Nota
Chiedo umilmente scusa a tutti per
la lunghezza di questo capitolo,
ma essendo l'ultimo che chiude la prima notte
dovevo farlo un pochino più lungo,
altrimenti non avreste capito nulla. >.<
Prometto che il prossimo lo faccio meno lungo *ç*
Intanto volevo ringraziarvi per i commenti
ed in particolare Rainbow che è stto il primo/
la prima a lasciare un segno del suo passaggio.
Grazie mille per questo piccolo incoraggiamento :D
In ogni caso ho scritto questo capitolo, con le note di
Slow Poison ( The Bravery ) vi consiglio di ascoltarla :D
Grazie comunque a tutti voi che leggete <3 Baci a tutti *_*
[ Aggiornamento della pagina di Presentazione
Visitatela!! ]
Per il resto, Buona Lettura
Spero vi piaccia
Yu Lunae
Durante
l'ora di letteratura, avevamo letto quei versi di un autore italiano
che di recente aveva perdutamente appassionato la nostra amata
professoressa. Una poesia dedicata a Narciso nel suo più
profondo
denigrare la conoscenza di sé. Avevamo intrapreso un lungo
dibattito
sul mito ovidiano del giovane fanciullo: avevamo considerato le
diverse ipotesi a cui portava il mito, le sue molteplici chiavi di
lettura, i suoi lunghi miti annessi, come quello della Ninfa Eco, il
cui nome risuonava ancora tra le valli in cui era scomparsa, come
punizione divina per aver tentato di sedurre Narciso.
Quelle due
ore mi avevano molto depresso, perché non ero solita
discutere di
argomenti così alti. Non ci ero affatto abituata. Edward
invece si.
Frequentavamo quasi tutte le lezioni insieme. Il vederlo
così spesso
non mi andava molto a genio, ma mi adeguavo perché
è così che era
stato stabilito il patto, così che noi tutti avremmo dovuto
vivere,
adeguandoci l'un l'altro alle abitudini di entrambe le razze. E a
dire la verità ci stavamo riuscendo, anche se gli
avvenimenti degli
ultimi giorni, avevano scombussolato un po' quelli che erano i
cardini su cui verteva il patto stesso.
Alla pausa pranzo Edward
ci raggiunse al tavolo, lasciando l'amato tavolo dei famigliari, e
portandosi Bella dietro, oppure fu lei a seguirlo come un fedele
cagnolino, bah. Ovviamente Jake, ebbe la stessa reazione di una
ragazzina innamorata che si trova davanti la sua rockstar preferita.
Aggrottai la fronte, ormai rassegnata da questo suo comportamento.
Era irrecuperabile.
« Buongiorno.» dissero entrambi a pochi
secondi di distanza l'uno dall'altro.
« Salve.» dissi io
seguita da Jake e Leah.
« Qual buon vento vi porta al nostro
tavolo?» dissi addentando un boccone di pasticcio di carne.
Non so
esattamente che tipo di carne fosse. So solo che era spaventosamente
disgustosa, come del resto, tutto quello che cucinavano alla mensa
scolastica.
« La ragazza. Volevamo sapere se avevate notizie di
lei.» chiese Edward, mentre Bella prendeva posto accanto a
Jake. A
quanto pare oggi avevano deciso di onorarci con la loro presenza al
nostro tavolo. Leah del canto suo, non ne era particolarmente felice,
tant'è che smise di mangiare.
Io la guardai e sorrisi appena
divertita. Ovviamente Edward se ne accorse, ma non fece una piega,
attendendo una mia qualsiasi risposta.
« Nulla. Ma a quanto
pare, ha mandato un messaggio ad una sua amica ieri, dove diceva che
stava bene, era solo andata con questo “ragazzone”
a farsi un
giro. Non so di che natura. » dissi inarcando un
sopracciglio,
appena dubbiosa.
« Capisco. Beh allora, la situazione non è poi
così grave. La ragazza è viva. » disse
Edward.
« E poi,
scusate se intervengo, ma hai detto di aver visto un Cullen con lei.
Loro non farebbero mai del male ad un essere umano. Sono Cullen per
questo.» aggiunse facendo spallucce convinta, Isabella mentre
il suo
sguardo balzava come un grillo da un volto all'altro.
Edward la
osservò con un mezzo sorriso piantato sulle sottili labbra
d'ebano,
quasi imbambolato dalla fiducia che quella ragazza riponeva in loro.
E per questo forse, si sentiva così male, nel constatare
quello che
effettivamente stava accadendo e di cui nemmeno lei, sapeva qualcosa.
Lo notai, ma lasciai passare, ingoiando un altro boccone e
decidendomi in seguito a piantarla con quel pasticcio. Mi veniva da
vomitare.
« Se abbiamo altre informazioni per voi, ve lo faremo
sapere.» dissi poi alzandomi dal tavolo e prendendo tra le
mani il
vassoio. « Per questo mi aspetto che voi facciate lo
stesso.»
dissi, mentre attesi che i miei due compagni si alzassero dalle loro
postazioni e mi emulassero, così da poterci allontanare
tutti
insieme.
« Contaci.» mi disse il freddo, sfoggiando in
totale
sicurezza un disarmante sorriso. Mi parve lo stesso sorriso di una
serpe che cova in seno la più atroce delle bugie. Il mio
sguardo si
fece più sottile e rimasi a fissarlo un paio di attimi di
troppo.
Lui evidentemente lesse nella mia mente, quel mio feroce dubbio e
lasciò scemare quel sorriso che fino a pochi attimi prima,
aveva
lussuosamente conservato sul viso d'amaranto.
Mi allontanai,
mentre mi sentii a lungo osservata dai freddi e dalla loro amica
umana. Nutrivo per loro un'informale freddezza che avevo assunto
anche nei confronti di Bella, fino a poco fa considerata da me come
una sorella.
Posai il vassoio sul bancone, seguita da Jake e
Leah, oggi più muti di un muto in sciopero di parole.
« Beh? Vi
siete morsi la lingua? » dissi voltandomi verso di loro.
« Io
pensavo. Mi chiedo dove siano le sue amiche oggi. Non le ho viste a
pranzo.» constatò Jake, ed io mi resi conto che
effettivamente
nemmeno io le avevo viste.
« Le ho viste io stamattina. Erano in
corridoio, stanno bene.» disse poi Leah mentre ci salutava
per
prendere una strada diversa dalla nostra.
« Bene. Dobbiamo
essere positivi su. » dissi io mentre mi accingevo a
raggiungere lo
sportello del mio armadietto. Inserendo il codice, mi affrettai ad
aprirlo per riprendere alcuni dei testi che avevo lasciato prima di
pranzo.
Quando lo aprii, trovai proprio di fronte a me uno strano
oggetto, dove vi ritrovai sorpresa la mia immagine. Era un piccolo
specchietto, quelli che si usano in borsetta. Lo trovai rotto e solo
una parte era giunta a me. Una parte dove, per di più vi era
un
incisione.
Scuola di Danza, Port Angels
Vi
era scritto sopra, con caratteri affrettati e non vi era nessuna
cura, o eleganza in quella riga di verso. Un freddo e formale
avvertimento. Un indizio che mi faceva già tremare.
« Jake!»
urlai spostandomi dall'armadietto. Ma notai che mio fratello era
già
scomparso per tornarsene in classe. Diedi un ultimo sguardo allo
specchietto e chiusi con forza l'armadietto che inserì
automaticamente la chiusura di sicurezza. Mi misi a correre, verso
l'uscita, in quella che sembrò essere una frenetica corsa
contro il
tempo. Non mi importava se mi avessero visto i professori o i
compagni. Dovevo raggiungere quel luogo.
Le strade erano ancora
affollate, visto che da poco era arrivata l'ora di pranzo e molta
gente se ne tornava tranquilla a casa, per ritornare nella propria
tana assieme alla propria famiglia. La mia frenetica corsa era dovuta
a tutt'altro invece. La scattante e inverosimile velocità
felina che
caratterizzava le mie sottili ma agili gambe, mi tornò
inevitabilmente utile ora che qualcosa mi premeva il petto. Era forse
l'ansia? Non sapevo perché avevo cominciato a correre
così veloce
né perché ero scappata da scuola per precipitarmi
a quella specie
di appuntamento. Non avevo un motivo preciso per averlo fatto,
sentivo solo di doverlo fare e avevo una paura pazzesca di quello
che, una volta arrivata a destinazione, avrebbero incontrato i miei
occhi.
Nonostante Port Angels e la scuola di danza fossero mete
lontane dal mio punto di partenza, io ci arrivai nel giro di dieci
minuti scarsi, battendo tutti i record che fino ad ora avevo io
stessa stabilito. Quando vidi l'insegna che presentava quella
maledetta scuola, mi fermai e presi a camminare tranquillamente.
Strano ma dopo quella corsa avevo il fiatone anche io. Forse era la
paura, forse la stessa corsa, fatto sta, che dovetti riprendermi.
La
porta della scuola era schiusa, lasciata così, probabilmente
per me,
visto che per strada non vi era anima viva in quella zona. C'ero solo
io, sotto le nubi bianche di quel cielo pomeridiano. Arrivata davanti
a quella porta, mi fermai mentre esitanti, i miei occhi caddero sulla
maniglia argentea. Non ero sicura di voler spingere l'anta lignea di
quell'uscio. Non ero sicura che, quanto avrei trovato oltre essa, mi
sarebbe piaciuto. Ma dovevo farlo, perché lì ci
sarebbe potuta
essere un'altra ragazza, come quella che aveva trovato giorni fa. Ci
poteva essere Janet, la mia antipatica compagna di scuola, forse
ancora viva. Lo speravo.
E fu proprio questa speranza a darle la
forza di avanzare verso l'entrata, spingendo delicatamente la
cigolante porta, entrando nel grande edificio.
Uno sgradevole
odore trovai ad accogliermi. Un odore che per ora era debole, ma che
impregnava tutto l'edificio. E ogni speranza che avevo acquistato
sino a quel momento, era andata perduta, una volta che alle mie
narici era arrivato l'odore del sangue.
La porta si chiuse alle
mie spalle con uno scatto improvviso della serratura. Non mi voltai
nemmeno, deglutendo lentamente un boccone di saliva che sapeva ancora
di pasticcio di carne.
I miei piedi si muovevano prudenti in quel
corridoio lungo e apparentemente infinito. Tutte le porte erano
chiuse, tutte tranne una, quella da dove proveniva l'odore. L'ultima,
infondo al lungo corridoio. Ed era lì che il mio sguardo
permaneva
vitreo.
Sembravo una bambola, guidata verso quella porta da
sottili e infrangibili fili, legati in ogni punto del mio corpo:
sulle mie gambe, le mie braccia, il mio cuore, che batteva
all'impazzata, più veloce di un cuore umano, e persino di
quello di
un licantropo.
L'ennesima porta socchiusa mi si parò davanti
agli occhi. Li come se qualcuno l'avesse lasciata apposta in quel
modo così scenografico e fuorviante, per me. Forse era
davvero per
quello che era stata lasciata così. Per guidarmi in una
trappola in
cui mi stava buttando da sola.
« Maledizione.» mormorai
mordendomi un labbro, mentre, come avevo fatto con la prima, presi
coraggio e spalancai la cigolante porta in legno.
La sala era
quella delle prove, dove le ballerine si esercitavano alla sbarra,
posta al centro della sala semibuia. Davanti a me mi ritrovai dinanzi
a mura, fatte solo di specchi, dove vidi la mia immagine, ferma
sull'uscio della porta, senza il coraggio di continuare a camminare e
procedere nella sala.
Eppure mi bastò spostare lo sguardo su di
un lato per accorgermi che in quella grande sala, non ero sola.
Accanto all'entrata, alla mia sinistra, dove l'anta della porta la
copriva al mio sguardo curioso, lì vidi qualcosa, che nello
specchio
risultò indecifrabile. Questo perché la stanza
non era ben
illuminata, ma quella poca luce che filtrava dalle finestre in alto,
riflessa dalla miriade di specchi lì presenti, mi
mostrò uno
spettacolo agghiacciante.
Inchiodato alla parete lignea della
stanza, un corpo trafitto da almeno due dozzine di frammenti di
specchio, molti dei quali sul pavimento. Inchiodato lì, su
quella
parete sporca di sangue fresco.
Non riuscivo a vedere bene quel
viso, ma in cuor mio sapevo già a chi appartenesse.
« Janet.»
mormorai esanime, chiudendo gli occhi e facendomi forza. Spostai
l'anta della porta che separava me da lei e sollevai entrambe le
palpebre deglutendo piano.
Come avrei potuto non riconoscere
quella folta chioma bionda?
Come avrei potuto non ricordare quel
viso sempre fresco e sprezzante, ora segnato da un pallore
mortificante, sintomo della mancanza di vita da chissà
quante
ore?
Come avrei mai potuto?
All'improvviso il senso di colpa mi
assalii. Avevo visto con chi usciva quella sera lei e avevo
desiderato che facesse una fine simile infondo. Ma no in
realtà non
lo volevo. E invece di correre a salvarla ero rimasta lì a
vederla
scomparire lontano e per sempre, a bere il mio succo di pesca senza
muovere un dito. Come avrei mai potuto fidarmi di un Cullen? Non
avrei dovuto farlo nemmeno quella sera.
Il mio sguardo si alzò
al suo volto, a quegli occhi ora senza vita che fissi osservavano il
vuoto, sconvolti da quanto fosse pressante.
E quelle labbra,
tinte di un rosa pallido, appena schiuse e cadenti verso un frammento
di specchio conficcato al centro esatto della gola.
L'odore di
sangue che mi aveva invitato ad entrare, ora scompariva, coperto da
quell'orribile sensazione di tristezza che mi assalii rendendosi
padrona del mio cuore.
« Perdonami.» le dissi con voce
interrotta, consapevole del fatto che non poteva sentirmi, o
rispondermi o fare qualsiasi cosa, che avesse implicato l'essere
viva.
Mi portai una mano alla fronte, chiudendo gli occhi per
qualche attimo, per cercare di cacciare via quella orribile
sensazione che mi brandiva.
« Li ammazzo.» dissi con voce roca,
ringhiando quasi. Un odore nuovo infestò la stanza, ma
quello lo
conoscevo. Era Edward.
« Il nostro patto è rotto freddo. I
Quileute e i Cullen, non hanno più nessun legame di
tregua.» dissi
io con tono secco e che non avrebbe mai e poi mai ammesso repliche.
Mi voltai a guardarlo mentre lui se ne stava immobile, ad
osservare la ragazza, con in volto dipinta l'espressione più
disperata che avrebbe mai potuto assumere.
« Non essere
frettolosa, giovane Lupa.» disse una voce meno conosciuta
delle
altre, ma che avevo comunque sentito il giorno prima. Era il nuovo
fratello Cullen, che ora entrava alle spalle di Edward.
La vista
di quel corpo appeso al muro avvolto da quello che parve un simulacro
di affilati frammenti di specchio, lo disturbò alquanto,
visto che
calò subito gli occhi al pavimento.
« Non è stato un Cullen a
fare questo.» disse poi, con voce, appena più
sottile, forse
sconvolta da quella vista.
A quel punto un cellulare prese a
squillare, un suoneria acuta e minacciosa, che rimbombava sinistra in
quella stanza vuota e semi-buia. Il suono proveniva dalla tasca dei
pantaloni della ragazza.
Con disgusto mi avvicinai al corpo,
cercando di infilare la mia mano destra nella sua tasca. Il corpo si
mosse appena quando vi inserì la mano, per prelevare
l'oggetto,
forse appesantito dl mio tocco. .
Quando finalmente ebbi il
telefono in mano, mi allontanai di gran fretta dal corpo, ingoiando
un coniato di vomito che aveva appena scalato il mio esofago.
Il
numero sul display era privato, e prima che smettesse di squillare
decisi di rispondere.
« Pronto?» dissi, con voce che voleva
sembrare sicura, ma che ottenne un risultato alquanto lungi
dall'essere fermo.
« Ne hai trovate ben due, Lupa. Sono
orgoglioso del tuo operato. Ma ti ho aiutato io stavolta. La prossima
volta non sarà così facile.» una voce
al telefono, mi rispose
acuta e stridula. Evidentemente fingeva una voce che non fosse la
sua, ma che rese le sue parole ancora più inquietanti.
« La
prossima volta? » chiesi io con voce allarmata.
« Ah si. La
prossima opera d'arte sarà molto più difficile da
scovare, ti
assicurerò un po' di divertimento in più.
» Disse poi ridacchiando
maleficamente. Io arricciai il naso, sconvolta.
« Ma chi diavolo
sei? Io ti fermerò, insieme ai miei compagni. Maledetto
succhiasangue.» Dissi poi con la forte tentazione di chiudere
quella
conversazione lì.
« Stai tranquilla Lupa. Giocheremo a lungo.
Intanto goditi il mio fantastico disegno. L'ho chiamato,
Vanità.»
furono le sue ultime parole poi riattaccò, non prima di aver
riso di
gusto qualche istante. Ed ancora rideva quando riattaccò.
Lanciai
il cellulare sul parquet In modo così violento che si
frantumò in
mille piccoli pezzetti. Mi portai le mani sul viso a ricoprirlo
completamente.
« Ti aiuteremo, Cassandre.» disse Edward sicuro
delle sue parole e anche se non lo sentii anche Adrian era d'accordo.
« A catturare uno di voi? Ma fatem...»
« Lui non è più
un Cullen. » mi interruppe Edward.
«Lui è un Hale ormai.»
Mi
voltai a guardarlo sconvolta. Un'idea ce l'avevo già in
testa ma
questo mi portò a confermarla. Mentre guardavolo loro,
scoprì
qualcosa sugli specchi alle spalle, che prima non avevo notato. Mi
avvicinai all'interruttore della luce e lo attivai, facendo
illuminare la stanza. Come la prima volta, vi comparve una scritta su
quegli specchi.
La vanità, insaziato cormorano, consumato tutto il resto, addenta le sue viscere.