Capitolo 3
Alcuni mesi dopo –
Landshut, Baviera
Il principe aveva una risata contagiosa, glielo avevano
sempre detto. Anche se stava allenandosi con spada ed elmo, sul suo viso
restava comunque quel leggero sorriso sfacciato, il sorriso di uno che è abituato
a vincere.
Ormai già da tempo gli Hohenstaufen non erano più vincenti,
ma lui, da degno discendente dei suoi avi, non temeva nulla. Non badava alle
misere condizioni in cui era caduta la sua casata. Si erano dovuti spostare in
un podere esterno alla mura di Landshut, perché per essere incoronato, Manfredi
aveva dichiarato che il nipote fosse morto, ed Elizabeth non poté fare altro
che portarlo via.
Alcuni mesi dopo, era partito anche Luigi, per tornare
quasi una volta all’anno, in inverno, e poi ripartire quando i valichi tra le
Alpi erano di nuovo attraversabili. Nei mesi in ci era a Landshut, Luigi
insegnava a Konrad tutto ciò che sapeva, gli piaceva vedere che quel ragazzo
amava apprendere. Lo ascoltava attentamente, isolandosi da tutto e da tutti, e
ogni volta le sue domande erano più pungenti e ragionate.
Era entusiasmante per Luigi vedere che stava facendo
qualcosa di buono, che anche se era lontano, Konrad stava crescendo bene.
E poi, era più che gratificante sapere che stava formando
un futuro re. Nei mesi in cui era lontano, era sicuro che Konrad continuava a
migliorare; imparava ad usare le armi, ma non aveva mai brillato in strategia, perché
diceva che se bisognava vincere una battaglia lo si doveva fare alla luce del sole,
in uno scontro aperto. Le prime volte Luigi lo aveva assecondato, aveva esaltato
le sue qualità di giustizia e fierezza. Capì solo dopo che avrebbe dovuto
insistere, ma Konrad era troppo testardo per cambiare idea.
Era cresciuto in fretta, la vicissitudine degli eventi
gli aveva affinato lo spirito, e solo quando si allenava con la spada insieme
al suo amico Federico di Baden, dimostrava i suoi quindici anni. Anche se era
solo un gioco, un allenamento, e non si perdeva mai veramente, lui non si
risparmiava mai. Colpiva Federico come se volesse fargli veramente male, come
se in un lampo non fosse più il suo fidato amico, ma un nemico qualunque,
magari un discendente dell’Angioino, uno sporco traditore.
Federico pensava a questo: cosa spingeva Konrad ad
attaccarlo con tanta forza ogni volta, a volerlo vedere ogni volta disarmato e
sfiancato nella polvere. Forse Konrad sognava in cuor suo di vedere un giorno Carlo
ai suoi piedi come adesso lo era Federico. Capiva che quando succedeva così, l’amico
aveva paura di lui. Anche se era un paio di anni più piccolo, Konrad non si era
mai fatto battere, e a differenza di Federico, combatteva con uno scopo:
vincere sempre. Forse perché la sua famiglia stava perdendo da troppo tempo, e
il suo ego fiero e orgoglioso aveva bisogno di vittorie. Anche se piccole e
futili, lui doveva vincere.
Nel suo sguardo queste emozioni apparivano chiaramente,
per questo Federico, di nuovo a terra, non poteva non provare un pizzico di
paura. I chiari occhi azzurri di Konrad, incorniciati dall’elmo, brillavano per
la luce del sole, e si ridussero a due fessure. Gettò a terra la spada, poi si
tolse l’elmo e scosse la testa per muovere i capelli biondo paglia, che gli si
erano attaccati alla fronte.
Federico allora si accorse che gli occhi erano così
stretti perché stava sorridendo, e presto la sua bocca si aprì in una risata
delicata, che cercava di non offenderlo. Federico non riuscì a non ridere a sua
volta: aveva sempre detto che la risata di Konrad lo contagiava di ilarità,
anche quando non doveva. Federico, ogni volta che veniva sconfitto, si trovava
a riflettere sulle emozioni di Konrad, ma quando questi subito dopo scoppiava a
ridere, tutto finiva lì.
L’amico gli tese una mano per aiutarlo a rialzarsi. Federico
la accettò senza indugiare. << Non c’è niente da ridere. >>
Farfugliò, cercando di tornare serio.
<< A me fa ridere. >> Disse l’altro come se
la risposta fosse ovvia.
Federico guardò in basso. << Solo perché non hai
mai perso. >> La sua voce si fece più dura di quanto non volesse. Konrad infatti
non ripose, e si avvicinò velocemente al cortile del podere. Federico non poteva
vedere cosa aveva bloccato Konrad. Il suo amico si era fermato in mezzo alla
strada e guardava in un punto oltre il portone spalancato del cortile.
Si fece subito pensieroso: il portone doveva stare chiuso,
era una regola da anni: nessuno doveva vedere chi abitava nel podere. Federico aumentò
il passo e raggiunse Konrad mentre un cavallo ancora bardato da battaglia si
fermava in una nuvola di polvere ad un metro dal ragazzo.
Il cavaliere si tolse il cappuccio del mantello, mostrando
il viso sporco e stanco del duca Luigi.
<< Zio! >> Urlò Konrad avvicinandosi a lui.
<< Cosa è successo? Perché sei qui in autunno? >>
Luigi scese dal cavallo tenendo stretto un sacchetto di
velluto, e si appoggiò al nipote. << Dobbiamo parlare, Konrad. >> Rispose.
<< Federico, per piacere … >> Il ragazzo si fece attento.
<< Vai a cercare mia sorella Elizabeth e facci
raggiungere nello studio. >>
Federico annuì: << Certo, signore. >> Stava
voltando le spalle, quando la voce di Konrad lo bloccò: << … E
raggiungici anche tu nello studio. >> Ordinò.
Federico annuì di nuovo, poi se ne andò preoccupato. La voce
del principe non era mai stata così seria.
***
Pochi minuti dopo, tutti e quattro erano seduti nello studio
e si fissavano a vicenda. L’unico che non si guardava introno era Konrad, che
teneva lo sguardo fisso su ciò che aveva in mano. La Corona di Germania brillava
leggermente alla luce delle candele.
Era da tanto che nessuno di loro parlava. Luigi si
schiarì la voce diverse volte, e infine parlò: << E’ tua. Sei un re,
adesso. Manfredi è stato ucciso da Carlo l’Angioino a febbraio. Io ho cavalcato
il più velocemente possibile per venire qui da voi. >> Disse, con la voce
ancora roca.
<< Grazie. >> Disse infine Konrad, senza
guardarlo negli occhi. << Hai rischiato molto per riportami la corona di
mio padre. >> Rimase silenzioso per lungo tempo.
Federico, a quel punto, non riuscì più a trattenersi:
<< E cosa facciamo adesso? >>
Konrad prese fiato: << Ora solo io posso portare
questa corona. E non permetterò che la nostra famiglia perda il regno e cada in
disgrazia. >> Guardò Federico dritto negli occhi. << Finché io
vivrò gli Hohenstaufen possono sperare di risorgere. E io non mi farò più
aspettare. >>
Il cuore di Elizabeth perse un colpo, e una lacrima le
scivolò lungo la guancia. Konrad la vide, e si avvicinò, per stingerle con
dolcezza una mano. << Non temere, madre. >> Mormorò. <<
Riporterò la nostra famiglia allo splendore dei tempi del nostro avo Federico.
>> Poi aggiunse, con voce rotta: << E di mio padre. >> Strinse
la presa sulla mano della madre, e cercò il suo sguardo per guardarla negli
occhi. << Incoronami. >> Chiese, ma la sua voce non ammetteva
repliche. Lei strinse forte le labbra, il mento ebbe un fremito. << Ti
farai ammazzare … >> Mormorò. << Sei così giovane, figlio mio …
>> Gli accarezzò con dolcezza una guancia.
Lui strinse il pugno. << Sto per compiere quindici
anni, non sono piccolo. Ti prego, incoronami. >>
Lei lasciò la mano del figlio, e si alzò con le lacrime
che le imperlavano le ciglia.
<< Fallo. >> Insistette Konrad. <<
Incoronami re! >>
Luigi si alzò a sua volta e raggiunse la sorella vicino
alla finestra. << E’ pronto, Elizabeth, e comunque non si può più
aspettare. >>
Lei tornò vicino al figlio e prese la corona dalle sue
mani. La guardò con tristezza, ricordando Corrado, che l’aveva portata con
tanta fierezza.
Federico si sentiva a disagio. Era sicuro che Konrad l’avesse
voluto con sé per non sentirsi solo davanti al corso degli eventi, ma adesso
sembrava essere più spaventato lui di Konrad.
Tra i due, lui era sempre stato il più riflessivo, forse il principe
ancora non pensava veramente a cosa lo aspettava. Federico sperava di non
esagerare, ma era veramente preoccupato per l’amico. Lo avrebbe seguito ad ogni
costo, questa era la sua unica certezza.
Però continuava a pensare ai nemici di Konrad. Così vecchi, con così tanta esperienza. L’altro non aveva nemmeno la barba, il viso angelico era ancora lo stesso dell’infanzia. “Ma che fine ha fatto l’età in cui volevamo crescere in fretta?” si chiese. Quasi per sbaglio incrociò lo sguardo di Konrad, e non ebbe bisogno di chiedergli nulla per capire che anche lui si stava facendo la stessa domanda. Una ruga dovuta alla concentrazione increspava la fronte del principe. “Principe ancora per poco.” Si disse Federico.
***
ciao a tuttee!!grazie mille delle vostre recensioni, continuo a leggerle e rileggerle, non vi ringrazierò mai abbastanza!!
Tracywelsh: ecco cosa ne è di Konrad, come mi avevi scritto nella recensione ... che ne pensi?
Hivy: grazie!!! contino sempre a ringraziarti!! sapevo che avresti goduto per la morte di Manfredi... lo sapevo! adesso dimmi cosa ne pensi dei "giovanotti".. sono curiosa!
nemesis 18: grazie mille dei tuoi complimenti! mi lusinghi!!
vi saluto... ciaoo =)
Archer