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Autore: laFrantz    28/07/2010    3 recensioni
Una slash come tante. Ma la coppia è inusuale perché registra due opposti.
Forse Severus Sirius? Naaa... Allora Severus/Harry? Per carità! Severus/Fred Wesley? Ok, tu stai degenerando sorella.
Mi riferisco alla coppia Severus Piton/Gilderoy Allock.
La storia è ambientata dopo il settimo libro, ipotizzando che Piton non sia mai morto. Non è una storia comica; oddio, Allock, però, è un po' ridicolo.
A puntate. Non preoccupatevi per il numero elevato di capitoli: sono piccolini.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Severus Piton, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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Ho pensato che sarebbe stato più corretto presentare anche Allock. D'ora in poi mi riservo di pubblicare settimanalmente.  

   Due piani più sotto nella sua vestaglia lilla Gilderoy Allock affrontava l'ennesima sconfitta: la sua labile memoria non solo si ostinava a non ricordare più chi fosse, ma neanche cosa avesse scritto nei suoi libri che più volte aveva letto. Non era, purtroppo, certo se ciò fosse dovuto a una rigetto totale per la sua identità, oppure al non esser mai stato un bravo studente (avesse potuto ricordare, gli sarebbero venute alla mente le immagini di un adolescente Allock capace di fuggire dalle aule a velocità da centometrista).
   Seppur la caligine dei primi tempi si fosse totalmente riassorbita e non vagasse più come un ebete, o almeno non più di quanto facesse prima dell'incidente, erano oramai cinque anni che stazionava in quell'ospedale e non aveva guadagnato di se nessun ricordo, se non alcune vecchie abitudini e tendenze, innate in lui, quasi genetiche, quali certi atteggiamenti divistici e un certo modo di vestire, porsi, e pensare. Purtroppo, però, questi successi erano insoddisfacenti per un uomo che supponeva giusto possedere un ego sproporzionato, ma oramai mutilo dei migliori vanti. 
  
Negli ultimi mesi subiva un po' di depressione e il consiglio di alcuni medici di lasciar stare e tentare una vita nuova stato accolto tutte le volte con vere e proprie scene d'isteria. Questo netto rifiuto era dettato anche dal tentativo di proteggere i suoi neonati ricordi formatisi dopo il suo risveglio all'ospedale e che ora costituivano il suo unico bagaglio identitario: non credeva affatto che avrebbe retto fuori dalla quotidianità San Mugo, dove oramai la sua giornata era scandita e le sue amicizie, seppur alcune più pazze di lui, consolidate.

  
«Mr. Allock, ma oggi non sprizza luminosità e charme come suo solito. Qualche preoccupazione?» lo vezzeggiò l'infermiera, sua antica e fedele lettrice. L'idea di deludere una sua ammiratrice fece partire qualche ingranaggio nel cervello del mago che, eliminata ogni traccia di tristezza, espose il suo miglior sorriso, proprio quel sorriso che gli era valso più di un premio, che se ne ricordasse o meno.
   «Nulla di irrimediabile, ragazza mia. Ma dimmi: giornalisti oggi per me?»
   «Purtroppo no. Sa, noi li teniamo lontano dai nostri pazienti, per non svilirli e garantirgli una pacifica guarigione» lo accontentò la buona donna.
   «Eppur ne ho visto qualcuno anche quest'oggi.»
   «Sono per Piton. Da quando si è ripreso ogni tanto tentano un'intervista, o quantomeno una foto di lui convalescente. Invano: è irraggiungibile fuorché dallo staff ospedaliero».
   «Oh, Piton, Piton, Piton... si, meritati quei giornalisti. Ma chissà se saprebbe trattare con loro: dovrei dirgli due parole per indirizzarlo bene in modo da non farlo cadere preda di quei lieti pescecani armati di notebook fatati.» e, con uno sguardo di chi la sa lunga, ma in modo paternalistico e generoso, si avviò verso l'uscita della camera.
   «Io, sinceramente Mr. Allock, non mi sento sicura con un simile soggetto nell'ospedale.»
   «Oh, e perché mai? Non ha letto le sue avventure? Non ha saputo del suo eroismo? Mi domando come non se ne possa esser lieti.» esternò Gilderoy, rivelando come la sua visione dei fatti accaduti negli ultimi tre anni, conclusivi di un periodo di nero terrorismo, non fossero per lui più solidi di una buona trama per un suo libro. Probabilmente non percepiva, rinchiuso oramai da cinque anni in un luogo lontano dalla realtà, gli eventi che riempivano i giornali come gravi, e Severus Piton altro non rappresentava nel suo immaginario che un eroe da cinema, da fumetto: semplicemente virtuoso, senza spessore psicologico, e, con molta probabilità, alto e muscoloso. Le ombre che preoccupavano molti altri non toccavano i suoi positivi pregiudizi.
   Fuori nel corridoio avanzò verso le scale, intenzionato a raggiungere il bar, non prima senza congedarsi dalla sua fedele infermiera con l'usuale cordialità che, probabilmente, non aveva mai negato a nessuno in tutta la sua vita, troppo preso a raggiungere il totale consenso pubblico.

   Più tardi, davanti alla sua bibita rinfrescante, ma a basso impatto calorico, ripensò a tutti quei giornalisti: interiormente invidiava l'attenzione rivolta a qualcuno che, l'avrebbe potuto scommettere, non possedeva il fascino che è consono in queste situazioni; ma, troppo altero per ammetterlo a se stesso, continuò a speculare su Piton con la medesima preoccupazione fraterna nei suoi confronti espressa poco prima con l'infermiera.
   Quel pover'uomo di Piton si trova in una situazione di prezioso lancio per la sua carriera: le luci della ribalta volte verso lui gli avrebbero potuto permettere di cambiare la sua vita. Sempre che fosse riuscito a cogliere la palla al balzo: ma, come aveva sentito dire poco prima, il mago si ostinava a esser irraggiungibile. Grave errore non mostrarsi quando ancora le sue ferite erano sanguinanti e lividi ben visibili: non si può negare al pubblico la dignitosa sofferenza.
   «Qualcuno dovrebbe indirizzarlo meglio!» affermò sicuro al suo bicchiere. E, preso il suo vitreo interlocutore ancora mezzo pieno, si alzò e si diresse deciso verso le scale.

   
 
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