Uno dei motti preferiti della zia Lula – o forse no, perché
in fondo era troppo ubriaca quando partoriva i suoi brillamenti per ordinarli in
una rigorosa gerarchia – diceva questo: gli amici non li comprendi
ascoltandoli, ma valutando i loro silenzi.
Più o meno, insomma, il ‘leggi tra le righe’ con cui
un eterosessuale molto poco convinto ti bacia e poi ti dice che non è frocio.
Poiché non è di Drew che voglio parlare – anche se sarò
costretto, perché questa storia fitta di involuzioni vira a un certo punto dalle
parti delle sue possenti braccia – tornerei piuttosto ad applicare i corollari
al nostro caso.
Il silenzio di Michael fu piuttosto un volatilizzarsi
imprevisto: uno sparire dalla familiare cornice del Liberty Diner senza indizi
che potessero permettere a noi avventori abituali di sparlargli alle spalle.
Tutto quel che ci era dato di sapere, era che Brian lo teneva in una condizione
di para-sequestro per risolvere una volta per tutte i loro problemi sessuali.
A parlarcene, privo di tatto, pudore e senso di colpa, un
ignobile figlio adottivo che la crisi parentale in corso stava facendo ricco.
La prossima volta in cui Oprah aprirà un talk lamentando gli
effetti destrutturanti di un divorzio sulla fragile psiche di un adolescente,
giuro che la faccio parlare con Hunter, e poi si impicchi. Mai visto uno più
soddisfatto della situazione del nostro giovane, disinvolto marchettaro!
Non che Hunter non volesse bene a Ben e Michael, ma era
troppo intelligente per non subire il fascino del grottesco innescato
dall’intera situazione.
Da un lato c’era un giovanile, affascinante, colto professore
universitario, che millantava da eoni la superiorità della ragione sulla
violenza bruta, ma che cominciava a rivedere le proprie priorità dalla A di
Attenzione: corna, alla Z di Zoccola Kinney. Dall’altro c’era un
timido fiore passivo cui le inculate di una vita non avevano insegnato niente –
neppure, a dirla tutta, che a guardare il mondo a novanta gradi non si va molto
più su dell’altezza cavallo.
Oltre le due parti in conflitto, un allampanato diciottenne
che minacciava di lasciare il mestiere di sguattero per quello d’imprenditore,
visto che, tra favori speciali richiesti da Michael, ricatti morali a Ben –
parliamo sempre del famoso spauracchio della sua presunta fragilità, ch’è invece
una faccia da culo monumentale – aveva messo abbastanza da parte per pagarsi il
college da solo. Debbie cominciava persino a considerarlo sangue del suo sangue,
poiché, a guardare il cervello, Michael poteva giusto passare per il lascito
generoso di un cavolo sentimentale.
Quella mattina, in ogni caso, non mi aspettavo proprio di
vederlo dalle parti del Diner, con l’immancabile grembiule di servizio e l’aria
annoiata dell’etero che si fa palpare il culo solo per le mance.
“Come mai da queste parti?” gli feci. “Non dovevi star dietro
al negozio di Michael?”
Hunter mi versò un po’ di caffè, controllando al contempo che
Jeffrey Cox, il campione di braccio di ferro della Liberty Avenue, non gli
posasse sulle natiche la sua famosa manona tatuata.
“L’ho chiuso. Tanto in due giorni ho già fatto l’incasso di
una settimana,” replicò serafico.
Ted, al mio fianco, sollevò lo sguardo dalla pagina economica
del quotidiano per fissare il ragazzo con qualcosa di simile a un sincero
sgomento. In un momento di flessione economica, quando persino un serio
commercialista stentava a far quadrare i conti, un metro e ottanta di ossa e
sarcasmo fatturava a quattro zeri?
“Non avrai combinato qualcosa di illegale, mi auguro!”
Ted è l’unica persona perbene sulla faccia della terra che
sia riuscita a sporcarsi la fedina penale per colpa di un minorenne. Non c’è da
stupirsi, dunque, se guarda ogni esemplare della specie con il terrore atavico
della vittima. Hunter, del resto, è un figlio di puttana spaventoso – visto chi
l’ha messo al mondo, l’espressione può intendersi come letterale.
“Se usare e-bay è illegale, allora sì, ho fatto qualcosa di
illegale,” replicò il giovane stronzo. “Ma non lo è. Perciò vuol dire che sono
semplicemente furbo.” Diceva anche Bin-Laden, pensai.
Forse non era poi tanto vero che le crisi domestiche non
toccassero gli adolescenti. Magari, però, sarebbe stato meglio chiarirsi su che
cosa importasse l’uso del termine ‘toccare.’
“Cioè? Cos’è che avresti fatto?”
Hunter decise che tanto valeva a quel punto mettersi comodo,
dunque lo fece. Si servì del mio caffè e della colazione di Ted, ch’era troppo
intimidito per opporre resistenza.
“Allora… C’è questo sito di nerdoni persi, mi seguite?”
“Ah, ah.”
“Gente fuori di testa! Sapete a quanto davano Capitan Astro?”
“Tu avresti…”
“Permuta, cari,” sghignazzò quell’avanzo di cicogna gangster.
“Con un solo numero di Capitan Astro, ho comprato uno stock di porno degli anni
Cinquanta!”
Ted era pallido come un cencio, io ero inebetito e mezzo
Liberty Diner era ora in piedi e pronto a reclamare una copia di un’improbabile
pubblicazione licenziosa degli anni della censura più bieca.
“I froci impazziscono per questa roba,” mormorò compiaciuta
la giovane iena.
“Sì, ma se hai venduto le copie originali di…”
“Calma, calma… Chi ti ha detto che erano le copie di
Michael?”
“Cioè… Tu…”
“Michael aveva un tale casino in magazzino che neppure si era
preoccupato di guardare come si deve gli ultimi arrivi. Soprattutto uno stock
che aveva preso un paio di mesi fa, sgombrando la cantina di un tizio di
Toronto. Be’? Era piena di numeri della prima edizione di Capitan Astro, che
io ho catalogato a rischio di buscarmi la peste e io ho barattato.”
Ted guardò me e io guardai Ted: poco ma sicuro, in una notte
imprecisata di diciotto anni prima, Brian aveva dimenticato di essere gay.
“E… Non per essere indiscreti… Ma quant’è che ci avresti
fatto?”
Hunter masticò compiaciuto un grosso pezzo di frittella, e,
ruminando ruminando, sputacchiò una cifra improbabile.
“Se non altro, si vede che è stato adottato,” suggerì Carl
alle nostre spalle – Debbie era troppo lontana per sentirlo.
“Sì, diciamo che le cose mi vanno bene,” ruminò ancora
Hunter. “Certo, se quei due si dessero una calmata, però, sarebbe meglio.”
Finalmente si tornava a parlare di pettegolezzi succulenti:
dal sottoscritto al buon Ted, non uno dei presenti era interessato a perdere una
sola battuta della telenovela più appassionante della stagione.
“Perché? Cos’è che si dice in casa Novotny-Bruckner?”
Hunter si schiarì la voce con un paio di colpetti di tosse.
“Be’, non è che si vedano più tanto, visto che Michael sta da Brian, ma come
mette piede in casa capitano cose interessanti.”
“Tipo?”
“Tipo che forse il prossimo pallosissimo romanzo di Ben non
parlerà di hiv. Magari glielo pubblicano pure,” fece la presunta vittima della
società e degli adulti. “Che dovrebbero dirsi? Ma ti sembra questa l’ora di
rientrare?” grugniva Hunter, tentando di imitare il tono di Bruckner. “Brian
è andato al Babylon,” squittiva subito dopo, modulando i toni su quelli di
Michael. “Brian sempre Brian!”, arrangiava con discreto virtuosismo. “Alla
tua famiglia non pensi?”
Suona scorretto dirlo, lo so, ma ridevamo tutti, sollevati,
forse, dallo scoprire la squallida normalità del nostro essere anormali.
Fieri, in fondo, d’essere proprio come tutti, mentre là fuori c’era già chi ci
pronosticava l’inferno.
“Insomma… Poca roba. Comunque Ben ha dato ai suoi studenti
una tesina intitolata diegetica dell’infedeltà nella narrativa omosessuale.
Per questo sto cominciando a fare soldi: almeno capiranno che sono troppo avanti
per il college.”
Il ragionamento non faceva una piega.
Nessuno, almeno, dovrebbe essere costretto a fare le spese
delle corna altrui.
Il buon Ted, però, si sentì in diritto di levare un sospirone
dei suoi, estenuato, sconfitto, incredulo. “D’accordo, ma noi siamo amici di
tutti e tre. Qualcosa bisognerà fare, prima che…”
Brian lo mettesse incinto? Probabile. Stando ai miei
calcoli, almeno, Kinney era in astinenza da quasi quindici giorni. Troppi anche
per un maschio monopalla.
“E cosa? I medici hanno detto che non si può curare. O si
sblocca da solo o potrebbe restare per sempre…”
“Innamorato dell’unico uomo che abbia mai amato. Uhm… Tutto
già visto, vero? Mi sbaglio o era The Notebook?”
“Sì, ok, ma non mi risulta che Brian abbia l’Alzheimer,”
replicò Hunter, a corto di carboidrati, dunque poco interessato al resto del
discorso.
Ted si grattò perplesso la guancia. “Ci vorrebbe…”
“Un controincantesimo!” tuonò in quel momento Mysterious
Marilyn la divina, dopo un trionfale ingresso aromatizzato al patchouli.
Hunter, lo scettico, roteò gli occhi e abbandonò il campo.
Schmidt e io, per contro, ci disponemmo in religiosa attesa
dell’illuminazione.
Marilyn ce la promise dopo una molto terrena omelette al
prosciutto.
“Raccontaci, divina… Cosa suggerisci?”
La nostra si nettò le dita, liberò un rutto di cortese
apprezzamento e poi cominciò a disporre i tarocchi. Ted ed io la seguivamo con
un misto di speranzoso ottimismo e patetico terrore.
Cosa sarebbe accaduto, per dire, se Saturno non fosse stato
il solo pianeta con un drammatico rodimento di culo?
Una rivoluzione di Urano non avrebbe avuto un suono migliore.
“Serve un uomo,” pontificò compunta la nostra.
“Un altro? D’accordo che Michael non è un…”
Marilyn ci fissò con l’astio iettatore della profetessa,
riducendoci a un eloquente silenzio.
“Le carte non mentono. Un uomo può riportare la situazione al
punto di partenza.”
Ciò detto, sgombrò sdegnosa il campo.
“Chiamiamo Justin!” propose subito Ted. “In fondo era lui che
doveva sposare, no?”
Come idea non suonava male: era la realizzazione che mi
lasciava perplesso.
Taylor l’avrebbe bevuta davvero la storia di Saturno, o
avrebbe messo in piedi una sceneggiata latina? Non mi sembrava il caso di
rischiare.
“Magari l’uomo che ci serve è Ben,” bofonchiai io. “Michael è
roba sua, no?”
Ted mi rivolse un’occhiata che grondava sufficienza e
scetticismo. “Certo… Se pensi che la soluzione prospettata sia quella finale,”
ironizzò Schmidt. “Ben, fattelo dire, è proprio il caso di tenerlo fuori.”
Sospirai profondamente, guardandomi attorno.
“Io, no!” puntualizzò Hunter. “Sono sieropositivo e pure
etero!”
“Facciamocene un vanto, no?” lo riprese Debbie, tanto
prossima al nipote da menargli una sberla affettuosa. “Cosa confabulate, si può
sapere?”
Presi un bel respiro, poi vuotai il sacco, perché tutto quel
che puoi fare davanti a una come la signora Novotny è calarti le braghe e
sperare che non abbia la mano troppo pesante.
“E quale sarebbe il problema? La soluzione ce l’avete già!”
“E quale?”
“Drew! Un maschione come Drew è proprio quello che vi serve.”
Per fortuna avevo la bocca sgombra: in caso contrario, con la
mascella sarebbe pure scivolato a valle tutto il brodo vischioso della mia
nauseata incredulità.
“E non guardarmi come un pesce lesso, Emmett! Non ho detto
che Brian deve scoparselo, anche se immaginarli insieme non fa neppure così
schifo!”
A lei, ovviamente. Gli eterosessuali non hanno una sola
briciola di gusto e di decenza, è noto.
“Allora cosa?” rantolai.
Debbie spodestò con un colpo d’anca il buon Ted,
fronteggiandomi con l’espressione sicura della predatrice navigata. “Placcaggio
a uomo.”
“Cioè?”
“Le rotelle gli si sono scombinate per via di una gran botta?
E allora? Chi può menargliene una che valga altrettanto se non un principe del
football?”
Nulla da eccepire, se non che toccava a me reclutare il
cecchino.
Drew ed io non ci siamo lasciati male. Verrebbe da dire che
non ci siamo lasciati e basta, visto che di fidanzamento in senso stretto non si
è mai parlato.
Come in tutte le storie che finiscono – soprattutto quelle
che ti cambiano la vita – è rimasto tuttavia un mucchio di imbarazzo,
soprattutto da parte mia, che mi innamoro sul serio, rimedio i due di picche del
caso e finisce che soffro come una reginetta dell’opera.
Fedele agli asserti della zia Lula e anche al gran fantasma
dell’amicizia, accettai però di buon grado di sorbire anche quel calice: digitai
un pugno di cifre, lo cercai, finsi di non provare un tuffo al cuore
ogniqualvolta l’occhio cadeva su una delle sue indubbie doti fisiche, e,
incredibilmente, riuscii persino a convincerlo.
“Ti devo molto più di un favore,” mi rassicurò con quella sua
meravigliosa voce da porno agreste. “Finalmente posso sdebitarmi.”
Avrei preferito che impiegasse nove settimane e mezzo a
farlo, ma dovevo accontentarmi. Era in gioco la felicità dei miei amici, e io
sono proprio quel che si direbbe un buon amico.
“Allora? Com’è andata l’operazione Saturno?” mi chiese
l’indomani il buon vecchio Ted.
“Ancora con quella stronzata dell’oroscopo?” berciò una
vociaccia che conoscevamo benissimo. Con invidiabile sincronia, tutti gli
avventori del Liberty Diner si volsero là dove Brian Ego Kinney aveva
deposto il culo.
Sembrava quello di sempre, fatta eccezione per un vistoso
quadrato di garza che gli copriva l’arcata sopraccigliare tumefatta.
“Tu, invece, dovresti imparare a leggerlo, tesoro,”
gli flautò sul muso Debbie, prima di allungargli una ciambella. “Cos’hai fatto
alla faccia?”
Brian diede un morso vorace alla soffice pasta. “Uno stronzo
ha provato a rapinarmi, ieri sera. Era troppo buio per guardarlo in viso, ma
giurerei di averlo già visto!”
“Magari un marito geloso, chissà?” chiosò Ben, giunto
in quel momento con il resto della sua meravigliosa famiglia da maschio gay
monogamo e soddisfatto.
“Tu lo faresti, Bruckner?” ironizzò Brian, scuotendo subito
dopo il capo. “Ma no, che bisogno ne avresti? Hai una moglie fedele, no?”
E Michael stava diventando strabico nello sforzo convulso di
non guardarlo.
“Tutto è bene quel che finisce bene,” esalò Ted sollevato,
come i principali attori della nostra quotidiana commedia ebbero sgombrato il
campo. “No?”
“Un corno,” berciò Hunter. “Adesso dovrò inventarmi
qualcos’altro su cui speculare!”
“C’è sempre la borsa, in fondo… Anche se non è affidabile
come i tarocchi.”
Saturno, nel mentre, aveva imboccato una bretella secondaria,
lasciando noi del Diner a contemplare soddisfatti l’ennesimo arcobaleno.