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Autore: Yu Lunae    16/09/2010    0 recensioni
L'amore può non durare per sempre e quando termina le conseguenze potrebbero non essere sempre piacevoli. E' accaduto questo ad uno dei Cullen. Qualcuno ha spezzato il suo cuore, ma il cuore di un vampiro, freddo e morto, è imprevedibile. Una serie di vittime costellano una stravagante e filosofica collezione. Lui colleziona peccati, per attirare l'attenzione di lei. Cassandre trova la prima vittima, delle tante e presto lui la guiderà nel suo labirinto. Una strana collaborazione tra un Cullen ( o forse un EX Cullen) e una Black. Riuscirà Cas a fermare il feroce collezionista?
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nota
Chiedo umilmente scusa a tutti per
la lunghezza di questo capitolo,
 ma essendo l'ultimo che chiude la prima notte
dovevo farlo un pochino più lungo,
altrimenti non avreste capito nulla. >.<
Prometto che il prossimo lo faccio meno lungo *ç*
 Intanto volevo ringraziarvi per i commenti
 ed in particolare Rainbow che è stto il primo/
la prima a lasciare un segno del suo passaggio.
 Grazie mille per questo piccolo incoraggiamento :D
In ogni caso ho scritto questo capitolo, con le note di
Slow Poison ( The Bravery ) vi consiglio di ascoltarla :D
Grazie comunque a tutti voi che leggete <3 Baci a tutti *_*
[ Aggiornamento della pagina di Presentazione
Visitatela!! ]

Per il resto, Buona Lettura
Spero vi piaccia
Yu Lunae








Durante l'ora di letteratura, avevamo letto quei versi di un autore italiano che di recente aveva perdutamente appassionato la nostra amata professoressa. Una poesia dedicata a Narciso nel suo più profondo denigrare la conoscenza di sé. Avevamo intrapreso un lungo dibattito sul mito ovidiano del giovane fanciullo: avevamo considerato le diverse ipotesi a cui portava il mito, le sue molteplici chiavi di lettura, i suoi lunghi miti annessi, come quello della Ninfa Eco, il cui nome risuonava ancora tra le valli in cui era scomparsa, come punizione divina per aver tentato di sedurre Narciso.
Quelle due ore mi avevano molto depresso, perché non ero solita discutere di argomenti così alti. Non ci ero affatto abituata. Edward invece si. Frequentavamo quasi tutte le lezioni insieme. Il vederlo così spesso non mi andava molto a genio, ma mi adeguavo perché è così che era stato stabilito il patto, così che noi tutti avremmo dovuto vivere, adeguandoci l'un l'altro alle abitudini di entrambe le razze. E a dire la verità ci stavamo riuscendo, anche se gli avvenimenti degli ultimi giorni, avevano scombussolato un po' quelli che erano i cardini su cui verteva il patto stesso.
Alla pausa pranzo Edward ci raggiunse al tavolo, lasciando l'amato tavolo dei famigliari, e portandosi Bella dietro, oppure fu lei a seguirlo come un fedele cagnolino, bah. Ovviamente Jake, ebbe la stessa reazione di una ragazzina innamorata che si trova davanti la sua rockstar preferita. Aggrottai la fronte, ormai rassegnata da questo suo comportamento. Era irrecuperabile.
« Buongiorno.» dissero entrambi a pochi secondi di distanza l'uno dall'altro.
« Salve.» dissi io seguita da Jake e Leah.
« Qual buon vento vi porta al nostro tavolo?» dissi addentando un boccone di pasticcio di carne. Non so esattamente che tipo di carne fosse. So solo che era spaventosamente disgustosa, come del resto, tutto quello che cucinavano alla mensa scolastica.
« La ragazza. Volevamo sapere se avevate notizie di lei.» chiese Edward, mentre Bella prendeva posto accanto a Jake. A quanto pare oggi avevano deciso di onorarci con la loro presenza al nostro tavolo. Leah del canto suo, non ne era particolarmente felice, tant'è che smise di mangiare.
Io la guardai e sorrisi appena divertita. Ovviamente Edward se ne accorse, ma non fece una piega, attendendo una mia qualsiasi risposta.
« Nulla. Ma a quanto pare, ha mandato un messaggio ad una sua amica ieri, dove diceva che stava bene, era solo andata con questo “ragazzone” a farsi un giro. Non so di che natura. » dissi inarcando un sopracciglio, appena dubbiosa.
« Capisco. Beh allora, la situazione non è poi così grave. La ragazza è viva. » disse Edward.
« E poi, scusate se intervengo, ma hai detto di aver visto un Cullen con lei. Loro non farebbero mai del male ad un essere umano. Sono Cullen per questo.» aggiunse facendo spallucce convinta, Isabella mentre il suo sguardo balzava come un grillo da un volto all'altro.
Edward la osservò con un mezzo sorriso piantato sulle sottili labbra d'ebano, quasi imbambolato dalla fiducia che quella ragazza riponeva in loro. E per questo forse, si sentiva così male, nel constatare quello che effettivamente stava accadendo e di cui nemmeno lei, sapeva qualcosa.
Lo notai, ma lasciai passare, ingoiando un altro boccone e decidendomi in seguito a piantarla con quel pasticcio. Mi veniva da vomitare.
« Se abbiamo altre informazioni per voi, ve lo faremo sapere.» dissi poi alzandomi dal tavolo e prendendo tra le mani il vassoio. « Per questo mi aspetto che voi facciate lo stesso.» dissi, mentre attesi che i miei due compagni si alzassero dalle loro postazioni e mi emulassero, così da poterci allontanare tutti insieme.
« Contaci.» mi disse il freddo, sfoggiando in totale sicurezza un disarmante sorriso. Mi parve lo stesso sorriso di una serpe che cova in seno la più atroce delle bugie. Il mio sguardo si fece più sottile e rimasi a fissarlo un paio di attimi di troppo. Lui evidentemente lesse nella mia mente, quel mio feroce dubbio e lasciò scemare quel sorriso che fino a pochi attimi prima, aveva lussuosamente conservato sul viso d'amaranto.
Mi allontanai, mentre mi sentii a lungo osservata dai freddi e dalla loro amica umana. Nutrivo per loro un'informale freddezza che avevo assunto anche nei confronti di Bella, fino a poco fa considerata da me come una sorella.
Posai il vassoio sul bancone, seguita da Jake e Leah, oggi più muti di un muto in sciopero di parole.
« Beh? Vi siete morsi la lingua? » dissi voltandomi verso di loro.
« Io pensavo. Mi chiedo dove siano le sue amiche oggi. Non le ho viste a pranzo.» constatò Jake, ed io mi resi conto che effettivamente nemmeno io le avevo viste.
« Le ho viste io stamattina. Erano in corridoio, stanno bene.» disse poi Leah mentre ci salutava per prendere una strada diversa dalla nostra.
« Bene. Dobbiamo essere positivi su. » dissi io mentre mi accingevo a raggiungere lo sportello del mio armadietto. Inserendo il codice, mi affrettai ad aprirlo per riprendere alcuni dei testi che avevo lasciato prima di pranzo.
Quando lo aprii, trovai proprio di fronte a me uno strano oggetto, dove vi ritrovai sorpresa la mia immagine. Era un piccolo specchietto, quelli che si usano in borsetta. Lo trovai rotto e solo una parte era giunta a me. Una parte dove, per di più vi era un incisione.



Scuola di Danza, Port Angels



Vi era scritto sopra, con caratteri affrettati e non vi era nessuna cura, o eleganza in quella riga di verso. Un freddo e formale avvertimento. Un indizio che mi faceva già tremare.
« Jake!» urlai spostandomi dall'armadietto. Ma notai che mio fratello era già scomparso per tornarsene in classe. Diedi un ultimo sguardo allo specchietto e chiusi con forza l'armadietto che inserì automaticamente la chiusura di sicurezza. Mi misi a correre, verso l'uscita, in quella che sembrò essere una frenetica corsa contro il tempo. Non mi importava se mi avessero visto i professori o i compagni. Dovevo raggiungere quel luogo.
Le strade erano ancora affollate, visto che da poco era arrivata l'ora di pranzo e molta gente se ne tornava tranquilla a casa, per ritornare nella propria tana assieme alla propria famiglia. La mia frenetica corsa era dovuta a tutt'altro invece. La scattante e inverosimile velocità felina che caratterizzava le mie sottili ma agili gambe, mi tornò inevitabilmente utile ora che qualcosa mi premeva il petto. Era forse l'ansia? Non sapevo perché avevo cominciato a correre così veloce né perché ero scappata da scuola per precipitarmi a quella specie di appuntamento. Non avevo un motivo preciso per averlo fatto, sentivo solo di doverlo fare e avevo una paura pazzesca di quello che, una volta arrivata a destinazione, avrebbero incontrato i miei occhi.
Nonostante Port Angels e la scuola di danza fossero mete lontane dal mio punto di partenza, io ci arrivai nel giro di dieci minuti scarsi, battendo tutti i record che fino ad ora avevo io stessa stabilito. Quando vidi l'insegna che presentava quella maledetta scuola, mi fermai e presi a camminare tranquillamente. Strano ma dopo quella corsa avevo il fiatone anche io. Forse era la paura, forse la stessa corsa, fatto sta, che dovetti riprendermi.
La porta della scuola era schiusa, lasciata così, probabilmente per me, visto che per strada non vi era anima viva in quella zona. C'ero solo io, sotto le nubi bianche di quel cielo pomeridiano. Arrivata davanti a quella porta, mi fermai mentre esitanti, i miei occhi caddero sulla maniglia argentea. Non ero sicura di voler spingere l'anta lignea di quell'uscio. Non ero sicura che, quanto avrei trovato oltre essa, mi sarebbe piaciuto. Ma dovevo farlo, perché lì ci sarebbe potuta essere un'altra ragazza, come quella che aveva trovato giorni fa. Ci poteva essere Janet, la mia antipatica compagna di scuola, forse ancora viva. Lo speravo.
E fu proprio questa speranza a darle la forza di avanzare verso l'entrata, spingendo delicatamente la cigolante porta, entrando nel grande edificio.
Uno sgradevole odore trovai ad accogliermi. Un odore che per ora era debole, ma che impregnava tutto l'edificio. E ogni speranza che avevo acquistato sino a quel momento, era andata perduta, una volta che alle mie narici era arrivato l'odore del sangue.
La porta si chiuse alle mie spalle con uno scatto improvviso della serratura. Non mi voltai nemmeno, deglutendo lentamente un boccone di saliva che sapeva ancora di pasticcio di carne.
I miei piedi si muovevano prudenti in quel corridoio lungo e apparentemente infinito. Tutte le porte erano chiuse, tutte tranne una, quella da dove proveniva l'odore. L'ultima, infondo al lungo corridoio. Ed era lì che il mio sguardo permaneva vitreo.
Sembravo una bambola, guidata verso quella porta da sottili e infrangibili fili, legati in ogni punto del mio corpo: sulle mie gambe, le mie braccia, il mio cuore, che batteva all'impazzata, più veloce di un cuore umano, e persino di quello di un licantropo.
L'ennesima porta socchiusa mi si parò davanti agli occhi. Li come se qualcuno l'avesse lasciata apposta in quel modo così scenografico e fuorviante, per me. Forse era davvero per quello che era stata lasciata così. Per guidarmi in una trappola in cui mi stava buttando da sola.
« Maledizione.» mormorai mordendomi un labbro, mentre, come avevo fatto con la prima, presi coraggio e spalancai la cigolante porta in legno.
La sala era quella delle prove, dove le ballerine si esercitavano alla sbarra, posta al centro della sala semibuia. Davanti a me mi ritrovai dinanzi a mura, fatte solo di specchi, dove vidi la mia immagine, ferma sull'uscio della porta, senza il coraggio di continuare a camminare e procedere nella sala.
Eppure mi bastò spostare lo sguardo su di un lato per accorgermi che in quella grande sala, non ero sola. Accanto all'entrata, alla mia sinistra, dove l'anta della porta la copriva al mio sguardo curioso, lì vidi qualcosa, che nello specchio risultò indecifrabile. Questo perché la stanza non era ben illuminata, ma quella poca luce che filtrava dalle finestre in alto, riflessa dalla miriade di specchi lì presenti, mi mostrò uno spettacolo agghiacciante.
Inchiodato alla parete lignea della stanza, un corpo trafitto da almeno due dozzine di frammenti di specchio, molti dei quali sul pavimento. Inchiodato lì, su quella parete sporca di sangue fresco.
Non riuscivo a vedere bene quel viso, ma in cuor mio sapevo già a chi appartenesse.
« Janet.» mormorai esanime, chiudendo gli occhi e facendomi forza. Spostai l'anta della porta che separava me da lei e sollevai entrambe le palpebre deglutendo piano.
Come avrei potuto non riconoscere quella folta chioma bionda?
Come avrei potuto non ricordare quel viso sempre fresco e sprezzante, ora segnato da un pallore mortificante, sintomo della mancanza di vita da chissà quante ore?
Come avrei mai potuto?
All'improvviso il senso di colpa mi assalii. Avevo visto con chi usciva quella sera lei e avevo desiderato che facesse una fine simile infondo. Ma no in realtà non lo volevo. E invece di correre a salvarla ero rimasta lì a vederla scomparire lontano e per sempre, a bere il mio succo di pesca senza muovere un dito. Come avrei mai potuto fidarmi di un Cullen? Non avrei dovuto farlo nemmeno quella sera.
Il mio sguardo si alzò al suo volto, a quegli occhi ora senza vita che fissi osservavano il vuoto, sconvolti da quanto fosse pressante.
E quelle labbra, tinte di un rosa pallido, appena schiuse e cadenti verso un frammento di specchio conficcato al centro esatto della gola.
L'odore di sangue che mi aveva invitato ad entrare, ora scompariva, coperto da quell'orribile sensazione di tristezza che mi assalii rendendosi padrona del mio cuore.
« Perdonami.» le dissi con voce interrotta, consapevole del fatto che non poteva sentirmi, o rispondermi o fare qualsiasi cosa, che avesse implicato l'essere viva.
Mi portai una mano alla fronte, chiudendo gli occhi per qualche attimo, per cercare di cacciare via quella orribile sensazione che mi brandiva.
« Li ammazzo.» dissi con voce roca, ringhiando quasi. Un odore nuovo infestò la stanza, ma quello lo conoscevo. Era Edward.
« Il nostro patto è rotto freddo. I Quileute e i Cullen, non hanno più nessun legame di tregua.» dissi io con tono secco e che non avrebbe mai e poi mai ammesso repliche.
Mi voltai a guardarlo mentre lui se ne stava immobile, ad osservare la ragazza, con in volto dipinta l'espressione più disperata che avrebbe mai potuto assumere.
« Non essere frettolosa, giovane Lupa.» disse una voce meno conosciuta delle altre, ma che avevo comunque sentito il giorno prima. Era il nuovo fratello Cullen, che ora entrava alle spalle di Edward.
La vista di quel corpo appeso al muro avvolto da quello che parve un simulacro di affilati frammenti di specchio, lo disturbò alquanto, visto che calò subito gli occhi al pavimento.
« Non è stato un Cullen a fare questo.» disse poi, con voce, appena più sottile, forse sconvolta da quella vista.
A quel punto un cellulare prese a squillare, un suoneria acuta e minacciosa, che rimbombava sinistra in quella stanza vuota e semi-buia. Il suono proveniva dalla tasca dei pantaloni della ragazza.
Con disgusto mi avvicinai al corpo, cercando di infilare la mia mano destra nella sua tasca. Il corpo si mosse appena quando vi inserì la mano, per prelevare l'oggetto, forse appesantito dl mio tocco. .
Quando finalmente ebbi il telefono in mano, mi allontanai di gran fretta dal corpo, ingoiando un coniato di vomito che aveva appena scalato il mio esofago.
Il numero sul display era privato, e prima che smettesse di squillare decisi di rispondere.
« Pronto?» dissi, con voce che voleva sembrare sicura, ma che ottenne un risultato alquanto lungi dall'essere fermo.
« Ne hai trovate ben due, Lupa. Sono orgoglioso del tuo operato. Ma ti ho aiutato io stavolta. La prossima volta non sarà così facile.» una voce al telefono, mi rispose acuta e stridula. Evidentemente fingeva una voce che non fosse la sua, ma che rese le sue parole ancora più inquietanti.
« La prossima volta? » chiesi io con voce allarmata.
« Ah si. La prossima opera d'arte sarà molto più difficile da scovare, ti assicurerò un po' di divertimento in più. » Disse poi ridacchiando maleficamente. Io arricciai il naso, sconvolta.
« Ma chi diavolo sei? Io ti fermerò, insieme ai miei compagni. Maledetto succhiasangue.» Dissi poi con la forte tentazione di chiudere quella conversazione lì.
« Stai tranquilla Lupa. Giocheremo a lungo. Intanto goditi il mio fantastico disegno. L'ho chiamato, Vanità.» furono le sue ultime parole poi riattaccò, non prima di aver riso di gusto qualche istante. Ed ancora rideva quando riattaccò.
Lanciai il cellulare sul parquet In modo così violento che si frantumò in mille piccoli pezzetti. Mi portai le mani sul viso a ricoprirlo completamente.
« Ti aiuteremo, Cassandre.» disse Edward sicuro delle sue parole e anche se non lo sentii anche Adrian era d'accordo.
« A catturare uno di voi? Ma fatem...»
« Lui non è più un Cullen. » mi interruppe Edward.
«Lui è un Hale ormai.»
Mi voltai a guardarlo sconvolta. Un'idea ce l'avevo già in testa ma questo mi portò a confermarla. Mentre guardavolo loro, scoprì qualcosa sugli specchi alle spalle, che prima non avevo notato. Mi avvicinai all'interruttore della luce e lo attivai, facendo illuminare la stanza. Come la prima volta, vi comparve una scritta su quegli specchi.



    La vanità, insaziato cormorano, consumato tutto il resto, addenta le sue viscere.






  
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