Capitolo 4
Svolta
Era
notte.
Il
cielo scuro avvolgeva tutta l’isola e, indistinamente, anche tutto il resto di
quel mondo che Arissa conosceva così poco. La luna piena si rivolgeva agli
abitanti della terra, osservando tutta la vita che le scorreva al di sotto con
indifferenza, attirando a sua volta gli sguardi di molta gente. Così, i suoi
pallidi raggi si diffondevano con grazia ed eleganza sul territorio, bussando
delicatamente alla finestra già aperta di Arissa, entravano e s’insinuavano
debolmente nella piccola stanza della ragazza, illuminando il viso della
ragazza, seduta sul davanzale della finestra con la schiena poggiata al muro e
le gambe raccolte al petto. Di fronte a lei era stesa la mappa che le aveva
regalato Shanks, e un fermacarte impediva che il lieve venticello la favesse
volar via.
Gli
occhi neri di Arissa vagavano sul cielo, inerti e vacui, alla ricerca di
qualcosa. Pregava silenziosamente, senza incrociare le dita delle mani né
sussurrare nulla. Semplicemente guardava il cielo, con aria supplice.
Sul
letto, il vento soffiava sulle pagine del diario sporco che aveva trovato sulla
nave.
Arissa
ascoltò il rumore della carta che veniva sfogliata, poi reclinò il capo e lo
appoggiò al muro, e spostò lo sguardo sulla carta geografica. C’erano così
tanti posti sconosciuti... Ma lei trovava così ingiusto quel desiderio di
scappare, ora che sua madre stava male.
Chiuse
gli occhi e li riaprì subito dopo.
Eppure
c’era qualcosa di non completo in lei. Una strana ansia, un buco nel cuore...
Qualcosa che non sapeva definire. Sentì le lacrime che le salivano agli occhi,
di nuovo, ma stavolta lasciò che le scivolassero leggere sulla guancia e
cadessero dal suo volto.
Era
davvero un desiderio così ingiusto, il suo? Partire, scoprire e studiare il mondo
e i suoi abitanti... Shanks era davvero così libero come diceva? Fare il pirata
significava avere la libertà assoluta? E la libertà da cosa...?
I
suoi occhi vagarono sul limitare della foresta che si intravedeva da casa sua.
Libertà
di viaggiare e imparare, di diventare una studiosa. Cosa che in quel paese non
era affatto possibile. E poi tornare, un giorno.
Di
nuovo immaginò un futuro lontano, in cui lei tornava a bordo di una grande nave
maestosa, con alle spalle anni di ricerca e di carriera... E tutti che
l’attorniavano per complimentarsi con lei... Le ragazze che cercavano di
imitarla. Sarebbe stata una svolta.
Taraah
sarebbe tornata ad avere contatti con l’esterno. Avrebbero ricevuto visitatori,
marinai e medici da tutto il mondo...
Arissa
accarezzò con lo sguardo la cartina e sorrise lievemente tra le lacrime.
Allora
sì che sarebbero stati liberi. La foresta non li avrebbe più fermati.
Tirò
su con il naso e si asciugò le lacrime, quando all’improvviso udì un rumore
indistinto. Rimase in ascolto, attenta, e ben presto capì che erano passi pesanti
e strascicati. Balzò giù dal davanzale, afferrò la carta e la nascose in fretta
sotto il letto.
La
porta scricchiolò e si aprì.
-Non
stai ancora dormendo, Arissa?- domandò una voce.
Lei
si sedette sul letto e aspettò che la porta si aprisse del tutto, che Eichiro
entrasse e se la chiudesse alle spalle senza fare troppo rumore. Un leggero
scatto, e l’uomo si adagiò con le spalle al legno.
Non
sembrava assonnato. Stanco, ma non assonnato.
-Anche
tu non stai dormendo- osservò Arissa, seduta sul letto con le gambe incrociate.
Si passò una mano tra i capelli, nervosa, e se li spostò sulla spalla destra.
Quella cascata nera risaltò chiaramente sulla camicia da notte di seta bianca.
Arissa
amava risparmiare, se significava avere a disposizione i soldi per comprare
eleganti capi di vestiario.
Eichiro
la guardò in silenzio, poi indicò la finestra.-Hai freddo?-
-No,
papà- rispose lei, senza entusiasmo.
Lui
le sorrise, ma non appena individuò il diario aperto ai piedi del letto, quel
sorriso stentato gli morì sulle labbra in un istante.-Stai leggendo? Cosa?-
Arissa
si fece dura. Era imbarazzata, non avrebbe voluto avere quella discussione con
il padre proprio in quel momento, ma sembrava che la cosa si rendesse necessaria.
E per sostenerla doveva accantonare l’imbarazzo e la tristezza.
Eichiro
si avvicinò lentamente e, senza distogliere gli occhi dalla figlia, prese il
diario in mano. Gli diede un’occhiata e deglutì sonoramente.
-L’ho
trovato sul battello di un uomo. Avevi detto che era il mozzo della nave dei
pirati.- Disse lei, frigida.
Lui
strinse la copertina tra le dita, furente.-E a me pare di averti detto di stare
lontana da quella gente.-
-Non
sono cattivi- si giustificò Arissa, sulla difensiva.-Anzi, mi hanno dimostrato
di godere di fiducia più di quanto abbia fatto tu!-
-Abbassa
la voce!- la rimproverò Eichiro, tirando il diario sul letto con
stizza.-Possibile che tu debba sempre cacciarti nei guai...?-
-Come
l’hai contattato, papà? Credevo che la rete di lumacofoni fosse inutilizzabile
per contattare i luoghi esterni all’isola...- disse Arissa, tagliente.
Eichiro
le rivolse un’occhiata dispetata.- Tu non capisci Arissa... Non è stata colpa
mia...- e dicendo ciò si avvicinò alla figlia per prenderle le mani, ma lei si
ritrasse e scese dal letto, portandosi di nuovo davanti alla finestra. Il vento
scosse i suoi capelli, e per un attimo la sua sagoma interruppe il flusso della
luce lunare.
Eichiro
rimase avvolto nel buio.
-Quell’uomo
portava con sè un animale infetto. Lo sapevi?-
L’uomo
trasalì, e nella sua mente riaffiorò chiaramente il ricordo dei morsi rinvenuti
sul corpo del figlio di Kakuri, nitido e doloroso.-Vuoi dire che...-
Arissa
annuì.-Leggi quel diario, papà. È l’unica cosa che posso raccomandarti.-
Lui
si rivolse al diario e lo afferrò con avidità.-Potrebbe esserci la soluzione!-
bofonchiò.
-Papà...-
mormorò Arissa, spostandosi dalla finestra e avvicinandosi al padre.
-Non
capisci Arissa...! Qui c’è la soluzione!- fece, fuori di sé. Girò le pagine
come se da ciò dipendesse la sua vita, senza neanche leggere le parole. Finì il diario e lo riaprì
di nuovo dall’inizio, ricominciando a sfogliarlo in modo quasi
maniacale.-Giorno uno... giorno ventitrè... Giorno settanta...-
Mano
a mano che l’operazione procedeva però,
la velocità diminuiva. Alla fine Arissa, prima che potesse ricominciare a
sfogliare il diario daccapo per la terza volta, si avvicinò e gli prese le mani
tremanti tra le sue.-Non c’è niente. L’ho già letto io. Non c’è niente-
sussurrò.
Lacrime
di amarezza scivolarono dal volto di Eichiro.
Arissa
avvertì un peso al cuore, ma cercò di mostrarsi più forte di quanto non fosse
in realtà.
-Non
capisci... La malattia è contagiosa... E la colpa è mia... Ho permesso che
quell’uomo attraccasse qui...-
-L’avrebbe
fatto comunque- intervenne Arissa, con voce spezzata.-Hai visto? Cercava il
frutto Tam-Tam... Cercava il frutto che cura tutti i mali...-
Eichiro
singhiozzava.-Tu non capisci...-
-Si
sarebbe fermato comunque a Taraah...- ripetè Arissa, a un passo dallo scoppiare
in lacrime.
Arissa
lasciò le mani del padre di scatto e corse ad affacciarsi alla finestra,
portandosi un braccio davanti alle labbra per soffocare i singhiozzi. Si sentì
morire dentro in quel momento.
A
cosa serviva sognare, se la realtà andava in pezzi?
Eichiro
rimase immobile a piangere, poi si voltò e uscì dalla camera. Aprì la porta e
prima di andarsene aggiunse:-Cammy sta male. Mi spiace non avertelo detto
prima. Suo padre è morto. Ho cercato di nascondere la faccenda. Mi diaspiace
angelo. Ho tradito la tua fiducia.-
Uscì,
lasciando Arissa affacciata alla finestra, con gli occhi chiusi e il viso
rigato di lacrime.
Non
appena la porta si chiuse, lei si gettò sul letto, affondò la testa nel cuscino
e si sfogò.
(...)
La
spiaggia era bellissima.
Arissa
barcollò sulla sabbia, trascinandosi sulla sabbia dorata come un’automa.
Guardava fisso il mare che si stendeva oltre l’orizzonte, azzurro e
cristallino. Limpido. Puro.
Arrivò
con i piedi nell’acqua e si fermò, distrutta. La vista era stupenda da lì. Il
cielo si sposava con il mare, alla linea d’orizzonte, e i due sembravano unirsi
in intenso abbraccio.
Eppure
quella bellezza non compensava il fatto che la nave di Shanks non ci fosse più.
Niente più vessillo dei pirati del Rosso in giro, niente più uomini
indaffarati, niente più pirati di cui non potersi fidare. Niente più pericoli
venuti dal mare. Era tornato tutto come prima, alla spiaggia. Il sole
abbagliava e si rifletteva sull’oro e sull’azzurro, allegro e confortante.
Arissa
si voltò e guardò il limitare buio della foresta e sentì una forte rabbia
assalirla, oltre che allo sconforto.
Shanks
se n’era andato senza dire nulla. Aveva detto che sarebbe partito, ma non quel
giorno. Non l’aveva neanche salutata. Perché?
Non
che la cosa la facesse disperare. Dopotutto era sempre uno sconosciuto, ma lui
con la sua presenza le aveva infuso quel po’ di determinazione che le serviva.
Era arrivato dal mare, e attraverso il mare era scomparso. Come un soffio.
Arissa
strinse tra le dita la stoffa della tracolla, dove teneva la cartina. Sarebbe
sembrato egli stesso un sogno, se non le avesse lasciato quella testimonianza
del suo passaggio.
Allora
perché si sentiva così frustrata? Aveva bisogno di lui in quel momento. Ne
aveva bisogno più di ogni altra cosa al mondo.
-Te
ne sei andato senza salutarmi- disse, al vento.
Com’era
naturale, non le arrivò nessuna risposta.
-Avevi
detto che avresti risposto alle mie domande... Beh, non hai mantenuto la tua
promessa, Shanks!- esclamò, arrabbiata. Strinse i pugni. Era imbarazzante
parlare con l’aria, eppure ne aveva bisogno. Si prese una pausa per trarre un
respiro profondo:- MI HAI SENTITO?! NON L’HAI MANTENUTA, LA TUA PROMESSA!-
...
-Capitano... Sei
sicuro di voler andare via proprio ora?- domandò un uomo della ciurma di
Shanks.
Il capitano
stava in piedi sul ponte della nave e guardava il limitare della foresta con
aria serena. Quando si sentì rivolgere la domanda, si curò di prendersi una
pausa ad effetto prima di rispondere.
Dietro di lui,
Beckman gli lanciò un’occhiata inquisitoria.
-Ovvio che sì!-
esclamò Shanks, sicuro.-Salpiamo e proseguiamo il nostro viaggio! La nave è
pronta, no? Allora che aspettiamo?-
L’uomo se ne
andò sorridente e soddisfatto, ma Beckman si avvicinò al suo capitano e gli
posò una mano sulla spalla.-Capitano...-
-Non volermene.-
Disse Shanks, rabbuiandosi un po’.-Non voglio far soffrire nessuno- e con
nessuno”, lui e Beckman si capirono al volo,- ma non posso continuare a farla
sognare inutilmente. Potrebbe chiederci di unirsi a noi, e a quel punto cosa
dovrei risponderle? Sì? No?-
-Potresti
salutarla.-
-Si sta
attaccando troppo a me.-
Beckman scoppò a
ridere.-Non credi che sia un po’ troppo presto per dirlo?-
Shanks gli
lanciò un sorriso enigmatico, ma dentro di lui sapeva che non era affatto
troppo presto per dire una cosa del genere, e che il suo parlare non peccava
affatto di superbia. Arissa avrebbe tentato la strada più facile per uscire
dalla sua prigione, ma non era sicuramente la strada più giusta per lei.
Era soltanto una
ragazzina che non sapeva niente del mondo, e in quanto tale, vivere da pirata –
perché Shanks era sicuro che gli avrebbe chiesto di salire sulla sua nave – non
era il modo esatto per guadagnarsi la libertà.
-Adesso andiamo-
concluse il capitano, ridendo.-Ci aspetta il Nuovo Mondo!-
(...)
Arissa
si costrinse ad avvicinarsi a casa di Cammy. La porta, ovviamente, era sprangata
e per un attimo la ragazza temette che la sua amica non sarebbe mai più venuta
ad aprirle. Alzò una mano e, riluttante, colpì il legno sgangherato per tre volte
di fila.
Attese
con il cuore in gola per tre minuti, poi fece per voltarsi, distrutta.
Invece,
inaspettatamente, i cardini cigolarono, e un viso pallido e smunto apparve alla
soglia.
Arissa
rimase pietrificata.
La
sua amica era ancora più magra del solito, e la sua pelle era quasi
trasparente, avvolta da una coperta arancione e solare che dava un tocco
d’allegria a tutta la figura. Nonstante l’eccessiva magrezza e le guance
incavate, Cammy sembrava rinata. I suoi occhi celesti erano brillanti e
presenti, e le sue labbra erano curvate in un sorriso timido, ma
speranzoso.-Ciao...-
-Cammy...-
sussurrò Arissa, avvicinandole una mano al viso pallido.-Sei... Sei tu...?-
La
ragazzina ridacchiò e lasciò che Arissa l’abbracciasse così forte che, vedendo
la sua struttura gracile, qualcuno avrebbe potuto pensare che si sarebbe
spezzata.
I
capelli biondi erano sciolti sulle spalle, e Arissa li accarezzò
affettuosamente.-Ero così preoccupata per te... Sono stata così egoista questi
giorni... Ho pensato solo a me, senza considerare che tu stavi male... Mi
dispiace, Cammy! Perdonami!-
La
bambina stette in silenzio, con gli occhi lucidi e le labbra serrate, poi
mormorò:-Vieni dentro...-
Arissa
si lasciò cadere sul divano.
La
sala della casa di Cammy fungeva anche da camera da letto, e il divano si
poteva aprire per godere del suo uso secondario. La copertina beige, consunta e
rattoppata, si stropicciò quando Arissa ci si sedette sopra.
La
luce filtrava dalle persiane chiuse in quantità sufficiente da avvolgere la
stanza nella penombra.
Cammy
si tolse di dosso la coperta e, dopo averla piegata in quattro, la poggiò su
una sedia dondolante addossata alla parete.-Sono stata molto male questi
giorni. Mio padre è...- deglutì.
Arissa
le sorrise confortante e, a dirla tutta, anche in modo un po’ invadente.-Ho
capito Cammy... Non c’è bisogno che tu lo dica se non vuoi...-
-...
Morto.- Proseguì Cammy, con gelida calma. Si pentì subito dopo e abbassò gli
occhi blu.-Sono rimasta sola e mi sono ammalata. Tuo padre veniva tutti i
giorni a curarmi- sorrise dolcemente.-E adesso guardami! Sono in perfetta
forma!-
Gli
occhi di Arissa si fecero lucidi.-Lo vedo... Sono così contenta...-
Cammy
sorrise.
-Sarei
dovuta venire da te, e invece sono stata... Altrove.-
Mormorò Arissa, soffocando l’ultima parola in un sussurro angosciato.
-Non
preoccuparti...- Le disse Cammy, sedendosi a sua volta sul divano e guardando
Arissa.
-Sei
cambiata.- Osservò Arissa, commossa.-Sembri una vera donna, ora.-
Le
due scoppiarono a ridere.
-Ma
se tu sei guarita vuol dire che la malattia non è così grave come pensava mio
padre!- esclamò Arissa, contenta.-Sarà contento di sapere che tu stai bene!-
Cammy
annuì compostamente.-Certo.-
-Allora
che ne dici di andare da lui a dirglielo?- rise Arissa, sollevata e al tempo
stesso incredula.
-Purtroppo
io non posso uscire di casa, Arissa.- Le confessò Cammy, arrossendo.-Non vorrei
che qualcuno si ammalasse per causa mia... In realtà neanche tu avresti dovuto
entrare, ma sono troppo stanca di stare da sola...-
-Lo
capisco...- esclamò Arissa, con voce stridula. Era come un sogno. Forse Shanks
se n’era andato portandosi via il resto di quell’incubo. Ecco. Era la fine
dell’incubo!
-Ci
vediamo dopo, magari!- le rispose Cammy, timidamente.-E non andartene troppo in
giro con quei pirati...-
-Se
ne sono andati!- fece Arissa, in tono trasognato.-Adesso vado e poi torno... Con
una buona notizia- aggiunse a se stessa, poi si congedò da Cammy e uscì dalla
porta d’ingresso chiudendola senza far rumore.
Si
fermò e rimase un po’ con le mani sul legno e gli occhi chiusi. Respirò
profondamente e, sollevate un po’ le palpebre, gettò un occhio a casa sua. Vide
suo padre che stava sulla soglia, immobile, appoggiato alla porta esattamente
come lei.
Stava
piangendo silenziosamente, e intanto guardava dritto avanti a sé.
Arissa
avvertì una fitta al cuore e le ginocchia le tremarono. Si raddrizzò e si
diresse lentamente verso casa sua.
Quando
arrivò a un paio di metri da Eichiro si fermò e lasciò che lui la guardasse
senza dire niente per qualche istante.
Si
fissarono l’un l’altro a lungo, nel silenzio.
-Devo
darti una brutta notizia.- Disse Eichiro improvvisamente, e nel farlo si passò
una mano sul viso.
Arissa
divenne di pietra e un brivido le passò attraverso la schiena. Annuì.-La
mamma?-
-Sì...-
Mormorò Eichiro, con voce tremante.
Arissa
fece un sorriso tremolante e cupo.-Posso entrare?-
Eichiro
non si spostò dalla porta e deglutì sonoramente.-Devo dartene anche un’altra.-
Lei
chiuse gli occhi e lasciò che le lacrime le scivolassero sul viso, snebbiandole
la vista.-Allora anche tu...?-
-Ho
sempre detto che sei una ragazza sveglia.-
-Quanto
tempo hai?-
-Dipende.-
Arissa
lasciò cadere il silenzio e si crogiolò un poco in quella nuova sensazione di
smarrimento e dolore. Se Eichiro fosse morto, per tanti avrebbe significato la
fine, perché non ci sarebbe più stato nessuno in grado di sostituire le sue
competenze mediche. Per tanti altri sarebbe stato un sollievo, perché le voci
di una sua negligenza nel preoccuparsi del nuovo virus si era sparsa in fretta
come la malattia stessa.
Ma
per Arissa, sarebbe stata la totale distruzione della sua amata famiglia, che
era ben diverso.
-Non
è stata colpa tua...- dichiaro Arissa, con voce strozzata.-Tu hai fatto il
possibile.-
-Non
lo credi davvero... Lo dici per pietà.- Disse Eichiro, e intanto si scansò
dall’ingresso e aprì la porta.
Arissa
intravide la sala buia e un senso d’angoscia le attanagliò la gola e il cuore.
E di lei, cosa sarebbe stato? Era così ingiusto... Teneva troppo ai suoi sogni
per vederli sfumare.
-Non
entri?- domandò Eichiro, senza entusiasmo.
Lei
raddrizzò le spalle cadenti a causa della frustrazione e alzò il viso per
guardare suo padre.-No.-
Eichiro
la fissò, glaciale e commosso al tempo stesso.-Tu sei proprio una bambina,
angelo.-
-Non
sono un angelo. E se me ne rimango qui rischio di rimanere una bambina per
sempre!- esclamò Arissa con dignità.-E io non voglio rimanere intrappolata.
Voglio vivere i miei sogni.-
-E
quali sarebbero, questi sogni?- domandò Eichiro, abbassando lo sguardo a terra,
sconvolto.
-Io
diventerò un medico come te, papà. Anzi, molto meglio di te.- Disse Arissa,
vergognandosi delle sue stesse parole. Arrossì un po’, ma non si fermò.-Perché
io voglio scoprire tutto ciò che ancora non so sul mondo e sulle persone che lo
abitano, in modo da diventare una persona colta e saggia! Questo è il mio
sogno.-
-Ci
vuole poco ad essere colti, Arissa... Ma addirittura essere saggi...- Aggiunse
Eichiro, con un velo d’arroganza nella voce.-Io ci ho provato tanto, ma come
vedi non ci sono riuscito. Forse è questo villaggio.Ti tiene incatenato entro
un certo limite.-
Arissa
prese un profondo respiro.-Adesso scusami, ma non entrerò lì dentro... Non ho
bisogno di salutare un morto... Perché io credo solo nella vita. Se mia madre
vorrà ascoltarmi, la saluterò da qui.-
-Dove
vuoi andare?!- esclamò Eichiro, non appena vide che la figlia gli voltava le
spalle con tremante decisione.
Arissa
fece un paio di passi e si fermò, ancora titubante.
-Sei
solo una bambina. Cosa vuoi fare?!- le gridò dietro Eichiro.
Lei
non si voltò. Nuove lacrime rigarono il suo volto. Stavolta erano lacrime di
terrore e di tristezza, e lei non aveva paura di mostrarle in pubblico. Perché
adesso avrebbe davvero solcato l’ignoto, da sola.
-Vado
a imparare, papà.- Rispose, in un singhiozzo.-E a incamminarmi verso il mio
sogno!- si asciugò le lacrime con il dorso della mano e posò la stessa sulla
tracolla. La cartina e il diario sembrarono infonderle la forza di riprendere a
camminare.
Eichiro
rimase immobile, a guardare la sua figura snella andare verso la foresta, con
il vestito blu scosso dalla quella lieve brezza marina che soffiava ad ogni
ora. Si sentì come svuotato. Non poteva più fare niente, a parte stare in
disparte e guardarsi affogare nella malattia.
Un’ombra
calò su di lui, e alzando lo sguardo al cielo, vide che una nuvola nera aveva appena
coperto la luce.
Sì.
Era da tanto che lui aveva imboccato una via senza luce.
Si
voltò ed entrò nella sua casa, ormai buia.
(...)
-Oh, beh!- esclamò Ace, balzando giù dalla sua
imbarcazione.-Sono arrivato molto più in fretta del previsto!-
Si guardò intorno. Era approdato su una
bella spiaggia dalla sabbia dorata e lucente, che però in quel momento era
oscurata dall’ombra delle nuvole temporalesche, che riflettevano sul mare il loro
malumore.
Il giovane si mise le mani sui fianchi e
guardò il cielo. Una luce improvvisa tagliò in due il cielo per scomparire in
un istante, e pochi secondi dopo la seguì il rombo di un tuono in lontananza.
Proprio un momentaccio, si disse Ace, stava anche per piovere. Lasciò scivolare
lo sguardo sull’ambiente che lo circondava: dalla spiaggia alla sua destra,
agli alberi alti che si stagliavano a pochi metri da lui, alla sua sinistra,
dove la battigia si stendeva a vista d’occhio esattamente come dall’altra parte.
Si calò un po’ il cappello sul viso e sorrise. Sembrava che il tipo della
locanda avesse ragione, riguardo alla foresta.
Così, Ace decise di ispezionare la
spiaggia che circondava l’isola, stabilendo che poi avrebbe cercato quel
villaggio di cui gli aveva parlato l’oste. In tal modo, avrebbe cercato qualche
indizio su Barbanera e, soprattutto, si sarebbe rifocillato a dovere.
Dopotutto, lo stomaco iniziava già a protestare!
Sbadigliò e se ne andò fischiettando.
Angolino dell’autrice:
Eccomi ^^! Sempre presente XD
Comunque... Spero che questo capitolo
non sia stato troppo noioso, ma sinceramente io lo adoro *_*. Non so se si è
notato, ma a me piace descrivere i sentimenti umani, i dolori e la gioia delle
persone, e quando scrivo vorrei trasmettere questi sentimenti al lettore.
Ovviamente, mi reputo ancora alle prime armi (soprattutto perché parlando di
Phatos, non parliamo di noccioline), ma faccio del mio meglio. Adoro le parti
comiche ovviamente, e mi piace inserirne dove posso, ma in certi passi
preferisco mantenermi sui sentimenti delle persone in quanto tali, senza mutare
nulla.
È come se i miei personaggi, solo
allora, acquisissero una forma e una vita propria, e io riesco a sentirli in me
e a caratterizzarli al meglio.
Un’altra osservazione. Nonstante il
contrasto luce/ombra nel contesto dello smarrimento morale delle persone sia un
tema abbastanza utilizzato, io lo adoro. Per me non passa mai di moda e mi
piace utilizzarlo nelle mie composizioni. Così come non è un caso che Arissa
all’inizio sia illuminata dai raggi della luna. Ho scelto questa situazione per
rappresentare questo personaggio ancora immaturo, indeciso. Così come i raggi
della luna non sono quelli intensi e caldi del sole, Arissa è delicata e ancora
fragile, a volte troppo fredda e rigida.
Ancora, e dopo giuro che ho finito (XD),
è l’attenzione che vorrei puntare sul tema della storia: i Sogni. Non a caso il
titolo si chiama “Nel cuore dei sogni”, non l’ho messo soltanto perché ne avevo
voglia. Mentre nella mia precedente fic “Homless” (giusto nipote? XD) è
dedicata al tema della libertà personale e collettiva, (e infatti ricorre
spesso questa parola nel corso della storia), questa fiction sarà dedicata ai sogni. Sogni irrealizzabili,
irrealizzati e da realizzare; tema che, tra parentesi, secondo una mia visione
personale, domina anche nel mondo di One Piece. Dunque, questo capitolo diventa
il nodo centrale della storia: è da qui infatti, che comincerà la storia di
Arissa.
tre88: sono contenta
che ti sia piaciuto il capitolo ^^. Devo ammettere che mentre scrivevo avevo
anche io l’impressione che quei due fossero dei detective XD. Ti ringrazio
molto per aver recensito ^^ X3. È un sollievo per me sapere che trovi la storia
interessante ^^
Alla
prossima! Un bacione
Akemichan: *si appunta
tutto quello che dice su un taccuino, come Arissa* Ovviamente i capitoli
divertenti ci saranno all’arrivo di Ace. Per adesso sono tutti in fase cupa XD.
Probabilmente hai capito bene XD... Infatti più che altro mi sto divertendo ad
immaginare la storia, più che ad arrivare alla fine XD. E poi ho ancora tutti i
compiti da fare XD... Che disastro!
Un
bacio!!! *saluta con entusiasmo*
ayumi_L: eh, già...
giusto su con la vita XD. Comunque secondo me sta passando... X3 Va già meglio,
anche se non benissimo!
the one winged angel: nipoteeeee!!! Mi prendeva quasi a male pensare che non
ci saremmo più sentite fino al dieci ottobre ^^!!!! Che bello!!!!
Comunque,
mi spiace anche a me per Kaguya... ma era necessario per mettere in moto la
nostra eroina XD.
Infatti,
Shanks ha una faccia buona ^^ Non esplicitamente losca come quella di Barbanera
... (quanto lo detesto!!!)
Eh,
purtroppo non è un bel periodo, no... Ma tutti voi (e tu in particolare,
insieme ad altri), mi tirate sempre su il morale ^^. Per questo, qualunque sia
la sorpresa, anche se piccola, non devi sentirti in imbarazzo!! *_*
Purtroppo
non posso dilungarmi tanto per causa compiti, ma sappi che io ti ringrazierò
sempre e mai abbastanza per tutto quello che fai per me!!! ^^
Un
abbraccione fortissimo.
W
la nipote!!!