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Autore: LOVA    23/07/2010    0 recensioni
"DOnne che piengono" è una raccolta di pensieri e sensazioni di donne tutte diverse tra loro, di diversa nazionalità, epoca e cultura, ma accomunate dai loro sentimenti, dai loro problemi e dai loro ruoli.In ognuna c'è un sentimento che prevale.Non hanno nome perchè sono donne comuni, nelle quali chiunque può identificarsi.spero di avervi incuriosito..:-)
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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li bro 2òulkh

Ecco a voi il secondo capitolo. Non l'ho riletto perché non l'avrei più pubblicato.Scusatemi gli eventuali errori. Rimedierò non appena troverò il coraggio di farlo! 


Recensioni:

Bea_XD : ciao! Tante grazie per aver recensito! Mi fa molto piacere che ti sia piaciuta.Vedi, io scivo in base a ciò che provo in un preciso momento della mia vita. Quando ho scritto il bozzetto precedente ero triste, insoddisfatta e apatica. Ed è un po' quello che è il personaggio che ho inventato. Puoi interpretare la storia in molti modi. Per me quello che lei sente è classificabile secondo le emozioni ma inspiegabile a parole. Diciamo che in realtà lui la amava abbastanza da capire e da lasciarla libera di non amare, come lei decide di fare. Lei non può amare gli altri perché prima di tutto non sa amare se stessa. È sempre a metà fra due cose. Sempre indecisa e incompleta. In lei tutto è il contrario di tutto, come in ogni donna. Spero che la mia spiegazione (da esauritaXD) sia esauriente. Un bacio



Buona lettura




LIBRO 2


La sveglia come al solito suonò alle sei in punto. Mi stiracchiai con vigore e mi girai dall'altra parte. John era già andato a lavoro; aveva il turno di notte e avrebbe passato l'intera mattinata all'ospedale. Questo mi sollevava. Con un ultimo sbadiglio mi misi seduta, intorno alle gambe le lenzuola ancora strette e Nuvola che dormiva sul mio copriletto color porpora.

“Hey dormigliona.” le dissi con la voce ancora impastata dal sonno.

Lei aprì un occhio, mugolò e lo richiuse tornando al suo sonno forse senza sogni.

“si,si. Buongiorno anche a te. Lo so che è presto. Torna a dormire.”

Dovevo esser diventata pazza per parlare con un gatto alle sei di mattina, così decisi di alzarmi -prima che il gatto cominciasse a rispondermi- e cominciare a preparare la colazione per la piccola peste che di lì a poco si sarebbe svegliata.

Stancamente tastai il pavimento con il piede in cerca delle ciabatte che puntualmente perdevo sotto al letto, così decisi di rinunciarci definitivamente e, a piedi nudi, mi avviai in cucina. Sul frigo notai un Post-it giallo:


Oggi non lavori. Dave mi ha mandato un messaggio. Ha detto che puoi prendertela di riposo dato che hai fatto 3 straordinari questa settimana. Che culo. Goditela.


A quelle parole il mio cuore avrebbe dovuto fare le capriole al contrario e avrei dovuto avere voglia di esultare. Insomma, tutti vorrebbero ricevere ogni mattina notizie simili, no? Ma per me non fu così. Meglio passare la giornata tra bendaggi e suture piuttosto che stare a casa. Come diavolo avrei impiegato la mia giornata adesso? Mentre mi deprimevo ancora col bigliettino nella mano sinistra e con la destra preparavo latte e cioccolato, un folletto dai capelli scuri mi si aggrappò alle gambe.

“Maaaaaa! Buongiorno!” cinguetto il mio folletto.

“ buongiorno tesoro. Ma non è un po' presto per te? Va a rimetterti a letto ancora un po'”

Scosse la testa con vigore in segno di diniego. “no, sono troppo troppo contentissimo”

“Roby, non si dice troppo contentissimo, ma troppo contento.”

“ e perché?” mi chiese, con la fronte aggrottata e una ciocca di capelli scuri tra le mani.

“ beh, perché... ah, non ti interessa per ora.”

Lui mi guardo confuso per un attimo poi, come se nulla fosse, corse ad accendere la TV.

La sua colazione era ormai pronta e posta sull'isola, ma come al solito avrei dovuto ripetergli altre dieci volte di cominciare a bere il suo latte.

“Rob dai, ti prego, fai il bravo bambino solo per questa mattina? Vuoi rendere felice la tua mamma? Dai, bevi il tuo latte e ti prometto che al ritorno da scuola troverai una bella sorpresa.”

Mi scrutò per un po', in silenzio, incerto sulle mie parole, poi rispose: “cosa?”

lo vedrai stasera. Una bella cosa.”

E con riluttanza afferrò la tazza tra le mani e cominciò a sorseggiare il latte.


Alle otto in punto eravamo davanti al cancello verde della scuola elementare, dove centinaia di bambini piangevano, urlavano, litigavano e gioivano. Per molti di loro era il primo giorno di scuola elementare. Roby era tra quelli strafelici, che non facevano altro che guardare freneticamente a destra e a manca in cerca di vecchi compagni d'asilo e nuovi amici da farsi.

Io e lui eravamo seduti su una panchina un po' più distante dal caos, dove il suolo era ancora visibile.

Da una parte ero felice della giornata di riposo gentilmente- e meritatamente- concessami da Dave, così avrei potuto godermi a pieno il primo giorno di scuola di mio figlio, ma dall'altra temevo per queste otto ore che sarebbero risultate interminabili. Bloccata tra quelle quattro mura a far nulla proprio non era una prospettiva allattante per me.

La campanella finalmente suonò e Roby scatto in piedi.

“merenda?” chiesi

“si”

“quaderni e penne?”

“si. Dai mamma! Sono grande ormai! Vado alle elementari! Ci vediamo quando esco.”

“ok. Comportati bene e ascolta la maestra.” gli diedi un bacio sulla guancia e lo seguii fare le scale a due a due verso il portone della scuola, prima di entrare nella seconda porta a destra.


Arrivata in auto rimasi per qualche minuto a fissare il traffico che scorreva veloce, battendo ritmicamente le unghie sul manubrio della mia auto. Forse mi avrebbe fatto bene uscire, fare un po' di spesa e passare un po' di tempo al parco. Di tempo ne avevo da vendere, e non solo oggi.

In tre anni ormai credo di aver letto oltre trenta libri, aspettando fino a tarda sera il ritorno di John e, puntualmente, finivo per addormentarmi esausta dalla lunga attesa.

Eravamo sposati da sette anni. All'epoca non vedevo l'ora di sposarmi e metter su famiglia. John era il mio principe azzurro: alto, capelli biondo cenere, occhi verdi, lineamenti perfetti, sportivo... si, proprio il mio tipo. E lo amavo. Eccome se lo amavo! Fino a qualche anno fa sarebbe stato impossibile per me immaginare la mia vita senza di lui. Ci eravamo conosciuti al corso di anatomia il primo anno di college. Quattro anni dopo eravamo sposati.

Ma ora... eravamo abituati l'uno all'altra.

Avevamo un figlio meraviglioso. Rob era la mia ancora di salvezza, la mia ragione di vita. Non ne avrei voluta un'altra e forse non avrei potuto nemmeno averla.

Io e mio marito non avevamo più una vera vita sessuale. Ripensandoci era da più di 20 giorni che non facevamo sesso. Il lavoro. Il mal di testa e la stanchezza erano perlopiù le sue scuse preferite. Pur di non toccarmi.

Sbirciai distrattamente nello specchietto retrovisore. Eppure ero ancora bella! Intorno ai miei occhi non c'era traccia di rughe; le mie sopracciglia seguivano perfettamente la linea ad ali di gabbiano; le ciglia erano naturalmente lunghe e incorniciavano due occhi leggermente a mandorla di un marrone così intenso da sembrare nero.

Arrivai al parco alle 9.15 e scesi sbuffando dall'auto. Il traffico mi aveva indisposta come al solito. E che cavolo, dovevano uscire proprio tutti alle nove del mattino! Nessuno aveva nulla di meglio da fare che mettersi in auto? Ovviamente deliravo-come al solito.

A passi lenti, mi diressi verso l'ala est del parco – la meno frequentata per via del lago e delle zanzare- dove avrei trovato sicuramente libera la mia panchina preferita, quella che affaccia sullo stagno delle paperelle.

Quando ci venivo con John (ormai secoli fa), mi sbellicavo dalle risate. John ha paura degli uccelli ed ogni volta che attiravo una papera verso di noi lanciandole pezzi di pane, lui si muoveva agitato al mio fianco e si alzava nervoso, sgridandomi. Non so come è nata questa storia. Da piccolo deve aver avuto qualche brutta esperienza. Ridicolo!Ma poi, chi ero io per giudicare? Io che alla veneranda età di 32 anni ho ancora paura delle bambole e cambio canale vedendo ventriloqui in TV? No, no. Forse la più squilibrata tra i due ero io.

Seduta sulla panchina verde un po' incrostata ai lati, portai le ginocchia al petto e infilai i tacchi tra le sue fessure sperando ardentemente di non rimanerci impigliata come mio solito. Rimasi là minuti, secondi, forse un'ora intera, a fissare i bordi del laghetto che si increspavano lentamente spinti dal vento. Lentamente. Era l'avverbio esatto per descrivere la mia vita. Uno schifoso giorno dopo l'altro mi trascinavo lentamente tra lavoro e casa. E poi? E poi niente. Piatta. Vuota. Eppure io ero felice. Si. Ricordo di esser stata felice. Come quando è nato Rob, o quando abbiamo preso Nuvola al gattile. Quando mi sono laureata e quando ho ricevuto il primo stipendio. Ero felice quando, alle medie,diedi il mio primo bacio al ragazzino che mi faceva girare la testa – schifoso ma emozionante. Anche oggi sono felice. Ho una casa, un lavoro, una famiglia, bei vestiti Qui, in questo momento. Sola. A guardare le paperelle. Sono felice. Ma... c'è qualcosa che... non riesco a spiegarmi.

Ad un tratto vidi con la coda dell'occhio un ragazzo seduto al mio fianco. Aveva qualche anno meno di me. Forse 25. Masticava un chewin-gum probabilmente alla menta e teneva le cuffie infilate all'orecchio.

Ma è l'unica panchina del parco questa? Non vede che è occupata da qualcuno che evidentemente vuole star sola? Non mi guardava, ne io guardavo lui – almeno non direttamente. Indossava pantaloncini corti neri ed una maglietta grigia, intrisa di sudore. Era uno sportivo, e allora perchè non stava scarpinando per il parco?

Stizzita abbassai le gambe sfilando magistralmente i tacchi dalle fessure della panchina - e meravigliandomi di me stessa per la fluidità del movimento. Mi mossi nervosa, girandomi da una parte e dall'altra; afferrai la borsa e mi diressi a passo sostenuto verso l'uscita. Beh, se voleva mandarmi via ci era riuscito.



Un anno dopo


Feci la via del ritorno distrattamente, con ancora quella canzone che mi grava per la testa e l'immaginazione che galoppava a briglia sciolta.

una giornata libera. Forse...

Arrivai in garage, chiusi l'auto e raccolsi la mia borsa dal sedile posteriore. Feci le scale in silenzio, attardandomi di tanto in tanto ad aggiustarmi questo o quel capello fuori posto. Entrai in casa cercando di fare meno rumore possibile. Neanche il gatto mi venne in contro.

Feci due passi verso il corridoio che portava alle camere da letto e mi affacciai in quella di Rob. Dormiva. Altri due passi ed entrai in camera mia. Sfilai le scarpe che riposi l'una accanto all'altra sotto la sedia, mi sedetti sul letto ,cercando di non farlo cigolare per non svegliare John che dormiva placidamente dalla sua parte, e mi sfilai la camicetta. La portai al viso e inspirai forte.

L'odore di dopobarba la avvolgeva ancora. Il suo odore. Un sorriso ebete si disegnò sul mio viso.

Scivolai con la testa sul cuscino e sospirai debolmente.

Al parco, dopo quella mattina, ci tornai molto spesso.

  
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