Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Lhea    19/07/2010    3 recensioni
[Seguito de “Il gioco dello Scorpione”]
Sono passati due anni da quando lo Scorpione è finito dietro le sbarre, due anni da quando Irina è tornata a essere una ragazza normale e due anni da quando tutto nella sua vita ha iniziato a prendere la giusta piega… Ma si sa che il passato è sempre difficile da dimenticare, e lei lo sa meglio di tutti.
Il passato si può nascondere, si può rinnegare, si può anche cercare di dimenticarlo, ma non si può cancellare. Perché rimane lì, a ricordarti ciò che sei stata e ciò che sei diventata; rimane lì a farti capire cosa hai perso e cosa hai guadagnato… Il passato torna. E quando torna, un motivo c’è sempre.
E se all’improvviso Fenice tornasse? E se all’improvviso se le venisse offerta la possibilità di correre ancora per una giusta causa, di passare dalla parte “giusta” e coniugare due cose che non aveva mai pensato di poter riunire? E se all’improvviso si rendesse conto che alla fine il suo passato non lo hai mai dimenticato, che ha sempre vissuto all’ombra di ciò che era stata?
Questa volta Irina deve fare una scelta che può cambiare definitivamente il suo mondo, il suo modo di vedere e di vivere… Una scelta che la dividerà da tutto e da tutti, e che sarà la sua unica possibilità per lasciarsi veramente il suo passato alle spalle. Per poi scoprire che in due anni molte cose cambiano, comprese le persone che hanno fatto parte della sua vita.
Questa volta, il passato torna per sconvolgere tutti, per dimostrare che si cade e ci si rialza; per dimostrare che si perde e si vince; per dimostrare che il bene e il male sono solo due visioni relative… Per dimostrare che alle volte le parti si invertono, e ti mostrano quello che veramente c’è da vedere.
[Nota dell’autrice: lasciatemelo dire: questo non sarà il solito seguito. Se torno, torno per stupirvi… E’ una promessa]
POSTATO ULTIMO CAP + EPILOGO
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il Gioco dello Scorpione'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo XV

Capitolo XV

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 – San Pietroburgo

 

<< Quindi lei vorrebbe un’altra auto? >> chiese Demidoff, dall’altra parte del telefono, lievemente stizzito. Non era una domanda, piuttosto una constatazione poco amichevole.

 

Xander spense il televisore, facendo piombare l’appartamento freddo e spoglio nel silenzio. La lama di luce che filtrava dalla finestra illuminava la cucina rendendola stranamente sinistra, così vuota e anonima. Si mise più comodo sulla sedia traballante e guardò fisso il muro, come se avesse il russo davanti.

 

<< Sì, voglio un’altra auto >> ribatté, << Non posso andare in giro con una Scirocco, per di più con un vetro rotto… Se devo farmi notare, ho bisogno di un’altra macchina >>.

 

Demidoff sembrò ghignare, quasi avesse a che fare con un bambino capriccioso. << E cosa vorrebbe? >>.

 

<< Quello che potete darmi >> rispose Xander, << Avevo chiesto una Ferrari, ma non mi è stata fornita. Se non posso avere quella, mi va bene un’altra auto, basta che non sia un’utilitaria qualsiasi… >>. C’erano un sacco di macchine che potevano fare al caso suo, e nemmeno troppo costose: non gli sembrava di chiedere troppo.

 

<< Per quando le serve? >> domandò Demidoff, e questa volta gli sembrò serio.

 

<< Per stasera >> rispose Xander.

 

Ci fu un attimo di silenzio, poi il russo disse, divertito: << Ah, Went… Per stasera. Mi dica, agente, ha altre richieste? Non si è chiesto perché le abbiamo dato un’utilitaria poco appariscente, come la definisce lei? >>.

 

Xander arricciò il labbro: non era uno stupido, sapeva qual’era il piano e come funzionavano le cose. Forse non era un veterano dell’F.B.I., ma in quel campo poteva vantare una certa esperienza.

 

<< So che non devo dare troppo nell’occhio, ma in questo caso le cose sono diverse >> rispose, cercando di non sembrare troppo piccato, << Non mi prenderanno mai sul serio se arrivo con una Scirocco in allestimento base e con il finestrino sfondato, non le pare? Oltretutto, anche con quella che voi considerate un’auto “discreta sono già stato oggetto di minaccia… Mi considerano già pericoloso così, è chiaro. Che differenza fa che auto io abbia? >>.

 

<< Lei non conosce il campo, agente Went >> commentò Demidoff, una nota infuriata nella voce, << Non sa come pensano, come la stanno valutando… >>.

 

Xander si sentì punto sul vivo. << Se hanno mandato me, un motivo c’è >> ribatté, << Sono uno dei migliori agenti specializzati in questo campo, e so esattamente come pensano i piloti clandestini, non fa differenza di dove sono. Devono capire che sto facendo sul serio, che non sono un pivellino, e mi serve un’altra auto… Sono io che devo portare a termine la missione, e mi sembra di essere in grado di capire cosa devo fare >>.

 

Sin dalla prima volta che lo aveva visto, Demidoff non gli era stato particolarmente simpatico, ma ora capiva che viaggiavano anche su due onde completamente diverse: il piano dei russi era quello di fare tutto con discrezione, di non dare nell’occhio e agire di soppiatto, mentre la sua era quella di “prendere il toro per le corna” e sbattere tutti dentro in men che non si dica. Aveva sempre agito in quel modo e aveva sempre avuto ragione: non ci stava a farsi riprendere come un bambino da un russo a cui non doveva nemmeno rispondere.

 

<< D’accordo, agente Went, se vuole un’altra auto, la avrà >> concluse Demidoff, << Raggiunga Sokolòva ai nostri uffici e si faccia dare la sua auto… Ma mi lasci dire che ha commesso un errore >>.

 

<< Quale? >> fece Xander, sperando che non gli desse modo di perdere di nuovo la pazienza.

 

<< Non è lei che deve portare a termine questa missione >> rispose Demidoff, una punta di divertimento nella voce, << E’ l’agente Dwight che ha l’incarico principale di arrestare la Lince… Lei è superfluo, lo ricordi >>.

 

Xander rimase zitto, spiazzato. Che Demidoff avesse o meno ragione, odiava il fatto che si permetteva di parlargli in quel modo. Non era abituato a sentirsi dire di non essere necessario, e detto da un russo la cosa gli andava giù ancora di meno.

 

<< Vediamo se mi considererà superfluo quando le consegnerò la Lince su un piatto d’argento… >> ringhiò, chiudendo la telefonata.

 

Arrabbiato, gettò un rapido sguardo all’orologio e poi rimase a fissare la stanza vuota e spoglia. Qui russi non facevano altro che dargli fastidio, come se avessero preferito non averlo tra i piedi. Ora si rifiutavano anche di dargli un’altra auto…

 

Superfluo, lui… Ma quando mai era capitato? Era un esperto, nel suo campo, e i suoi piani non fallivano mai…

 

Improvvisamente però gli venne da sorridere, quando scoprì che era stato messo in diretta competizione con Irina. Era lei che doveva portare a termine la missione, sì, certo…

 

Sbuffò, ricordandosi improvvisamente che iniziava a mancarle davvero, e si alzò. Sperava che almeno ci fosse una nota positiva in quella storia, e che i russi gli dessero un’auto degna di quel nome, e non che Sokolòva gli riservasse una brutta sorpresa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 14.00 – Mosca

 

Irina fece rallentare la Punto in mezzo al grande garage sotterraneo illuminato dai neon, la luce che si rifletteva fastidiosamente sul liscio pavimento verdognolo e sulle lucide carrozzerie delle auto parcheggiate lì in intorno, in perfetto ordine e più numerose di quanto si era aspettata. Oltre che dalle linee stranamente inusuali.

 

Dan, in piedi vicino al muro, le indicò con la mano uno spazio lasciato vuoto vicino alla parete, vicino a un’innumerevole serie di strumenti da lavoro e di componenti per auto. Irina parcheggiò la Punto e scese, guardandosi intorno incuriosita.

 

Come aveva detto, Dan era un appassionato di auto italiane, ma non aveva creduto che nel suo garage contasse così tante macchine da far invidia persino a William, soprattutto in quanto a bellezza.

 

A poca distanza da lei, c’era quella che era una vecchia Fiat 500 bianca, di quelle che negli anni ’60 avevano rappresentato l’Italia in tutto il mondo. La riconobbe perché l’aveva giù vista in una foto in bianco e nero, ma dal vivo la trovò sorprendentemente simpatica, come se si trattasse di una persona che le veniva presentata e che trovava amichevole al primo sguardo. Era buffa in mezzo a tutte le altre auto super moderne e sportive, alcune delle quali lei non aveva mai nemmeno visto.

 

<< Scommetto che quella la conosci >> disse Dan, quasi orgoglioso, mostrando la 500 come se di trattasse di una Ferrari, << Fiat 500 del ’66, con gli interni addirittura in simil-pelle, una rarità. La sto restaurando, quando avrò finito sarà un capolavoro >>.

 

Irina si lasciò scappare un sorriso, osservando i fari tondi come due occhietti della macchina, e i baffi cromati sul muso davanti.

 

<< E poi c’è una Lancia Delta del ’90, quella con gli adesivi >> continuò Dan, sventolando la mano estasiato dalle sue stesse auto, << Una Alfa 147 modificata, una Ferrari 348 del ’93… L’ultima arrivata è quella, un’Alfa Romeo Mi.To, già pronta per correre >>.

 

Irina guardò le varie macchine, accorgendosi che avevano tutte una linea particolarmente gradevole. Gli italiani erano bravi in fatto di auto, soprattutto per quanto riguardava il desing… Poi ricordò che uno dei motivi per cui aveva scelto la Punto era proprio la bellezza.

 

<< Questo è il mio garage >> concluse Dan, allargando le braccia per mostrare tutte le macchine, << Che ne dici? >>.

 

Irina sorrise di nuovo, individuando la Grande Punto simile alla sua parcheggiata in fondo, il cofano aperto sul motore che sembrava ancora non essere stato modificato. A differenza della sua, però, la vernice era blu metallizzato e i fari leggermente bruniti. Molte parti erano ancora quelle originali, e forse a parte il nome non aveva nulla in comune con la sua Punto.

 

<< Bé, sono senza parole >> disse Irina, poi indicò la Fiat, << E’ quella l’auto di cui mi parlavi, vero? >>.

 

<< Sì >>, Dan si avviò verso la Punto, << Ma come vedi è ancora in fare di costruzione. Prenderò qualche spunto dalla tua, se mi dai il permesso di darle un’occhiata >>. Ammiccò amichevolmente.

 

<< Fai pure >> disse Irina, notando in mezzo alle altre un’auto particolare, che catturò la sua attenzione. Si avvicinò.

 

Era un’Alfa Romeo, color rosso rubino metallizzato, compatta, dalla linea fluente e originale, con i fari contornati da bordini cromati: una 8C Competizione, arrivata dritta dritta dall’Italia.

 

Irina ricordò di averla già vista su Internet, ma l’aveva sempre immaginata più grande: dal vivo era più piccola, meno imponente di quanto aveva creduto, però le trasmetteva un’incredibile sensazione di velocità e agilità. Cercò di guardare dentro, ma i vetri erano oscurati e non le permettevano di scorgere come fosse all’interno.

 

<< Alfa Romeo 8C Competizione >> disse Dan, notando il suo interesse, << Prodotta in soli 500 esemplari, esclusiva quanto una Ferrari, se non addirittura di più >>. Passò una mano sulla carrozzeria luccicante, gli occhi che brillavano: doveva essere una delle sue auto preferite.

 

<< Come te la sei procurata? >> chiese Irina, guardandolo stupita.

 

Dan si strinse nelle spalle. << L’ho trovata in uno spaccio di auto rubate >> rispose, << Così l’ho comprata. L’ho pagata anche poco: non la voleva nessuno… Se vuoi salire è aperta >>.

 

Irina aprì delicatamente la portiera dell’auto, infilandosi dentro. I morbidi sedili in pelle rossa erano avvolgenti, il logo impresso a caldo sul poggiatesta, il cruscotto in fibra di carbonio nero e con le spie colorate in quel momento spente; i bocchettoni dell’aria cromati e il volante a tre razze ricoperto anch’esso in pelle. Nel complesso, tutto sportivo al punto giusto.

 

Quell’auto le piacque subito: non era troppo grande, come potevano esserlo una Ferrari o Lamborghini, e le diede una sensazione immediata di padronanza, nonostante non l’avesse nemmeno accesa. Come facilità di guida doveva avvicinarsi molto alla Punto.

 

“Forse sarebbe un’ottima sostituta, in caso di bisogno…” pensò, poi aggiunse: Naaah, nessuna è come la mia Punto”.

 

Scese, guardando i cerchi in lega diamantati, poi cercò con lo sguardo Dan: aveva la testa infilata nel cofano della sua Grande Punto.

 

<< Ma che motore è, questo?! >> lo sentì esclamare, la voce stranamente soffocata, << Ecco perché riuscivi a superare i duecentocinquanta come niente… >>.

 

Irina si avvicinò, ricordando all’improvviso di non avergli mai detto che la sua Punto aveva il motore di una BMW…

 

<< Il mio meccanico ha dovuto farle una modifica un po’ particolare, qualche anno fa… >> spiegò lei, guardandolo mentre metteva le mani sulla scatola del turbo, << Sono rimaste delle componenti originali, ma il motore è quello di una M3… >>.

 

Dan fischiò. << Ahi, ahi… Per un purista come me, questo è un sacrilegio >> borbottò, << Non si può avere un’auto italiana con un motore tedesco. Però mi incuriosisce… Come mai questa modifica? >>.

 

Leggermente rabbuiata, Irina riportò alla mente ciò che era successo.

 

<< Ho avuto un incidente, e la macchina ne è uscita distrutta >> rispose, variando un po’ i fatti, << Ha preso fuoco, e il motore è andato perso… Mi serviva in fretta, così ho fatto montare il motore di un’altra macchina che avevo a disposizione in quel momento. Non potevo aspettare i ricambi >>.

 

Dan inarcò un sopracciglio. << E usare direttamente la M3? >> fece.

 

Irina sorrise. << Era una questione di principio… Volevo la mia auto >>.

 

Dan sembrò accettare la risposta, gettandole un’occhiata perplessa.

 

<< , come cosa non mi fa impazzire, però l’estetica non è male >> disse, tornando a guadare la Punto, << Prenderò spunto dalla tua, per modificare la mia… Vieni, ti spiego quello che devi fare per l’incarico che ti hanno dato. Meglio passare alle cose serie, altrimenti poi se la prendono con me  se arrivi in ritardo >>.

 

La condusse verso il bagagliaio della piccola 500, che poi non era altro che il cofano anteriore, come si usava una volta, e lo aprì. Tirò fuori un pacco rettangolare, avvolto in carta marrone e ben sigillato con del nastro adesivo.

 

<< Buraschenko vive in un bel palazzo nel centro della città >> spiegò Dan, << Ed è il nostro ministro dell’interno… Ma lasciamo stare i dettagli. Quello che devi fare tu è consegnargli questo, seguendo passo passo quello che ti dirò: la procedura è semplice, ma deve essere corretta, altrimenti la consegna non va a buon fine >>.

 

<< Ok, ti ascolto >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.00 – Mosca

 

Irina fermò la Punto esattamente dove Dan gli aveva indicato, lasciandola in un vicolo buio e vuoto, dove le era stato assicurato che nessuno l’avrebbe toccata. Afferrò la valigetta in cui era stato infilato il pacco di coca e scese dall’auto, gettando una rapida occhiata all’alto palazzo che si parava dall’altra parte della strada, nel pieno centro di Mosca.

 

Faceva molto freddo, come al solito, e il buio era già sceso per le vie della città. L’edificio a cui era diretta aveva l’aria di essere piuttosto lussuoso, con le balconate sorrette da sculture antiche e piccoli capitelli in marmo bianco, molto antichi. Le alte finestre, con pesanti tende pregiate, erano illuminate. A una era affacciato un uomo, che teneva gli occhi puntati su di lei, studiandola attentamente.

 

Rimase trenta secondi ferma sul ciglio della strada, come le aveva detto Dan, per permettere al tizio, che altri non era che una delle guardie del corpo di Buraschenko, di identificarla: doveva solo fare finta di telefonare al cellulare e passeggiare avanti e indietro per due volte, con un per un esatto numero di passi.

 

Irina prese il telefono, lo portò all’orecchio e poi tornò sui suoi passi; si voltò di scatto e ne fece altri tre, poi guardò dritto dritto verso la finestra: l’uomo la fissò ancora un istante, poi le fece un cenno con il capo. Era il segnale che poteva passare.

 

Chi faceva le consegne naturalmente non poteva passare dalla porta principale, dove c’era una coppia di poliziotti a fare sempre la guardia, ma doveva entrare da quella di servizio, collegata con la scala antincendio. Irina imboccò una piccola viuzza buia, al lato del palazzo, e raggiunse l’ingresso.

 

Una volta davanti ai battenti, Irina li trovò aperti. Si infilò dentro, e risalì rapidamente la scala metallica fino al terzo piano, sentendo solo i suoi passi rimbombare leggeri sulla lamiera, e il battito leggermente più rapido del solito del suo cuore. Anche se doveva essere una cosa facile, provava un minimo di apprensione.

 

Una volta sul pianerottolo, di fronte alla porta antipanico, si fermò e riprese fiato, il pacchetto ben stretto in mano. Poi bussò per quattro volte, a intervalli sempre più lunghi, e attese.

 

Poco dopo uscì il Ministro Buraschenko in persona, il completo blu scuro e l’espressione da politico navigato; dietro di lui intravide la guardia del corpo di prima, che la scrutava feroce, forse insospettito dal fatto che non era la solita persona a effettuare la consegna.

 

Buraschenko le rivolse un’occhiata poco più che incuriosita e Irina gli porse la valigetta, senza che si dicessero nulla come era stato stabilito. Il tutto doveva avvenire nel più completo silenzio, per evitare che la loro conversazione venisse registrata da qualche microspia nascosta, di cui né il politico né la sua guardia erano al corrente, messa lì dalla polizia con lo scopo di proteggerlo. Come se ne avesse bisogno…

 

Il russo aprì rapidamente la valigetta, controllò che ci fosse tutto, poi le passò una busta di carta bianca piuttosto pesante che conteneva il denaro. Irina non controllò se ci fosse tutto, perché Dan le aveva detto di non farlo: Buraschenko si sarebbe offeso e poteva credere che non fosse venuta da parte delle solite persone.

 

Il politico le rivolse un’altra occhiata, poi tornò da dove era arrivato insieme alla sua guardia, lasciandola sola per le scale, nel più completo silenzio.

 

, è stato più facile di quanto avrei immaginato. Nikodim voleva solo spaventarmi, allora”, pensò, mentre scendeva di sotto. Notò una videocamera di sorveglianza appesa al muro, ma sapeva che in quel momento era spenta: la guardia del corpo di Buraschenko la spegneva il tempo necessario per la consegna.

 

Risalì sulla Punto, ora molto più rilassata, e fece retromarcia. Mentre usciva lentamente da vicolo, per vedere se passava qualcuno, una Subaru Impreza nera le passò davanti a velocità sostenuta, sparendo subito dopo oltre l’angolo della strada, facendola tornare di nuovo deserta.

 

Irina rimase a fissare qualche istante il punto in cui era sparita l’auto, incuriosita. Quella era sicuramente la stessa Impreza che aveva visto la sera della sua gara: aveva le stesse strisce gialle sul cofano. Chissà cosa ci faceva da quelle parti…

 

Mentre ripercorreva la strada diretta al garage di Dan, per portargli i soldi, si chiese chi fosse il tipo che guidava la Subaru, e cosa avesse a che fare con Dimitri. Perché sicuramente il russo le nascondeva qualcosa anche su quella faccenda…

 

<< Visto, non è stato troppo difficile >> fece l’italiano, vedendola rientrare, << E’ filato tutto liscio come sempre. Stasera darò i soldi a Nikodim e vedremo se sarà soddisfatto… Ma da quello che ho capito, non gli sei molto simpatica, quindi non sarà particolarmente contento del risultato della tua missione >>. Ammiccò, divertito.

 

<< No… >> borbottò Irina, poi le venne in mente una cosa: aveva davanti qualcuno che sicuramente conosceva qualcosa in più su Dimitri, e che non era un russo. Forse avrebbe avuto la lingua più sciolta, visto che sembrava decisamente più amichevole…

 

 << Senti >> continuò, avvicinandosi, << Forse tu che sei di queste parti da diverso tempo, puoi aiutarmi a capire una cosa… Più che altro si tratta di una curiosità >>. Assunse un’aria noncurante, per fargli capire che la questione era si scarsa importanza per lei.

 

Dan la guardò interessato.

 

<< Dimmi >>.

 

<< Per caso sai qualcosa del passato di Dimitri? >> chiese Irina, appoggiandosi alla Punto e soppesando le parole, << Intendo dire: da quello che ho capito, deve guardarsi le spalle da qualcuno. Come mai? Ne sai niente? >>.

 

Dan assunse una strana espressione, come se in qualche modo si fosse già posto quella domanda.  << A dir la verità, non so molto di lui >> rispose, << Su questo aspetto, intendo. Quando sono arrivato da queste parti, qualche anno fa, lui viveva a Los Angeles… E qualsiasi cosa sia successa prima, nessuno dei russi che stanno qui è disposto a parlarne >>.

 

<< Perché? >> domandò Irina. Non gli sembrava che Dan stesse mentendo, e sembrava curioso quanto lei.

 

<< L’unico che può parlare del suo passato è Dimitri stesso >> rispose il ragazzo, << Rispettano una sua richiesta, da quello che ho capito. Lui non vuole che altri sappiano cosa è successo, o semplicemente ama essere riservato >>. Fece spallucce.

 

Irina rimase in silenzio, delusa. A quanto pare Dimitri non voleva proprio che il suo passato venisse a galla… Gettò un’altra occhiata a Dan, chiedendosi se stava mentendo… Poteva anche lui rispettare la richiesta del russo, di non parlare.

 

<< Ora voglio farti io una domanda >> la richiamò l’italiano, mostrando un sorriso. << Come sei riuscita a farti accettare da lui? Di solito non si accompagna mai con nessuna… La gente è più curiosa di sapere esattamente chi sei, che di quello che vuoi fare. Quando mai si è visto Dimitri con una ragazza al seguito? >>. Sembrava quasi lo stesse prendendo in giro.

 

<< Oh… >> Irina gli rivolse un’occhiata, leggermente imbarazzata, << , non c’è niente tra me e lui, se è questo che intendi… Ci conosciamo da molto tempo, visto che era il migliore amico di William: per questo mi tollera, altrimenti mi avrebbe già mandato a quel paese >>. Sorrise, anche pensando alla faccia di Xander se fosse stato presente.

 

Dan sembrò divertito. << Già… Dimenticavo che sei la donna di Challagher. Non credo che Dimitri si metterebbe mai contro l’unica persona con cui ha legato un minimo, in questi anni >>.

 

Irina si trattenne dal prodursi in una smorfia. “Mi sa che ti sbagli… Ti stupirebbe sapere che è anche merito suo se William è in carcere”.

 

<< Sembri conoscerlo molto bene, anche se non sai niente del suo passato… >> commentò lei, sempre con noncuranza. Forse poteva scoprire comunque qualcosa di interessante, indagando sulla personalità di Dimitri.

 

<< Tutti lo conoscono, qui >> disse Dan, << Sanno come è fatto: è un russo un po’ atipico, anche se non sembra. Molti dei suoi stessi connazionali non lo capiscono, ma nessuno osa giudicare quello che fa. E’ un pezzo di ghiaccio, ma credimi, il rispetto che gli portano se l’è meritato tutto >>.

 

L’ultima frase fece capire a Irina che Dan aveva mentito: in realtà, qualcosa sapeva, ma non era autorizzato a parlare. Forse temeva che Dimitri si vendicasse, e in effetti c’erano ampie possibilità che lo facesse, visto il tipo.

 

Gli rivolse un’occhiata, poi annuì e risalì in macchina, dubbiosa.

 

Più andava avanti, più il profilo di Dimitri si faceva confuso: quando sarebbe riuscita a cogliere qualcosa su di lui?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.00 – San Pietroburgo, Park Tikhiy

 

Xander fermò la Porsche Cayman blu che era riuscito a recuperare nel garage dei poliziotti russi nel bel mezzo di un piazzale gremito di gente imbacuccata e illuminata dalla fioca luce dei lampioni in ferro battuto di Park Tikhiy, senza che nessuno lo degnasse di un’occhiata. Diverse belle auto di lusso erano parcheggiate in disparte, vicine ai proprietari che fumavano tranquilli grossi sigari, e si rese conto che aveva fatto bene a insistere per cambiare la Scirocco: non avrebbe proprio fatto una bella figura…

 

Scese dalla macchina guardandosi intorno, per individuare qualche faccia conosciuta. Ermil non sembrava esserci, e nemmeno Nina.

 

<< Già qui, americano? >>.

 

Xander si voltò di scatto: non si era accorto che una Audi TT bianca si era appena fermata di fianco a lui, silenziosissima. Nina, avvolta nella sua vaporosa pelliccia immacolata, lo guardava sorridente, gli occhi azzurri che brillavano, i boccoli biondi adagiati sulle spalle.

 

Il fatto che la russa avesse una Audi TT lo colpì inspiegabilmente: la stessa auto di Irina, ma di un colore totalmente opposto. Nina l’aveva scelta bianca, vistosa, appariscente e, per così dire, “impegnativa”; Irina l’aveva preferita nera, più discreta, in linea con la sua intenzione di non voler farsi notare.

 

Sorrise, mentre nella sua testa si formava un pensiero: “Me lo sarei dovuto aspettare, che avesse qualcosa in comune con Irina”.

 

<< Perché stai sorridendo? >> domandò Nina, guardandolo e avvicinandosi. Xander riuscì a sentire il suo profumo dalle note speziate.

 

<< Niente… Notavo l’auto >> rispose lui, accennando alla TT, << Le ragazze che fanno parte di questi giri hanno gusti molto simili >>.

 

<< Perché? >> domandò Nina, senza capire.

 

<< Non è la prima TT che vedo >>.

 

Nina assunse un’espressione infastidita, come se scoprire che non era l’unica ad avere quel tipo di auto fosse sgradevole. Poi però tornò alla sua solita faccia angelica.

 

<< E io noto che hai cambiato macchina >> commentò, passando una mano sulla Cayman, << Sei come tutti gli uomini che conosco: orgoglioso. Piccato dal fatto che abbia giudicato la tua auto “ordinaria”, vero? >>. Ghignò, muovendosi intorno alla Porsche con fare aggraziato.

 

Xander non potè fare a meno di farsi scappare un sorriso: quella ragazza aveva il vizio di provocare la gente.

 

<< Non ho bisogno di dimostrare nulla, con la macchina che ho >> rispose lui, deciso a stare al gioco, << Potrei vincere anche con un macinino a pedali >>.

 

<< Ma quanto siamo sicuri di noi stessi… >> fece Nina, continuando a mostrare i suoi denti bianchissimi, girando intorno alla macchina ondeggiando, << Avanti, dimostrami cosa sai fare, americano. Se riesci a colpirmi, dopo ti porto in un posto che potrebbe piacerti… >>.

 

Nina si allontanò dandogli le spalle, ma non senza rivolgergli un’ultima occhiata abbastanza languida. Xander si allarmò: non è che aveva strane idee, per la testa?

 

Portò la mano al collo, dove teneva appesa la catenina che anni prima era stata di Irina, con il ciondolo a forma di quadrifoglio che avrebbe dovuto portarle fortuna, e a cui lui aveva aggiunto la fedina d’oro bianco, identica a quella che lei portava al dito, simbolo del loro legame indissolubile.

 

Improvvisamente, sentì la sua mancanza: il suo profumo, il suo modo di fare dolce e anche le coccole che gli riservava quando stavano insieme, le sue labbra morbide e l’odore della sua pelle… Quella Nina poteva anche essere bellissima, ma Irina era l’unica ad avergli davvero trafitto il cuore, e non avrebbe voluto nessun’altra. Conosceva bene il significato di fedeltà, e non lo avrebbe dimenticato nemmeno in missione.

 

<< Preparati, americano >>.

 

Un russo dall’aria bellicosa gli indicò la linea di partenza, dove c’erano schierate diverse auto di lusso. Xander risalì sulla Porsche e si posizionò, in attesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.00 – Mosca

 

Irina guardò perplessa il grande edificio che si stagliava davanti ai suoi occhi, illuminato a giorno da luci al neon bianche e azzurrine, che facevano brillare le carrozzerie delle auto parcheggiate alle sue spalle, nel piazzale adiacente.

 

Non aveva mai immaginato che un casinò potesse essere così grande, anche se era stata diverse volte a Las Vegas e ne conosceva bene i locali. Il Black Diamond li superava tutti, forse anche perché era l’unico della zona, ed era quello che faceva da principale luogo di divertimento dei russi annoiati e pieni di soldi.

 

Era assolutamente gigantesco, e doveva contare almeno una decina di piani. L’edificio era stato costruito tutto in vetro, ma dall’esterno non era possibile vedere niente perché era stato oscurato, ma sul tetto si intravedevano le luci colorate del bar all’ultimo piano, che doveva avere la vista su tutta Mosca.

 

Si strinse nel cappotto nero che era stata costretta a comprare per essere un minimo elegante come richiedeva l’occasione, e trasse un sospiro profondo per entrare nella parte. La guardia all’ingresso le gettò un’occhiata perplessa.

 

Nikodim era stato soddisfatto del suo lavoro, e questa volta l’aveva autorizzata a far parte di uno dei loro incontri. Molto probabilmente ci sarebbe stata gente importante, se non tutti i Referenti al completo.

 

Dimitri non c’era; quando aveva saputo che il Black Diamond sarebbe stato il luogo della loro prossima riunione, aveva deciso di andarci per i fatti suoi in un secondo momento. Come scusa aveva addotto che doveva sbrigare una faccenda, ma Irina non gli aveva creduto. In silenzio aveva accettato la decisione, ma si era premurata di lasciare il pc portatile acceso con il programma di Jess in funzione: avrebbe saputo dov’era andato.

 

Si avvicinò all’ingresso, il rumore dei tacchi attutito dal tappeto di velluto, e la guardia domandò qualcosa in russo. Lei fece cenno di non aver capito.

 

<< Nome >> borbottò l’uomo, intuendo fosse straniera.

 

<< Irina Dwight >> rispose lei, poi aggiunse: << Fenice >>.

 

L’uomo annuì e le fece cenno di entrare.

 

Una volta dentro, si ritrovò nella hall, immensa come si era aspettata. A destra c’era un bancone dove era possibile lasciare in custodia borse e giacche, mentre dall’altra parte, a sinistra, ci si procurava le fiches e tutto il necessario per giocare a una cassa dove le hostess sorridevano amabilmente alla gente vestita elegantemente e dall’aria aristocratica. Una grande porta ad arco si apriva su quella che doveva essere la Sala Bianca, quella dove era diretta lei, e ai suoi lati due enormi ascensori metallici portavano ai piani superiori. Il tutto, innegabilmente moderno e lussuoso, era illuminato da una luce chiara e non troppo forte che proveniva dai lampadari di cristallo appesi al soffitto.

 

Gettò una rapida occhiata intorno, constatando che molta della gente che stava lì faceva parte dell’alta borghesia russa, e diversi dovevano anche avere le mani in pasta nella politica, come le era stato detto precedentemente. C’erano anche molte donne, tutte avvolte in costosissime pellicce di visone ed ermellino, tutte con l’aria altezzosa e distaccata.

 

Lasciò il cappotto e la borsa al bancone d’ingresso, ma si mise il cellulare in tasca per averlo a portata di mano in caso di bisogno. Si accorse dell’occhiata incuriosita che la ragazza addetta al guardaroba le lanciò di sottecchi, come se si fosse accorta che non era della zona. In effetti, in quanto ad abbigliamento si capiva che non faceva sicuramente parte del gruppo delle giovani russe che erano appena entrate: pelliccia bianca, abitino scuro avvolgente e stivali con tacco a spillo, con coordinata la immancabile costosissima borsetta molto probabilmente piena di carte di credito. E per finire, erano tutte ulteriormente accomunate dalla lunga, lucida cascata di capelli biondo miele.

 

Forse in altre circostanze si sarebbe potuta sentire fuori posto, nei suoi pantaloni neri e camicia bianca, ma in quel momento aveva altro a cui pensare che farsi problemi sul suo abbigliamento poco provocante. E in ogni caso non voleva attirare l’attenzione infilandosi una minigonna e andando in giro praticamente in mutande.

 

Raggiunse la Sala Bianca, mentre il gruppetto di russe, dopo essersi procurato fiches in abbondanza, prese l’ascensore sulla sinistra, portandosi dietro la cagnara da gita scolastica che le circondava.

 

Una volta dentro, con stupore scoprì che in realtà non c’erano tavoli da gioco, slot machines o qualsiasi altra cosa avesse a che fare con i giochi d’azzardo; sembrava più una sorta di palestra o stadio, con un vero e proprio ring al centro, attorniato da centinaia di sedie che ospitavano russi eccitati e rumorosi e illuminato dai riflettori appesi al soffitto, vicino a un tabellone luminoso, spento.

 

Per un attimo credette di essere arrivata nel posto sbagliato. Incerta, rimase ferma all’ingresso, guardandosi intorno. In quel momento, sul ring stavano combattendo due russi grossi come armadi, in calzoncini e guantoni, dandosele veramente di santa ragione. La gente intorno gridava facendo il tifo, mentre l’arbitro osservava la scena per segnalare eventuali irregolarità.

 

Cosa centra tutto questo con Nikodim e gli altri?” pensò, dubbiosa.

 

Come in risposta alla sua domanda, vide comparire Dan, con la solita aria fuori posto che aveva quando stava in mezzo ai russi. Le sorrise e le si avvicinò.

 

<< Sei arrivata >> disse, << Vieni, devi sederti laggiù >>. Indicò le sedie vicino al ring, nelle prime file, in quel momento ancora vuote.

 

<< Allora non ho sbagliato… >> disse Irina, << Che ci facciamo qui? >>.

 

<< Nikodim e i suoi la frequentano abitualmente >> rispose Dan, mentre raggiungevano le sedie, << Ma non sono ancora arrivati. Si faranno vedere al termine di questo incontro >>.

 

Si sedettero, notando che in effetti la sala non era ancora tutta piena. I due russi sul ring continuavano a darsele, senza che Irina riuscisse a capire chi stesse veramente vincendo. Ma quello vestito di blu sembrava quello messo meno peggio.

 

<< Come mai vengono spesso qui? >> chiese Irina, gridando per sovrastare un boato che provenne dalle sue spalle.

 

<< Amano questo genere di sport >> rispose Dan, facendo spallucce, << E scommettono. E’ la loro principale attività, dopo le corse clandestine e la droga… >>.

 

Irina guardò i due russi che combattevano, uno dei quali stava per stramazzare al suolo. Distolse lo sguardo, infastidita da quella violenza che le sembrava particolarmente stupida. Cosa ci trovavano di divertente, era un mistero.

 

<< Hai visto Dimitri? >> domandò, per cambiare argomento.

 

<< No, ma sarà qui in giro. Non siete venuti insieme? >>. Dan sembrava poco interessato.

 

<< No >>.

 

Dall’altoparlante venne annunciato il nome del vincitore dell’incontro, e Irina si arrischiò a guardare: il russo più grosso, quello in calzoncini blu, aveva vinto, come le era parso prima. L’altro era steso al suolo, forse svenuto. L’arbitro lo stava schiaffeggiando.

 

<< E’ boxe? >> domandò, rivolta a Dan.

 

<< No, è più simile alla Kickboxing >> rispose l’italiano, << Non so dirti esattamente cosa sia, perché credo che se lo siano inventati qui… Praticamente non ci sono regole, se non che sono vietati colpi all’inguine. Per il resto, vale tutto: pugni, calci, prese. Vince chi non molla >>.

 

“Proprio nel loro stile…”.

 

<< Ma sono tutti così violenti, qui? >> chiese Irina, impressionata. A giudicare da quello che aveva detto, ci si poteva benissimo rimettere le penne.

 

<< Sono russi >> ribattè solo Dan, come se quello spiegasse tutto,  << Ah, ecco Nikodim… >>.

 

Nikodim si stava avvicinando attorniato da Yulian e Radim, i due cugini di Dimitri, l’espressione piuttosto infastidita. Era stato costretto ad ammetterla tra loro, alla fine, e la cosa chiaramente non gli faceva piacere.

 

Si sedette senza nemmeno salutarla nella fila di fronte alla sua, mentre gli altri due le fecero un cenno abbastanza amichevole per i loro standard, ma non aggiunsero altro.

 

Nel frattempo, un signore stava ripulendo il ring, in preparazione dell’incontro seguente. Fecero in tempo ad arrivare anche Ivan, Kazimir e Gavriil. Poi giunse Boris, accompagnato da una ragazza giovane e carina, e infine Emilian, lo sfregiato, che si sedette defilato in prima fila.

 

<< Guardiamo l’incontro e poi andiamo di sopra >> fu il commento di Nikodim, rivolto soprattutto a lei.

 

Irina annuì, chiedendosi perché mai dovessero assistere a quella cosa, visto che il russo sembrava farne a meno. Rimase zitta, in attesa.

 

<< Avete scommesso? >> chiese Ivan all’improvviso, rivolto un po’ a tutti quanti, mentre trafficava nelle tasche dei pantaloni.

 

<< Non ha senso… >> rispose Yulian, incrociando le braccia, << Sai già che Jusalov perderà… E poi le quotazioni sono basse >>.

 

<< Ma è un po’ che non combatte, magari… >> borbottò Ivan, dubbioso. Forse si era pentito della sua scommessa.

 

Yulian fece per dirgli qualcosa, ma Irina venne distratta dalla voce dello speaker che annunciava i due nuovi contendenti. Non riuscì a distinguere niente tra le parole in russo, tranne il nome del primo sfidante: un certo Donat Jusalov, che fece il suo ingresso con aria trionfale dal fondo della sala, un accappatoio scuro addosso, i guantoni rossi a fasciargli le mani e il naso che doveva essere stato rotto decisamente troppe volte, vista la sua forma irregolare. Al suo fianco lo seguiva quello che doveva essere il suo allenatore, un uomo basso e tarchiato vestito in giacca e cravatta.

 

<< Sono professionisti? >> bisbigliò Irina, rivolta a Dan.

 

<< Alcuni di loro sì >> rispose l’italiano, << Ma la maggior parte è gente che ha un minimo di allenamento e tanta voglia di fare a botte… >>.

 

<< … Se sa che gli hai puntato contro, ti ammazza… >> sentì dire Yulian, divertito.

 

Jusalov raggiunse il ring, ci salì sopra e alzò i pugni, scatenando la folla che gridò e applaudì più forte. Ci fu qualche istante tutto dedicato a lui, poi i riflettori si accesero nuovamente sull’ingresso, per illuminare il secondo contendente.

 

Irina rimase di sasso, quando si accorse di chi si trattava, e non poteva sbagliarsi perché lo speaker aveva pronunciato forte e chiaro il suo nome.

 

Dimitri, l’accappatoio nero a nascondere le sue cicatrici, avanzò solo, a passo rapido e lo sguardo basso di chi è infastidito da tutte quelle cerimonie, come se avesse decisamente evitato quell’ingresso trionfale. Portava i guantoni appesi al collo, e la sua espressione era talmente feroce che avrebbe spaventato chiunque.

 

Dapprima la gente sembrò stupita quanto lei, infatti per un paio di secondi regnò il silenzio più assoluto, poi una parte del pubblico, tra cui tutti quelli che le stavano intorno, scoppiò in un boato fragoroso, assordandola.

 

Dimitri salì agilmente sul ring, senza degnare di uno sguardo il suo avversario, che sembrava poco intimorito da lui, e si tolse l’accappatoio, mettendo in mostra le decine di cicatrici che gli sfregiavano il busto. Anche lui portava dei calzoncini, neri come l’accappatoio, e sembrava essere in forma, a giudicare dai muscoli ben allenati. Emilian lo raggiunse e parlò per qualche istante con lui, come una sorta di allenatore mancato.

 

Solo in quel momento Irina si riprese dalla sorpresa.

 

<< Ma cosa fa?! >> gridò, allarmata, guardandolo prendere confidenza con i guantoni. Qualcuno le rivolse un’occhiata perplessa.

 

<< Combatte >> fu la risposta divertita di Gavriil.

 

Irina fissò prima Jusalov, alto, grosso come un toro e dall’aria davvero assassina; poi guardò Dimitri, muscoloso, gelido come il ghiaccio, e pieno di quelle assurde cicatrici che chissà come si era procurato… E il primo pensiero che le venne in mente fu che quel russo lo avrebbe fatto a pezzi.

 

<< Bisogna fermarlo! >> gridò, saltando in piedi.

 

Dan la afferrò per un braccio. << Dove vuoi andare?! >>.

 

<< Quello lo ammazza! >> esalò Irina, sventolando la mano, << Lasciate che lo riduca a pezzi?! >>.

 

Nikodim si voltò verso di lei, stizzito, mentre gli altri si limitavano a guardarla divertiti o distaccati.

 

<< Se ti avvicini a quel ring, è lui che ammazza te >> sibilò, gelido.

 

Irina rimase ferma, in piedi, e vide Dimitri gettare una rapida occhiata dalla loro parte. I loro sguardi si incrociarono per una frazione di secondo, abbastanza per farle notare il fastidio negli occhi del russo.

 

<< Ma… >> mormorò.

 

Dan la tirò a sedere.

 

<< Guarda che non è certo la prima volta che combatte >> disse, e sembrava molto divertito, << Non si farà ammazzare, se è questo che temi >>.

 

Irina rimase zitta, senza sapere bene come comportarsi. Non poteva non ammetterlo: era un po’ preoccupata per quello che stava per succedere, anche se si trattava di Dimitri, il russo che fino a quel momento l’aveva mal sopportata. Non poteva certo definirlo simpatico o gentile, ma era da stupidi farsi del male in quel modo, senza un motivo, e a lei la cosa non piaceva affatto.

 

Improvvisamente però capì perché William aveva sempre usato Dimitri come il suo “persuasore” personale.

 

<< Non ti intromettere negli affari di Dimitri, se non vuoi passare dei guai con lui >> disse Dan, ora serio, << E soprattutto, non dirgli mai cosa deve fare >>.

 

Irina tornò a guardare il ring, mentre i due russi si fissavano in cagnesco, pronti a darsele di santa ragione. Sentì una stretta allo stomaco, una strana apprensione salirle addosso…

 

“Lo so, è insopportabile, freddo e distaccato, ma mi dispiacerebbe se gli accadesse qualcosa… In fondo, mi ha pur sempre salvato la vita, due anni fa”.

 

Già… Improvvisamente ricordò che era anche per merito di Dimitri se si trovava lì, viva e vegeta, e a rischiare consapevolmente la vita per portare a termine una missione… Durante la loro convivenza non ci aveva mai pensato, lo aveva sempre guardato con sospetto, pensando che da un momento all’altro potesse tradirla…

 

Per un attimo si sentì un’ingrata, ma poi si riprese. In fondo, aveva rispettato i suoi spazi e aveva sopportato le sue frecciatine… Che altro poteva fare? Grazie glielo aveva già detto…

 

<< Spero solo che non si faccia male… >> mormorò, e Dan le gettò una strana occhiata. Forse era da lì che arrivavano le sue cicatrici…

 

Suonò l’inizio del primo round, e Irina sentì la morsa allo stomaco crescere: non era pronta per vedere Dimitri e quell’altro Jusalov farsi violentemente a pezzettini. Ma non potevano scegliersi un altro sport?

 

I due russi si fronteggiarono in silenzio, un ghigno dipinto sul volto di Jusalov, una maschera di ghiaccio quello di Dimitri. Stavano in posizione di difesa, i pugni alzati, le spalle raccolte.

 

“Qui sono tutti fuori di testa…”.

 

Fu Jusalov a cominciare, mirando un dritto allo stomaco di Dimitri, che il russo schivò con facilità; poi passò a una serie di colpi in rapida successione, senza riuscire a prenderlo.

 

I due si scambiarono qualche parola, e dal tono sembrava che Jusalov lo stesse provocando. Dimitri lo ignorò, però fece una smorfia come divertito: forse considerava tutto patetico.

 

Infatti, senza che Irina lo prevedesse, lo prese dritto dritto nello stomaco, strappandogli un gemito e facendolo piegare in due; rimase a guardare la sua faccia, invitandolo a parlare ancora.

 

A quel punto, Jusalov si scatenò come un vero e proprio toro alla vista di un drappo rosso. Iniziò a menate colpi a destra e sinistra, con una forza degna davvero di un animale, saltando addosso a Dimitri come una furia.

 

Irina si morse il labbro di fronte alla scena, sussultando quando vide che Dimitri era stato preso in piena faccia, abbastanza forte da rompergli la mandibola. Il russo si liberò della stretta in cui era stato intrappolato e si riservò un momento per stiracchiarsi il collo.

 

All’improvviso, sul volto dell’ex Mastino si disegnò un’espressione che Irina non gli aveva mai visto: un vero e proprio ghigno, gelido ma divertito.

 

Un attimo dopo, erano di nuovo l’uno addosso all’altro, mentre iniziavano a volare anche calci ad altezza delle gambe. Irina iniziò a sentire lo stomaco ormai chiuso in una morsa di ferro, e la voglia matta di andare la e dividerli. Solo che aveva capito che se si fosse azzardata a farlo, Dimitri avrebbe provveduto a cercare una tomba adatta…

 

<< Lo ammazza… Lo ammazza… >> mormorò di nuovo, vedendo il naso di Dimitri perdere sangue, esattamente come quello di Jusalov. A giudicare dalle grida di divertimento della folla, era l’unica che vedeva la drammaticità della scena.

 

<< No che non lo ammazza >> la rassicurò Dan, con una punta di divertimento, << Davvero non lo conosci… Stai tranquilla, lo ritrovi tutto intero >>.

 

Di fronte al destro che Dimitri si beccò in pieno stomaco, Irina ebbe qualche dubbio. Cercò di pensare che in fondo si trattava di uno stupido incontro di arti marziali, che nessuno avrebbe ammazzato nessun’altro, ma le venne da distogliere lo sguardo. Provò una fitta piuttosto dolorosa, di fronte al sangue che colava dal naso di Dimitri.

 

<< Quando hanno finito, dimmelo >> borbottò, rivolta a Dan.

 

<< Ok >> sghignazzò lui.

 

Fissò il pavimento ai suoi piedi, cercando di distrarsi, anche se con la gente che esultava di fianco era difficile.

 

“Devo pensare a qualcosa… Qualcosa… Xander! Dov’è, cosa starà facendo, starà bene?”. Assurdamente, non riuscì a rincuorarsi, anzi: la stretta allo stomaco si rafforzò ancora di più, come se avesse un brutto presentimento anche su di lui… “Uno si fa ammazzare da questa parte a suon di botte, e l’altro su un’auto in mezzo ad una gara clandestina… Cavolo, dovrei esserci abituata, a queste cose!”.

 

Alla fine si decise a guardare, perché la folla stava gridando estasiata, e molto probabilmente uno dei due se la stava vedendo davvero brutta.

 

Con sollievo, notò che Jusalov era inginocchiato a terra, tenendosi lo stomaco, Dimitri ancora in piedi a guardarlo contorcersi dal dolore…

 

“Forse hanno finito”.

 

Con uno scatto, però, Jusalov si tolse un guantone gettandolo di lato, e afferrò Dimitri per una caviglia, riuscendo a tirarlo a terra con violenza e gettandosi sopra di lui. Irina si morse di nuovo il labbro, mentre la folla gridava.

 

<< Ma non vale! >> sbottò lei, preoccupata, << E’ senza un guanto… >>.

 

<< Te l’ho detto, vale tutto >> disse Dan, << Anche questo >>.

 

Avvinghiato sotto il corpo di Jusalov, Dimitri si sfilò anche lui i guanti e con una forza inaudita alzò il russo, buttandolo di lato. Poi gli rifilò una gomitata nello stomaco, facendolo piegare per il dolore, e infine lo afferrò per il collo, tenendolo fermo in ginocchio.

 

Rimasero qualche secondo in quella posizione, poi Jusalov alzò una mano per fare cenno di essersi arreso. L’arbitro fischiò la fine dell’incontro, e Dimitri lo lasciò andare, allontanandosi rapidamente da lui. Senza celebrare la sua vittoria scese dal ring a testa bassa e se ne andò, mentre la folla del settore di Irina applaudiva sonoramente.

 

<< Te l’ho detto che vinceva… >> disse Yulian, mentre lei si alzava di nuovo per vedere dove andava il Mastino, ora più tranquilla.

 

Se McDonall avesse saputo quello che aveva appena fatto, non ne sarebbe stato contento: Dimitri non era autorizzato a prendere parte a quel genere di incontri, soprattutto senza avvertire, e non era nemmeno autorizzato a mettere in pericolo la sua vita in cose così stupide.

 

Il fastidio prese il posto dell’apprensione, e Irina si arrabbiò. Non poteva comportarsi così, fare sempre quello che voleva senza discuterne con lei o almeno avvertirla, e poi pretendere che si comportasse da brava bambina, senza combinare casini. Ok, conosceva la zona, conosceva la gente, ma questo non gli permetteva di infischiarsene altamente di quello che pensava lei, o ancora peggio di quello che voleva. Fino a prova contraria, era lei la titolare della missione, e questo presupponeva che Dimitri rispondesse ai suoi ordini. Forse era il caso di mettere in chiaro le cose una volta per tutte. Il limite piuttosto elevato della sua pazienza era stato superato.

 

<< Devo andargli a parlare >> borbottò, attraversando la sala mentre veniva preparato l’incontro seguente. Fece finta di non sentire Dan che gli chiedeva cosa volesse fare e percorse la strada che aveva fatto Dimitri, all’incontrario, per arrivare in un lungo corridoio sul quale si aprivano numerose porte, quasi deserto, che sembrava quello di un dietro le quinte televisivo stranamente vuoto.

 

C’era una sola persona a controllare, un uomo tarchiato vestito in uniforme blu, così la raggiunse e domandò: << Sto cercando Dimitri Goryalef, dov’è? >>. Non gli interessava se sapeva o meno parlare inglese, in quel momento.

 

L’uomo le rivolse un’occhiata stranita, poi rispose inciampando nelle parole: << Ultima porta, in fondo >>. Indicò con il dito.

 

Irina annuì e la raggiunse, a passi rapidi. Non si rese nemmeno conto di essere negli “spogliatoi” dei concorrenti al ring.

 

“Adesso mi sente, non può comportarsi in questo modo da irresponsabile…”.

 

Spalancò la porta senza tanti complimenti, sorprendendo Dimitri di spalle allo specchio, ancora in calzoncini da combattimento, l’asciugamano sulle spalle macchiato di rosso. Stava esaminando una brutta abrasione che aveva sul fianco, ma appena la vide entrare distolse lo sguardo e lo puntò su di lei, gli occhi grigi spalancati.

 

<< Tu! >> gridò Irina, puntando il dito contro di lui, inviperita, << Sei impazzito, per caso? Cosa ti salta in mente di metterti a fare a botte su un ring, per di più senza avvertirmi? Ti sembra discrezione, questa, eh? >>.

 

La faccia di Dimitri passò dal gelido al furioso nel giro di un attimo. Qualunque cosa avesse detto, lo aveva appena fatto arrabbiare sul serio.

 

<<Sta zitta, cazzo >> ringhiò, sbattendo violentemente la porta che lei aveva lasciato aperta, << Chi ti ha autorizzato a entrare qui dentro? Vattene immediatamente >>. Il suo tono non sembrava ammettere repliche.

 

<< No che non me ne vado >> sbraitò Irina, fregandosene altamente di avere appena violato la sua privacy, e persino della sua occhiata assassina, << Hai altre sorprese da farmi, oltre a questa? Devo aspettarmi che entri anche a far parte di un commando per far fuori qualcuno, eh? So benissimo che mi nascondi qualcosa, e qualunque cosa sia la voglio sapere, adesso >>.

 

La faccia di Dimitri sembrò virare quasi al divertito, di fronte al suo tono risoluto. Le gettò un’occhiata dall’alto in basso, poi ringhiò: << Esci di qui >>.

 

<< No >>.

 

Irina pronunciò quella parola con il tono secco, duro, ma sapeva benissimo che se Dimitri voleva poteva prenderla, accartocciarla come un sacchetto di patatine e sbatterla fuori dalla stanza in un batter d’occhio; e dalla sua faccia, sembrava pronto e decisamente desideroso di farlo.

 

<< Cosa credi che ti stia nascondendo? >> domandò lui, forse per distrarla prima di accartocciarla per davvero. Si tolse l’asciugamano dalle spalle e lo brandì come una mezza arma.

 

<< Con chi ti sei incontrato l’altra volta, quando ti sei recato al cimitero? >> chiese Irina, secca, tenendolo d’occhio per essere pronta a darsela a gambe.

 

Dimitri non cambiò espressione, come se sapesse già che era riuscita a scoprire dove era andato.

 

<< Non ho incontrato nessuno >> rispose, neutro.

 

<< Allora cosa ci sei andato a fare? >>.

 

<< Penso di avere il diritto di visitare i miei morti, non credi? >> fu la risposta gelida di Dimitri, << O ritieni che questo privilegio sia riservato solo a te? >>.

 

Nella voce del russo Irina colse solo profonda rabbia, e non dolore, a dispetto di quanto chiunque si sarebbe atteso. Parlando di “miei morti” si riferiva chiaramente a persone che facevano parte della sua famiglia.

 

<< Chi era il tipo della Subaru, l’altra sera? >> chiese lei, cambiando argomento visto che aveva ottenuto una risposta all’altro, << Lo sai, immagino >>.

 

Dimitri fece una smorfia. << Molto probabilmente Vladimir, o uno dei suoi amici >> rispose.

 

<< Perché c’è l’ha con te? >>.

 

<< Semplicemente perché io ce l’ho con lui >>.

 

Irina rimase interdetta, fissando la faccia di Dimitri: doveva essere davvero furioso, perché la vena sul suo collo pulsava visibilmente, quasi fino a farle impressione. Ma non poteva mollare ora che era talmente arrabbiata da riuscire a estorcergli qualcosa e forse a fargli capire che faceva davvero sul serio.

 

<< E perché? >>.

 

<< Non sono fatti tuoi >>.

 

<< Sono io che comando in questa missione, quindi rispondi alla mia domanda >>.

 

Dimitri inarcò un sopracciglio, e Irina si stupì di tutto quel coraggio da parte sua. Osava dargli degli ordini… Qualcuno che ci aveva provato era mai sopravvissuto, per raccontarlo?

 

<< Non accetto ordini da nessuno, Fenice >> ringhiò.

 

<< Allora ti faccio rispedire in carcere, visto che sembra che tu non sia particolarmente felice di stare qui >> ribatté Irina, sentendosi sempre più irritata per il suo comportamento.

 

<< Fallo. Non ho nessun problema. Tanto posso comunque riuscire a fuggire >>.

 

Irina si trattenne dal pestare i piedi per terra come una bambina, arrabbiata. La voleva sempre vinta lui…

 

<< Perché non ne vuoi parlare? >> chiese all’improvviso, un po’ meno irritata. Era inutile sbraitargli addosso, lo sapeva, e forse calmandosi avrebbe ottenuto qualcosa in più.

 

<< Perché non serve che tu sappia >> rispose Dimitri, voltandosi di spalle e mettendo in mostra le cicatrici, << E sapere non farà altro che farti cacciare nei guai, coinvolgendo anche me. Ti ho già detto che non centra niente con la missione, quindi puoi anche fare a meno di sapere >>. La guardò dallo specchio, gli occhi di ghiaccio.

 

<< Qui sembrano sapere tutti, tranne me >> ribatté Irina, esasperata, << Tutti ti conoscono, ti rispettano… Sanno quello che stai nascondendo a me. Chi diavolo sei veramente? >>.

 

Dimitri rimase in silenzio per qualche momento, fissandola. Poi fece una smorfia e disse: << E’ questo che ti interessa veramente? Vuoi sapere chi sono io per davvero? Non capisco come possa interessarti, visto che ai tempi di Challagher mi evitavi il più possibile >>. Sembrava rimpiangere la cosa.

 

<< Devo riuscire a fidarmi un minimo di te >> fu la risposta di Irina, e in effetti si trattava della verità.

 

<< Allora non è necessario che tu sappia >> rispose Dimitri, << Se ho detto che non vi tradirò, non lo farò, di questo stanne certa. E smettila di provocarmi, perché se la gente mi rispetta è perché sono uno che non ha paura di rimettere al suo posto la gente, chiaro? >>. Altro sguardo assassino.

 

Irina rispose con un’occhiata di fuoco.

 

<< E io non sono una che ama farsi gli affari degli altri, se non è strettamente necessario >> ribatté, mettendo in chiaro che non lo faceva per rompergli le scatole.

 

<< Potrebbe anche essere una dote, la tua >> commentò acido Dimitri, gettandosi di nuovo l’asciugamano macchiato di sangue sulle spalle.

 

Irina rimase a guardarlo mentre lui tirava fuori da un cassetto un paio di forbici e un flacone che doveva contenere del disinfettante o qualcosa di simile, silenziosa. Si rese conto che questa volta non aveva avuto paura di Dimitri, nonostante avesse osato rispondergli male e avesse rischiato di farsi veramente buttare fuori come un sacco di patate. C’era qualcosa in lui, in quel momento, che smise di intimidirla: forse era il fatto che ormai avevano bisticciato, e peggio di così non poteva andare, oppure era il sangue che vedeva colare dalla sua ferita che glielo mostrava più umano di quanto lo avesse mai visto.

 

<< E’ facendo questi stupidi combattimenti che ti sei procurato tutte quelle cicatrici? >> chiese, il tono basso.

 

<< I pugni non lasciano cicatrici… >> rispose Dimitri, gettandole un’occhiata carica di disprezzo, << Hai mai imparato che prima di entrare in una stanza bisogna bussare? Alla terza volta non sarò così paziente, chiaro? >>.

 

Irina lo guardò voltarsi di nuovo verso lo specchio, cercando di esaminare lo sbrego sulla schiena. Non era semplice, perché era un punto difficile da raggiungere con le mani, e doveva sicuramente almeno essere disinfettato. Per una frazione di millesimo di secondo, Irina si ritrovò a pensare che gli faceva quasi, ma solo quasi, tenerezza: non le avrebbe mai chiesto aiuto, nemmeno se ne fosse andato della sua stessa vita.

 

<< Vuoi che ti dia una mano? >> domandò lei, seria.

 

Dimitri la guardò. << No >> rispose, << L’unica mano che puoi darmi è uscire di qui e smettere di comportarti come la mia stupida e infantile ragazza… Che bisogno c’era di alzarsi in mezzo al pubblico e fare tutto quel casino? Non sei in grado di stare zitta e buona per una volta? >>.

 

Irina si ritrovò ad arrossire, ma riuscì a mascherare subito tutto di fronte al tono strafottente di Dimitri. Forse aveva esagerato, ma non era il caso di essere così duro con lei, visto che non aveva fatto niente di male.

 

<< Uno dei miei difetti è preoccuparmi per la gente che sta intorno a me >> ribatté acida, << Scusami se ho macchiato il tuo onore standoti troppo vicino. Provvederò a camminarti a due metri di distanza, da oggi in poi >>.

 

<< Ecco, finalmente hai capito >> fu la risposta seccata di Dimitri, prima che lei si sbattesse la porta alle spalle, arrabbiata, lasciandolo finalmente solo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Prima di tutto, chiedo scusa per il mostruoso e imperdonabile ritardo con cui posto questo capitolo: avevo promesso che, appena tornata, avrei fatto il possibile per aggiornare, ma come potete vedere ci ho messo più tempo di quanto immagino voi abbiate potuto tollerare. La verità è che il mio rientro è stato più traumatico di quanto avessi pensato… Ma non penso vi interessi conoscere i miei successi e insuccessi universitari, della vita, familiari e psicologici, quindi andiamo oltre. In poche parole, credo di aver avuto una sorta di attacco acuto di depressione post vacanza-esami-sfighe varie che mi ha tolto tutto, anche la voglia di scrivere. Non sono una che si auto commisera, quindi se sono arrivata quasi al punto di mollare tutto (anche questa storia), significa che ho proprio toccato il fondo… Sempre che esista.

Detto questo, perdonatemi il ritardo e tutto il resto. Cercherò di essere un po’ più regolare negli aggiornamenti, visto che almeno voi lettori mi date qualche soddisfazione.

 

[Intermezzo di quattro giorni…]

 

Bene, le righe di sopra risalgono a qualche giorno fa, e da allora mi sono ripresa un po’, quindi non vi preoccupate per me: non commetterò nessun suicidio spettacolare ma soprattutto non lascerò opere incompiute che pubblicate postume potrebbero fruttare un sacco di soldi a qualcuno, e io vorrei usufruirne, mi sembra logico. A parte sparate varie, sappiate che avrei dovuto terminare venerdì, ma un’ulteriore catastrofe si è abbattuta su di me (anzi, su mia sorella), e che vista adesso risulta comica. Avete presente la classica passeggiata in bicicletta, magari in uno di quei parchi verdi pieni di sentieri (nel mio caso, la Mandria, che chi ha letto “Nel segno della Chimera” conosce)? Bene, il tutto si è trasformato in tragedia con tanto di corsa (mia…) che ha frantumato tutti i record del tragitto Mandria-casa per recuperare la macchina, a cui è seguita una visita al vicino pronto soccorso e attesa di tre ore per mettere due punti su un ginocchio (a mia sorella…), a cui pensavo stessero direttamente cambiando gamba… In ogni caso, niente di grave, ma purtroppo ho dovuto ritardare fino ad oggi.

 

Bene, ora commentiamo che è meglio. Ok, come capitolo non credo ci sia gran che, ma vorrei sottolineare il rapporto che si sta venendo a creare tra Irina e Dimitri, ma soprattutto il comportamento del russo. C’è una spiegazione a tutto, soprattutto al fatto che si comporta da bastardo. Se in questo lungo periodo di pausa ci avete pensato, illustratemi le vostre teorie.

Poi, tenete d’occhio anche Xander… A proposito, secondo voi aveva ragione Nina, parlando del cambio d’auto? Orgoglio, o semplice necessità? Eh eh

William tornerà nel prossimo capitolo, a cui inizierò a lavorare stasera e spero di non impiegare troppo a scrivere.

 

 

Un bacio a tutti voi!

 

Lhea

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Lhea