Ci
sono giorni memorabili nella nella nostra
vite in cui incontriamo persone che ci fanno fremere
come ci fa fremere una bella poesia,
persone la cui stretta di mano è colma di tacita
comprensione
e il cui carattere dolce e generoso dona
alle nostre anime desiderose e impazienti una calma meravigliosa.
Forse non le abbiamo mai viste prima
e magari non attraverseranno mai più il sentiero della
nostra vita;
ma l’influsso della loro tranquillità e
umanità
è una libagione versata sul nostro malcontento e sentiamo il
suo tocco
salutare come l’Oceano sente la corrente della Montagna
che rinfresca le sue acque salate.
( Helen Keller )
Nell’aria
torbida
del mattino, il vento soffiava forte tra gli spiragli delle finestre
rotte,
creando un sibilo mortale; un sussurro macabro a cui era ampiamente
abituato. La
pioggia batteva costante e gocciolava all’interno di quella
vecchia dimora, al
centro di quello che un tempo era stato un salone pieno di vita e
calore. Un
piccolo secchio stava tra i due vecchi divani, sopra un tappeto ormai
logoro,
per raccogliere l’acqua che scendeva da un buco del tetto di
legno, finito dal
tempo. Le due candele accese, poste sul polveroso davanzale in marmo
del
camino, andavano liquefacendosi lentamente, mentre la luce morente di
quella
piccola fiamma mandava bagliori intermittenti verso i due
portafotografie posti
lì davanti. Ritratti di una vita passata ma mai dimenticata;
di sorrisi pieni
di speranza ed aspettativa per il futuro.
La
porta della
veranda cigolava, mossa dal vento, come un acuto lamento, ricordando i
tempi in
cui invece si apriva senza alcun rumore e veniva chiusa allo stesso
modo da un
bambino che non la smetteva di fare avanti e indietro tra la veranda e
la
cucina, nella speranza che la mamma gli allungasse qualche prelibatezza
della
cena imminente.
Ricordi
di una
vita lontana, semplice ma meravigliosa. Ricordi, solo ricordi.
Vivevo
ormai da troppo
tempo rintanato tra di essi, nella vana speranza che questi potessero
riempire
le mie giornate ormai vuote e prive di senso. Quanti desideri avevo da
bambino
e quante preoccupazioni e aspirazioni avevo da ragazzo, ma ormai non
avevo più
alcun desiderio o aspirazione ma solo preoccupazione. A dire il vero
neanche
quella forse…
Sapevo
che prima o
poi avrei messo fine io stesso alla mia esistenza, anche se questo era
difficile, sapevo che c’erano i modi per poterlo fare.
Quando
ero ancora
umano, guardavo al futuro con quella voglia di arrivare tipica dei
giovani.
Immaginavo una famiglia, fondata sui buoni principi e valori importanti
come lo
era stata la mia. Sognavo una donna capace di rendermi felice con un
solo
sorriso; un figlio a cui poter insegnare ciò che sapevo, che
avrebbe guardato
affascinato la mia divisa e che avrebbe indossato il mio cappello
militare,
immaginando di essere al mio posto un giorno. Infatti ciò
che volevo più di
ogni altra cosa era entrare a far parte dell’esercito e poter
fare qualcosa per
il mio paese.
Nemmeno
quello mi
era stato concesso e adesso non potevo fare nulla di ciò che
avevo sognato per
me.
Non
avevo una
donna che mi amava, non avevo un figlio da amare e crescere, vederlo
cadere per
poi aiutarlo a rialzarsi; non avevo fatto nulla per aiutare la mia
patria. Non
avevo più una vita.
Tutto
ciò che mi
era accaduto era stato quello di cadere in un baratro senza ritorno.
Ero
diventato un mostro sanguinario, che non riusciva a guardarsi allo
specchio e
si nutriva fino a star male di sangue animale e si chiudeva nella sua
vecchia
casa a Chicago, pur di non incontrare nessuna forma umana, per paura di
ucciderla.
Questa
era la mia
esistenza e non potevo far nulla per cambiarla. Un essere umano anche
se
arrivato quasi a toccare il fondo, poteva ancora tornare indietro e far
qualcosa per cambiare la sua vita, ma io non ero nemmeno più
umano e non c’era
soluzione ai miei problemi.
Mi
alzai dalla mia
vecchia poltrona in pelle rossa, su cui ero solito stare raggomitolato,
quando
ero ancora un bambino, mentre la mamma seduta sul divano mi leggeva
qualche storia,
o mio padre seduto a terra sul tappeto cercava di finire quel piccolo
trenino
che tanto amava costruire. Non l’ebbe mai finito.
Mi
avvicinai al
tavolo, coperto da un panno verde, su cui riposava una piccola pista di
legno,
su cui era poggiato il trenino fatto a metà di mio padre.
Con le dita tolsi un
po’ di polvere e ricordai la mia espressione di gioia ogni
volta che mio padre
finiva una piccola parte di quello che per me era un vero tesoro.
Mi
voltai sdegnato
e con le mani in tasca mi avvicinai alla finestra. Aveva smesso di
piovere ma
il cielo era come sempre cupo e minaccioso.
Erano
anni ormai
che avevo deciso di vivere da solo in questa casa. Carlisle, colui che
mi aveva
salvato e ucciso al tempo stesso, veniva a trovarmi spesso, ma io
cercavo
sempre di fargli capire che non lo desideravo. Da una parte mi
dispiaceva
perché Carlisle, sua moglie Esme e i suoi “ figli
“ adottivi erano quanto più
vicino a una famiglia avessi. Tuttavia io non volevo una famiglia, non
più.
Spesso
mi
ricordavo dei pochi mesi passati insieme al mio creatore. Esme si
comportava
come una mamma nei miei confronti, ma nonostante l’affetto
che provavo per lei,
niente poteva colmare il vuoto che permaneva in me, senza speranza.
Alice,
Emmett,
Rosalie e Jasper erano vampiri davvero singolari. Così
diversi tra loro ma così
uniti al tempo stesso. Non ero mai riuscito a integrarmi del tutto con
loro,
perché non riuscivo a buttarmi il passato alle spalle e
vivevo in costante
apatia.
Sentii
i pensieri
di Carlisle, farsi sempre più vicini. Stavolta era passato
più tempo
dall’ultima volta che mi era venuto a trovare. Di solito
veniva soltanto lui,
per cercare di farmi tornare tra loro, ma erano passati così
tanti anni che
forse anche lui si era rassegnato.
Dopo
pochi istanti
avvertii la sua presenza dietro di me, ma non mi girai nemmeno quando
mi poggiò
una mano sulla spalla, con fare paterno.
<<
Edward.
>> disse semplicemente, ma feci come se non
l’avessi sentito.
Restammo
immobili
per minuti, secondi o forse ore, fin quando Carlisle con un sospiro si
andò a
sedere su uno dei due divani.
<<
Edward
devo parlarti. Potrei avere la tua attenzione, per favore?
>>
Il
suo tono era
come sempre calmo e pacato e io non potei far altro che voltarmi e
sedermi sul
divano di fronte a lui. Lo guardai e questo era già il mio
segnale di
attenzione.
<<
Bene…
ascolta, figliolo, ricordi che ti ho parlato di Bella? >>
Sbuffai
e mi
passai velocemente una mano tra i capelli bronzei, perennemente
spettinati.
<<
Sì,
Carlisle, perché me lo chiedi? >>
Erano
mesi che mi
parlava di quella ragazza. Era una paziente della sua clinica a Seattle
e a
quanto avevo capito aveva avuto un trauma, ma nessuno aveva capito a
cosa fosse
dovuto. Non parlava mai con nessuno, tranne con qualche infermiera e
preferiva
stare nel giardino o nella sua stanza. Si comportava come una bambina e
diceva
cose infantili. Tutto ciò era ovviamente anomalo dato che
lei aveva diciassette
anni, la mia stessa età quando ero stato trasformato.
L’anno in cui tutta la
mia vita era finita. Forse per questo odiavo che Carlisle me ne parlava.
<<
Beh,
pensavo che potessi venire con me. Fare un salto alla clinica e vederla
di
persona. >>
Inarcai
un
sopracciglio e lo guardai dubbioso.
<<
Perché dovrei
volere questo? A che servirebbe? Sai che non esco quasi mai, se non di
notte
per la caccia. Non vengo mai a trovarvi, come potresti pensare che vado
a
vedere una strana ragazza che nemmeno conosco? >>
Lui
mi guardò con
un sorriso e poggiò le spalle al divano.
<<
Appunto
per questo. E’ un buon motivo per cambiare aria. Sai la
nostra famiglia è molto
affezionata a lei. E’ una ragazza particolare, è
vero, ma è molto speciale.
Credo che abbiate molto in comune. >>
A
quelle parole
non trattenni un ringhio, ma Carlisle non ne sembrò affatto
impressionato.
<<
In
comune? >> dissi alzando la voce e alzandomi di scatto.
<<
Come fai
a dirlo? Io sono un vampiro e lei è un umana. Lei
può ancora vivere la sua vita
e la spreca con inutili paure, mentre io sono condannato!
>>
Cercai
di
calmarmi, Carlisle aveva le migliori intenzioni e non si meritava i
miei
sfoghi. Ma quando diceva quelle cose mi faceva arrabbiare in modo
indicibile.
Io non avevo nulla in comune con gli essere umani, non più.
Camminai
velocemente da una parte all’altra del salone, fin quando non
mi fermai davanti
a lui.
<<
Carlisle,
non so cosa tu abbia in mente, ma credimi non servirà.
>>
Lui
si alzò in
piedi e per la prima volta lo vidi quasi arrabbiato.
<<
Non so
cosa abbia in mente tu, Edward. Ma se pensi che rimarrò con
le mani in mano a
guardare mentre ti distruggi, ti sbagli di grosso. >>
Non
mi aveva mai
detto cose del genere, sebbene me le abbia sempre fatte capire in modo
diverso.
<<
Non è
questa la promessa che ho fatto a tua madre. >>
A
quelle parole mi
irrigidii. Sapevo che mia madre aveva chiesto a Carlisle di salvarmi,
in
qualsiasi modo. Non sapevo se avesse capito la vera natura di Carlisle,
ma ne
dubitavo. Lei voleva solo salvarmi… se solo avesse saputo
che io non volevo un
esistenza del genere…
<<
Non
parlare di mia madre. >> sibilai e lui, sospirando, si
risedette nel
divano.
In
quel frattempo
non avevo prestato attenzione e in poco tempo vidi tutti i miei
fratelli al
completo più Esme, che mi guardava tristemente.
Non
sapevo se
essere più stupito che arrabbiato, ma non ebbi il tempo di
formulare alcun
pensiero che Esme mi abbracciò singhiozzando. I vampiri non
potevano piangere,
ma se Esme fosse stata ancora umana avrebbe pianto disperata.
D’istinto
l’abbracciai e lei mi accarezzò i capelli, con
fare protettivo.
L’ammirai
perché non
mi disse nulla, ne mi rimproverò. Si limitò ad
abbracciarmi per poi darmi un
bacio sulla guancia e sedersi accanto al marito.
Alice
mi sorrideva
e si torceva le mani, indecisa sul da farsi. Era stata parecchio furba,
aveva
camuffato l’odore di tutti e fatto in modo che nessuno stesse
pensando al fatto
che mi avrebbero fatto questa sorpresa.
La
osservai un po’
irritato ma poi sorrisi mio malgrado e aprii le braccia in un chiaro
invito.
Lei si sciolse in un sorriso radioso e corse tra le mie braccia. Se
fossi stato
umano mi avrebbe di certo ucciso la sua stretta! Jasper accorse in mio
aiuto e
ridendo la scostò da me.
Emmett
mi diede
una pacca sulle spalle e con mia sorpresa notai che anche lui era
emozionato di
rivedermi e Jasper mi mandò un sorriso da lontano. Lui era
quello con cui
avevamo meno confidenza perché era l’ultimo
arrivato ed erano anni che non
tornavo a casa. Infine Rosalie, fredda come sempre, mi fece un cenno
del capo e
nulla di più. Già per lei questo era un traguardo
importante. Non avrebbe mai
manifestato nessun tipo di sentimento. Anche lei come me non era
affatto felice
della sua natura, ma lei aveva trovato Emmett, quindi aveva dato un
senso alla
sua esistenza, a differenza mia.
<<
Edward
non siamo qui per chiederti come stai, questo lo sappiamo bene, ma
vorremmo che
tu provassi a tornare. Una giornata fuori non ti farebbe male, potrebbe
schiarirti le idee come no, ma quanto meno provaci. >>
Sospirai
e stavo
per dire di no, quando Esme prese per la prima volta la parola.
<<
Tesoro,
nessuno di noi ti vuole forzare, però ci renderesti felici
anche con sole poche
ore passate insieme. >>
Sospirai
e poi mi
rivolsi a Carlisle.
<<
Tutto
questo cosa c’entra con quella ragazza della clinica?
>>
<<
Oggi è il
giorno in cui può passare anche tutta la giornata fuori, in
compagnia di qualcuno
di fidato, ma come te non vuole uscire. Abbiamo pensato che fosse una
buona
occasione per te unirti a noi. Potresti farle cambiare idea.
>>
A
quelle parole
guardò Alice che invece guardava me con un sorriso.
<<
Edward
prova a venire con noi. Bella è una così brava
ragazza. >> riprese
Carlisle.
Li
guardai in modo
confuso. Non riuscivo a capire la connessione tra me e quella ragazza.
Tuttavia
notando gli sguardi speranzosi di tutti, decisi di accontentarli.
<<
Però dopo
questa visita a Bella, voglio tornare qui. >>
Tutti
annuirono e
con riluttanza uscii da quella casa.
La
giornata era
piovosa e nuvolosa, quindi passammo quasi inosservati. Presi la mia
macchina,
dopo mesi che non la utilizzavo e arrivammo in poco tempo a
destinazione. Una
volta arrivati alla clinica di Carlisle, notai solo lui in piedi,
vicino alla
sua mercedes, che mi aspettava con un grande sorriso.
<<
Gli altri
dove sono finiti? >> borbottai scocciato, prendendo a
camminare di fianco
a lui.
<<
Avevano
delle commissioni da fare. Noi intanto entriamo. >>
Il
suo umore era
decisamente cambiato e questo non fece che scocciarmi ancora di
più. Cosa c’era
di così esaltante nell’andare a vedere questa
ragazza?
Entrammo
all’interno
della clinica e notai molte infermiere fermarsi a guardarmi, ma non ci
feci
caso e cercai con scarso successo di evitare i loro pensieri. Scossi la
testa e
guardai la dottoressa che Carlisle aveva fermato. Era alta, con dei
lunghi
boccoli biondi e dei lineamenti fini. Dal suo odore e dai suoi occhi
color
miele capii che era anche lei un vampiro. Mi sorpresi. Non sapevo che
oltre
Carlisle ci fosse qualche vampiro capace di resistere così
tanto al sangue
umano.
<<
Edward,
ti presento Tanya. E’ un cardiochirurgo. >>
Lei
mi sorrise e
mi porse la mano, che strinsi brevemente. I suoi pensieri erano di
apprezzamento nei miei confronti ma non esagerati quanto quelli delle
infermiere di poco prima.
Era
davvero una
vampira bellissima.
<<
E’ un
piacere conoscerti, Edward. Tuo padre mi ha parlato molto di te.
>>
Ormai
ero abituato
a sentire parlare di Carlisle come mio padre, infatti dovevamo
mantenere le
apparenze, eppure lo sentivo molto vicino, quasi quanto un padre.
<<
Il
piacere è mio Tanya. E’ una sorpresa vedere un
altro come noi qui. >>
Lei
mi sorrise
soddisfatta.
<<
E’ tutta
una questione di volontà. >>
Mi
guardò dritto
negli occhi e io ricambiai lo sguardo. Non sapevo perché, ma
sentivo che quelle
parole non le aveva dette a caso.
<<
Certo,
certo. Adesso andiamo Edward! Tanya ci vediamo dopo. >>
Carlisle
interruppe il nostro scambio di sguardi e Tanya dopo avermi lanciato un
ultima
occhiata si dileguò tra i vari corridoi.
<<
Sai,
Tanya sa che stai molto tempo lontano da noi. E’ davvero una
vampira
particolare. >>
<<
Ho
notato, Carlisle. >>
Non
sapevo perché ci
fosse quello strano interesse per lei. Non era qualcosa di fisico,
anche se era
davvero una vampira bellissima. Era come se volesse capirmi.
Lasciai
cadere
questi pensieri quando Carlisle aprii una porta e mi fece cenno di
entrare.
In
quel momento un
odore paradisiaco mi colpì come uno schiaffo. Dovetti quasi
portarmi una mano
al naso per la sorpresa. Era qualcosa che non avevo mai sentito.
Carlisle mi
prese per un braccio e io dopo qualche secondo di smarrimento gli feci
cenno
che andava tutto bene. Ma non era questa la realtà.
Cosa
stava
succedendo?
La
camera era
scarsamente illuminata, perché le tende erano completamente
chiuse e una strana
melodia si diffuse nell’aria. Individuai una ragazza, seduta
sulla sponda del
letto. I capelli scuri, lunghi e mossi, le oscuravano il viso. Il suo
fisico
era fin troppo esile e le sue piccole dita tenevano stretto quello che
a prima
vista mi sembrò un carillon. Era azzurro e raffigurava una
giostra con dei
cavalli appesi, che giravano in cerchio. La melodia proveniva di certo
da lì.
Era dolce e lenta, ma spesso si interrompeva e lei girava una piccola
farfallina arrugginita che di sicuro metteva in moto il meccanismo del
carillon.
Tuttavia,
la mia
attenzione gravitava interamente sulla sua figura. Alcuni boccoli erano
scombinati e le ricadevano sulle ginocchia, piegate al petto.
Il
suo odore
sapeva di viole selvatiche e margherite bianche, unite a un leggero
aroma di
fragola. Se mi concentravo troppo sul suo odore, rischiavo di uscir di
senno.
Non sapevo neppure io come riuscivo a mantenere la calma.
<<
Sicuro
che vada tutto bene? Non avevo previsto un risultato del genere.
E’ davvero
troppo per te il suo odore? >>
<<
Sì e non
capisco il perché. >>
Lui
meditò in
silenzio e poi si avvicinò alla ragazza, che sembrava non
essersi accorta della
nostra presenza.
<<
Bella,
tesoro, come stai oggi? >>
Lei
sollevò appena
il capo, ma non riuscii lo stesso a vedere il suo viso, a causa dei
capelli
tremendamente lunghi.
Io
nel frattempo
cercavo di tenere a bada le mie sensazioni. Avrei voluto andare
lì e farle
alzare il viso per poterla guardare bene.
Nessuno
dei due fu
sorpreso di non ricevere risposta da Bella. Sapevo che non parlava
quasi mai.
<<
Oggi è la
giornata libera. Non vuoi uscire? >>
Lei
scosse il capo
e tornò a girare la farfallina arrugginita che faceva
suonare il carillon.
<<
D’accordo.
Volevo presentarti mio figlio. >>
Mi
fece cenno di
avvicinarmi e io entrai quasi in panico ma poi decisi di smettere di
respirare
per potermi avvicinare di più a loro.
Mi
sentivo
stranamente agitato, come mai mi succedeva e questo non poteva di certo
essere
solo a causa del suo odore.
Quando
arrivai di
fronte a lei, notai che quasi trattenne il respiro. Non capii il
perché ma
Carlisle si avvicinò per sussurrarmi qualcosa
all’orecchio.
<<
Alice mi
ha detto che devi stare tranquillo. Non le farai del male. Adesso devo
andare perché
ho delle visite da fare, ma ti tengo sotto controllo.
Arriverò in tempo,
qualsiasi cosa tu faccia. >>
Mi
diede una pacca
sulla spalla e io mi rincuorai leggermente. Mia sorella non sbagliava
quasi mai
e sapevo che Carlisle sarebbe stato veloce nel fermarmi se le avessi
fatto
qualcosa.
Quel
pensiero mi
colpì come una pugnalata. Non avrei mai potuto fare del male
a quella dolce
creatura. A costo di uccidermi prima.
Annuii
lentamente
all’indirizzo di Carlisle che dopo aver carezzato la testa di
Bella, uscì
lentamente dalla stanza.
<<
Tu sei
Edward? >>
Rimasi
sorpreso di
sentire la sua voce. Era qualcosa di bellissimo, dolce e musicale,
ancor più di
qualsiasi vampiro.
Abbassai
lo
sguardo su di lei, ma non mi stava guardando, bensì
accarezzava lentamente i
cavalli del suo carillon.
Mi
permisi di
respirare solo un po’ e poi mi sedetti accanto a lei, che si
irrigidii un po’.
<<
Sono io.
>>
Lei
continuò a non
guardarmi ma aveva alzato un po’ di più il viso e
vedevo solo il suo profilo.
<<
Lo
sapevo. >>
Si
voltò piano
verso di me e finalmente potei ammirare il suo viso. Era bellissima. I
suoi
lineamenti erano dolci e delicati e le sue labbra sembravano due petali
di
rosa. Ciò che più mi colpì furono i
suoi occhi. Marroni e caldi, come il
cioccolato che da bambino adoravo mangiare.
Restai
immobile a
fissarla e lei fece lo stesso, fin quando non vidi le sue guance
colorarsi di
rosa e lei non abbassò di nuovo il viso.
<<
Non
farlo. Sei così Bella… >>
Con
un dito le
feci risollevare il viso e lei sospirò tornando a rivolgere
l’attenzione al suo
carillon.
<<
Ti piace
molto il carillon? >> chiesi per poterla fare parlare,
eppure mi sentivo
in difficoltà e non sapevo come comportarmi. La sua presenza
mi destabilizzava
e avrei voluto correre via e tenerla tra le mie braccia al tempo stesso.
A
quelle parole
lei strinse il carillon e annuì.
<<
Era della
mamma. >> pronunciò in un sussurro.
<<
Ho solo
questo. >> disse ancora e io provai una grande pena per
lei. Forse
Carlisle aveva ragione, non eravamo poi così diversi.
Respiravo
a intermittenza
per potermi abituare al suo odore, ma sembrava un impresa impossibile.
Era
davvero troppo dolce per me.
Misi
da parte i
miei istinti e le carezzai i capelli, lei si scostò
leggermente e io abbassai
la mano. Forse ero stato troppo avventato ma lei era una continua
tentazione.
<<
Perché non
vuoi uscire? >> chiesi ancora.
Lei
non rispose e la vidi intenta a girare freneticamente la farfallina che
azionava il carillon. Ad un certo punto la sentii lamentarsi e capii
che c’era
qualcosa che non andava. Probabilmente non riusciva più a
farlo partire, così
allungai una mano per afferrare l’oggetto che cercava
disperatamente di far
funzionare, ma lei se lo strinse al petto per non farglielo prendere.
Mi
guardò come se l’avessi appena tradita quindi mi
affrettai a spiegarle.
<<
Voglio solo aiutarti. Posso provare a capire perché non
suona più. >>
dissi indicandolo con una mano.
Lei
mi guardò a lungo e io mi persi nel colore profondo dei suoi
occhi. Le scostai
un ciuffo di capelli dal viso e lei si rilassò e mi porse
titubante il
carillon.
Lo
presi come se fosse un tesoro di rara importanza e vidi che si era
semplicemente allentata la farfallina. L’aggiustai meglio e
glielo porsi.
Lei
provò di nuovo e stavolta la dolce melodia di prima riprese.
I suoi occhi si
sgranarono e mi guardò con gioia. Sorrisi spontaneamente e
lei sospirò
contenta. Il suo umore era nettamente migliorato rispetto a quando
l’avevo vista
per la prima volta.
<<
Bella tiene molto a questo carillon. Quando l’abbiamo
trovata, in mezzo alla
strada, sotto la pioggia, teneva questo in mano. >>
Saltai
quasi per aria quando sentii la voce di Carlisle. Non l’avevo
sentito entrare,
tanto ero preso da Bella, eppure era lì con noi.
Mi
guardò soddisfatto ma non capii perché.
<<
Bella adesso vuoi uscire? >>
Lei
si voltò a guardarmi e io ricambiai il suo sguardo. Carlisle
ci osservava
attentamente ma io non avevo occhi che per Bella. Sembrava che mi
stesse
chiedendo qualcosa con lo sguardo, come se fossi io a dover decidere.
<<
Andiamo? Non sarebbe male uscire un po’. >>
Lei
si alzò e con passo incerto si diresse verso la porta. Prima
di uscire aspettò
che io e Carlisle la raggiungessimo e poi uscimmo nel giardino della
clinica.
<<
Voglio rimanere qui. >>
Entrambi
osservammo Bella sedersi su una panchina, vicino ad una piccola
fontana, dove
alcuni uccellini stavano bevendo e si stavano bagnando indisturbati.
Notai
che li stava osservando e sorrideva ogni tanto. Capii appieno di cosa
mi aveva
parlato Carlisle. Sembrava attirata dalle cose più semplici,
quelle a cui
ognuno non faceva caso. Era ingenua e dolce come una bambina eppure
aveva
diciassette anni.
<<
Conto su di te, Edward. >>
Carlisle
si dileguò di nuovo, senza darmi la possibilità
di dire nient’altro. Ritornai a
guardare Bella che ancora osservava con un sorriso gli uccellini. Mi
sedetti
vicino a lei e ragionai sulle parole di Carlisle. Io cosa potevo fare
per
questa ragazza? Per lei sentivo sentimenti contrastanti ma non sapevo
ancora
definirli. Il suo odore era qualcosa di speciale per me ma per fortuna
riuscivo
a controllarmi.
Ancora
una volta pensai a quanto fosse difficile la mia esistenza. Se fossi
stato
ancora umano, forse avrei potuto starle accanto, invece la mia natura
mi
impediva di fare ciò che desideravo.
Una
piccola mano strinse il mio cappotto e mi girai. Bella mi stava
guardando con
un sorriso e mi venne voglia di stringerla a me, per la dolcezza che la
sua
immagine mi provocava.
<<
Sei triste? >>
Io
sorrisi stancamente, ma prima che potessi dire qualcosa lei mi
anticipò e con
mia grande sorpresa mi porse il suo carillon.
<<
Tienilo tu per ora. Quando sono triste lo tengo stretto a me,
perché mi ricorda
mia mamma. Tu tienilo pensando a me. La tristezza andrà via.
>>
Mi
sorrise ancora e io credetti di essere sopraffatto dalle mie emozioni.
Non
avevo mai incontrato nessuno come lei. Una persona tanto speciale.
Feci
come mi aveva detto e strinsi il carillon tra le mani. Non smisi mai di
osservarla e non seppi se per il suo sorriso o per l’oggetto
che stringevo tra
le dita, ma la tristezza andò via.
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