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Autore: Sere88    07/09/2010    2 recensioni
Questa storia racconta l'avventura della fortuna, del talento, e dell'amore; la passione di due anime confuse tra destino e sentimenti, e quella di due corpi che si sono cullati e torturati in un intreccio di vite a cavallo tra cronache e fantasie. E' la storia che racconta della vita di un uomo vero, una stella mondiale della musica, adorato e criticato di nome MIchael Jackson e di una donna inventata che almeno nella mia fantasia gli ha regalato l'amore che meritava...
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La vera storia di un racconto inventato

Prologo

Quando da bambina scrivevo poesie, non vedevo l’ora che un quaderno finisse per iniziarne uno nuovo.

Con quanta perizia accompagnavo la mia mano nello scorrere della penna, lungo le righe di quella prima pagina immacolata che essendo mancina non potevo fare a meno di pasticciare di inchiostro.

Gioia, emozione, entusiasmo erano i sentimenti che aprivano ogni mio nuovo diario di versi e ne sfogliavano le pagine, e adesso, che appena ricordo quanti anni avessi quando composi la mia ultima poesia, sento una fitta al cuore che mi annuncia che è arrivato il momento di aprire un altro quaderno, nuovo.

Ne ho comprato distrattamente uno di quelli dalla copertina rigida chiusa da un elastico sottile, di un verde carico con sopra stampate delle grandi e lucide fragole rosso acceso.

L’ho acquistato così, senza soffermarmi troppo nella scelta, ma appena fuori dal negozio ho avvertito ingenuamente che lui era lì anche in quella scelta presa alla svelta, in quel verde carico che tanto amo e in quel rosso acceso che tanto adora.

In questo pomeriggio di fine estate mi guardo intorno, e leggo in questa casa semivuota la stessa malinconia che accompagnava l’ultimo giorno nelle vacanze della mia infanzia, quando la casa al mare era stata sgombrata dai bagagli di settimane di sole e di spiaggia e con le lacrime agli occhi, sempre nuove e sempre le stesse, era arrivata l’ora di salutare le amicizie d’ombrellone, sempre nuove e sempre le stesse, alla volta dell’inverno.

I miei pensieri fanno eco nei soffitti alti di queste stanze, loro pure sembrano infastidire il momento solenne in cui aprendo questo diario avverto un’emozione forte, l’emozione di quando sola con te stessa senti che è arrivato il momento di far pace con il tuo passato e di convivere con il tuo presente, in una estenuante lotta alla sopravvivenza che sento di poter combattere solo così, con carta e penna come uniche armi.

Mi devo raccontare una storia e la devo mettere per iscritto, perché una cosa scritta dà il senso del compimento, dell’agito, come a ricordarti che certi momenti li hai vissuti davvero e che la tua vita ha avuto un senso, e di questo senso ho bisogno adesso.

Questa è la storia di un incontro professionale, di una passione difficile da gestire, di un nascondiglio durato due anni, di una amicizia profonda che ne durò venti e un rimpianto che mi accompagnerà per la vita.

È la storia della mia stella.

 Capitolo 1

Mi chiamo Susanna Marie De Matteo; sono nata a Napoli il 29 agosto del 1965, e a quattro anni sapevo che da grande avrei fatto la ballerina.

Sono cresciuta in una famiglia che non rispecchiava proprio i canoni della tradizionale famiglia partenopea degli anni Sessanta.

 Mio padre era Charlie De Matteo, un italo-afroamericano sassofonista nello “Stardust  Jazz Quartet”, uno scanzonato gruppetto di musicisti sognatori, che per un paio di anni vide realizzato un flebile spiraglio di successo.

Nel 1963 mise piede in Italia con il desiderio di conoscere davvero quella terra di cui suo padre parlava nostalgicamente e di cui ancora manteneva la pesante cadenza dialettale con tanto orgoglio. Stanco di pizza e mandolino, di questo paese volle vedere l’arte e decise che come prima tappa Roma sarebbe stata l’ideale. Ma la gita turistica terminò ben presto quando si imbatté in una ragazzetta un po’ svampita e con l’aria trasognata in cui gli parve di veder racchiusa tutta insieme la bellezza dell’Italia. Lunghi capelli neri mossi, occhi blu notte con le venature grigie del marmo e la pelle di un chiarore quasi accecante.

La parentesi italiana di Charlie De Matteo si chiamava Amelia. A vent’anni studiava a Napoli storia dell’arte ed avrebbe volute diventare una pittrice.

Amelia credette di trovare in quel bel ragazzotto mulatto dai lineamenti europei e con l’accento così deliziosamente straniero la sua America, in tutti i sensi. Scappò di casa spinta dalla voglia di emancipazione femminista, dal fascino del musicista straniero, ma soprattutto dal desiderio di liberarsi dalle catene retrograde della sua famiglia. 

Nel 1963 nacque Riccardo; dopo due anni sono arrivata io, Susanna Marie, tentativo mal riuscito di riassumere in un nome Italia e America.

Charlie ed Amelia presero in affitto un basso nella periferia napoletana. Dopo tre anni di convivenza e due figli, nacquero i primi pesanti dissapori tra i due giovani sprovveduti, che spinti dalla passione avevano fatto il passo più lungo della gamba e poco più che ventenni dovettero rinunciare alla loro arte e ai loro sogni per portare avanti la baracca. Lui magazziniere, lei stiratrice in un atelier di abiti da donna nella Napoli bene. Alla frustrazione si aggiunsero le difficoltà economiche e a queste la fuga di mio padre in America.

Questo è quello che mi hanno raccontato, quello che ricordo è invece la forza di mia madre che stanca morta dopo una giornata di lavoro, si metteva china sui libri, perché era in quei libri che leggeva il suo riscatto sociale. Ricordo due bambini cresciuti con affetto e sacrifici e a cui è stata insegnata l’onestà e il rispetto per la vita.

Tre anni dopo la partenza di Charlie, Amelia incontrò un giovane avvocato, Roberto Savarese. Si sposarono dopo soli due mesi, e da quella unione nacquero due gemelli, Edoardo e Lorenzo.

Lei si laureò ed intraprese la carriera di insegnante.

***

Volevo ballare.

La radio e il giradischi erano i miei giocattoli preferiti, ma i soldi scarseggiavano e mia madre inizialmente non poteva permettersi di pagarmi un corso di danza. Quando iniziò ad insegnare ed incontrò Roberto le cose si misero meglio, e così finalmente potetti indossare quelle prime scarpette con i nastri.

La sbarra, i pliè, le diagonali, le punte, il pianoforte, Nurayev, la Fracci e Baryshnikov; era questa la danza che conobbi fino all’età di quindici anni. Poi venne la televisione, le musicassette, i cantanti stranieri e i video clip. Mi si spalancarono le porte di un altro mondo, senza tutù e chignon, un mondo in cui la danza era anche cantata, dove si ballava con i tacchi e un po’ scosciate;  poi c’erano i grandi musical, le compagnie di danza moderna, i provini. Anche io volevo far parte di quel mondo, e ci riuscii.

A diciotto anni feci il mio primo provino; entrai in una compagnia con cui per due anni girai il mondo grazie ad una grande produzione.

Era il 1987 e a 22 anni toccai terra americana.

Corsi e ricorsi storici direbbe qualcuno; quando la storia di una madre diventa per certi aspetti quella di una figlia. Come per mia madre anche io ebbi il mio pezzo di America.

A vent’anni hai la forza di abbattere ogni cosa, ma allo steso tempo ogni cosa ha la forza di abbatterti; talvolta però certi scossoni possono aprirti nuove grandi possibilità umane e professionali.

Brodway, State Teatre.

Sala prove.

Era da un po’ che avevo l’impressione che Bob Stuart mi tenesse d’occhio. Era senza dubbio uno dei migliori direttori artistici in circolazione, ma era anche uno dei più lunatici e presuntuosi uomini del pianeta.

-Susie, ma che cavolo stai combinando!!! Datti una svegliata…andiamo…lo spettacolo è tra qualche giorno, te lo ricordo…

La sua ben nota voce cavernosa era talvolta così profonda da farti rabbrividire; e pensare che fu proprio lui a scegliermi qualche mese prima, durante il casting a Roma.

Perché ce l’ha con me questo?- mi chiedevo terrorizzata al solo pensiero che potesse sentirmi e sbattermi fuori, ma in realtà la risposta a quella domanda la conoscevo già.

Stuart era uno dei più noti coreografi e direttori di compagnia degli anni Ottanta, ma è per qualcos’altro che quell’uomo mi rimarrà impresso nella memoria.

Io, piccola terroncella italiana, svampita e con il desiderio di sbarcare il lunario, fino a quel giorno non sapevo nemmeno cosa significasse la parola “compromesso”, ma poi Bob Stuart volle spiegarmelo chiedendomi di andare a letto con lui in cambio del ruolo da protagonista nel musical su cui stava lavorando. Al mio –No!!!- secco e deciso, che mai avrei creduto di essere capace di  pronunciare con tanta determinazione, senza scomporsi mi congedò con un –Bene! Ne terrò conto…

Dopo due settimane fui sbattuta fuori dalla compagnia, sostituita da una sgallettata che ci aveva visto lungo e si era data a Stuart in cambio di quel posto.

-E che faccio adesso? Dannazioneee!!!!

-Susie, che è successo? Quel porco ci ha riprovato? Dimmi la verità! Gli spacco la faccia stavolta, a costo di farmi licenziare…

Kevin Bloomerg era il mio gigante buono, un omone di colore sulla cinquantina, che da anni accompagnava Stuart nelle sue produzioni come tecnico delle luci. Lo conosceva bene Bob Stuart.

Quando quella sera uscii sconvolta dal suo ufficio con gli occhi sbarrati dopo che egli mi propose quella specie di scambio, come lo definì lui, per poco non gli spaccavo il naso con la porta tanta fu la violenza con cui la spalancai.

-Scusi…sono mortificata…non credevo…mi dispiace…e adesso…Mannagg a miseria!!!- dissi con voce accorata e aggiungendo al mio inglese anche una punta di dialetto napoletano, che accompagnava sempre le mie imprecazioni anche quando stavo lontano da casa.

Kevin stava accovacciato a terra con il naso sanguinante.

–Ma dove cavolo andavi con tutta quella fretta?!!! Le prove sono pure finite…prenditi un calmante ragazzina…così magari eviti di fare danni!

Scoppiai in lacrime e mi accasciai a terra.

–Santo cielo!...Ti senti male?…Mio Dio…è il colmo, a momenti mi spaccavi il naso e tra i due quella che sviene sei tu…

E in quella disperazione, malconcio ma con quel tono buffo che lo contraddistingueva, riuscì a strapparmi un sorriso.

Da quel giorno diventammo grandi amici. A volte durante la pausa pranzo mi fermavo con lui a chiacchierare, e tra fili e riflettori mi raccontava di sua moglie e dei suoi cinque figli, delle sue aspirazioni giovanili. Gli parlai di me, dell’Italia, dei dipinti di mia madre e del sassofono di mio padre, l’unica cosa che lasciò a casa prima della fuga, e di certo non come ricordo ma solo per dimenticanza.

Divenne il mio confidente, l’unica persona sincera con cui potessi parlare in quell’ambiente di prime donne isteriche e pronte a tutto. Gli raccontai della proposta oscena di Bob Stuart, ed ebbi da lui la conferma del fatto che il mio non fosse stato un caso isolato, e che negli anni addietro alcune ragazze addirittura persero il posto in compagnia per questo motivo. Io divenni una di quelle.

-Susie, questo posto ti fa male, cavolo!!! Sono più le volte che piangi che quelle che sorridi da quando ti conosco…Allora racconta…

 Si sedette accanto a me su quelle fredde scalette di ferro, quelle che di solito stanno dietro le quinte, e sui cui gradini a stento entrava il suo sederone.

-Avevi ragione…alla fine mi ha sbattuta fuori a calci nel sedere…e senza uno straccio di valida motivazione, ovviamente. E adesso…???...che faccio adesso? Chiamo mia madre e le dico che forse la prossima volta è meglio se vado a letto con uno sconosciuto?...aiutami Kevin, che devo fare?…E’ ora dei tuoi consigli, quelli a bruciapelo e con il “cuore in mano”, come diciamo a Napoli, e che solo tu mi puoi dare.

Assunse la sua classica posa da oratore tanto buffa, che tirava fuori nel momento in cui mi dispensava i suoi consigli paterni.

–Ascolta, forse ho qualcosa di interessante per te…Che ne pensi dei video clip?

Fece sguardo interrogativo, quasi per sondare il terreno ed assicurarsi di poter centrare nel segno.

–Belli, nuovi, mhmhm…nuovi, da provare…

 –Susie, e dai…io sto dicendo sul serio, che risposta è belli, nuovi, da provare, mica sto parlando dell’ultimo tipo di gelati in commercio…E su…

Riuscì di nuovo ad accendermi un sorriso; in questo è sempre stato un mago.

-Forse tu non ti rendi conto di quello che sto per proporti Susie. È la tua occasione per lavorare con un grande, con un giovane genio della musica…Mia figlia si strapperebbe i capelli se solo lo incontrasse…

-Kevin…guarda non lo so…forse è meglio che lascio perdere…che lascio la danza…l’America e me ne torno a Napoli. Ti ringrazio…Ma forse questo è un segno. La mia strada è un’altra, che ne so…farò la…la…la conducente di autobus…Guarda sono così demotivata che nemmeno…nemmeno se…,che ne so, Michael Jackson mi chiedesse di ballare con lui avrei il coraggio di mettere i piedi su un palco adesso…

-Ah…ok. Se la metti così…la mia proposta è proprio l’ultima cosa che cerchi

-Kevin ma che cerco? non lo so nemmeno io che cerco…Che cerco? Michael Jackson? Andiamo su,  siamo realisti...

-Veramente ti sta cercando lui…

-Ok, credo che la botta che ti diedi qualche mese fa stia dando i suoi effetti ora. Kevin non ti offendere ma secondo me devi farti vedere da qualcuno…Stai delirando…

-Fidati, inizierai a delirare tu quando ti avrò spiegato tutto.

 

 

  
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