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Autore: Mitsutsuki    07/09/2010    3 recensioni
Un drago intrappolato in un graffito, un distributore automatico, e una domanda come un’altra per fare conversazione.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Treno Secondo


Un giorno, uno d’ottobre, vennero dei signori vestiti d’arancione. Erano in tre, tutti ben messi e dalla voce bassa e roca, come se questa dovesse raschiare le pareti della gola per uscire e dare tono alle parole.
Si misero ad armeggiare attorno a Louis, ignorando le sue proteste. Doveva trovare la cosa alquanto fastidiosa, soprattutto per come ognuno dei tre operai tentasse stupidamente di parlare all’altro nonostante il rumore dei trapani.
Quando ebbero finito, chiamarono un quarto uomo, che li aiutò a sollevare di peso il distributore. Lentamente, borbottando tra loro di argomenti che non riuscì ad afferrare in pieno, lo trascinarono all’uscita della stazione.
Aser rimase impotente a guardarlo allontanarsi, serrando i denti affilati per impedire ad una nuova domanda di fare capolinea sulle squame delle labbra.
Non seppe dirsi perché, ma per la prima volta sentì di non voler ricevere alcuna risposta.

Venne novembre e l’umido della pioggia cominciò a farsi strada lungo la parete dei murales. L’avevano chiamata così non solo perché graficamente colorata rispetto alle compagne grigie e annerite dallo smog, ma perché i guardiani, stanchi d’inseguire i giovani artisti e confiscare bombolette, avevano pensato di tollerare gli spray solo su quella particolare porzione di muro.
Così i ragazzi avevano cominciato ad imbrattarlo a loro piacimento, seguendo i gusti di una vena artistica alquanto indisciplinata ed infantile, cancellando le scritte dei predecessori per apporre le proprie, più grandi e belle.
Solo il drago non venne mai toccato. Nessuno aveva più idea di chi ne fosse stato l’artefice, ma tra i ragazzi - e i guardiani, sebbene non volessero ammetterlo - era nata una sorta di ammirazione per il leggendario animale, intrappolato tra firme illeggibili e caricature improbabili.
Qualcuno gli si rivolgeva come al protettore dei graffiti, altri sembravano chiedere il suo consenso prima di armarsi della propria bomboletta spray.
Aser se ne compiaceva. Amava osservare come i compagni più giovani dei writers, magari i fratelli di questi, si soffermassero ad osservare la sua sinuosa figura di squame color smeraldo e chiedessero emozionati chi mai l’avesse disegnato.
Sorrise, immaginando di poter mostrare i denti: lo ricordava bene, il suo autore. Se solo avesse potuto comunicare alle cose animate, come gli umani, si sarebbe divertito nel tacere il suo nome. Così, giusto per il gusto di farlo.
Il sorriso si tramutò presto in una risata, della quale si divertì solo lui, davanti al buco nel pavimento lasciato dal distributore.

Prima che dicembre imbiancasse i binari di neve e vestisse i passanti di pesanti sciarpe colorate, Aser andò in letargo. Non era esattamente convinto che i draghi ne avessero bisogno, ma la ritenne la via migliore per sfuggire alla grigia monotonia dell’inverno. La stazione sembrava coperta da un velo che rallentava tutto ciò che si trovava sotto di esso. Persino i treni non sfrecciavano più sulle rotaie, ma si limitavano ad accarezzarle dolcemente, come per rincuorarle e ricordare loro che la primavera sarebbe tornata, presto o tardi.
Con un ultimo sbuffo annoiato, chiuse gli occhi.

— Come va? —
Aser sussultò e per un attimo credette di essere uscito dal muro per lo spavento.
Fece ruotare l’occhio scuro sul pavimento, fino a incontrare la buca del distributore coperta da quello che immaginò essere un piedistallo. Lo percorse in tutta la sua altezza, fino ad un rettangolo riverniciato di fresco, corredato di pulsanti luminosi, fessura per i soldi e cassetta per il resto.
Sollevò un sopracciglio sottile — Louis? —
— In ferro, bottoni e con un vestito nuovo di zecca. — Gli rispose. Poi fece una pausa e precisò — Adesso funziono. —
Il drago sorrise brevemente, prima di correre a nascondersi dietro uno sbadiglio che sapeva d’imbarazzo.
— Io sono andato in letargo. — Tergiversò, rispondendo in un qualche modo alla domanda del distributore.
Questi lo guardò stranito un istante. Non sapeva che i draghi si prendessero l’inverno di riposo. Ma era anche vero che non ne conosceva altri.
— Interessante. — Rispose infine.

Il treno rallentò mollemente la sua corsa con un fischio, in risposta del quale Giorgia si coprì le orecchie con le mani con aria corrucciata. Non le piacevano i rumori forti, diceva che le facevano sanguinare i timpani.
Poi il mezzo si arrestò del tutto e la bambina, sette anni di allegria e vitalità, saltò in piedi sul sedile, spiaccicando il naso contro il vetro del finestrino.
— E’ questa? — Domandò eccitata.
Non ricevendo risposta nei millesimi immediatamente successivi al primo punto interrogativo, ripeté, a voce più alta — E’ questa? —
Il ragazzo, seduto accanto lei, aprì gli occhi a malincuore, bruscamente strappato al mondo dei suoi sogni, fatto di conquiste e macchine di lusso. Accennò una risposta affermativa rivolto alla schiena della sorellina, domandosi se, sotto il bel vestito blu, nascondesse un vano batterie. Togliergliele gli avrebbe reso la vita più serena e tranquilla. Soprattutto tranquilla.
— Allora cosa fai lì seduto? Andiamo! — Si lamentò, prendendogli un braccio e cominciando a tirare.
Con la mano ancora libera, il ragazzo raccolse il suo zaino e quello della sorella, che, fosse stato per lei, si sarebbe fatto il viaggio di ritorno solo soletto sotto il sedile.
Davanti al suo fallito tentativo di alzarlo con la forza, la bambina s’indispettì — Jacques! — Cominciò a cantilenare, dilungandosi di molto sulle vocali.
— Ho capito, ho capito! — Esclamò lui, alzandosi.

Quando scese dal treno, Giorgia si guardò attorno in cerca di qualcosa che andava oltre le persone e le loro valigie, oltre il guardiano che la invitava a togliersi da davanti ai gradini del mezzo e persino oltre l’intera stazione stessa.
I suoi occhietti azzurri scrutarono attraverso ogni singolo millimetro d’aria tra lei e l’oggetto del suo viaggio.
Jacques la osservò annoiato, fino a quando una vocina non gli suggerì che prima accontentava la bambina, prima avrebbe potuto buttarsi sul letto di camera sua.
Diede un leggero colpo di tosse, mentre lasciava cadere a terra il cellulare, vittima sacrificale perché Giorgia si voltasse in quella direzione e guardasse alle spalle del fratello.
Jacques avrebbe potuto giurare che i suoi occhi si fossero fatti talmente grandi da toccare i lineamenti del volto, prima che scavalcasse i resti del suo cellulare e accorresse alla parete dei murales.
La raggiunse qualche tempo dopo.
L’entusiasmo e la meraviglia di Giorgia sembravano aver lasciato il posto ad un’amara delusione.
— Me lo aspettavo più grande. — Ammise, studiando il drago disegnato sulla parete — E sul distributore non c’è nessuna scritta. —
Si voltò verso di lui, imbronciata e con le braccia incrociate al petto infantile.
Il ragazzo si strinse nelle spalle, poi si chinò alla sua altezza.
— Non sei stata attenta. Ti ho raccontato che il distributore era stato riverniciato, ricordi? —
Giorgia assottigliò lo sguardo come solo i bambini sanno fare.
— E hanno cancellato i nomi di mamma e papà? —
Annuì.
Sembrava ancora più delusa. Si dondolò qualche istante sulle punte, guardando di sottecchi il distributore e la sua vernice immacolata. Fu allora che le venne un’idea. Aprì lo zainetto che il fratello aveva poggiato al suolo e ci ficcò dentro tutta la testa cercando il proprio astuccio scolastico. Sotto gli occhi perplessi di Jacques, ne estrasse un pennarello rosa indelebile.
Si volse verso la macchina per i biglietti, che sapeva chiamarsi Louis, e rimase indecisa sul da farsi.
— Dov’era la scritta? —
— Non ne ho idea. — Ricevuta l’occhiataccia della bambina che lo invitava a sforzarsi di più, cercò di delimitare una zona il più possibile vicino alla portata di Giorgia — Da queste parti, credo. —
Giorgia sembrò soddisfatta e si mise di vivo impegno nel scrivere in bella calligrafia. Nel frattempo, Jacques finse di mettersi casualmente in una posizione tale da coprire le malefatte della sorella agli occhi dei guardiani e dei passanti in generale. Non dubitava che, se scoperta, il piccolo angelo avrebbe fatto ricadere la colpa su di lui e sul suo racconto.
Completata la propria opera, la bambina proruppe in un’esclamazione di vittoria.
— Fatto! “Louis e Roberta, incorniciati da un cuore” come mi hai detto! — Poi indicò contenta l’aggiunta accanto.

— Come va? —
— Non c’è male. Per essere un distributore automatico con quattro nomi e due cuori sulla fiancata, s’intende. —

  
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