-Giordani, te lo l ipetel ò ancola, solo pel una volta..- Azuka Koganame strinse i piccoli occhietti porcini già ridotti a due fessure addirittura ulteriormente, puntando l’indice rubicondo e pallido contro il petto di Robertine- ...a quale dipaltimento di Scotland Yald ti sei venduto? E’ impossibile, impossibile ti dico! Sono la Pinyin più rispettata dell’intera Soho, nessuno poteva sapere del business di famiglia,se non un fottuto sbillo!Ola, dimmi subito pel chi lavoli.. -
La
testa gli girava ed il sapore, acre ed intenso del sangue, del suo sangue, gli
esplodeva contro il palato, saliva su per la sua gola riarsa dalla sete come una
granata. Porca puttana, sti cinesi.
Aveva
ragione suo padre. Sempre immersi nei loro affarucoli di poco conto, sembrava
quasi che iniziassero a girargli non appena si osava proporgli un’offerta
redditizia potenzialmente in grado di stanarli dalle loro asfissianti
tane.
-Mamma
Koganame, la prego. Stia calma..- Farfugliò Robertine. Era legato come un salame
ad una poltrona girevole di pelle nera, in stile Impero, mentre gli scagnozzi
della più ricca lavoratrice di Soho gli si stringevano attorno minacciosi,
studiandolo con mandarina ferocia ancora avvolti nei loro grembiuli bianchi da
cucina. Come aveva detto, Kensinghton? “Guadagnarsi l’appoggio della falange
della Chinese Triad, quando si parla di droga, è facile come rubare le caramelle
a un bambino”. Oh, certo. Perfetto, sul serio.
Ecco
perché non appena Robertine aveva osato presentarsi con il solito sorriso
stronzo nelle cucine sul retro del ristorante, bussando tre volte e chiedendo di
mamma Koganame (il suo cognome da nubile), quattro camerieri ben più simili a
dei Bruce Lee imbottiti di steroidi che ad imberbi garzoncelli cinesi l’avevano infarcito di
pugni e trascinato all’ultimo piano del palazzo, in uno stato di
semi-incoscienza quasi fosse stato un sacco di patate.
Doveva
a quello stronzo di gallese una bella strizzata di palle, per avergli procurato
un biglietto di sola andata per il mattatoio.
CHIARO.
Sempre
se usciva vivo da lì...
-Non
lavoro per nessuno, posso giurarglielo sui miei testicoli. -mi perdoni la
volgarità-..- Riprese il colombiano, mentre Azuka si accendeva un Original
Millenium involtolato in carta oro senza staccargli i suoi occhietti maligni di
dosso - Sono qui perché ho per le mani un affare così grosso, così potente ma
anche così fottutamente pericoloso, che a me ed i miei amici è sembrato
impensabile potercisi tuffare a capofitto senza l’appoggio della Triade.
Chiunque aspiri a chiamarsi anche solo malavitoso a Londra lo sa quanto potere
sia nelle vostre mani, quanto ricchi siate. Ma sono sicuro che il lavoretto che
sto per proporvi piacerà anche a voi, e vi piacerà tanto che non oserete dirmi
di no.
Con
un colpo d’anca, Robertine lasciò precipitare sul pavimento l’odoroso sacchetto
di iuta che teneva nascosto all’interno dei suoi pantaloni cargo color kaki, di
almeno due taglie in esubero per il corpo atletico e misurato del ladruncolo
latino.
Gli
occhi neri di Azuka sembrarono rischiare di precipitarle fuori dalle orbite
infossate.
-Non
ci posso cledele..- Farfugliò, interdetta, rigirandosi tra le mani quel
mistico amuleto contenente la stessa, purissima cocaina che la notte precedente
aveva seccato la gola a Robertine -..ma è...è...il sigillo del grande
maestlo! Satomi, Gitsuo! Libelate immediatamente questo
giovane!! E’ stato ingaggiato da...da...dalla LOGGIA DI
LONDLA!
Robertine
non riuscì a trattenere un moto di soddisfazione mentre due dei ragazzotti
cinesi che poco prima l’avevano utilizzato come pungiball a propria discrezione
scioglievano le funi che gli opprimevano il diaframma con mano tremante,
guardandolo improvvisamente con rispetto e terrore negli
occhi.
-Non
esattamente, la
esposa..- Sorrise,
già riappropriatosi del proprio irriducibile appeal di seduttore. Non vedeva
l’ora di ammirare in tutta tranquillità la faccia che Dover avrebbe fatto
vedendolo tornare “Al Belvedere” ancora tutto intero, dopo un contatto
ravvicinato con una delle tagliagole più spietate di Londra. Era del tutto
inutile. Nessuno poteva fare secco Robertine
Giordani.
Sorrise
di nuovo, pronto ad assestare ad Azuka il colpo finale.
-
..mai sentito parlare del Grande Architetto dell’Universo?
***
-Robertina,
sei una dannata figlia di troia!- A strepitare era Dover, comodamente seduto
presso uno dei tavolini all’entrata del “Belvedere Restaurant”. I gomiti
sgraziatamente incollati alla tovaglia color pesca ed un Reggae Cap, coi colori
della Jamaica, ben calato sulla testa
rasata - ti giuro, te lo giuro che credevo saresti tornato senza palle,
stavolta. Che Mamma Koganame le avrebbe date in pasto direttamente ai suoi
clienti, spacciandole per Uramaki. Tanto, lo sai...le
dimensioni..-
Come
di consueto, ogni mattina, alle undici precise i componenti della sgangherata
banda di ladruncoli si incontravano per condividere una sostanziosa colazione
presso il loro quartiere generale: il ristorante della famiglia Giordani,
monitorati dallo sguardo benevolo e preoccupato della madre di
Robertine.
La
signora Evita De la Hacienda Giordani. Ma quella volte, avevano qualcosa di
ben più importante dell’ennesimo furtarello in Metropolitana, di cui
discutere...
-Dover,
ma vattene al diavolo. Ti ruga il cazzo solo perché non sei stato tu a
scontrarti con la Triade e a tornare vivo per poterlo raccontare..- Tagliò corto
Erika, mulinando l’alta treccia francese che le raccoglieva i capelli con aria
sdegnosa. Robertine le rivolse uno sguardo di muta solidarietà. Quella mattina
indossava una t-shirt bianca
targata Pinko, con un inquietante skelanimal di perle e perline spiaccicato
sopra, pantaloni afgani neri, giganteschi orecchini e ciabatte Birkenstock rumorose color
lampone, che ne lasciavano scoperti i piedini abbronzati e dalle unghie rosso
laccate. A detta di Kensinghton, tristemente noto per le sue perversioni
feticiste, i piedi di Erika erano i più scopabili di tutto il Regno Unito.
Secondo Robertine, a cui delle appendici del corpo non fotteva granchè, seppur
ignorandone l’estensione nanomicronica degli alluci, Erika Santini era comunque
una ragazza davvero carina. Peccato per quei due, fastidiosi, problemi, che
proprio non ne volevano sapere di cessare di rendere impossibile l’instaurarsi
di una qualsivoglia relazione tra di loro.
Uno.
Erika era una puttana.
Due.
Era una puttana innamorata di lui. ..
-Erika,
ti preferisco con un pene in gola. Almeno taci..- Sbuffò Kensinghton, intento a
trangugiare il suo Cappuccino bollente. Aromatizzato all’arancia, come piaceva a
lui – anche se devo ammettere che con te condivido l’ammirazione per il nostro
valoroso maricon. Bravo Robertine, i miei complimenti. In meno di
ventiquattro ore siamo già passati alla fase due del nostro piano, grazie a te.
Attirare la Triade nella nostra trappola. Ed ecco che altri dei più illustri
narcotrafficanti di Londra sono stati privati del loro potere
individuale..-
Il
gallese dagli occhi di ghiaccio si passò una mano tra i capelli ossigenati
esaminando con lo sguardo i suoi commensali, uno dopo l’altro. Sul bicipite
destro, pallido e smilzo, aveva tatuato il volto d’un Cristo sofferente, con la
corona di spine posta sul capo ad inondargli la faccia di rivoli di sangue caldo
e scuro.
-La
terza, è raggiungere il numero tre della nostra lista dritto nella sua tana. Il
tempio degli Hare Krishna, questa stessa mattina. Non c’è tempo da perdere. Vi
voglio attivi e scattanti, pronti a rischiare tutto. Seguite l’esempio
di...Robertine!
Dover
mugolò.
-Ma
anche io e Clear abbiamo fatto la nostra parte..- Protestò, azzannando un
cornetto di ripieno di crema Chantilly ancora caldo di forno ..- abbiamo
derubato quello stronzo di Scotland Yard ieri notte, non appena ci siamo
salutati. Ricordiamoglielo, fratello!
Clear
annuì energicamente, a propria volta. I numerosi bracciali che portava ai polsi
tintinnavano ad ogni suo movimento mentre gesticolava con
enfasi.
-Gli
sbirri avevano appena sottratto la
coca al clan mafioso dei Corelli. Erano segnati sulla lista dell’Architetto...-
Spiegò il giovane, mentre sulle labbra di Kensinghton si delineava via via una
smorfia di autentico disappunto – toglierlo alla volante è stato come aver fatto
fuori altri stronzi della concorrenza. Quindi, anche noi abbiamo
contribuito..-
-No,
no, no. Sbagliato, sbagliatissimo invece..- Riprese la parola Kensinghton,
livido di rabbia – siete degli autentici dementi. Così abbiamo rischiato di
attirare l’attenzione della Polizia su quella che doveva restare invece
l’Operazione Segreta del secolo. Gli avete fornito una pista, capite? Ma che
cazzo vi ho insegnato in tutti questi anni? SIETE DEI GORILLA DECEREBRATI DEL
CAZZO, ECCO COSA!
I
pochi clienti mattinieri del Belvedere si voltarono all’unisono verso il tavolo
tredici, con espressione stupita.
Evita Giordani, a sua volta impegnata a contare gli incassi della
giornata precedente, rivolse al pittoresco gruppetto d’amici uno sguardo
costernato.
-Ma
porca miseria, Kensinghton. Li rimproveri di aver attirato l’attenzione, ma pure
tu non scherzi..- Biascicò Robertine, intimando ai “ colleghi” di mantenere la
calma. Aveva bisogno di tutt’altro che di una sfuriata di sua madre, dopo la
notte da incubo trascorsa nelle grinfie della mafia cinese di
Soho..
-
fai silenzio, per carità. Forse la mossa di Dover e Clear non è stata geniale,
ma in breve tempo ci saremmo ritrovati gli sbirri alle calcagna comunque...- Il
colombiano fece una pausa mentre la madre , palesemente intenzionata a dirigersi
verso di loro, penetrava a forza nel suo campo visivo. Oh, no.
Guai in vista..
-O
forse ti è sfuggita l’idea che un’ondata di furti orchestrata da non si sa
chi, aventi per vittime i più
grossi spacciatori di Londra oltretutto, non possa assolutamente passare
inosservata neppure sul Pianeta dei Conigli Rosa?
-Sul
pianeta di...che cosa? Non
è che avete iniziato ad imbottirvi di una qualche strana, nuova droga
allucinogena, sin dalle prime luci del mattino?- La signora Evita De la Hacienda
Giordani, avvolta in un abito verde
mela di fine taglio sartoriale, fissava i suoi cinque “ragazzi”, come soleva
affettuosamente chiamarli, con le braccia ripiegate lungo fianchi, gli
occhialetti neri in bilico sulla punta del lungo naso dritto.
-Robertine, Ay de
ti!
Ti voglio nel pieno delle forze per accogliere la nostra nuova cameriera, quella
di cui ti ho parlato ieri sera...- La donna inclinò la testa da un lato,
improvvisamente colta da un inatteso quanto fondato sospetto, studiando con
attenzione l’espressione colpevole immediatamente assunta dallo sciagurato
figliolo - ..perchè ti ricordi di ieri sera, vero?
In
realtà, della sera precedente, Robertine ricordava soltanto di aver trascorso la
cena a cacarsi sotto in attesa
dell’incontro con mamma Koganame, fissando i Saltimbocca alla Romana che si
decomponevano nel piatto di ceramica turchese ed ignorando completamente
qualunque cosa i suoi genitori stessero bofonchiando. E come dargli torto?
Stava per rischiare di essere sventrato vivo dalle Katane di quei due buontemponi di Gitsuo
e Satomi. Ma questo,
no. Sua madre non poteva né doveva
saperlo.
Lei, si doveva preoccupare soltanto che i’ affezionato Robertine fosse il
più gentile possibile con la nuova, bastardissima cameriera.
Ma
porca puttana. Un ladro non può gestirsi il suo business di traffici illegali,
furti ed omicidi con i propri amici senza che sua madre gli imponga di fare da
crocerossina a una studentessa demente tutta trine e merletti dei Quartieri Alti
? Cose da pazzi.
Che
poi, se quella stronzetta era veramente l’Up Town Girl che
sua madre descriveva con tanto entusiasmo, Robertine non coglieva la sua
necessità di lavorare proprio lì, in un Ristorante Italiano a Whitechapel,
quando poteva tranquillamente chiedere a “Papi” di cacciare i soldi per
comprarle la nuova Chambon di Chanel.
E
ora, come avrebbe fatto, si poteva sapere?
I
suoi amici pretendevano spiegazioni per non essere stati informati di
quello sgradevole intoppo.
Sua
madre pretendeva spiegazioni circa il suo improvviso annebbiamento
mnemonico.
Gli
Hare Krishna avrebbero preteso spiegazioni per non essere stati
derubati e/o corrotti in giornata.
Quelli
sì che erano problemi: quelli con cui Robertine si ritrovava, d’altronde, a
dover fare i conti praticamente ogni giorno. Nulla a che vedere con la vita d’un
diciannovenne normale: e chi mi porto alla festa di metà semestre, e chi mi trombo stasera, e come faccio a
diventare il più popolare di tutto il campus. ..
Fesserie!
Ma
proprio mentre Erika stava per prendere la parola, terrorizzata dall’eventualità
che l’avvicinamento di una qualsiasi creatura di sesso femminile osasse minare
alla base le sue possibilità di portare all’altare Robertine Giordani, la porta
del Belvedere, accompagnata dal festoso tintinnare dei campanelli Salentini che la sormontavano, si aprì di
colpo...
***
“Stamattina
vado in Biblioteca, Papà...”
Georgia
Brookefield era perfettamente conscia di stare rischiando grosso. Per
cominciare, aveva mentito a suo padre, il che il più delle volte le era fruttato
una punizione non troppo generosa. Se poi ci si aggiungeva che aveva mentito a
suo padre “incazzato”, fuori di senno per la sparizione di una
generosa partita di droga trafugata da un’autovettura del suo Distretto soltanto
due notti prima, le possibilità di finire reclusa a vita nella mansarda di sua
zia Mildred, a dirla tutta, si centuplicavano.
Ma
non le importava granchè.
Lei, quell’interrail se lo era guadagnato. Sudando sui libri, presiedendo il
comitato di qualsiasi cosa durante il liceo, orchestrando aste di beneficienza,
fingendo di sopportare la corte di quell’imbecille di Tremont Fox, figlio del
braccio destro di suo padre, che neppure sapeva dove metterle le mani al mero
fine di evitare un incidente diplomatico.
Era
davvero disposta a tutto pur di girare
l’Europa con quella scriteriata della sua amica Paz; che papà Steve,
manco a dirlo, detestava fino all’ultima fibra del proprio corpo. Ma anche di questo, Georgia aveva deciso
di lavarsi completamente le mani. Ora, avrebbe preso il controllo la sua vita
completamente.
Niente più scuse.
Georgia
controllò la cartina che teneva tra le dita tremanti. Whitechapel Road era di
giorno una festa di colori e di profumi, con i banchetti bangladesi brulicanti
di stoffe e di commercianti esotici, ben lontana dall’incubo criminale che suo
padre le aveva descritto con tanto disprezzo sulle labbra.
Alzò
le spalle. L’obiettività non poteva essere certo la prerogativa principale di un
uomo il cui fine supremo era far rispettare la legge in ogni sua più sensibile
sfumatura, d’altronde.
Era
esattamente di fronte al Belvedere Restaurant, indecisa se entrare o meno. Georgia trasse un profondo respiro prima
di spingere la porta di vetro soffiato, sentendosi le guance
avvampare.
-Permesso..-
Sussurrò con un fil di voce, mentre lo sguardo d’una bella donna fasciata in un
abito verde intenso le si
incollava, curioso, addosso. La ragazza sperò immediatamente di essere
presentabile. Indossava una t-shirt bianca con il teschio di Cheap Monday,
leggings neri, All Star distrutte ed aveva i capelli raccolti in un’alta coda di
cavallo. Deglutì.
Immediatamente,
quella che aveva tutta l’aria di essere la “padrona di casa”, le si fece
incontro sorridendo radiosa
-Georgia!
Pequena!- Esclamò la donna, in un Inglese meticcio ma ugualmente
musicale, baciandola su ambedue le guance - Bienvenido! Sono Evita!
estoy feliz de accoglierti. Spero eso es genial conmigo! - Georgia gongolò tra sè e sè. Grazie a
Dio, nell’ultimo semestre aveva frequentato con profitto il corso avanzato di
Spagnolo. Benedetta senorita Hernandèz e le sue interrogazioni a
tappeto!
-Questo è mio
figlio, Robertiño..- Aggiunse, spingendo con forza in direzione di Georgia un
ragazzo biondiccio ed abbronzato, che sembrava non avere alcuna intenzione di
fare le feste alla nuova arrivata.
Georgia
lo studiò, incerta sul da farsi. Non voleva essere scortese: ma le sembrava
parimenti da perfetta idiota mostrarsi troppo cerimoniosa con uno sconosciuto
che sembrava, per giunta, decisamente infastidito dalla sua presenza. Era alto,
bello e con due occhi scurissimi che la osservavano a loro volta, il viso
inondato di efelidi. Restò muta per qualche secondo, in attesa di un segno. Il
quale, se si vuole essere precisi, non tardò ad arrivarle forte e chiaro, non
appena lo sciagurato prese la parola..
-Buongiorno.
Nos
hechamos un Polvo? – Buttò lì con un sorriso stronzo, mentre due
ragazzi neri, un tizio biondo e magrissimo ed una ragazzina mora che sembrava
avere qualche anno meno di lei, seduti al tavolo di fianco, si scompisciavano
letteralmente dalle risa. Dovevano essere la sua
cricca.
Evita
appioppò al figliolo degenere un pizzicotto violento sull’avambraccio,
costernata.
-Robertiño! Sei
impazzito??- squittì, mentre Georgia
incrociava le braccia sul petto, sperando vivamente che la ragazza non avesse
inteso la sfacciata proposta di Robertine (ci facciamo una scopata?)...
– Georgia, sono senza parole davvero. Scusalo, crede di essere
divertente, ma...
-Non
si preoccupi, signora Giordani..- Dal canto suo, Giorgia non aveva smesso un
attimo di fissare, dritto negli occhi, il manigoldo, il quale iniziava a tradire
un evidente disagio, con un beffardo sorriso dipinto sulle labbra color pesca .
Ne aveva incontrati a bizzeffe di tipi come lui, che cercavano di attentare
alla sua castità o le dicevano semplicemente porcherie. Sapeva come
trattarli...
–
Anzi, a suo figlio posso rispondere io volentieri, se me lo
concede.
-
¡Y
una mierda!- Esordì soddisfatta, sotto lo sguardo stupefatto dei presenti -
Follas menos que un gato de yeso. E, ah... Me
das asco!
“Sì, col cazzo. Scopi meno di un gatto di gesso. E, ah...mi fai
schifo!”.
-
NON CI POSSO CREDERE, SEI UNA GRANDE!!!..- Di lì a qualche secondo, il più alto
dei ragazzi di colore che sino ad un istante prima si erano fatti beffe di lei
si alzò in piedi, stringendole con forza la mano -..nessuna mai prima d’ora era
riuscita a lasciare in mutande Robertine, e tu te la sei cavata alla stragrande.
Scusaci se al primo approccio sembriamo bastardi, ma siamo fatti così..- Il
giovane sorrise, scoprendo due file di denti bianchissimi e perfetti -..vogliamo
prima testarli, gli estranei. Il mio nome è Dover, piacere!
Georgia gli strinse la mano contenta, mentre anche gli altri tre membri del clan facevano a gara per presentarlesi, e Robertine fissava visibilmente irritato il suolo. Le dispiaceva quasi d’ averlo umiliato. Ma se l’era proprio cercata: in più, era evidente che non sapeva proprio con chi aveva a che fare..
-Georgia, Georgia Brookefield..- Sorrise, mentre perfino la ragazza silenziosa che aveva scoperto essere una sua coetanea, a dispetto delle apparenze diveniva improvvisamente cordiale.
Ma
ci fu qualcosa che Georgia, tutta presa dall’euforia di quel momento, non potè
proprio notare. L’espressione del gallese Kensinghton, una volta udito il suo
cognome, mutò radicalmente: e
Robertine, che in compenso non gli aveva staccato gli occhi di dosso, la
conosceva bene.
Sapeva
che quando l’amico assumeva quei connotati da perfetto fulminato stava divenendo
preda di una “divina illuminazione”.
Aveva avuto un’ altra delle sue idee
“geniali”, in altre parole.
Un’idea
che avrebbe inevitabilmente complicato le cose...
Ecco. So che
a questo punto un sacco di domande si affollano nelle vostre testoline, se avete
letto sino a qui ^^. Cosa c’entra la Loggia di Londra? Chi è il Grande
architetto dell’Universo? Cosa devono fare esattamente quei disgraziati di
Robertine & Co? Non temete, nel prossimo capitolo (“Breakfast at Hare
Krishna Temple’s”) il piano criminoso a cui questi sprovveduti ladruncoli hanno preso
parte verrà palesato con chiarezza, con l’entrata in scena d’un nuovo, perfido
personaggio...è prevista una dose esponenziale di guai in arrivo! Nel
frattempo, come vedete, Robertine e Georgia si sono incontrati palesando l’
evidente incompatibilità dei loro caratterini ambedue desiderosi di fare la
parte del leone. Chi la spunterà? Io non nascondo che per Georgia ho un vero e
proprio debole. Ringrazio tutte coloro che fino ad ora hanno letto e recensito,
spero di essere all’altezza delle vostre aspettative e.... tranquille! Robertine
and friends, per ora, No. Non ho proprio intenzione di abbandonarli ; )
With
all my love
Sbreck