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Autore: Sbrecca    27/07/2010    4 recensioni
"-..perchè ti ricordi di ieri sera, vero? In realtà, della sera precedente, Robertine ricordava soltanto di aver trascorso la cena a cacarsi sotto in attesa dell’incontro con mamma Koganame, fissando i Saltimbocca alla Romana che si decomponevano nel piatto di ceramica turchese ed ignorando completamente qualunque cosa i suoi genitori stessero bofonchiando. E come dargli torto? Stava per rischiare di essere sventrato vivo dalle Katane di quei due buontemponi di Gitsuo e Satomi. Ma questo, no. Sua madre non poteva né doveva saperlo. Lei, si doveva preoccupare soltanto che l’ affezionato Robertine fosse il più gentile possibile con la nuova, bastardissima cameriera. Ma porca puttana. Un ladro non può gestirsi il suo business di traffici illegali, furti ed omicidi con i propri amici senza che sua madre gli imponga di fare da crocerossina a una studentessa demente tutta trine e merletti dei Quartieri Alti ? Cose da pazzi."
Genere: Romantico, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Giordani, te lo l ipetel ò ancola, solo pel una volta..- Azuka Koganame strinse i piccoli occhietti porcini già ridotti a due fessure addirittura ulteriormente, puntando l’indice rubicondo e pallido contro il  petto di Robertine- ...a quale dipaltimento di Scotland Yald ti sei venduto? E’ impossibile, impossibile ti dico! Sono la Pinyin più rispettata dell’intera Soho, nessuno poteva sapere del business di famiglia,se non un fottuto sbillo!Ola, dimmi subito pel chi lavoli.. - La ristoratrice cinese in evidente sovrappeso ansimava, visibilmente sudata, strizzata nel suo opulento chimono di seta, d’un rosso magenta che feriva gli occhi stanchi di Robertine.

La testa gli girava ed il sapore, acre ed intenso del sangue, del suo sangue, gli esplodeva contro il palato, saliva su per la sua gola riarsa dalla sete come una granata. Porca puttana, sti cinesi.

Aveva ragione suo padre. Sempre immersi nei loro affarucoli di poco conto, sembrava quasi che iniziassero a girargli non appena si osava proporgli un’offerta redditizia potenzialmente in grado di stanarli dalle loro asfissianti tane.

-Mamma Koganame, la prego. Stia calma..- Farfugliò Robertine. Era legato come un salame ad una poltrona girevole di pelle nera, in stile Impero, mentre gli scagnozzi della più ricca lavoratrice di Soho gli si stringevano attorno minacciosi, studiandolo con mandarina ferocia ancora avvolti nei loro grembiuli bianchi da cucina. Come aveva detto, Kensinghton? “Guadagnarsi l’appoggio della falange della Chinese Triad, quando si parla di droga, è facile come rubare le caramelle a un bambino”. Oh, certo. Perfetto, sul serio.

Ecco perché non appena Robertine aveva osato presentarsi con il solito sorriso stronzo nelle cucine sul retro del ristorante, bussando tre volte e chiedendo di mamma Koganame (il suo cognome da nubile), quattro camerieri ben più simili a dei Bruce Lee imbottiti di steroidi che ad imberbi  garzoncelli cinesi l’avevano infarcito di pugni e trascinato all’ultimo piano del palazzo, in uno stato di semi-incoscienza quasi fosse stato un sacco di patate.

Doveva a quello stronzo di gallese una bella strizzata di palle, per avergli procurato un biglietto di sola andata per il mattatoio.

CHIARO.

Sempre se usciva vivo da lì...

-Non lavoro per nessuno, posso giurarglielo sui miei testicoli. -mi perdoni la volgarità-..- Riprese il colombiano, mentre Azuka si accendeva un Original Millenium involtolato in carta oro senza staccargli i suoi occhietti maligni di dosso - Sono qui perché ho per le mani un affare così grosso, così potente ma anche così fottutamente pericoloso, che a me ed i miei amici è sembrato impensabile potercisi tuffare a capofitto senza l’appoggio della Triade. Chiunque aspiri a chiamarsi anche solo malavitoso a Londra lo sa quanto potere sia nelle vostre mani, quanto ricchi siate. Ma sono sicuro che il lavoretto che sto per proporvi piacerà anche a voi, e vi piacerà tanto che non oserete dirmi di no.

Con un colpo d’anca, Robertine lasciò precipitare sul pavimento l’odoroso sacchetto di iuta che teneva nascosto all’interno dei suoi pantaloni cargo color kaki, di almeno due taglie in esubero per il corpo atletico e misurato del ladruncolo latino.

Gli occhi neri di Azuka sembrarono rischiare di precipitarle fuori dalle orbite infossate.

-Non ci posso cledele..- Farfugliò, interdetta, rigirandosi tra le mani quel mistico amuleto contenente la stessa, purissima cocaina che la notte precedente aveva seccato la gola a Robertine -..ma è...è...il sigillo del grande maestlo! Satomi, Gitsuo! Libelate immediatamente questo giovane!! E’ stato ingaggiato da...da...dalla LOGGIA DI LONDLA!

Robertine non riuscì a trattenere un moto di soddisfazione mentre due dei ragazzotti cinesi che poco prima l’avevano utilizzato come pungiball a propria discrezione scioglievano le funi che gli opprimevano il diaframma con mano tremante, guardandolo improvvisamente con rispetto e terrore negli occhi.

-Non esattamente, la esposa..- Sorrise, già riappropriatosi del proprio irriducibile appeal di seduttore. Non vedeva l’ora di ammirare in tutta tranquillità la faccia che Dover avrebbe fatto vedendolo tornare “Al Belvedere” ancora tutto intero, dopo un contatto ravvicinato con una delle tagliagole più spietate di Londra. Era del tutto inutile. Nessuno poteva fare secco Robertine Giordani.

Sorrise di nuovo, pronto ad assestare ad Azuka il colpo finale.

- ..mai sentito parlare del Grande Architetto dell’Universo?

 

 

***

-Robertina, sei una dannata figlia di troia!- A strepitare era Dover, comodamente seduto presso uno dei tavolini all’entrata del “Belvedere Restaurant”. I gomiti sgraziatamente incollati alla tovaglia color pesca ed un Reggae Cap, coi colori della Jamaica, ben calato sulla testa  rasata - ti giuro, te lo giuro che credevo saresti tornato senza palle, stavolta. Che Mamma Koganame le avrebbe date in pasto direttamente ai suoi clienti, spacciandole per Uramaki. Tanto, lo sai...le dimensioni..-

Come di consueto, ogni mattina, alle undici precise i componenti della sgangherata banda di ladruncoli si incontravano per condividere una sostanziosa colazione presso il loro quartiere generale: il ristorante della famiglia Giordani, monitorati dallo sguardo benevolo e preoccupato della  madre di Robertine.

La signora Evita De la Hacienda Giordani. Ma quella volte, avevano qualcosa di ben più importante dell’ennesimo furtarello in Metropolitana, di cui discutere...

-Dover, ma vattene al diavolo. Ti ruga il cazzo solo perché non sei stato tu a scontrarti con la Triade e a tornare vivo per poterlo raccontare..- Tagliò corto Erika, mulinando l’alta treccia francese che le raccoglieva i capelli con aria sdegnosa. Robertine le rivolse uno sguardo di muta solidarietà. Quella mattina indossava una t-shirt  bianca targata Pinko, con un inquietante skelanimal di perle e perline spiaccicato sopra, pantaloni afgani neri, giganteschi orecchini e  ciabatte Birkenstock rumorose color lampone, che ne lasciavano scoperti i piedini abbronzati e dalle unghie rosso laccate. A detta di Kensinghton, tristemente noto per le sue perversioni feticiste, i piedi di Erika erano i più scopabili di tutto il Regno Unito. Secondo Robertine, a cui delle appendici del corpo non fotteva granchè, seppur ignorandone l’estensione nanomicronica degli alluci, Erika Santini era comunque una ragazza davvero carina. Peccato per quei due, fastidiosi, problemi, che proprio non ne volevano sapere di cessare di rendere impossibile l’instaurarsi di una qualsivoglia relazione tra di loro.

Uno. Erika era una puttana.

Due. Era una puttana innamorata di lui. ..

-Erika, ti preferisco con un pene in gola. Almeno taci..- Sbuffò Kensinghton, intento a trangugiare il suo Cappuccino bollente. Aromatizzato all’arancia, come piaceva a lui – anche se devo ammettere che con te condivido l’ammirazione per il nostro valoroso maricon. Bravo Robertine, i miei complimenti. In meno di ventiquattro ore siamo già passati alla fase due del nostro piano, grazie a te. Attirare la Triade nella nostra trappola. Ed ecco che altri dei più illustri narcotrafficanti di Londra sono stati privati del loro potere individuale..-

Il gallese dagli occhi di ghiaccio si passò una mano tra i capelli ossigenati esaminando con lo sguardo i suoi commensali, uno dopo l’altro. Sul bicipite destro, pallido e smilzo, aveva tatuato il volto d’un Cristo sofferente, con la corona di spine posta sul capo ad inondargli la faccia di rivoli di sangue caldo e scuro.

-La terza, è raggiungere il numero tre della nostra lista dritto nella sua tana. Il tempio degli Hare Krishna, questa stessa mattina. Non c’è tempo da perdere. Vi voglio attivi e scattanti, pronti a rischiare tutto. Seguite l’esempio di...Robertine!

Dover mugolò.

-Ma anche io e Clear abbiamo fatto la nostra parte..- Protestò, azzannando un cornetto di ripieno di crema Chantilly ancora caldo di forno ..- abbiamo derubato quello stronzo di Scotland Yard ieri notte, non appena ci siamo salutati. Ricordiamoglielo, fratello!

Clear annuì energicamente, a propria volta. I numerosi bracciali che portava ai polsi tintinnavano ad ogni suo movimento mentre gesticolava con enfasi.

-Gli sbirri avevano appena sottratto  la coca al clan mafioso dei Corelli. Erano segnati sulla lista dell’Architetto...- Spiegò il giovane, mentre sulle labbra di Kensinghton si delineava via via una smorfia di autentico disappunto – toglierlo alla volante è stato come aver fatto fuori altri stronzi della concorrenza. Quindi, anche noi abbiamo contribuito..-

-No, no, no. Sbagliato, sbagliatissimo invece..- Riprese la parola Kensinghton, livido di rabbia – siete degli autentici dementi. Così abbiamo rischiato di attirare l’attenzione della Polizia su quella che doveva restare invece l’Operazione Segreta del secolo. Gli avete fornito una pista, capite? Ma che cazzo vi ho insegnato in tutti questi anni? SIETE DEI GORILLA DECEREBRATI DEL CAZZO, ECCO COSA!

I pochi clienti mattinieri del Belvedere si voltarono all’unisono verso il tavolo tredici, con espressione stupita.  Evita Giordani, a sua volta impegnata a contare gli incassi della giornata precedente, rivolse al pittoresco gruppetto d’amici uno sguardo costernato.

-Ma porca miseria, Kensinghton. Li rimproveri di aver attirato l’attenzione, ma pure tu non scherzi..- Biascicò Robertine, intimando ai “ colleghi” di mantenere la calma. Aveva bisogno di tutt’altro che di una sfuriata di sua madre, dopo la notte da incubo trascorsa nelle grinfie della mafia cinese di Soho..

- fai silenzio, per carità. Forse la mossa di Dover e Clear non è stata geniale, ma in breve tempo ci saremmo ritrovati gli sbirri alle calcagna comunque...- Il colombiano fece una pausa mentre la madre , palesemente intenzionata a dirigersi verso di loro, penetrava a forza nel suo campo visivo. Oh, no. Guai in vista..

-O forse ti è sfuggita l’idea che un’ondata di furti orchestrata da non si sa chi,  aventi per vittime i più grossi spacciatori di Londra oltretutto, non possa assolutamente passare inosservata neppure sul Pianeta dei Conigli Rosa?

-Sul pianeta di...che cosa?  Non è che avete iniziato ad imbottirvi di una qualche strana, nuova droga allucinogena, sin dalle prime luci del mattino?- La signora Evita De la Hacienda Giordani, avvolta in un abito  verde mela di fine taglio sartoriale, fissava i suoi cinque “ragazzi”, come soleva affettuosamente chiamarli, con le braccia ripiegate lungo fianchi, gli occhialetti neri in bilico sulla punta del lungo naso dritto.

 -Robertine, Ay de ti! Ti voglio nel pieno delle forze per accogliere la nostra nuova cameriera, quella di cui ti ho parlato ieri sera...- La donna inclinò la testa da un lato, improvvisamente colta da un inatteso quanto fondato sospetto, studiando con attenzione l’espressione colpevole immediatamente assunta dallo sciagurato figliolo - ..perchè ti ricordi di ieri sera, vero?

In realtà, della sera precedente, Robertine ricordava soltanto di aver trascorso la cena  a cacarsi sotto in attesa dell’incontro con mamma Koganame, fissando i Saltimbocca alla Romana che si decomponevano nel piatto di ceramica turchese ed ignorando completamente qualunque cosa i suoi genitori stessero bofonchiando. E come dargli torto? Stava per rischiare di essere sventrato vivo dalle  Katane di quei due buontemponi di Gitsuo e Satomi.  Ma questo, no. Sua madre non poteva né doveva saperlo.

Lei, si doveva preoccupare soltanto che i’ affezionato Robertine fosse il più gentile possibile con la nuova, bastardissima cameriera.  

Ma porca puttana. Un ladro non può gestirsi il suo business di traffici illegali, furti ed omicidi con i propri amici senza che sua madre gli imponga di fare da crocerossina a una studentessa demente tutta trine e merletti dei Quartieri Alti ? Cose da pazzi.

Che poi, se quella stronzetta era veramente l’Up Town Girl che sua madre descriveva con tanto entusiasmo, Robertine non coglieva la sua necessità di lavorare proprio lì, in un Ristorante Italiano a Whitechapel, quando poteva tranquillamente chiedere a “Papi” di cacciare i soldi per comprarle la nuova Chambon di Chanel.

E ora, come avrebbe fatto, si poteva sapere?

I suoi amici pretendevano spiegazioni per non essere stati informati di quello sgradevole intoppo.

Sua madre pretendeva spiegazioni circa il suo improvviso annebbiamento mnemonico.

Gli Hare Krishna avrebbero preteso spiegazioni per non essere stati derubati e/o corrotti in giornata.

Quelli sì che erano problemi: quelli con cui Robertine si ritrovava, d’altronde, a dover fare i conti praticamente ogni giorno. Nulla a che vedere con la vita d’un diciannovenne normale: e chi mi porto alla festa di metà semestre,  e chi mi trombo stasera, e come faccio a diventare il più popolare di tutto il campus. .. Fesserie!

Ma proprio mentre Erika stava per prendere la parola, terrorizzata dall’eventualità che l’avvicinamento di una qualsiasi creatura di sesso femminile osasse minare alla base le sue possibilità di portare all’altare Robertine Giordani, la porta del Belvedere, accompagnata dal festoso tintinnare dei campanelli  Salentini che la sormontavano, si aprì di colpo...

 

 

 

                                                                                      ***

“Stamattina vado in Biblioteca, Papà...”

Georgia Brookefield era perfettamente conscia di stare rischiando grosso. Per cominciare, aveva mentito a suo padre, il che il più delle volte le era fruttato una punizione non troppo generosa. Se poi ci si aggiungeva che aveva mentito a suo padre “incazzato”, fuori di senno per la sparizione di una generosa partita di droga trafugata da un’autovettura del suo Distretto soltanto due notti prima, le possibilità di finire reclusa a vita nella mansarda di sua zia Mildred, a dirla tutta, si centuplicavano.

Ma non le importava granchè. Lei, quell’interrail se lo era guadagnato. Sudando sui libri, presiedendo il comitato di qualsiasi cosa durante il liceo, orchestrando aste di beneficienza, fingendo di sopportare la corte di quell’imbecille di Tremont Fox, figlio del braccio destro di suo padre, che neppure sapeva dove metterle le mani al mero fine di evitare un incidente diplomatico.

Era davvero disposta a tutto pur di girare  l’Europa con quella scriteriata della sua amica Paz; che papà Steve, manco a dirlo, detestava fino all’ultima fibra del proprio corpo.  Ma anche di questo, Georgia aveva deciso di lavarsi completamente le mani. Ora, avrebbe preso il controllo  la sua vita completamente.

Niente più scuse.

Georgia controllò la cartina che teneva tra le dita tremanti. Whitechapel Road era di giorno una festa di colori e di profumi, con i banchetti bangladesi brulicanti di stoffe e di commercianti esotici, ben lontana dall’incubo criminale che suo padre le aveva descritto con tanto disprezzo sulle labbra.

Alzò le spalle. L’obiettività non poteva essere certo la prerogativa principale di un uomo il cui fine supremo era far rispettare la legge in ogni sua più sensibile sfumatura, d’altronde.

Era esattamente di fronte al Belvedere Restaurant, indecisa se entrare o meno.  Georgia trasse un profondo respiro prima di spingere la porta di vetro soffiato, sentendosi le guance avvampare.

-Permesso..- Sussurrò con un fil di voce, mentre lo sguardo d’una bella donna fasciata in un abito verde intenso  le si incollava, curioso, addosso. La ragazza sperò immediatamente di essere presentabile. Indossava una t-shirt bianca con il teschio di Cheap Monday, leggings neri, All Star distrutte ed aveva i capelli raccolti in un’alta coda di cavallo. Deglutì.

Immediatamente, quella che aveva tutta l’aria di essere la “padrona di casa”, le si fece incontro sorridendo radiosa

-Georgia! Pequena!- Esclamò la donna, in un Inglese meticcio ma ugualmente musicale, baciandola su ambedue le guance - Bienvenido! Sono Evita! estoy feliz de accoglierti. Spero eso es genial conmigo!  - Georgia gongolò tra sè e sè. Grazie a Dio, nell’ultimo semestre aveva frequentato con profitto il corso avanzato di Spagnolo. Benedetta senorita Hernandèz e le sue interrogazioni a tappeto!

-Questo è mio figlio, Robertiño..- Aggiunse, spingendo con forza in direzione di Georgia un ragazzo biondiccio ed abbronzato, che sembrava non avere alcuna intenzione di fare le feste alla nuova arrivata.

Georgia lo studiò, incerta sul da farsi. Non voleva essere scortese: ma le sembrava parimenti da perfetta idiota mostrarsi troppo cerimoniosa con uno sconosciuto che sembrava, per giunta, decisamente infastidito dalla sua presenza. Era alto, bello e con due occhi scurissimi che la osservavano a loro volta, il viso inondato di efelidi. Restò muta per qualche secondo, in attesa di un segno. Il quale, se si vuole essere precisi, non tardò ad arrivarle forte e chiaro, non appena lo sciagurato prese la parola..

-Buongiorno. Nos hechamos un Polvo?Buttò lì con un sorriso stronzo, mentre due ragazzi neri, un tizio biondo e magrissimo ed una ragazzina mora che sembrava avere qualche anno meno di lei, seduti al tavolo di fianco, si scompisciavano letteralmente dalle risa.  Dovevano essere la sua cricca.

Evita appioppò al figliolo degenere un pizzicotto violento sull’avambraccio, costernata.

-Robertiño! Sei impazzito??-  squittì, mentre Georgia incrociava le braccia sul petto, sperando vivamente che la ragazza non avesse inteso la sfacciata proposta di Robertine (ci facciamo una scopata?)... – Georgia, sono senza parole davvero. Scusalo, crede di essere divertente, ma...

-Non si preoccupi, signora Giordani..- Dal canto suo, Giorgia non aveva smesso un attimo di fissare, dritto negli occhi, il manigoldo, il quale iniziava a tradire un evidente disagio, con un beffardo sorriso dipinto sulle labbra color pesca . Ne aveva incontrati a bizzeffe di tipi come lui, che cercavano di attentare alla sua castità o le dicevano semplicemente porcherie. Sapeva come trattarli...

– Anzi, a suo figlio posso rispondere io volentieri, se me lo concede.

- ¡Y una mierda!- Esordì soddisfatta, sotto lo sguardo stupefatto dei presenti - Follas menos que un gato de yeso. E, ah... Me das asco!

“Sì, col cazzo. Scopi meno di un gatto di gesso. E, ah...mi fai schifo!.

- NON CI POSSO CREDERE, SEI UNA GRANDE!!!..- Di lì a qualche secondo, il più alto dei ragazzi di colore che sino ad un istante prima si erano fatti beffe di lei si alzò in piedi, stringendole con forza la mano -..nessuna mai prima d’ora era riuscita a lasciare in mutande Robertine, e tu te la sei cavata alla stragrande. Scusaci se al primo approccio sembriamo bastardi, ma siamo fatti così..- Il giovane sorrise, scoprendo due file di denti bianchissimi e perfetti -..vogliamo prima testarli, gli estranei. Il mio nome è Dover,  piacere!

Georgia gli strinse la mano contenta, mentre anche gli altri tre membri del clan facevano a gara per presentarlesi, e Robertine fissava visibilmente irritato il suolo. Le dispiaceva quasi d’ averlo umiliato. Ma se l’era proprio cercata: in più, era evidente che non sapeva proprio con chi aveva a che fare..

-Georgia, Georgia Brookefield..- Sorrise, mentre perfino la ragazza silenziosa che aveva scoperto essere una sua coetanea, a dispetto delle apparenze diveniva improvvisamente cordiale.

Ma ci fu qualcosa che Georgia, tutta presa dall’euforia di quel momento, non potè proprio notare. L’espressione del gallese Kensinghton, una volta udito il suo cognome, mutò radicalmente:  e Robertine, che in compenso non gli aveva staccato gli occhi di dosso, la conosceva bene.

Sapeva che quando l’amico assumeva quei connotati da perfetto fulminato stava divenendo preda di una “divina illuminazione”.

 Aveva avuto un’ altra delle sue idee “geniali”, in altre parole.

Un’idea che avrebbe inevitabilmente complicato le cose...

 

 

Ecco. So che a questo punto un sacco di domande si affollano nelle vostre testoline, se avete letto sino a qui ^^. Cosa c’entra la Loggia di Londra? Chi è il Grande architetto dell’Universo? Cosa devono fare esattamente quei disgraziati di Robertine & Co? Non temete, nel prossimo capitolo (“Breakfast at Hare Krishna Temple’s”) il piano criminoso a cui  questi sprovveduti ladruncoli hanno preso parte verrà palesato con chiarezza, con l’entrata in scena d’un nuovo, perfido personaggio...è prevista una dose esponenziale di guai in arrivo! Nel frattempo, come vedete, Robertine e Georgia si sono incontrati palesando l’ evidente incompatibilità dei loro caratterini ambedue desiderosi di fare la parte del leone. Chi la spunterà? Io non nascondo che per Georgia ho un vero e proprio debole. Ringrazio tutte coloro che fino ad ora hanno letto e recensito, spero di essere all’altezza delle vostre aspettative e.... tranquille! Robertine and friends, per ora, No. Non ho proprio intenzione di abbandonarli ; )  

 

With all my love

 

Sbreck

 

 

  
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