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Autore: Arts    20/08/2010    8 recensioni

Sono un'esperimento. Lo so. Suona strano. Sono cresciuta in laboratorio sotto terra, senza sapere niente del mondo di fuori. La mia vita è sempre stata quella di una cavia di laboratorio, di un qualcosa che non è considerato come vivo.
Ma sono riuscita a scappare. Ho scoperto che il mondo di fuori non è un'impresa facile come pensavo.
Ho scoperto che anche lì bisogna saper sopravvivere.
Ho scoperto da poco, inoltre, che la mia vita non è altro che un test.
C'è qualcosa da risolvere.
La cosa buffa è che se faccio il puzzle, questa volta, salvo il mondo.
E' una cosa ridicola, ma mi sembra di aver avuto una promozione: da esperimento a eroina dell'universo. Insomma, mica male per una ragazza alata, no?
[Dalla storia] 
«All’Istituto, che tipo di esperimenti fanno?»
Lo sguardo che gli rivolsi era freddo come il ghiaccio, quando risposi: «Cose tipo me, hai presente?»
«Cose orribili, insomma», replicò lui e mi fece un sorrisetto di superiorità che sentii di odiare assolutamente con tutto il mio cuore.
Gli lanciai uno sguardo sprezzante. «Non siamo fatti per essere belli, siamo fatti per saper uccidere».
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho mai accennato al fatto che quando sei un mostro alato non c’è nessun manuale per come comportarsi? Credo proprio di no. Beh, visto il mondo di fuori era quasi peggio del posto da cui ero venuta e la situazione attuale non era delle migliori, credo che a questo punto sarei già saltata al capitolo: che cacchio faccio quando sono completamente nella merda?

Erano passate poche ore da quando Doc aveva visto qualcosa di sbagliato in me, ma nessuno aveva voluto dire cosa stava succedendo. Si erano semplicemente volatilizzati tutti. C’è qualcosa che gocciola. I secondi erano scanditi da una goccia che si abbatteva a terra, da qualche parte.

Mi ero rimessa del tutto. Le ali si muovevano  bene, anche se ero leggermente indolenzita e i miei sensi erano affinati e attenti, come lo erano sempre stati. Riuscivo a cogliere qualche voce alle volte, e perfino una goccia che cadeva a metri e metri di distanza.

Il tempo era una minaccia.

Quanto tempo sarebbe passato prima che la tempesta di cui aveva parlato James finisse e i Cacciatori tornassero a cercarmi? Poco, pochissimo tempo e molti problemi. Avevo voglia di piangere per la frustrazione e ogni fibra del mio corpo sembrava attorcigliata in un nodo.

Mi alzai in piedi e mi sgranchii per bene la scapole, scrollando le ali. Chiusi gli occhi e rividi i momenti passati la sera prima, nitidi. Avevo l’impressione di essere lo spettatore del film che era la mia vita: non potevo agire per cambiare le cose.

Doc aveva avuto la generosità di liberarmi dalla sedia e io gli avevo fatto un sorriso sincero, poi gli avevo piantato gli occhi in viso. «Mi staresti quasi simpatico», gli avevo detto. Gli leggevo in viso che si aspettava che un ringraziamento; peccato che ringraziare non fosse da me.

Come dire, quando cresci in un laboratorio non ti insegnano l’educazione. Errore numero uno, Doc: mai fidarsi. Questo era per quello sguardo tutto dispiaciuto e del tutto falso; se lo fosse stato davvero, dispiaciuto, mi avrebbe lasciato libera di andarmene.

E invece no.

Mi fissava come in una soap opera. Bene, peggio per lui. In un secondo scattai in piedi e lui emise un lamento strozzato, senza fiato quando la mia ginocchiata lo colpì in pieno stomaco. Ahi! Dovevo aver fatto parecchio male, pensai fissandolo mentre barcollava.

Senza esitare, lo avevo afferrato e buttato di lato, sorpassandolo. «Dicevo: mi staresti quasi simpatico se solo non mi avessi tenuta legata a una sedia per due settimane e non assomigliassi a uno scienziato psicopatico!» aggiunsi mentre mi fiondavo sulla porta, velocissimamente.

Purtroppo andai a ritrovarmi sul petto la canna di un fucile non appena aprii la porta e lo sguardo corrucciato del biondo, Leon, mi trapassò. «Vai da qualche parte?» chiese con un sorriso da troll in viso. Brutto ebete che arriva sempre nei momenti sbagliati!

«Sì, ordino una pizza: la vuoi coi peperoni?» replicai fissandolo in cagnesco.

«Un solo movimento e ti sparo» sibilò lui in risposta.

«Devo dedurre che non vuoi la pizza» ringhiai con un sorriso sardonico in viso.

Era molto più alto di me, ma state pur sicuri che non sembravo per niente indifesa. Lo fissavo molto più in cagnesco di quando avrebbe potuto fare lui. Ero molto più forte, veloce, intelligente di lui. Potevo batterlo … e avevo un cavolo di fucile piantato nello stomaco!

Niente da fare.  Tornai alla realtà: era passato un intero giorno. Dovevo pensare a cosa avrei fatto ora, elaborare un piano o qualcosa per andarmene di lì una volta per tutte.

Sentii  chiaramente dei passi lungo il corridoio e tesi i muscoli. Poi una semplice idea si fece largo nella mia mente. La stanza era buia e grande, per quanto soffocante. Con colpo d’ali riuscii ad arrampicarmi in uno degli angoli della parete, il più buio, incastrandomi fra il muro e il soffitto.

Era impossibile vedermi lì con quel buio.

Era buffo. L’ingegneria genetica mi aveva cacciato in quei guai, e la stessa genetica mi dava le capacità che servivano per superare gli ostacoli; ciò non voleva dire che comunque non li odiassi tutti e non desiderassi per tutti gli Addetti una morte certa.

Tenevo saldamente i piedi sulla parete e le mani sul soffitto, in modo da creare una continua tensione, come avevo visto fare al ragazzo-serpente. Immaginai le espressioni di Leon, Doc e il nuovo uomo, Nathan, quando gli sarei piombata addosso dal nulla. Ma, a parte la vita d'inferno e il continuo rischio di morire e il dolore eccetera eccetera, volare era una vera figata.

Anche riuscendo a disarmarli, non avevo molte probabilità di scappare, anzi, forse, non avevo nessuna. Stupidi. Loro e pure io. Il mio piano era stupido e fallimentare, ma magari per una volta avrei avuto fortuna. L’impotenza era insopportabile: dovevo difendermi.

Qualche volta, mi farò seriamente del male per certe idee geniali che mi vengono.  Sapevo di aver stampato in viso quella mia adorabile espressione da ho-un-idea-ma- non-sarà-piacevole. Gli occhi ridotti a due fessure, e un ghigno alquanto inquietante in viso.

Appunto, qualche volta mi sarei fatta male.

Puntai gli occhi sulla porta, pronta a scattare. Ma non questa volta.

Ebbi un secondo di tempo, poi la porta si spalancò e la luce filtrò. Smorzai il mio respiro, rallentando i battiti del cuore e rilassando un arto alla volta. Il silenzio era assoluto. Doc, e Leon – avevo scoperto il nome del biondo, alla fine – entrarono nella stanza. Con loro, un altro uomo di nome Nathan. Doc aveva in mano una siringa, e Leon e Nathan tennero le armi davanti a loro, sospettosi.

La stanza vuota doveva sembrare minacciosa.

Fissai Doc che teneva la siringa contenente uno strano liquido nerastro che riconobbi subito dal colore; rabbrividii: si chiamava Zenox ed era un farmaco che in piccole dosi confondeva incredibilmente,  mentre in dosi maggiori riusciva a uccidere un qualsiasi soggetto animale.

Lo usavano gli Addetti per poterci sottoporre ad esperimenti mentre eravamo svegli, sebbene del tutto annebbiati e incuranti del dolore. Odiavo il Zenox. Per me la morte aveva il gusto di quel farmaco; non era amaro: era dolce, e appiccicoso.

Ti veniva tanto sonno e il mondo diventava improvvisamente una massa informe di colori e parole che echeggiavano in testa, senza che tu riuscissi a dare un nesso preciso a ciò che ti circondava. La morte era come lo Zenox: avevi solo voglia di andare via.  

Di fermarti, stenderti e smettere di respirare.

Fissai con odio la siringa e feci una smorfia disgustata quando l’odore dolciastro giunse fino me, inondandomi i polmoni  molto più di quanto erano riusciti a fare lo schifoso odore di muffa e stantio che impregnava l’intera stanza. Aprii la bocca, prendendo piccoli respiri.

Mi volevano uccidere? Una siringa piena sarebbe bastato per dire bye bye al mondo per sempre? Non ne avevo idea. Vi chiedete perché non lo sappia? Beh, come dire, non è che mentre mi ficcavano un ago nelle vene pensavo molto a quanto liquido fosse, ma più che altro a cosa fosse.

Fissai il liquido, atterrita, reprimendo i frammenti e i ricordi spaventosi che mi affioravano in mente.

Era passato nemmeno un secondo. Osservai gli uomini meticolosamente, come un predatore che scruta le sue vittime in attesa del momento giusto per scattare; Leon e Nathan puntavano i fucili nel buio, senza vedermi veramente, né illuminarmi con i fasci di luce delle loro torce. E io aspettavo.

Dovevano vedermi. Dovevano farsela sotto in quel secondo e pensare che sarebbero morti. Sì, lo so cosa pensate: Fire la sadica.  Non so cosa avreste fatto voi, ma io sono piuttosto vendicativa. Mi avevano tenuto legata a una sedia per due settimane si o no?

Ora si pagavano i conti!

«Ma dove diavolo è?» ruggì Nathan, ma riuscii a distinguere una punta di terrore nella sua voce. Avevano paura di me, e per una volta io non avevo motivo di andare nel panico. Anzi, potevo batterli e uscire fuori di lì. Sarebbe stato un gioco da ragazzi. Sì, ero quasi riuscita a convincermi.

Quando il fascio di luce mi colpii, i miei occhi brillarono nel buio. Fu allora che il primo sparo squarciò il silenzio accompagnato da un grido, e il proiettile arrivò quasi a sfiorarmi, ma io ero troppo veloce e troppo determinata per loro e tutti i miei sensi erano tornati apposto.

Con un balzo aggraziato, atterrai sui talloni,  di fronte a Leon.

«Te l’avevo detto che saresti stato il primo a essere presto a calci» canticchiai, inclinando leggermente la testa in modo adorabile.  Nathan, dietro di me, puntò il fucile e premette il grilletto, ma io avevo già sferrato un calcio circolare a Leon che lo buttò di lato con macabro crack. Chissà quante costole gli avevo rotto, ma, nel migliore dei casi, due.

Come vi avevo già accennato, sono molto più forte di qualsiasi semplice umano. Uno dei vantaggi di essere una creazione genetica era che il calcio che avrebbe lasciato un altro esperimento del mio livello senza fiato, ma niente di più, ero sicura avesse rotto una o più costole a Leon. Quest’ultimo si accasciò a terra, gemendo e tenendosi le mani strette al petto con forza, mollando il fucile a cui diedi un calcio, per allontanarlo dal ragazzo.

Sentì uno sparo, nel buio. La torcia era caduta lontano, e vidi Doc schiacciato in un angolo e completamente terrorizzato mentre teneva in mano il fucile puntato verso di me, maldestramente, e, in effetti, da come lo teneva sospettavo che non ne avesse mai realmente maneggiato uno. Uhm, noiosi scienziati che non sanno fare niente di pratico!

Mi avvicinai velocemente e Doc sparò un altro colpo; schivai e attaccai con un pugno, sentendo il naso spezzarsi sotto il mio colpo e la testa scattare di lato, in quello stesso momento gli tirai una violenta ginocchiata nello stomaco e lui scivolò seduto lungo il muro, fuori combattimento. Dio, gli umani erano così fragili! Nathan si buttò su di me, atterrandomi e mi caricò un pugno in faccia, sul naso.

Lo fissai trucemente, con una smorfia dura in viso. «Brutta mossa».

Mi aveva appena rotto il naso, ma io non battevo ciglio. Ero abituata al dolore; in un combattimento era ovvio aspettarsi dolore

Nathan non ebbe il tempo di chiedermi che diavolo intendessi dire che la situazione si trovò capovolta. In uno slancio di originalità, gli colpii le orecchie con i palmi aperti delle mani, spaccandogli i timpani, poi mi rialzai e pestai un piede sul suo petto, prima di tirargli un calcio sul fianco. Lui socchiuse gli occhi, incapace anche di gemere dal dolore.

Nella mia testa, stavo facendo un ridicolo balletto della vittoria, nella realtà mi fiondavo verso la porta, lanciandomi lungo i corridoi fiocamente illuminati di quell’orrendo posto, senza la minima idea di dove andare. Libertà, libertà, libertà!

Dovetti tornare indietro due secondi dopo, chiudendo la porta alle mie spalle e sentendo la serratura automatica scattare.

O mio Dio, da quel momento avrei adorato le serrature automatiche!

Beh, no, forse no. Però, mi stavano già più simpatiche. Comunque, avevo circa, ehm, mezz’ora prima che quelli lì dentro rinvenissero e trovassero il modo di uscire.

Incespicai, correndo più velocemente che potevo. Avevo un grande senso dell’orientamento che consisteva nel percorrere i corridoi con l’assurda convinzione che prima o poi avrei per forza dovuto trovare un uscita. Correvo così veloce che i miei piedi a malapena sfioravano il pavimento.

E se mi avessero scoperto e fermato che avrei fatto? Aumentai il passo, terrorizzata dall’idea che dai tunnel potessero spuntare persone e soldati. Potevo affrontare due uomini armati e cavarmela alla grande, e potevo affrontarne anche a dozzine disarmati.

Ma cos’avrei fatto con dozzine di uomini armati?

Corri,  m’imposi. E così feci. I mie piedi magicamente andarono più veloce, e i muscoli si tesero mentre facevo aderire le ali alla schiena. Scappare era nuovamente il mio unico obiettivo. Non mi avrebbero ucciso tanto facilmente, oh no, non me.

Svoltai a sinistra, e poi di nuovo a sinistra e percorsi un lungo corridoio buio. Fissavo il pavimento, analizzando le orme impresse nella polvere. Sorrisi. Le orme sul pavimento sporco erano recenti e quindi percorrendole a ritroso sarei dovuta sbucare davanti all’uscita, o qualcosa del genere.

Svoltai varie volte, a destra e a sinistra, trovandomi di fronte a corridoi e vie che sembravano infinite, ma d’un tratto il pavimento si fece pulito e l’odore di muffa e stantio che impregnava l’aria scemò. Inspirai profondamente, decisa a liberarmi i polmoni dall’odore dolciastro dello Zenox.

Quando una porta metallica mi sbarrò la strada, fissai l’ostacolo con sospetto. Saltellai da un piede all’altro, nervosamente, chiedendomi cosa fare. Era semplicemente una porta in metallo piazzata alla fine di un unico corridoio. E non si apriva.

Analizzai tutto alla ricerca di piccole telecamere o posti dove inserire password. Alla fine, feci un passo avanti, decisa a fare quello che più ritenevo giusto: prendere a pugni quella dannata porta. Feci un micro passo avanti, e un piccolo schermo prima invisibile si illuminò al lato della porta, nel muro.

Ah-ah! Trovato!

Stavo per avvicinarmi, decisa a fare qualcosa, ma il dolore mi colse alla sprovvista. Mi accasciai a terra, stringendomi la testa fra le mani. Il dolore alla testa minacciava di uccidermi, e io mi rannicchiai più forte stringendomi le ali intorno al corpo.

Esattamente com’era successo due settimane prima, il primo giorno a New York.

Frammenti, schemi, equazioni, gridi e parole mi attraversarono il cervello. Le labbra e la gola sembravano fatti carta vetrata, e anche urlare mi avrebbe distrutto. Non potevo muovermi: volevo solo che quel dannato dolore finisse e l’incoscienza mi portasse via.

Mi morsi il labbro, sentendo il sapore del sangue in bocca. Mi strinsi convulsamente, rannicchiandomi ancora con la testa fra le gambe.  D’un tratto, non importava se mi avrebbero trovato o meno: volevo solo morire, nella speranza che il dolore finisse.

Un conato di vomito mi salii in gola e per qualche secondo fui seriamente convinta che avrei rimesso lì, come se potessi semplicemente vomitare quel dolore e buttarlo via. Lacrime brucianti lasciarono scie tiepide sulle mie guance, senza che io riuscissi a trattenerle in qualche modo.

Mi tenevo strette le mani sulla pancia, cercando di resistere.

«Basta» pregai in un sussurro flebile. E il dolore aumentò, per quella parola che sembrò echeggiarmi in mente. Avevo l’impressione che una granata mi fosse esplosa in testa  e il mio cervello si fosse spappolato sulle pareti della mia scatola cranica, ridotto in poltiglia. Cosa c'era che non andava in me?

Quanto ci avrei messo a morire?

Non so quanti minuti ci vollero e quanto restai lì, se furono secondi o anche intere ore, so solo che il dolore se ne andò via, scemò piano lasciando il posto a leggero mal di testa. Il mio respiro restò tremante e sudavo freddo, ma piano piano riuscii a riprendere coscienza e tornare in me, cercando di alzarmi, barcollando. Mi tastai la testa, massaggiandomi le tempie e sobbalzai quando sentii il labbro completamente spaccato.

Mi aspettavo che il dolore sarebbe tornato da un momento all'altro e il mio cervello avrebbe dato forfait, ma non successe niente. Una serie di lettere mi martellavano in testa, e le tempie mi pulsavano: riuscivo a sentire il cuore contrarsi come in una morsa e il sangue pulsare nelle orecchie.

LmNh77O. La combinazione era impressa nella mia mente.

Non ero io quella che allungò una mano nel piccolo schermo accanto alla porta, schiacciando quelle lettere di cui non conoscevo il significato. Osservai il mio corpo agire per me, digitando con estrema sicurezza la password della porta e aspettando in silenzio.

Passò qualche secondo, poi la porta si aprì. Fissai sconcertata la stanza immersa nella penombra, illuminata dalla luce bluastra dei computer in standby, posati su tutte le file di scrivanie che occupavano la stanza. Feci un passo avanti, e la porta si richiuse alle mie spalle.

Che cavolo di posto è questo? Poi un altro pensiero mi colpii: ce l’avevo fatta.

Vediamo quanto sarei riuscita a trovare su di loro, i ribelli. Al secondo passo, avevo già analizzato la stanza, memorizzando le uscite. C’era un'altra porta e finestre con le tapparelle abbassate. Potevo scappare subito, ma non avrei mai saputo cosa stava succedendo.

Attraversai la stanza velocemente, muovendomi in silenzio. Fissai le parete, alla ricerca di telecamere o sistemi di controllo, ma non vidi nulla. I computer, per di più, sembravano parecchio vecchi. Doveva essere una specie di archivio o qualcosa del genere.  Mi sedetti all’ultima scrivania, spostando vari fogli e documenti criptati. Il computer si accese, ronzando leggermente,  ma senza chiedere nessun password.

Dovevano essere convinti che la password alla porta bastasse a proteggere i loro file quindi.

Selezionai DOCUMENTI. La pagina, letteralmente, si riempì d’informazioni, e file e il mio cuore ebbe un tuffo. Alcune erano pagine di giornale, altri erano vecchi attestati, ma tutti i documenti portavano dei nomi familiari. Un’intera cartella portava il nome di «Genetics Institute».

Il mio cuore si strinse in una morsa. Come facevano a sapere dell’Istituto? Perché, allora, mi avevano costretto a snocciolare quelle poche informazioni che, controvoglia, gli avevo rivelato? Mi complimentai con me stessa per non aver detto niente d’importante. La mia paranoia si era rivelata utile.

Il primo documento si aprì, portando con sé una foto di un’isola. La osservai bene, ma la fotografia era sgranata e poco chiara. Un’isola … cosa c’entrava un’isola con l’Istituto? Scorsi la pagina, finché un’altra informazione non attirò la mia attenzione.

Erano coordinate, schermi matematici, e cartine che indicavano punti precisi degli Stati Uniti. Li fissai con attenzione, alla ricerca di risposte. Come avevano fatto ad avere tante informazioni? Andai più giù, e trovai un’altra immagine dell’isola con una piccola didascalia accanto.

Scaresdale. Valle della paura. Isola che attualmente ospita l’Istituto Genetico di ricerca per nuove forme di vita… Mi bloccai lì, ricordando che James aveva detto che solo io e Arijane potevamo tentare la fuga, per le nostre ali. Ora capivo il motivo delle sue parole.

Era un’isola! L’istituto occupava un’intera isola!

Rabbrividii.

Ogni piccola informazione, portava con sé centinaia di domande. Mossi la rotellina del mouse per finire di leggere alcune righe sull’Istituto, e fu in quel momento che sentii un rumore. Sobbalzai, e mi voltai di scatto, sentendo i muscoli tendersi e le ali irrigidirsi.

Arrivava qualcuno. E io dovevo andarmene. Subito. Alzai le tapparelle, e la finestra, osservando dall’alto la 33st street, o quello che era. Con un balzo da … beh, da ragazza uccello quale sono!, saltai sul cornicione della finestra tenendomi in equilibrio sui talloni e spiegai leggermente le ali.

Fuori era buio e la città era distrutta e vuota. Annusai l’aria frizzante e fredda per un secondo, mentre dalla bocca mi uscii una nuvoletta di densa di fiato. Era la prima volta che vedevo il mio fiato formare una nuvoletta da quando all’Istituto si era rotto il riscaldamento, ma ora non avevo tempo di pensare  a …

«Ferma!»

Era una voce femminile, melodiosa e perentoria; avrei potuto darmi la spinta con le gambe e buttarmi fuori dalla finestra in quel  momento, eppure non lo feci. Ogni cellula irrazionale del mio corpo gridava salta!, ma, per una volta, repressi l’istinto e mi girai.

La voce apparteneva a una bellissima ragazza. Poteva avere vent’anni, ed era molto più bassa del mio metro e settanta, ma i lineamenti del viso erano definiti e fieri, gli occhi azzurri brillavano di una luce sconosciuta e una cascava di capelli neri le ricadeva lungo la schiena.

«Ferma», ripeté più lentamente. «Per favore»

Rimasi immobile, senza dire una parola. Inconsapevole di quanto sembrassi pericolosa e selvaggia ai suoi occhi; ero una combinazione ragazza-mutante-uccello-mostro dotata di una forza che le sarebbe stata letale, e molto poco disposta a collaborare. Aveva paura di me. Glielo leggevo in faccia.

«Non guardarmi così» dissi, piantandole gli occhi in viso. «Non è colpa mia se dei pazzi psicopatici si sono messi a giocare con il mio DNA». Stavo per lasciarmi cadere nel vuoto e spalancare le ali, senza aspettare una sua risposta, ma, nuovamente, mi bloccai.

Non rispose, ma la vidi abbassare lo sguardo, imbarazzata.

Ci fu qualche secondo di silenzio. «Perché non ti unisci a noi?», chiese, poi, d’impulso.

Inarcai un sopracciglio. «Perché dovrei farlo?»

«Combatti meglio di chiunque altro. Ci saresti di grande aiuto», continuò lei. «E sai cose che ci servirebbero per fare il quadro completo della situazione e…»

La interruppi, con l’irritante espressione annoiata che stizziva tanto gli Addetti, quando cercavano di convincermi a fare qualcosa di mia volontà e puntualmente fallivano. «Intendevo, dammi un motivo che conviene a me» Sì, non ero proprio la personificazione dell’altruismo.

Si, se mi aspettavate un super eroe che non esita ad aiutare gli altri, allora, beh, avete assolutamente sbagliato persona. O meglio, avrei fatto di tutto per i miei amici – cioè Arijane – ma non avevo intenzione di rischiare la pelle per i nemici, neanche se erano contro l’Istituto.

«Sei sola, non conosci niente di questo posto, e quei tipi dell’Istituto ti troveranno facilmente qui» ribatté la ragazza.

«Certo, e meglio rinchiudermi direttamente in un cella legata a una sedia per il resto delle mia vita? Oh, in effetti,  sarebbe un’ottima idea» dissi, sarcastica, assumendo un tono duro come l'acciaio.

«Non ti rinchiuderemo da nessuna parte. Leon e Nathan sono troppo orgogliosi per chiederti aiuto, ma io so che tu sai molte più cose di noi su Scaresdale e sull’Istituto e ti sto chiedendo di aiutarci. Ti tenevano lì dentro perché avevano paura che scappassi»

Paura fondata, direi. «Chiederlo come persone normali, no?»

«Ci hanno provato, o meglio, Doc lo voleva fare, ma da quel che ha detto hai  “tentato di ucciderlo” quanto ti ha  slegato dalla sedia. Comunque sia, dicevo, tu ci aiuti, e ottieni un riparo, cibo, vestiti e tutto ciò che ti serve»

«Ah, sì? E allora spiegami la siringa di Zenox che volevano iniettarmi, avanti»

Lei sobbalzò e io la scrutai, trucemente curiosa di vedere cos’avrebbe risposto. «Gliel’avevo detto che non era una buona idea, ma continuavano a essere convinti che in stato di confusione avresti parlato», rivelò alla fine con un sospiro. Non le credevo, ma era comunque una spiegazione plausibile. «Allora resti?»

Scossi la testa. «Me ne devo andare fra nemmeno due settimane: quelli dell’Istituto mi cercheranno», replicai prontamente appoggiando una mano sullo stipite della finestra. Lei fece un passo avanti e come avevo già fatto, controllai che non avesse armi.

«Potresti andartene, quando loro verranno. Noi ti copriremmo le spalle»

Era quasi a un metro da me quando mi gettai dalla finestra. Sentii il fischio dell’aria nelle orecchie e l’abbraccio freddo dell’inverno e del vento. Mi girai, allargando le braccia, poi spalancai le ali e sentii il contraccolpo sollevarmi. Poi iniziai a muoverle  su e giù, e mi sollevai facilmente.

Le mie struttura ossea era leggera, fatta per volare. Socchiusi gli occhi, innalzandomi fino alla finestra dell’edificio in apparenza abbandonato dov’era affacciata la ragazza. Lei mi rivolse uno sguardo terrorizzato che mi scombussolò: facevo davvero così … cos’era? Paura? Disgusto?

Inarcai un sopracciglio. «E suppongo che tutto questo sia vero perchè...?» 

Lei mi fissò con un'espressione seria. «Che garanzia potrei darti? Un contratto scritto? Una promessa? Parola d'onore? So che comunque sia non ti fiderai di noi, e noi non ci fideremo di te. Ma noi abbiamo bisogno d'informazioni, e tu ci puoi essere d'aiuto, e noi altrettanto. Mi dispiace dirtelo, ma non mi sembra che tu abbia alternative.»

Scossi la testa. Era un grosso errore, era un grossissimo errore, ma era l’unica cosa da fare. Rassegnata, e con una violenta voglia di spaccare tutto ciò che trovavo e prendere  a pugni qualcosa o qualcuno finii per dire le quattro lettere che mettevano fine alla discussione: «Okay» accettai infine. Perché, per quanto mi desse sui nervi, lei aveva ragione. Potevo vagare senza mai essere davvero libera, o potesco scoprire la verità e togliermi dai piedi il mio passato una volta per tutte.

Non posso credere di averlo detto davvero.

«Okay?» replicò lei, incredula.

«Sì. Vi aiuterò, ma non dormirò là dentro. Ho bisogno di cibo, armi e assolutamente di una doccia», esordii e lei annuì, ascoltandomi. «Non voglio idioti armati intorno quando sono lì dentro e voglio una mappa di quel posto, voglio capire chi siete e come vanno le cose qui, ah, e... le finestre quando ci sono io saranno tutte aperte»

Lei fece un sorriso incerto: «Si può fare»

Io non risposi, immersa nei miei pensieri. E la sua voce mi fece sobbalzare nuovamente, e, scordandomi di battere le ali per qualche secondo, caddi di qualche metro. Lei fece un’espressione preoccupata. «Odio l’altezza, e mi sto trattenendo l’impulso di urlarti di entrare»

Quantomeno questo spiegava l’espressione da sto-per-vomitare che aveva. Feci un sorriso sardonico. «Non lo farei, comunque»

Lei ridacchio, come se capisse. «Mi chiamo Liz»

«Fire»

«Benvenuta fra di noi, Fire», disse e poi sorrise di nuovo. «Tornerai domattina?»

«Uhm, sì» Lei annuì, poi chiuse la finestra e andò via. E io fui improvvisamente sola, ma non libera. Libera è quando ti senti davvero bene. Non quando ti sforzi di non crollare per pura ostinazione.

E’ tutto okay. Calmati, calmati … Calmati, Fire.

Ma non era okay per niente. E io lo sapevo.

La situazione era questa: avevo appena offerto la mia ‘amicizia’ al gruppo di ribelli psicopatici  che mi avevano tenuta rinchiusa in una cella per settimane – tra parentesi, gliela avrei fatta pagare – in cambio di cibo, una doccia e informazioni.

E, forse, mi avrebbero coperto le spalle quando i Cacciatori sarebbero arrivati a New York. Comunque fosse, io per quel giorno sarei già andata via da un pezzo. Sbattei le ali, innalzandomi ancora e osservando dall’alto uno dei tanti edifici all’apparenza diroccato, la base dei ribelli.

E io avrei offerto loro il mio aiuto e ciò che sapevo.

Volai in alto, sempre più in alto. La città non era cambiata: era sempre un piccolo faro nel buio. Volai a lungo, per ore, scendendo in picchiata e lasciandomi cadere solo per sgranchire le ali e provare quel senso di adrenalina che mi scaldava almeno un po’.

Come sempre, la sensazione di poter staccare i piedi da terra quando volevo e volare lontano mi rendeva felice, e scacciava via i pensieri. Le ali erano la mia anomalia e il mio conforto al tempo stesso. Il freddo e il vento gelido mi frustavano  le guancie e i capelli, e io chiusi gli occhi godendomi quella sensazione. Inspirai l’aria fredda come se bastasse a spazzare via a pulirmi da dentro e a scacciare tutti i timori che si affollavano nel mio cuore aspettando il momento giusto per attaccarmi.

Solo a notte fonda, dopo varie ore di volo, mi appostai sul terrazzo di un grattacielo alto quasi duecento piani. Usai alcuni copertoni e varie scatole accatastate lassù per creare un piccolo riparo contro al vento. Poi, mi rannicchiai nel mio rifugio improvvisato, avvolgendomi con le ali in un specie di abbraccio, come facevo sempre.

I ricordi della mia prima notte a New York, quando mi ero trovata intrappolata dentro l’albergo, e delle due settimane in chiusa in un cella al buio e completamente legata, mi avrebbero tenuto lontano dal dormire in posti chiusi per un bel po’ di tempo.

Ehm, diciamo … per tutta la vita?

Sì, ero paranoica ed esagerata. Ma… come dire, se questo serviva a non  lasciarci le penne – sì, ironia da ragazza mutante alata – allora per me  andava più che bene, questo era sicuro. Mi rannicchiai, sperando solo che il mal di testa tipo granata non tornasse a finire il lavoro.

Ripensai all’Istituto, ad Arijane, a James e tutto ciò che potevano avermi fatto. Il mio umore precipitò e il mondo sembrò crollarmi sulle spalle. Scoppiai a piangere, come una bambina, come non avevo mai fatto, rimproverandomi a ogni singulto.

Non riuscivo a fermarmi. E sentivo le lacrime correre lungo le guancie, di nuovo. Le volte che avevo pianto si potevano contare sulle dita di una mano, e ora mi ritrovavo a crollare due volte in un giorno. Se lì ci fosse stata Ari, ero sicura che mi sarei trattenuta, ma … ma Ari non c’era.

Ero sola.

Sentivo un vuoto, all’altezza del petto che non riuscivo a identificare. Mi posai un braccio sugli occhi, sforzandomi di cancellare quei pensieri e dormire. Ma non c’era verso e alla fine mi ritrovai liberamente a pensare ad Ari e ai suoi sorrisini incerti, e a quelle volte che scoppiava a ridere in modo sguainato piegandosi in due dalle risate e ai suoi discorsi infiniti e velocissimi che finivano sempre con lei che ripeteva più lentamente ciò che aveva detto e io che ascoltavo cercando di capirci qualcosa.

Mi mancava. Era come un buco, all'altezza del petto. Una ferita che non si decideva a chiudersi.

Lei non era lì, e non ci sarebbe stata mai più. Lei era morta. Ero io quella viva.

Ero io che dovevo trovare una soluzione a tutto. E, possibilmente, ero che io  dovevo anche farmi una doccia.

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'Autrice

Rieccomi con un nuovo capitolo. I ribelli: chi sono in realtà? Non fatevi ingannare: nascondono molto più di quello che vogliono far credere. Che fine hanno fatto Ari e James e Zack? Beh, tranquilli, li rivedrete nel prossimo capitolo. Soprattutto James che, se devo dirlo, è uno dei miei personaggi preferiti dopo Fire e Ari. In effetti, io li amo quasi tutti quindi non è che faccia molto testo, ma comunque! xD Ho riletto questo capitolo più volte e ho motivo di credere che Fire sia abbattuta.

Non ha alternative, se non "fidarsi" dei ribelli (o psicopatici, come li chiama lei) E comunque, nel prossimo capitolo credo che costringerà Doc a dirle che problema ha visto in lei. Ah, finalmente veniamo a conosceva del nome del biondo su cui ho ragionato e ri-ragionato. Leon mi sembra appropriato, ma non chiedetemi perché. Fatto sta che questo capitolo è un capitolo di passaggio, e vi assicuro che la storia deve ancora svilupparsi del tutto (messaggio rivolto a voi che magari credete di aver realmente capito l'intero quadro della situazione: beh, vi sbagliate! u_ù)

Non so dirvi quando posterò il prossimo capitolo, ma penso presto. Non fatevi strane idee quando tardo un pò nel postare: non ho intenzione di abbandonare la storia, solo che tendo a cancellare i capitoli e cambiarli sempre finché il risultato non mi convince del tutto e quest'operazione richiede sempre un bel pò di tempo e molte crisi isteriche in cui vorrei buttare word e il pc fuori dalla finestra xD

* A proposito, alzi la mano chi pensa che Fire sia stata sadica a tirare una ginocchiata a Doc quando l'ha slegata! Nessuno? Bene, e non alzatela perché quella si offende xD Credo che quel particolare sveli molto del carattere di Fire,che, come ha detto James, ucciderebbe ogni persona che osasse mettersi sulla sua strada, ma rischierebbe la vita e ancora peggio, la libertà, per un amico. Come quando ha provato a salvare Ari. 

 

Risposte ai Commenti 

 

 TuttaColpaDelCielo:  Ehi! :)  Dovrai aspettare parecchio per avere qualche rivelazione importante, perché, come vedi, la situazione in cui è precipitato il mondo è davvero particolare, a partire dal fatto che non ci sia più il sole o che comunque non ci c'è una buona fonte di luce. Spiegherò tutto ciò che riguarda il virus di Campbell e il Governo nel prossimo capitolo. Credo che sia ovvio che Fire avrebbe per forza dovuto prestare il suo aiuto alla Resistenza, per orientarsi nel nuovo mondo. Ci sono segreti più grandi che, comunque, riguardano anche la Resistenza e che ovviamente non saprai u.u

Il confronto fra Ari e Zack è stato strano da scrivere. E' stato divertente, lo ammetto, immaginare l'espressione di Arijane mentre ballavano e anche la sua confusione. Volevo che Arijane sperimentasse un briciolo di quello che potrebbe essere una vita normale, parlando con un coetaneo. Arijane è tremendamente affascinata dalla prospettiva di una vita "normale" di cui alla fine non conosce niente.

Diventeranno grandi amici, e questo farà male perché, nella situazione di Ari, gli amici non durano a lungo. Al prossimo capitolo, comunque =)

 Dust_and_Diesel: Ehi, non so come chiamarti xD Va bene semplicemente Dust? u.ù Comunque sia, sono contenta che la storia ti appassioni, davvero. In effetti, le recensioni mi danno sempre un motivo un più per continuare a impegnarmi in questa storia, oltre il profondo affetto che provo per i personaggi. E allora! Torniamo a noi. Osservi bene: Arijane è davvero molto cambiata negli ultimi tempi. Il "tradimento" di Fire l'ha davvero sconvolta, insomma, per lei era una sorella o non saprei. Una figura che c'era sempre stata e con cui aveva stretto un legame profondo che andava oltre l'amicizia.

Gli scambi di battute fra due bambini me li sono dovuti studiare attentamente. In fondo, sono ancora due bambini e Ari è ha visto solo il lato peggiore del mondo con sprazzi di felicità nascosta, trascorsi con Fire in quei pochi minuti in cui riuscivano a stare insieme. Cosa ne pensi di James, a proposito? Sinceramente, provo più simpatia per lui che per il biondo, ma ho l'impressione che per te sia il contrario. Sbaglio?

 Gio26*__________* Non mi fare tutti questi complimenti che finisce che mi monto la testa xD No, dai, non è granché, però è una storia che mi piace scrivere e i personaggi mi fanno ridere e piangere e sembra che certe volte si scrivano la storia da soli (a quel punto inizio a sentirmi inutile u.u T.T xD) Ma comunque, se Dust mi analizza i personaggi, tu sai con chi farli mettere, a quanto pare xD Bene, bene u.u Mi servono persone che pensino alle love story perché io tendo a essere un tipo parecchio allergico alla parola "amore" o meglio odio quando la devono intendere come nei libri di Moccia o cose del genere! O.O 

(Odio Moccia e se ti unisci a me nel buttarlo al rogo, mi fai un piace u.u Programmavo anche di tentare un omicidio nel sonno, ma vedrò di organizzarmi meglio X'D) Comunque, ritornando alla storia. Leon, il biondo, non mi convince molto. Si rivelerà essere davvero un rivale per Fire, ma, come vedere in questo capitolo, Fire (in quanto è stata completamente modificata a livello genetico)  possiede una forza e una tecnica con cui potrebbe batterlo facilmente. Non pensare però che Leon si dia per vinto, in effetti, passerà parecchio tempo prima che i due si sopportino a vicenda.

Cosa succederà poi? Ah, non me lo chiedete perché lo saprete solo a momento debito! Muahahaha XD Sono sadica. Ora vado alla prossima recensione. :)

Bye! Spero di poter leggere una tua recensione a questo capitolo che, nonostante non sia poi così importante, mi piace molto. u.ù

 missdubhe93 : Ma c'è una specie di virus per l'amore-a-prima-vista-verso-il-biondo per caso? XD Quel ragazzo ha riscosso un sacco di successo devo dire O_O Comunque, parlando di cose serie. Anche io amo Fire! *-* E il biondo ... Leon, credo di condividere una specie di antipatia verso di lui da qualche tempo. Non so, ma credo che darà molto filo da torcere a Fire, non solo nel campo del combattimento.

Ovviamente a Leon brucia molto la sconfitta presa da Fire. E immagino! XD Ma sarebbe stato molto inverosimile che lui riuscisse anche solo a farle male, visto la forza e i sensi di Fire. In effetti, quella ragazza è un mito. La stimo u.u Aspetto la tua recensione a questo capitolo, mi raccomando! u.u Okay? =P E poi, voglio proprio vedere cosa penserai del biondo nei prossimi capitoli.

 Valerie_Laichettes: Valerie! Aspettavo la tua recensione! u.u Davvero è fra le tue preferite? *-* Ma comunque, veniamo a noi. Ehm, si sistemerà tutto?... Vedremo. Non sempre le cose vanno bene, e Arijane, in qualsiasi modo, soffrirà molto. Anche lei è cosciente che affezionarsi a Zack è un errore e che, se succedesse qualcosa, starebbe davvero male, ma d'altronde non può farne a meno.

Zack e Ari hanno molto da condividere e, come vedrete, diventeranno amici. E per le ferite di Fire? Beh, non ha pensato al fattore genetico che incide su ogni cosa nella sua vita. E' semplicemente più dotata di qualsiasi essere umano in forza, velocità e agilità. Le sue ferite si rimarginano molto più in fretta e il suo organismo è molto diverso dal nostro, e questo lei lo sa per via delle sue disordinate conoscenze scientifiche che ha assimilato durante il periodo dell'Istituto. E' dotata di ossa più leggere e quindi pesa di meno, è magra e alta, e ha sacche d'aria sotto i polmoni che le permettono di respirare anche ad alte quote esattamente come gli uccelli.

Anche molti altri punti del suo organismo sono diversi, solo che nella storia non l'ho spiegato bene. Ho studiato gli uccelli in modo da rendere tutti più realistico, e cercherò poi di spiegare meglio com'è fatta. E' umana, ma il suo organismo è modificato e quindi è normale che ci sia differenze fra la nostra velocità a rigenerare i tessuti e la sua. So che suona proprio strano, ma dovrebbe essere così xD

Comunque, grazie di avermelo fatto notare: provvederò a far capire meglio. u.u

Se avrò tempo vedrò di correggere gli errori e non ti preoccupare mai di farmi notare qualcosa. Nonostante è brutto riceverle, le critiche negative aiutano molto. E parla una che ne ha ricevute un'infinità. (Una volta mi hanno detto che scrivere non faceva per me O.O)

 Iolyna92: Ehi! *-* Un nuovo lettore, evvai! u.u Comunque, bene. Innanzitutto a me il ragazzo-lucertola piace xD Non so perché, ma mi piace. Certo vuole strappare i polmoni dal petto alla nostra cara Fire, ma mi sta comunque simpatico e non chiedermi perché O.o Un motivo ci sarà... ma non te lo dico! XD E cos'è il mostro che squarterà i ragazzi? Nessun mostro, credo che il Cacciatore si riferisse agli Addetti... ma leggi il prossimo capitolo e capirai u.u

Aspetto le tue prossime recensioni e se c'è qualcosa che non ti piace vedi di dirmelo, okay? =)

 

 

Ora vado!

Byeeee!

 

Ps. Grazie ai tre che hanno messo la storia fra i preferiti e che sono gli stessi che mi regalano grandiose recensioni. Grazie, ragazzi. *-* Grazie anche ai cinque che l'hanno ricordata, e ai quattordici che l'hanno messa fra le seguite! Grazie :)

  
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