vuole
che altri sappiano cosa è successo, o semplicemente ama essere riservato
>>. Fece spallucce.
Irina rimase in
silenzio, delusa. A quanto pare Dimitri non voleva proprio che il suo passato
venisse a galla… Gettò un’altra occhiata a Dan, chiedendosi se stava mentendo…
Poteva anche lui rispettare la richiesta del russo, di non parlare.
<< Ora voglio
farti io una domanda >> la richiamò l’italiano, mostrando un sorriso.
<< Come sei riuscita a farti accettare da lui? Di solito non si
accompagna mai con nessuna… La gente è più curiosa di sapere esattamente chi
sei, che di quello che vuoi fare. Quando mai si è visto Dimitri con una ragazza
al seguito? >>. Sembrava quasi lo stesse
prendendo in giro.
<< Oh…
>> Irina gli rivolse un’occhiata, leggermente imbarazzata, << Bè, non c’è niente tra me e lui, se è questo che intendi…
Ci conosciamo da molto tempo, visto che era il
migliore amico di William: per questo mi tollera, altrimenti mi avrebbe già
mandato a quel paese >>. Sorrise, anche pensando alla faccia di Xander se fosse stato presente.
Dan sembrò
divertito. << Già… Dimenticavo che sei la donna di Challagher.
Non credo che Dimitri si metterebbe mai contro l’unica persona con cui ha
legato un minimo, in questi anni >>.
Irina si trattenne
dal prodursi in una smorfia. “Mi sa che
ti sbagli… Ti stupirebbe sapere che è anche merito suo
se William è in carcere”.
<< Sembri
conoscerlo molto bene, anche se non sai niente del suo passato… >>
commentò lei, sempre con noncuranza. Forse poteva scoprire comunque qualcosa di interessante, indagando sulla personalità di Dimitri.
<< Tutti lo
conoscono, qui >> disse Dan, << Sanno come è
fatto: è un russo un po’ atipico, anche se non sembra. Molti dei suoi stessi
connazionali non lo capiscono, ma nessuno osa giudicare quello che fa. E’ un
pezzo di ghiaccio, ma credimi, il rispetto che gli portano
se l’è meritato tutto >>.
L’ultima frase fece
capire a Irina che Dan aveva mentito: in realtà, qualcosa sapeva, ma non era
autorizzato a parlare. Forse temeva che Dimitri si vendicasse, e in effetti c’erano ampie possibilità che lo facesse, visto
il tipo.
Gli rivolse
un’occhiata, poi annuì e risalì in macchina, dubbiosa.
Più andava avanti,
più il profilo di Dimitri si faceva confuso: quando sarebbe riuscita a cogliere
qualcosa su di lui?
Ore 22.00 –
San Pietroburgo, Park Tikhiy
Xander fermò la Porsche
Cayman blu che era riuscito a recuperare nel garage dei poliziotti russi nel bel
mezzo di un piazzale gremito di gente imbacuccata e illuminata dalla fioca luce
dei lampioni in ferro battuto di Park Tikhiy, senza che nessuno lo degnasse di un’occhiata.
Diverse belle auto di lusso erano parcheggiate in disparte, vicine ai
proprietari che fumavano tranquilli grossi sigari, e si rese conto che aveva
fatto bene a insistere per cambiare la Scirocco: non avrebbe proprio fatto una
bella figura…
Scese dalla
macchina guardandosi intorno, per individuare qualche faccia conosciuta. Ermil non sembrava esserci, e nemmeno Nina.
<< Già qui,
americano? >>.
Xander si voltò di
scatto: non si era accorto che una Audi TT bianca si
era appena fermata di fianco a lui, silenziosissima. Nina, avvolta nella sua
vaporosa pelliccia immacolata, lo guardava sorridente, gli occhi azzurri che
brillavano, i boccoli biondi adagiati sulle spalle.
Il fatto che la
russa avesse una Audi TT lo colpì inspiegabilmente: la
stessa auto di Irina, ma di un colore totalmente opposto. Nina l’aveva scelta
bianca, vistosa, appariscente e, per così dire,
“impegnativa”; Irina l’aveva preferita nera, più discreta, in linea con la sua
intenzione di non voler farsi notare.
Sorrise, mentre
nella sua testa si formava un pensiero: “Me
lo sarei dovuto aspettare, che avesse qualcosa in comune
con Irina”.
<< Perché
stai sorridendo? >> domandò Nina, guardandolo e avvicinandosi. Xander riuscì a sentire il suo profumo dalle note speziate.
<< Niente…
Notavo l’auto >> rispose lui, accennando alla TT, << Le ragazze che
fanno parte di questi giri hanno gusti molto simili >>.
<< Perché?
>> domandò Nina, senza capire.
<< Non è la
prima TT che vedo >>.
Nina assunse
un’espressione infastidita, come se scoprire che non era l’unica ad avere quel
tipo di auto fosse sgradevole. Poi però tornò alla sua solita faccia angelica.
<< E io noto che hai cambiato macchina >> commentò,
passando una mano sulla Cayman, << Sei come tutti gli uomini che conosco:
orgoglioso. Piccato dal fatto che abbia giudicato la tua auto “ordinaria”, vero? >>. Ghignò, muovendosi intorno alla Porsche con
fare aggraziato.
Xander non potè fare a meno di farsi scappare
un sorriso: quella ragazza aveva il vizio di provocare la gente.
<< Non ho
bisogno di dimostrare nulla, con la macchina che ho >> rispose lui,
deciso a stare al gioco, << Potrei vincere anche con un macinino a pedali
>>.
<< Ma quanto siamo sicuri di noi stessi… >> fece Nina,
continuando a mostrare i suoi denti bianchissimi, girando intorno alla macchina
ondeggiando, << Avanti, dimostrami cosa sai fare, americano. Se riesci a
colpirmi, dopo ti porto in un posto che potrebbe piacerti… >>.
Nina si allontanò
dandogli le spalle, ma non senza rivolgergli un’ultima occhiata abbastanza
languida. Xander si allarmò:
non è che aveva strane idee, per la testa?
Portò la mano al
collo, dove teneva appesa la catenina che anni prima era
stata di Irina, con il ciondolo a forma di quadrifoglio che avrebbe dovuto
portarle fortuna, e a cui lui aveva aggiunto la fedina d’oro bianco, identica a
quella che lei portava al dito, simbolo del loro legame indissolubile.
Improvvisamente,
sentì la sua mancanza: il suo profumo, il suo modo di fare dolce e anche le
coccole che gli riservava quando stavano insieme, le
sue labbra morbide e l’odore della sua pelle… Quella Nina poteva anche essere
bellissima, ma Irina era l’unica ad avergli davvero trafitto il cuore, e non
avrebbe voluto nessun’altra. Conosceva bene il significato di fedeltà, e non lo
avrebbe dimenticato nemmeno in missione.
<< Preparati,
americano >>.
Un russo dall’aria
bellicosa gli indicò la linea di partenza, dove c’erano schierate diverse auto
di lusso. Xander risalì sulla Porsche e si posizionò, in attesa.
Ore 22.00 –
Mosca
Irina guardò perplessa
il grande edificio che si stagliava davanti ai suoi occhi, illuminato a giorno
da luci al neon bianche e azzurrine, che facevano brillare le carrozzerie delle
auto parcheggiate alle sue spalle, nel piazzale adiacente.
Non aveva mai
immaginato che un casinò potesse essere così grande, anche se era stata diverse volte a Las Vegas e ne conosceva bene i
locali. Il Black Diamond li
superava tutti, forse anche perché era l’unico della zona, ed era quello che
faceva da principale luogo di divertimento dei russi annoiati e pieni di soldi.
Era assolutamente
gigantesco, e doveva contare almeno una decina di piani. L’edificio era stato
costruito tutto in vetro, ma dall’esterno non era possibile vedere niente
perché era stato oscurato, ma sul tetto si intravedevano
le luci colorate del bar all’ultimo piano, che doveva avere la vista su tutta
Mosca.
Si strinse nel
cappotto nero che era stata costretta a comprare per essere un minimo elegante
come richiedeva l’occasione, e trasse un sospiro profondo per entrare nella
parte. La guardia all’ingresso le gettò un’occhiata perplessa.
Nikodim era stato
soddisfatto del suo lavoro, e questa volta l’aveva autorizzata a far parte di
uno dei loro incontri. Molto probabilmente ci sarebbe stata gente importante,
se non tutti i Referenti al completo.
Dimitri non c’era;
quando aveva saputo che il Black Diamond
sarebbe stato il luogo della loro prossima riunione, aveva deciso di andarci
per i fatti suoi in un secondo momento. Come scusa aveva addotto che doveva
sbrigare una faccenda, ma Irina non gli aveva creduto.
In silenzio aveva accettato la decisione, ma si era premurata di lasciare il pc portatile acceso con il programma di Jess
in funzione: avrebbe saputo dov’era andato.
Si avvicinò
all’ingresso, il rumore dei tacchi attutito dal tappeto di velluto, e la
guardia domandò qualcosa in russo. Lei fece cenno di non aver capito.
<< Nome
>> borbottò l’uomo, intuendo fosse straniera.
<< Irina
Dwight >> rispose lei, poi aggiunse: << Fenice >>.
L’uomo annuì e le
fece cenno di entrare.
Una volta dentro,
si ritrovò nella hall, immensa come si era aspettata. A destra c’era un bancone dove era possibile lasciare in custodia borse e
giacche, mentre dall’altra parte, a sinistra, ci si procurava le fiches e tutto il necessario per giocare a una cassa dove
le hostess sorridevano amabilmente alla gente vestita elegantemente e dall’aria
aristocratica. Una grande porta ad arco si apriva su quella che doveva essere
la Sala Bianca, quella dove era diretta lei, e ai suoi lati due enormi
ascensori metallici portavano ai piani superiori. Il tutto, innegabilmente
moderno e lussuoso, era illuminato da una luce chiara e non troppo forte che
proveniva dai lampadari di cristallo appesi al soffitto.
Gettò una rapida
occhiata intorno, constatando che molta della gente
che stava lì faceva parte dell’alta borghesia russa, e diversi dovevano anche
avere le mani in pasta nella politica, come le era stato detto precedentemente.
C’erano anche molte donne, tutte avvolte in costosissime pellicce di visone ed
ermellino, tutte con l’aria altezzosa e distaccata.
Lasciò il cappotto
e la borsa al bancone d’ingresso, ma si mise il cellulare in tasca per averlo a
portata di mano in caso di bisogno. Si accorse dell’occhiata incuriosita che la
ragazza addetta al guardaroba le lanciò di sottecchi, come se si fosse accorta
che non era della zona. In effetti, in quanto ad
abbigliamento si capiva che non faceva sicuramente parte del gruppo delle
giovani russe che erano appena entrate: pelliccia bianca, abitino scuro
avvolgente e stivali con tacco a spillo, con coordinata la immancabile
costosissima borsetta molto probabilmente piena di carte di credito. E per
finire, erano tutte ulteriormente accomunate dalla lunga, lucida cascata di
capelli biondo miele.
Forse in altre
circostanze si sarebbe potuta sentire fuori posto, nei suoi pantaloni neri e
camicia bianca, ma in quel momento aveva altro a cui
pensare che farsi problemi sul suo abbigliamento poco provocante. E in ogni
caso non voleva attirare l’attenzione infilandosi una minigonna e andando in
giro praticamente in mutande.
Raggiunse la Sala
Bianca, mentre il gruppetto di russe, dopo essersi procurato fiches in abbondanza, prese l’ascensore sulla sinistra,
portandosi dietro la cagnara da gita scolastica che le
circondava.
Una volta dentro,
con stupore scoprì che in realtà non c’erano tavoli da gioco, slot machines o qualsiasi altra cosa avesse a che fare con i
giochi d’azzardo; sembrava più una sorta di palestra o stadio, con un vero e
proprio ring al centro, attorniato da centinaia di sedie che ospitavano russi
eccitati e rumorosi e illuminato dai riflettori appesi
al soffitto, vicino a un tabellone luminoso, spento.
Per un attimo credette di essere arrivata nel posto sbagliato. Incerta,
rimase ferma all’ingresso, guardandosi intorno. In quel momento, sul ring
stavano combattendo due russi grossi come armadi, in calzoncini e guantoni,
dandosele veramente di santa ragione. La gente intorno gridava facendo il tifo,
mentre l’arbitro osservava la scena per segnalare eventuali irregolarità.
“Cosa centra tutto questo con Nikodim e gli altri?” pensò, dubbiosa.
Come in risposta alla sua domanda, vide comparire Dan, con la
solita aria fuori posto che aveva quando stava in mezzo ai russi. Le sorrise e le si avvicinò.
<< Sei
arrivata >> disse, << Vieni, devi sederti laggiù >>. Indicò
le sedie vicino al ring, nelle prime file, in quel momento ancora vuote.
<< Allora non
ho sbagliato… >> disse Irina, << Che ci facciamo
qui? >>.
<< Nikodim e i suoi la frequentano abitualmente >>
rispose Dan, mentre raggiungevano le sedie, << Ma non sono
ancora arrivati. Si faranno vedere al termine di questo incontro >>.
Si sedettero,
notando che in effetti la sala non era ancora tutta
piena. I due russi sul ring continuavano a darsele, senza che Irina riuscisse a
capire chi stesse veramente vincendo. Ma quello vestito di blu sembrava quello messo meno peggio.
<< Come mai
vengono spesso qui? >> chiese Irina, gridando per sovrastare un boato che
provenne dalle sue spalle.
<< Amano
questo genere di sport >> rispose Dan, facendo spallucce, << E scommettono. E’ la loro principale attività, dopo le corse
clandestine e la droga… >>.
Irina guardò i due russi
che combattevano, uno dei quali stava per stramazzare al suolo. Distolse lo
sguardo, infastidita da quella violenza che le sembrava particolarmente
stupida. Cosa ci trovavano di divertente, era un mistero.
<< Hai visto
Dimitri? >> domandò, per cambiare argomento.
<< No, ma
sarà qui in giro. Non siete venuti insieme? >>. Dan sembrava poco
interessato.
<< No
>>.
Dall’altoparlante venne annunciato il nome del vincitore dell’incontro, e
Irina si arrischiò a guardare: il russo più grosso, quello in calzoncini blu,
aveva vinto, come le era parso prima. L’altro era steso al suolo, forse
svenuto. L’arbitro lo stava schiaffeggiando.
<< E’ boxe?
>> domandò, rivolta a Dan.
<< No, è più
simile alla Kickboxing >> rispose l’italiano, << Non so dirti
esattamente cosa sia, perché credo che se lo siano inventati qui… Praticamente non ci sono regole, se non che sono vietati
colpi all’inguine. Per il resto, vale tutto: pugni, calci, prese. Vince chi non
molla >>.
“Proprio nel loro stile…”.
<< Ma sono tutti così violenti, qui? >> chiese Irina,
impressionata. A giudicare da quello che aveva detto, ci si poteva benissimo
rimettere le penne.
<< Sono russi
>> ribattè solo Dan, come se quello spiegasse
tutto, <<
Ah, ecco Nikodim… >>.
Nikodim si stava
avvicinando attorniato da Yulian e Radim, i due cugini di Dimitri, l’espressione piuttosto
infastidita. Era stato costretto ad ammetterla tra loro, alla fine, e la cosa
chiaramente non gli faceva piacere.
Si sedette senza
nemmeno salutarla nella fila di fronte alla sua, mentre gli altri due le fecero
un cenno abbastanza amichevole per i loro standard, ma non aggiunsero altro.
Nel frattempo, un
signore stava ripulendo il ring, in preparazione dell’incontro seguente. Fecero
in tempo ad arrivare anche Ivan, Kazimir e Gavriil. Poi giunse Boris, accompagnato da una ragazza
giovane e carina, e infine Emilian, lo sfregiato, che
si sedette defilato in prima fila.
<< Guardiamo
l’incontro e poi andiamo di sopra >> fu il commento di Nikodim, rivolto soprattutto a lei.
Irina annuì,
chiedendosi perché mai dovessero assistere a quella cosa, visto
che il russo sembrava farne a meno. Rimase zitta, in attesa.
<< Avete
scommesso? >> chiese Ivan all’improvviso, rivolto un po’ a tutti quanti,
mentre trafficava nelle tasche dei pantaloni.
<< Non ha
senso… >> rispose Yulian, incrociando le
braccia, << Sai già che Jusalov perderà… E poi
le quotazioni sono basse >>.
<< Ma è un po’ che non combatte, magari… >> borbottò
Ivan, dubbioso. Forse si era pentito della sua scommessa.
Yulian fece per dirgli
qualcosa, ma Irina venne distratta dalla voce dello
speaker che annunciava i due nuovi contendenti. Non riuscì a distinguere niente
tra le parole in russo, tranne il nome del primo sfidante: un certo Donat Jusalov, che fece il suo
ingresso con aria trionfale dal fondo della sala, un accappatoio scuro addosso,
i guantoni rossi a fasciargli le mani e il naso che doveva essere stato rotto decisamente troppe volte, vista la sua forma irregolare. Al
suo fianco lo seguiva quello che doveva essere il suo allenatore, un uomo basso
e tarchiato vestito in giacca e cravatta.
<< Sono
professionisti? >> bisbigliò Irina, rivolta a Dan.
<< Alcuni di
loro sì >> rispose l’italiano, << Ma la
maggior parte è gente che ha un minimo di allenamento e tanta voglia di fare a
botte… >>.
<< … Se sa
che gli hai puntato contro, ti ammazza… >> sentì dire Yulian,
divertito.
Jusalov raggiunse il ring,
ci salì sopra e alzò i pugni, scatenando la folla che gridò e applaudì più
forte. Ci fu qualche istante tutto dedicato a lui, poi i riflettori si accesero
nuovamente sull’ingresso, per illuminare il secondo contendente.
Irina rimase di
sasso, quando si accorse di chi si trattava, e non poteva sbagliarsi perché lo
speaker aveva pronunciato forte e chiaro il suo nome.
Dimitri,
l’accappatoio nero a nascondere le sue cicatrici, avanzò solo, a passo rapido e
lo sguardo basso di chi è infastidito da tutte quelle cerimonie, come se avesse
decisamente evitato quell’ingresso trionfale. Portava
i guantoni appesi al collo, e la sua espressione era talmente feroce che
avrebbe spaventato chiunque.
Dapprima la gente
sembrò stupita quanto lei, infatti per un paio di
secondi regnò il silenzio più assoluto, poi una parte del pubblico, tra cui
tutti quelli che le stavano intorno, scoppiò in un boato fragoroso,
assordandola.
Dimitri salì
agilmente sul ring, senza degnare di uno sguardo il suo avversario, che
sembrava poco intimorito da lui, e si tolse l’accappatoio, mettendo in mostra
le decine di cicatrici che gli sfregiavano il busto. Anche lui portava dei
calzoncini, neri come l’accappatoio, e sembrava essere in forma, a giudicare
dai muscoli ben allenati. Emilian lo raggiunse e
parlò per qualche istante con lui, come una sorta di allenatore mancato.
Solo in quel momento
Irina si riprese dalla sorpresa.
<< Ma cosa fa?! >> gridò, allarmata,
guardandolo prendere confidenza con i guantoni. Qualcuno le rivolse un’occhiata
perplessa.
<< Combatte
>> fu la risposta divertita di Gavriil.
Irina fissò prima Jusalov, alto, grosso come un toro e dall’aria davvero
assassina; poi guardò Dimitri, muscoloso, gelido come il ghiaccio, e pieno di
quelle assurde cicatrici che chissà come si era procurato… E il primo pensiero
che le venne in mente fu che quel russo lo avrebbe fatto a pezzi.
<< Bisogna
fermarlo! >> gridò, saltando in piedi.
Dan la afferrò per
un braccio. << Dove vuoi andare?! >>.
<< Quello lo
ammazza! >> esalò Irina, sventolando la mano, << Lasciate che lo
riduca a pezzi?! >>.
Nikodim si voltò verso di
lei, stizzito, mentre gli altri si limitavano a guardarla divertiti o
distaccati.
<< Se ti
avvicini a quel ring, è lui che ammazza te >> sibilò, gelido.
Irina rimase ferma,
in piedi, e vide Dimitri gettare una rapida occhiata dalla loro parte. I loro
sguardi si incrociarono per una frazione di secondo,
abbastanza per farle notare il fastidio negli occhi del russo.
<< Ma… >> mormorò.
Dan la tirò a
sedere.
<< Guarda che
non è certo la prima volta che combatte >> disse, e sembrava molto
divertito, << Non si farà ammazzare, se è questo che temi >>.
Irina rimase zitta,
senza sapere bene come comportarsi. Non poteva non ammetterlo: era un po’
preoccupata per quello che stava per succedere, anche se si trattava di
Dimitri, il russo che fino a quel momento l’aveva mal
sopportata. Non poteva certo definirlo simpatico o gentile, ma era da stupidi
farsi del male in quel modo, senza un motivo, e a lei la cosa non piaceva affatto.
Improvvisamente
però capì perché William aveva sempre usato Dimitri come il suo “persuasore” personale.
<< Non ti intromettere negli affari di Dimitri, se non vuoi passare
dei guai con lui >> disse Dan, ora serio, << E soprattutto, non
dirgli mai cosa deve fare >>.
Irina tornò a
guardare il ring, mentre i due russi si fissavano in cagnesco, pronti a darsele
di santa ragione. Sentì una stretta allo stomaco, una strana apprensione
salirle addosso…
“Lo so, è insopportabile, freddo e distaccato, ma mi
dispiacerebbe se gli accadesse qualcosa… In fondo, mi ha pur sempre salvato la
vita, due anni fa”.
Già…
Improvvisamente ricordò che era anche per merito di Dimitri se si trovava lì,
viva e vegeta, e a rischiare consapevolmente la vita per portare a termine una
missione… Durante la loro convivenza non ci aveva mai pensato, lo aveva sempre
guardato con sospetto, pensando che da un momento all’altro potesse tradirla…
Per un attimo si
sentì un’ingrata, ma poi si riprese. In fondo, aveva rispettato i suoi spazi e
aveva sopportato le sue frecciatine… Che altro poteva fare? Grazie glielo aveva
già detto…
<< Spero solo
che non si faccia male… >> mormorò, e Dan le gettò una strana occhiata.
Forse era da lì che arrivavano le sue cicatrici…
Suonò l’inizio del
primo round, e Irina sentì la morsa allo stomaco crescere: non era pronta per
vedere Dimitri e quell’altro Jusalov farsi
violentemente a pezzettini. Ma non potevano scegliersi
un altro sport?
I due russi si
fronteggiarono in silenzio, un ghigno dipinto sul volto di Jusalov,
una maschera di ghiaccio quello di Dimitri. Stavano in posizione di difesa, i
pugni alzati, le spalle raccolte.
“Qui sono tutti fuori di testa…”.
Fu Jusalov a cominciare, mirando un dritto
allo stomaco di Dimitri, che il russo schivò con facilità; poi passò a una
serie di colpi in rapida successione, senza riuscire a prenderlo.
I due si
scambiarono qualche parola, e dal tono sembrava che Jusalov
lo stesse provocando. Dimitri lo ignorò, però fece una
smorfia come divertito: forse considerava tutto patetico.
Infatti, senza che
Irina lo prevedesse, lo prese dritto dritto nello stomaco, strappandogli un gemito e facendolo
piegare in due; rimase a guardare la sua faccia, invitandolo a parlare ancora.
A quel punto, Jusalov si scatenò come un vero e proprio toro alla vista
di un drappo rosso. Iniziò a menate colpi a destra e sinistra, con una forza
degna davvero di un animale, saltando addosso a Dimitri come una furia.
Irina si morse il
labbro di fronte alla scena, sussultando quando vide che Dimitri era stato
preso in piena faccia, abbastanza forte da rompergli la mandibola. Il russo si liberò
della stretta in cui era stato intrappolato e si riservò un momento per
stiracchiarsi il collo.
All’improvviso, sul
volto dell’ex Mastino si disegnò un’espressione che Irina non gli aveva mai
visto: un vero e proprio ghigno, gelido ma divertito.
Un attimo dopo,
erano di nuovo l’uno addosso all’altro, mentre iniziavano a volare anche calci
ad altezza delle gambe. Irina iniziò a sentire lo stomaco ormai chiuso in una
morsa di ferro, e la voglia matta di andare la e dividerli. Solo che aveva
capito che se si fosse azzardata a farlo, Dimitri avrebbe provveduto
a cercare una tomba adatta…
<< Lo
ammazza… Lo ammazza… >> mormorò di nuovo, vedendo il naso di Dimitri
perdere sangue, esattamente come quello di Jusalov. A
giudicare dalle grida di divertimento della folla, era l’unica che vedeva la
drammaticità della scena.
<< No che non
lo ammazza >> la rassicurò Dan, con una punta di divertimento, <<
Davvero non lo conosci… Stai tranquilla, lo ritrovi
tutto intero >>.
Di fronte al destro
che Dimitri si beccò in pieno stomaco, Irina ebbe qualche dubbio. Cercò di
pensare che in fondo si trattava di uno stupido incontro di
arti marziali, che nessuno avrebbe ammazzato nessun’altro, ma le venne da
distogliere lo sguardo. Provò una fitta piuttosto dolorosa, di fronte al sangue
che colava dal naso di Dimitri.
<< Quando
hanno finito, dimmelo >> borbottò, rivolta a Dan.
<< Ok
>> sghignazzò lui.
Fissò il pavimento
ai suoi piedi, cercando di distrarsi, anche se con la gente che esultava di fianco era difficile.
“Devo pensare a qualcosa… Qualcosa… Xander!
Dov’è, cosa starà facendo, starà bene?”. Assurdamente, non
riuscì a rincuorarsi, anzi: la stretta allo stomaco si rafforzò ancora di più,
come se avesse un brutto presentimento anche su di lui… “Uno si fa ammazzare da questa parte a suon di botte, e l’altro su
un’auto in mezzo ad una gara clandestina… Cavolo, dovrei esserci abituata, a
queste cose!”.
Alla fine si decise
a guardare, perché la folla stava gridando estasiata, e molto probabilmente uno
dei due se la stava vedendo davvero brutta.
Con sollievo, notò
che Jusalov era inginocchiato a terra, tenendosi lo
stomaco, Dimitri ancora in piedi a guardarlo contorcersi dal dolore…
“Forse hanno finito”.
Con uno scatto,
però, Jusalov si tolse un guantone gettandolo di
lato, e afferrò Dimitri per una caviglia, riuscendo a tirarlo a terra con
violenza e gettandosi sopra di lui. Irina si morse di nuovo il labbro, mentre
la folla gridava.
<< Ma non vale! >> sbottò lei, preoccupata, << E’
senza un guanto… >>.
<< Te l’ho detto,
vale tutto >> disse Dan, << Anche questo
>>.
Avvinghiato sotto
il corpo di Jusalov, Dimitri si sfilò anche lui i
guanti e con una forza inaudita alzò il russo, buttandolo di lato. Poi gli
rifilò una gomitata nello stomaco, facendolo piegare per il dolore, e infine lo
afferrò per il collo, tenendolo fermo in ginocchio.
Rimasero qualche
secondo in quella posizione, poi Jusalov alzò una
mano per fare cenno di essersi arreso. L’arbitro fischiò la fine dell’incontro,
e Dimitri lo lasciò andare, allontanandosi rapidamente da lui. Senza celebrare la
sua vittoria scese dal ring a testa bassa e se ne andò, mentre la folla del
settore di Irina applaudiva sonoramente.
<< Te l’ho
detto che vinceva… >> disse Yulian,
mentre lei si alzava di nuovo per vedere dove andava il Mastino, ora più
tranquilla.
Se McDonall avesse saputo quello che aveva appena fatto, non
ne sarebbe stato contento: Dimitri non era autorizzato a prendere parte a quel
genere di incontri, soprattutto senza avvertire, e non
era nemmeno autorizzato a mettere in pericolo la sua vita in cose così stupide.
Il fastidio prese il posto dell’apprensione, e Irina si arrabbiò. Non
poteva comportarsi così, fare sempre quello che voleva senza discuterne con lei
o almeno avvertirla, e poi pretendere che si comportasse da brava bambina,
senza combinare casini. Ok, conosceva la zona, conosceva
la gente, ma questo non gli permetteva di infischiarsene altamente di quello
che pensava lei, o ancora peggio di quello che voleva. Fino a prova contraria,
era lei la titolare della missione, e questo presupponeva che Dimitri
rispondesse ai suoi ordini. Forse era il caso di mettere in chiaro le cose una volta per tutte. Il limite piuttosto elevato della sua
pazienza era stato superato.
<< Devo
andargli a parlare >> borbottò, attraversando la sala mentre veniva preparato l’incontro seguente. Fece finta di non
sentire Dan che gli chiedeva cosa volesse fare e percorse la strada che aveva
fatto Dimitri, all’incontrario, per arrivare in un
lungo corridoio sul quale si aprivano numerose porte, quasi deserto, che
sembrava quello di un dietro le quinte televisivo stranamente vuoto.
C’era una sola
persona a controllare, un uomo tarchiato vestito in
uniforme blu, così la raggiunse e domandò: << Sto cercando Dimitri Goryalef, dov’è? >>. Non gli interessava se sapeva o meno parlare inglese, in quel momento.
L’uomo le rivolse
un’occhiata stranita, poi rispose inciampando nelle parole: << Ultima
porta, in fondo >>. Indicò con il dito.
Irina annuì e la
raggiunse, a passi rapidi. Non si rese nemmeno conto di essere negli “spogliatoi”
dei concorrenti al ring.
“Adesso mi sente, non può comportarsi in questo modo da
irresponsabile…”.
Spalancò la porta
senza tanti complimenti, sorprendendo Dimitri di spalle allo specchio, ancora
in calzoncini da combattimento, l’asciugamano sulle spalle macchiato di rosso.
Stava esaminando una brutta abrasione che aveva sul fianco, ma
appena la vide entrare distolse lo sguardo e lo puntò su di lei, gli occhi
grigi spalancati.
<< Tu!
>> gridò Irina, puntando il dito contro di lui, inviperita, << Sei
impazzito, per caso? Cosa ti salta in mente di metterti a fare a botte su un
ring, per di più senza avvertirmi? Ti sembra discrezione, questa, eh? >>.
La faccia di
Dimitri passò dal gelido al furioso nel giro di un attimo. Qualunque cosa avesse
detto, lo aveva appena fatto arrabbiare sul serio.
<< ‘Sta zitta, cazzo >> ringhiò, sbattendo violentemente
la porta che lei aveva lasciato aperta, << Chi ti ha autorizzato a
entrare qui dentro? Vattene immediatamente >>. Il suo tono non sembrava
ammettere repliche.
<< No che non
me ne vado >> sbraitò Irina, fregandosene altamente di avere appena
violato la sua privacy, e persino della sua occhiata assassina, << Hai
altre sorprese da farmi, oltre a questa? Devo aspettarmi che entri anche a far
parte di un commando per far fuori qualcuno, eh? So
benissimo che mi nascondi qualcosa, e qualunque cosa sia la voglio sapere,
adesso >>.
La faccia di
Dimitri sembrò virare quasi al divertito, di fronte al suo tono risoluto. Le
gettò un’occhiata dall’alto in basso, poi ringhiò: << Esci di qui
>>.
<< No
>>.
Irina pronunciò
quella parola con il tono secco, duro, ma sapeva benissimo che se Dimitri
voleva poteva prenderla, accartocciarla come un sacchetto di patatine e
sbatterla fuori dalla stanza in un batter d’occhio; e dalla sua faccia,
sembrava pronto e decisamente desideroso di farlo.
<< Cosa credi che ti stia nascondendo? >> domandò lui,
forse per distrarla prima di accartocciarla per davvero. Si tolse l’asciugamano
dalle spalle e lo brandì come una mezza arma.
<< Con chi ti
sei incontrato l’altra volta, quando ti sei recato al cimitero? >> chiese
Irina, secca, tenendolo d’occhio per essere pronta a
darsela a gambe.
Dimitri non cambiò
espressione, come se sapesse già che era riuscita a scoprire dove era andato.
<< Non ho
incontrato nessuno >> rispose, neutro.
<< Allora
cosa ci sei andato a fare? >>.
<< Penso di
avere il diritto di visitare i miei morti, non credi? >> fu la risposta
gelida di Dimitri, << O ritieni che questo
privilegio sia riservato solo a te? >>.
Nella voce del
russo Irina colse solo profonda rabbia, e non dolore, a dispetto di quanto
chiunque si sarebbe atteso. Parlando di “miei morti” si riferiva chiaramente a
persone che facevano parte della sua famiglia.
<< Chi era il
tipo della Subaru, l’altra sera? >> chiese lei, cambiando argomento visto che aveva ottenuto una risposta all’altro, << Lo
sai, immagino >>.
Dimitri fece una
smorfia. << Molto probabilmente Vladimir, o uno dei suoi amici >>
rispose.
<< Perché c’è l’ha con te? >>.
<<
Semplicemente perché io ce l’ho con lui >>.
Irina rimase
interdetta, fissando la faccia di Dimitri: doveva essere davvero furioso,
perché la vena sul suo collo pulsava visibilmente, quasi fino a farle
impressione. Ma non poteva mollare ora che era
talmente arrabbiata da riuscire a estorcergli qualcosa e forse a fargli capire
che faceva davvero sul serio.
<< E perché?
>>.
<< Non sono
fatti tuoi >>.
<< Sono io
che comando in questa missione, quindi rispondi alla mia domanda >>.
Dimitri inarcò un
sopracciglio, e Irina si stupì di tutto quel coraggio da parte sua. Osava dargli degli ordini… Qualcuno che ci aveva provato era mai
sopravvissuto, per raccontarlo?
<< Non
accetto ordini da nessuno, Fenice >> ringhiò.
<< Allora ti
faccio rispedire in carcere, visto che sembra che tu
non sia particolarmente felice di stare qui >> ribatté Irina, sentendosi
sempre più irritata per il suo comportamento.
<< Fallo. Non
ho nessun problema. Tanto posso comunque riuscire a
fuggire >>.
Irina si trattenne
dal pestare i piedi per terra come una bambina, arrabbiata. La voleva sempre
vinta lui…
<< Perché non
ne vuoi parlare? >> chiese all’improvviso, un po’ meno irritata. Era inutile
sbraitargli addosso, lo sapeva, e forse calmandosi avrebbe ottenuto qualcosa in
più.
<< Perché non
serve che tu sappia >> rispose Dimitri, voltandosi di spalle e mettendo
in mostra le cicatrici, << E sapere non farà altro che farti
cacciare nei guai, coinvolgendo anche me. Ti ho già detto che non centra niente
con la missione, quindi puoi anche fare a meno di sapere >>. La guardò
dallo specchio, gli occhi di ghiaccio.
<< Qui
sembrano sapere tutti, tranne me >> ribatté Irina, esasperata, <<
Tutti ti conoscono, ti rispettano… Sanno quello che
stai nascondendo a me. Chi diavolo sei veramente?
>>.
Dimitri rimase in
silenzio per qualche momento, fissandola. Poi fece una smorfia e disse:
<< E’ questo che ti interessa veramente? Vuoi
sapere chi sono io per davvero? Non capisco come possa interessarti, visto che
ai tempi di Challagher mi evitavi il più possibile
>>. Sembrava rimpiangere la cosa.
<< Devo
riuscire a fidarmi un minimo di te >> fu la risposta di Irina, e in effetti si trattava della verità.
<< Allora non
è necessario che tu sappia >> rispose Dimitri, << Se ho detto che
non vi tradirò, non lo farò, di questo stanne certa. E smettila di provocarmi,
perché se la gente mi rispetta è perché sono uno che
non ha paura di rimettere al suo posto la gente, chiaro? >>. Altro
sguardo assassino.
Irina rispose con
un’occhiata di fuoco.
<< E io non sono una che ama farsi gli affari degli altri, se
non è strettamente necessario >> ribatté, mettendo in chiaro che non lo
faceva per rompergli le scatole.
<< Potrebbe
anche essere una dote, la tua >> commentò acido Dimitri, gettandosi di
nuovo l’asciugamano macchiato di sangue sulle spalle.
Irina rimase a
guardarlo mentre lui tirava fuori da un cassetto un paio di forbici e un
flacone che doveva contenere del disinfettante o qualcosa di simile, silenziosa.
Si rese conto che questa volta non aveva avuto paura di Dimitri, nonostante avesse osato rispondergli male e avesse rischiato di farsi
veramente buttare fuori come un sacco di patate. C’era qualcosa in lui, in quel
momento, che smise di intimidirla: forse era il fatto che
ormai avevano bisticciato, e peggio di così non poteva andare, oppure era il
sangue che vedeva colare dalla sua ferita che glielo mostrava più umano di
quanto lo avesse mai visto.
<< E’ facendo
questi stupidi combattimenti che ti sei procurato
tutte quelle cicatrici? >> chiese, il tono basso.
<< I pugni
non lasciano cicatrici… >> rispose Dimitri, gettandole un’occhiata carica
di disprezzo, << Hai mai imparato che prima di entrare in una stanza
bisogna bussare? Alla terza volta non sarò così paziente, chiaro? >>.
Irina lo guardò
voltarsi di nuovo verso lo specchio, cercando di esaminare lo sbrego sulla
schiena. Non era semplice, perché era un punto difficile da raggiungere con le
mani, e doveva sicuramente almeno essere disinfettato. Per una frazione di
millesimo di secondo, Irina si ritrovò a pensare che gli
faceva quasi, ma solo quasi, tenerezza: non le avrebbe mai chiesto
aiuto, nemmeno se ne fosse andato della sua stessa vita.
<< Vuoi che
ti dia una mano? >> domandò lei, seria.
Dimitri la guardò.
<< No >> rispose, << L’unica mano che puoi darmi è uscire di qui e smettere di comportarti come la mia stupida e
infantile ragazza… Che bisogno c’era di alzarsi in mezzo al pubblico e fare
tutto quel casino? Non sei in grado di stare zitta e buona per una volta?
>>.
Irina si ritrovò ad
arrossire, ma riuscì a mascherare subito tutto di fronte al tono strafottente
di Dimitri. Forse aveva esagerato, ma non era il caso di essere così duro con
lei, visto che non aveva fatto niente di male.
<< Uno dei
miei difetti è preoccuparmi per la gente che sta intorno a me >> ribatté
acida, << Scusami se ho macchiato il tuo onore standoti troppo vicino. Provvederò a camminarti a due metri di distanza, da oggi in
poi >>.
<< Ecco,
finalmente hai capito >> fu la risposta seccata di Dimitri, prima che lei
si sbattesse la porta alle spalle, arrabbiata, lasciandolo finalmente solo.
Spazio Autrice
Prima di tutto,
chiedo scusa per il mostruoso e imperdonabile ritardo con cui posto questo
capitolo: avevo promesso che, appena tornata, avrei fatto il possibile per
aggiornare, ma come potete vedere ci ho messo più
tempo di quanto immagino voi abbiate potuto tollerare. La verità è che il mio
rientro è stato più traumatico di quanto avessi pensato… Ma non penso vi interessi conoscere i miei successi e insuccessi
universitari, della vita, familiari e psicologici, quindi andiamo oltre. In
poche parole, credo di aver avuto una sorta di attacco acuto di depressione
post vacanza-esami-sfighe varie che mi ha tolto tutto, anche la voglia di scrivere. Non sono una
che si auto commisera, quindi se sono arrivata quasi al punto di mollare tutto
(anche questa storia), significa che ho proprio toccato il fondo… Sempre che
esista.
Detto questo,
perdonatemi il ritardo e tutto il resto. Cercherò di essere un po’ più regolare
negli aggiornamenti, visto che almeno voi lettori mi
date qualche soddisfazione.
[Intermezzo di quattro giorni…]
Bene, le righe di sopra risalgono a qualche
giorno fa, e da allora mi sono ripresa un po’, quindi non vi preoccupate per
me: non commetterò nessun suicidio spettacolare ma soprattutto non lascerò
opere incompiute che pubblicate postume potrebbero
fruttare un sacco di soldi a qualcuno, e io vorrei usufruirne, mi sembra
logico. A parte sparate varie, sappiate che avrei dovuto terminare venerdì, ma
un’ulteriore catastrofe si è abbattuta su di me (anzi,
su mia sorella), e che vista adesso risulta comica. Avete presente la classica
passeggiata in bicicletta, magari in uno di quei parchi verdi pieni di sentieri
(nel mio caso, la Mandria, che chi ha letto “Nel segno della Chimera” conosce)?
Bene, il tutto si è trasformato in tragedia con tanto di corsa (mia…) che ha
frantumato tutti i record del tragitto Mandria-casa
per recuperare la macchina, a cui è seguita una visita
al vicino pronto soccorso e attesa di tre ore per mettere due punti su un
ginocchio (a mia sorella…), a cui pensavo stessero direttamente cambiando gamba…
In ogni caso, niente di grave, ma purtroppo ho dovuto ritardare fino ad oggi.
Bene, ora commentiamo che è meglio. Ok,
come capitolo non credo ci sia gran che, ma vorrei sottolineare
il rapporto che si sta venendo a creare tra Irina e Dimitri, ma soprattutto il
comportamento del russo. C’è una spiegazione a tutto, soprattutto al fatto che
si comporta da bastardo. Se in questo lungo periodo di pausa ci avete pensato,
illustratemi le vostre teorie.
Poi, tenete d’occhio anche Xander… A proposito, secondo voi aveva ragione Nina,
parlando del cambio d’auto? Orgoglio, o semplice necessità? Eh eh…
William tornerà nel prossimo capitolo, a cui inizierò a lavorare stasera e spero di non impiegare
troppo a scrivere.
Un bacio a tutti voi!
Lhea