Chilling
Pills.
Perché
scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.
8-
Purple Shades of Victory.
Il
lavanda era stato un colore facile da stendere sulle pareti della stanzetta. Appoggiando
il rullo ancora imbibito di pittura nel secchio, Nina guardò soddisfatta il
risultato del suo lavoro. Ora doveva montare il lettino, il fasciatoio e
l’armadio. Il regalo di Steve avrebbe fatto bella mostra di sé da qualche parte
–se solo sapesse che diamine aveva
intenzione di regalarle quell’invasato del suo figlio maggiore.
Certo,
sarebbe stato ancora più facile se non avesse avuto quella pancia enorme ad impedirle i movimenti.
Beh,
colpa sua che aveva atteso l’ultimo momento prima di dipingere la cameretta
della bambina in arrivo.
Colpa
sua che aveva cercato di convincere Sergei a farlo.
Era incredibilmente bravo a fare orecchie da mercante tanto quanto
approfittarne del suo stato interessante e di incredibile serenità ormonale.
Intanto i nove mesi stavano per
scadere. Si sarebbe potuta vendicare con comodo DOPO. Nina Williams non perdona
né dimentica.
Si
accarezzò la pancia, la stoffa della vecchia salopette blu che aderiva.
“Allora, piccola, ti piace il tuo nido?” domandò, non aspettandosi realmente
nessun segno di risposta. La marmocchia iniziava ad essere piuttosto strettina là dentro, ed aveva iniziato a limitare i
movimenti a quelli essenziali. Probabilmente non vedeva l’ora di venirsene
fuori. Tanto meglio, ormai il mal di schiena iniziava a farsi sentire e lei non
era di certo come sua sorella che sosteneva di sentirsi in sintonia con
l’intero universo durante la gravidanza e pervasa da una pace cosmica. Fosse
stato per lei, Jamie ci sarebbe rimasto per altri tre
- quattro anni. Per Nina, sarebbe bastato che suo nipote non avesse tutta
quella fretta di nascere, visto dove si trovavano quando aveva deciso di fare
il suo ingresso trionfale nel mondo.
Sperava
invero che la piccola decidesse di seguire le orme del cuginetto e di
presentarsi all’appello con discreto anticipo.
Il
rumore della porta d’ingresso che si apriva la distrasse dalla sua
contemplazione. “Toh, vuoi dire che papà è tornato in anticipo?”
Il
tempo di togliersi la pittura dalla faccia che Sergei
le era comparso alle spalle. Guardò il risultato del lavoro con occhio critico
e la solita espressione impassibile.
“Visto?
Non è così terribile come dicevi, no?” commentò Nina. “Ora, visto il tuo
efficientissimo buon orario, ti va di aiutarmi a montare i mobili?”
Momento
di silenzio. Qualcosa non andava: stava fissando il soffitto e non incrociava
il suo sguardo. “Uhn. Temo di non poterlo fare.”
“…ma che strano…”
“Ho
due ore per preparare l’equipaggiamento. Devo partire per…”
Sintonia
con l’Universo?
Pace
Cosmica?
Incredibile
Serenità Ormonale?
L’ematoma
sul sopracciglio sinistro di Dragunov, corredato da
un taglio dicevano l’esatto contrario, mentre usciva – abbastanza di fretta -
con lo zaino militare sulle spalle e il ghiaccio sulla ferita.
Si
sentiva abbastanza abbattuta mentre si lasciava cadere stancamente sul divano.
Dopo quarantacinque minuti di tentativi vani per montare il mobilio della
cameretta – le istruzioni non mentivano quando segnavano che bisogna essere in due per il montaggio, aveva
mandato tutto al diavolo ed aveva rimandato a data da destinarsi.
Accese
il pc portatile per distrarsi un po’, scoprendo un
messaggio di Steve sulla sua casella di posta elettronica.
Le
domandava se stesse bene, come stava procedendo e le raccomandava di Chiamarlo nel caso avesse bisogno.
Lo
sguardo azzurro di Nina si posò sui vari pezzi di mobilio sparsi per terra.
Tra
dieci giorni sarebbe scaduto il termine della gravidanza.
A
volte anche i lupi solitari dovevano arrendersi all’evidenza che il gioco di
squadra era necessario in alcune situazioni. Prese in mano il cellulare e cercò
in rubrica il numero di suo figlio.
Alle
11 e 30 del mattino seguente Nina Williams fu svegliata da un insistente
scampanellio della porta d’ingresso.
Si
alzò imprecando contro il postino, sicura che fosse quel dannato ad aver
interrotto il suo sonno ristoratore.
Con
sua somma sorpresa, al di là della porta si era presentato un noto ragazzo dai
capelli biondo platino, gli occhioni azzurri e una
giacca a vento aperta sopra ad una camicia hawaiana a sua volta completamente
sbottonata.
“Sarei
arrivato prima… ma Julia mi ha fatto comprare la
giacca.”
“… e poi ti ha spedito con FedEx?” Nina si spostò per farlo entrare nell’appartamento. “E poi siamo a fine Aprile, neppure qui fa più così freddo."
“Infatti
sto facendo la sauna.”
“…te non sei normale…”
Steve
si era messo a guardarsi intorno, sbirciando tra le porte “Carina la casa
nuova.” Commentò. “Un po’ più grande di quella prima. Anche se ormai sono
abituato alle case americane…”
“Uh,
già. Dimenticavo che mio figlio è diventato uno yankee. Il che, per una madre
irlandese, è meglio di un figlio dannatamente inglese.”
“Per
il mio patrigno no, o sbaglio?”
“Deve
essere ancora inventato qualcosa che vada a genio al tuo patrigno. A parte il
suo AKS-74.”
Con
fare conciliante e con un sorriso da orecchio a orecchio, il ragazzo appoggiò
le mani sul pancione di Nina. “Sono sicurissimo che ci sia un’altra cosa che
gli va a genio…”
“Evidentemente
non hai visto la sua espressione quando ha scoperto che è femmina.”
“Vammi
indovinare: la solita?”
“La
faccia di Dragunov ha diversi tipi di impassibilità.
Quella era la stessa impassibilità che utilizza anche nei post sbronza.”
“…Colorito verdognolo?”
“Precisamente.”
“Oh,
beh. Poteva andar peggio, no?”
“Certo,
poteva assumere l’impassibilità di quando si ritrova davanti Raven. Hai fame? Vuoi qualcosa da mangiare?” quasi
cinguettò, facendo cenno di seguirla nella cucina.
Il
cellulare di Nina squillò quando l’ultimo lato di sbarre di legno del lettino
bianco era stato messo al proprio posto.
Senza
guardare il display, la donna chiese quasi cortesemente al ragazzo dei
rispondere in sua vece.
Lui
provò a protestare, ovviamente senza risultato.
“Stevie, sei qui per aiutarmi, giusto?”
Con
un sospiro il ragazzo si portò l’apparecchio al telefono. “Pronto? E’ Dragunov, vuole parlare con te.”
“Dragunov… Dragunov… mi pare di
aver già sentito questo nome da qualche parte… dev’essere il mio coinquilino saltuario, si, quello che
canta le canzoni delle t.A.T.u sotto la doccia.”
Steve
soffocò una risata, mentre dall’altro capo del telefono proveniva un silenzio a
dir poco inquietante. Poi un sibilo, che Steve interpretò con un: “Credo voglia
il divorzio…”
“Rispondigli
TRACHNITJE ETO.”
Dopo aver ripetuto le parole della madre, Steve
guardò angustiato il telefono: “…temo mi abbia
minacciato di morte, prima di riattaccare.”
“Oh, non preoccuparti. Lo fa con tutti.”
“Riattaccare o minacciare di morte?”
“Entrambe le cose. Sai, non è molto loquace. E va
direttamente al sodo.”
La
contrazione era stata inaspettata quanto forte, e l’aveva fatta svegliare di
scatto. Con qualche difficoltà si rizzò a sedere, la fronte imperlata di
sudore. Si appoggiò alla testiera del letto, cercando di focalizzare il dolore
e di concentrarsi sul tempo che trascorreva. Faticava a rimanere in quella
posizione a causa della sciatalgia: l’effetto collaterale della gravidanza più
odioso che potesse venirle, e ormai la tormentava da un paio di giorni pieni. Restò
vigile per qualche minuto, gli occhi aperti nel buio, per poi piano piano assopirsi lentamente.
“AH!”
Un’altra. Dannazione. Le contrazioni sono
molto comuni al nono mese. Specie con un caldo come questo. Un paio di
contrazioni non volevano di certo dire che…
“AH!”
Beh, non c’era il due senza il tre e… “AGH!!”
Era
come se le avessero vuotato un secchio d’acqua in mezzo alle gambe. Il che era
una prova abbastanza inconfutabile.
“STEVE!”
“Ok,
Ok, devi fare dei respiri profondi. Reeeeespiri
profondi. Reeeespiri profondi.”
“Steve,
sto già respirando profondamente. Non c’è bisogno che me lo ripeti ogni trenta
secondi.”
Dalle
gambe di Nina, aperte, sul lettino della sala da parto, arrivò la voce della
dottoressa: “Lo so che è seccante, Signora, ma la prego di lasciarlo fare. Gli
uomini hanno spesso attacchi di panico di fronte al parto della propria compagna…”
“…!”
“Ehm,
veramente, dottoressa, questa è mia madre. Giuro, non sono stato io a fare un
simile casino.”
L’ostetrica
era rimasta a bocca aperta, riemergendo dalle gambe in cui stava controllando
la situazione. “…Sta scherzando, vero?” Recuperò velocemente la cartella clinica di
Nina, e la aprì a controllare la data di nascita. Poi la guardò di nuovo,
ancora più basita. “Mi può lasciare il nome del suo antirughe, per favore?”
“Dottoressa,
la smetta di dire stronzate e faccia in modo di far finire questo momento al
più presto.”
“Signora,
purtroppo la dilatazione non è ancora sufficiente.”
Nina
imprecò nuovamente, gettando all’indietro la testa sudata, con Steve che le
tergeva solerte la fronte. “E allora mi dia qualcosa, cazzo! Mi sto aprendo in
due!”
“Posso
procedere con l’epidurale, se preferisce…”
Ma
Steve le toccò la spalla leggermente. “Mamma, so che non è il momento, ma tu mi
avevi chiesto di ricordarti una cosa, nel caso tu fossi piuttosto sconvolta dal
parto…”
“…?”
Steve
prese un bel respiro, indietreggiando a distanza di sicurezza e disse tutto d’un
fiato: “Zia Anna ha partorito in un hotel semidistrutto, in una città
completamente rasa al suolo, senza alcuna assistenza medica e nessuna pratica
contro il dolore. Ci tenevi che ti ricordassi questo, per non farti fare una
magra figura a confronto.”
Nina
lo fissò mentre cercava riparo dietro all’ecografo. Rimase un attimo
interdetta. Poi annuì, imprecando immediatamente dal dolore. “Dottoressa, si
levi dalle palle. Qui CI PENSO IO.”
L’ostetrica
fu lieta di accontentarla, scivolando velocemente fuori dalla stanza.
“Mamma,
forse non è il caso di imprecare… sai, non vorrei che
mia sorella iniziasse subito a percepire il mondo esterno come un posto ostile… capisci… già le scoccerà
uscire di li…”
“CHE
CAZZO STAI DICENDO, RAZZA DI IDIOTA! E’ ora che tua
sorella sloggi, e alla svelta. E se non si muove a farlo, andrò io
personalmente a prenderla. Sono ormai VENTISETTE ORE che agonizzo su questo
dannato letto.”
“In
effetti…”
“Steve,
ho bisogno di imprecare da sola. Levati pure tu dalle Palle, dai. Vatti a
prendere un caffè. Sparisci. Eclissati.”
E
giusto per rimarcare la questione, il telefono cellulare, che aveva iniziato a
squillare, fu scagliato nel bel mezzo del corridoio.
“Pronto?”
“…. Dunque?”
“E’
ancora in travaglio!”
“Ah. E’ in travaglio?”
“E
già da un po’. Ora la situazione sta degenerando. Senti, non credi sia meglio
rientrare e fare il tuo dovere di quasi padre?”
“…?”
“Voglio
dire sopportare tu le sue urla al mio posto.”
“Dovrei essere a Mosca tra cinque
ore circa. Devo prendere l’ultimo aereo.”
“Beh,
fallo. Che aspetti? Non ci sarà mica sciopero dei controllori oggi, no?”
“….”
“No.
Mi rifiuto di crederlo. Non può essere vero! Diamine, sei un sergente, no?
Chiama l’aviazione, o noleggia un blindato, fai qualcosa!”
“…TSK!
Gli eserciti non si mobilitano perché una donna è in travaglio!”
“Ehm… Sergei, ti rinfresco la
memoria. La donna in questione, oltre ad essere una certa Nina Williams, di
professione Killer, è anche tua moglie, nonché mia madre. E la bambina che sta
per venire alla luce si tratta di tua figlia.”
“…”
“…”
“…”
“…non oso immaginare la tua faccia in questo momento.” Commentò
ironico, voltandosi verso la sala parto, giusto in tempo per vedere quattro
medici attorno ad una barella. Una barella su cui era sdraiata una Nina
Williams piuttosto furente e al limite della sopportazione umana. “Hey, ma…!”
“Questi
luminari della medici vogliono portarmi in sala operatoria! Non capiscono che
posso farcela DA SOOOLAAAA!”
“Che diavolo sta succedendo?”
“Scusa tipo, ma devo proprio andare…” Gemette, chiudendo la conversazione, prima di
rincorrere la barella. “Mammmaaaaa! Era Dragunov al telefono…”
“Che
diavolo vuole da me ancora? Ha combinato abbastanza guai!”
“Sta
arrivando. Controllori di volo permettendo. Ma ha detto che, se necessario, si
paracaduterà sull’ospedale.” Mentì.
“TSK!”
“E
ha anche aggiunto che stai facendo un ottimo lavoro, che è tanto tanto fiero di te e che non vede l’ora di vederti, e che è
tanto tanto tanto
dispiaciuto di non esserci e che…”
“Steve… ti ringrazio, ma non me la bevo.”
“…ha anche detto che anche se farai il cesareo, non
significa che tu sia inferiore a zia Anna.”
Nina
fece segno al barelliere più vicino a sé di fermarsi: “…davvero?”
“Si.
Per lui sei la migliore comunque. E anche per me, ovvio.”
L’espressione
della donna cambio, sotto il casco di capelli madidi di sudore. Sembrava
svuotata da qualsiasi furia, più tranquilla, mentre appoggiava le mani al
ventre gonfio e dolorante. “Mi dispiace se ho dato in escandescenze, Steve.
Credo siano gli ormoni.” La fronte si aggrottò di nuovo, mentre si gettava all’indietro
sulla barella. “No, ormoni un cazzo! Sono le contrazioni! Forza, che state
aspettando? TIRATELA FUORI DI QUA!”
“Ciao
Victoria, amore del tuo fratellone…!”
“Viktorija” corresse appena la pronuncia, mentre la piccola
era morbidamente attaccata al suo seno, gli occhietti chiusi. Un batuffolo rosa
attaccato al suo petto, fotografato costantemente da Steve. Una cosa
inaspettata, splendida, meravigliosa e completa.
Un
cucciolo perfetto in ogni sua forma. E le ventisette ore di dolori e l’operazione
erano solo un vago ricordo.
“E’
un nome valido sia in inglese che in russo. E la vittoria è una delle cose che
noi amiamo tanto.”
“L’altra
è il famoso AKS-74?”
L’espressione
di Nina era assolutamente nuova, assorta, serena. Sospirò sorridendo, incapace
di staccare gli occhi dalla figlia: “Oh, no… è l’AK-47.
Un kalashnikov in dotazione sia all’esercito russo che all’IRA. Una delle tante
cose che ci accomunano…”
“…voi non siete normali…”
Il silenzio del corridoio bianco e verde era rotto dai suoi passi.
L’infermiera alla guardiola alzò gli occhi dalla sua rivista e gli fece segno
fare piano.
Rallentò l’andatura senza degnarla di uno sguardo, anche se sembrò fare
più attenzione a non far troppo rumore. Individuò la camera dall’altra parte
del corridoio e lo attraversò.
La stanza era buia, poteva sentire solo il suo respiro regolare. Era
ovvio che dopo una giornata del genere stesse dormendo, sarebbe stato meglio
tornare al mattino. Stava per tornare sui suoi passi, quando la lampadina del
letto si accese. Alla luce bianca del piccolo neon Nina aveva un aspetto
spettrale: Più pallida del solito, gli occhi segnati da occhiaie profonde, i
capelli sciolti in disordine sulle spalle e una flebo infilata nel braccio.
“Alla buon ora!” esclamò debolmente, mettendosi a sedere con fatica. “Pensavo
non arrivassi più.”
“C’è stato un ulteriore imprevisto.” Si avvicinò, dando un’ulteriore occhiata
alla stanza.
“Non è qui.” Nina sbadigliò, alzandosi con una piccola smorfia sul
viso. Chiuse la valvola della flebo e staccò il tubicino dall’ago per infilarsi
la manica della vestaglia, e poi rimise tutto a posto. “E’ antidolorifico. Per
stanotte mi servirà” sbadigliò. “Ho fatto il cesareo.” Aggiunse. “Dopo ventisette
ore di travaglio non ne voleva sapere di uscire, il medico ha pensato che era
giunto il momento di sfrattarla con la forza”
“Capisco.” Era anormale parlare così della nascita della propria
figlia, anche se i genitori erano loro due, la coppia meno comune che si
potesse mai immaginare. Gli parve all’improvviso che fosse del tutto ingiusto non
aver saputo prima di come fosse avvenuta la nascita, delle complicazioni e del
tempo impiegato. Pensandoci, non sapeva neppure quanto pesasse la bambina.
Un gigantesco mazzo di fiori appoggiato sul comodino attirò la sua
attenzione. Chiese a Nina chi glieli avesse mandati.
“Steve” rispose con voce ovvia, mentre si allacciava la vestaglia. “E’
stato qui per tutto il tempo. Un angelo, davvero: mi ha tenuto compagnia, mi ha
aiutato molto. Non so come avrei fatto senza di lui. L’ho mandato a casa
un’oretta fa, si era addormentato in piedi con la testa fuori dalla finestra.”
La frecciatina della moglie lo infastidì ulteriormente, insieme al
sapere che il suo figliastro aveva preso egregiamente
il suo posto. “Lo sai che non potevo…”
“Si, lo so, lo so. Vieni, non sei curioso di vederla?”
L’aveva seguita sino alla nursery, studiando il suo volto che sembrava
riprendere colore e la sua espressione, che da stanca era diventata impaziente.
Un accenno di sorriso stendeva le labbra pallide.
Arrivati davanti all’ampia vetrata della stanza, gli aveva indicato un
fagottino rosa nella seconda fila.
Vedere la bambina era stato come un click: solo in quel momento era
riuscito davvero a realizzare che lei esisteva
davvero, che nulla sarebbe stato più lo stesso.
C’era il suo nome scritto in rosa sulla culla di plexiglass. C’era la
tutina bianca e rosa che aveva visto in mano a Nina prima di partire per la
missione e la copertina ricamata, regalo di Anna. Vedendoli, l’infermiera prese
in braccio la bambina, avvicinandosi alla vetrata per mostrarla meglio.
“Sembra una scimmietta, non è vero?” constatò Nina con un piccolo
sorriso, appoggiando la mano sul vetro.
C’era un casco di capelli neri spettinati, una boccuccia a forma di
cuore e un nasino piccolo e delicato. “Credo sia la cosa più perfetta che abbia
visto nella mia vita.” Sussurrò la donna. “Non è incredibile che siamo stati
noi a crearla? Più la guardo e più mi chiedo come sia stato possibile. Voglio
dire, io sono bella, certo. Ma tu… con quel naso…”
“Non si può vedere da più vicino?”
L’infermiera gliel’aveva portata fuori dalla nursery, proprio mentre la
piccola scimmietta aveva aperto gli occhi azzurrissimi, esibendosi poi in uno
sbadiglio gigantesco per le sue piccole dimensioni. “Approfittane ora per
presentarti, perché tra un po’ avrà voglia di mangiare e non vorrà sentire
ragioni.” Consigliò Nina, infilandogliela in braccio, raccomandandosi di tenere
la testina sorretta. “Ciao Viktorija, questo è tuo papà…So che in questi ultimi giorni l’hai sentito chiamare
con vari epiteti poco carini. Però il suo nome è Sergei.”
aveva sussurrato con un piccolo bacio sulla microscopica fronte. “Non ti
aspettare che sia così loquace come il tuo fratellone…”
Lo sguardo della piccola era un po’ vago, un po’ incuriosito. Apriva e
chiudeva le piccole manine, e con una catturò un suo dito, stringendolo. “E’
forzuta.” Constatò Dragunov. E la piccola,
incredibilmente, sorrise.
“E ha già capito con chi dovrà
fare la smorfiosa.”
Ed
Eccomi!!! Finalmente di ritorno dopo la luuuuunghissima
pausa estiva!
Per
me quest’anno c’è stata una splendida settimana in Irlanda! …e
quanti appunti che ho preso! ;)
Bene,
vi somministro anche questa PILL, sperando riscuota il vostro gradimento!
Arrivederci
a PRESTO (spero!)
PS:
AKS-74 e AK-47 sono fucili Kalashnikov da assalto davvero in forza all’esercito
russo. In particolare il tanto amato AKS-74 è utilizzato dalle forze speciali
SPETSNAZ. (Grazie Mr Wikipedia
di esistere!)
PPS:
Si, a Mosca fa caldo in estate. Quest’anno hanno pure avuto qualche problema di
incendi (… dite che SErgei si è acceso una sigaretta
a modo suo?)
Mille
grazie!
EC