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Autore: Tersy    19/10/2010    1 recensioni
Anno 2008. Sono trascorsi sette anni dall'attacco alle Torri gemelle. Ognuno ha ripreso la sua vita in modo più o meno normale, ma ne sono inevitabilmente rimasti segnati. Tre sconosciuti, tre esperienze differenti. Un solo destino.
Dedicata ai veri eroi
Disclaimer: il racconto è di pura fantasia e non è intenzione dell'autrice urtare la sensibilità dei lettori riguardo tematiche attuali e controverse (terrorismo, politica internazionale ecc).
Prima classificata al concorso "Fenomeni paranormali" indetto dal Writers Arena
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo III
Io, nell'occhio del ciclone


Vedrete che andrà tutto benissimo. Hanno chiamato i pompieri, saranno qui in pochi minuti. Prendete le scale, usate un fazzoletto per coprire le vie respiratorie. Mi raccomando: restate sempre vicini. Non abbiate paura, dovete essere lucidi, non fatevi prendere dal panico. Io? Aspetterò qui, di certo avranno bisogno d’aiuto con i feriti. Non preoccupatevi per me, so badare a me stesso. Sono o no il figlio di un vigile del fuoco?

A Ground Zero c’era un silenzio frustrante. Quasi ci fosse stato un anomalo buco nero che invece di risucchiare e imprigionare fotoni, si nutriva di suoni di varia natura. Ingordo, insaziabile. Più si imponevano frastuoni roboanti e ossessivi, più ne traeva vantaggio e li ammortizzava fino a farli cessare. Più appariva sopraffatto dal caotico, ma sano andirivieni del circondario, più ne usciva vincitore assoluto. Più riceveva vita e speranza, più regalava morte e disperazione. Chiunque passava di lì, anche tutti i giorni, per un motivo o per un altro, era costretto a fare i conti con quella realtà sospesa e a sé stante, un’isola avvolta da nebbie fitte e massacranti, un Avalon spoglio di bellezza leggendaria.
Troneggiava funesta ma contrita, assegnata per Caso o Destino al suo Golgota, a cui doveva quella forma, poiché non era quello il suo impianto originale: una croce dai bracci scuri come il ferro di cui erano costituiti. Simbolo del martirio, della sofferenza, del disagio, della preghiera, della distruzione e forse della rinascita. A Manhattan non si poteva restare impassibile a quel trancio d’asfalto. Chi dimostrava di essere troppo impegnato per curarsene, chi ammaestrava colleghi e amici al proprio modus vivendi, non faceva altro che alimentare l’ipocrisia radicata secondo cui non pensarci era un modo onesto per tirare avanti. Eppure c’era ancora chi non demordeva. C’era chi non voleva tacere.


« Abbiamo il diritto di sapere! Il governo tace, i mass media occultano tutto. Nessuno ci ha detto la verità. Ci hanno propinato menzogne su menzogne per anni. Perché continuate ad ignorare la verità? Che il presidente ci riveli come sono andate le cose - signore, prenda un volantino. - Che i membri del Consiglio si mettano davvero dalla parte dei cittadini per una volta. L’America vuole giustizia! »

A squarcia gola si imponeva sul vociare dei passanti. Dietro il suo tavolino arrangiato per l’occasione, su cui giacevano una grossa quantità di manifestini cartacei disposti a ventaglio, aizzava (o meglio cercava di farlo) la folla, inveendo contro le autorità statunitensi. Alle sue spalle un cartellone lungo almeno due metri, sul quale erano incollate alla meglio molteplici fotografie. Erano i suoi ex colleghi, vittime anche loro al World Trade Center. Di nero vivo la sua divisa, particolare che poteva essere interpretato in duplice maniera: o era da poco diventato un firefighter o ci teneva molto all’uniforme tanto da non badare a spese per la tintoria. Erano vere entrambe le cose.

Philip - Phil, per tutti - aveva sostenuto solo da alcuni mesi l’esame d’ingresso nei vigili del fuoco. Non gli era risultato assai difficile: in fondo, essere il figlio di un pompiere, caduto sul lavoro per giunta, doveva avergli spianato non poco la strada. Indubbiamente questo lo avevo fatto irritare in più occasioni, ma era il mestiere che aveva sempre desiderato di fare e perciò cercava per quanto possibile di non badarci troppo. I sensi di colpa non gli sarebbe serviti a niente.
Era giovane e aveva tutte le buone qualità per divertirsi e plasmare il suo oggi come un parco giochi. Perché non lasciava andare i suoi capelli castani su di un cuscino? Perché non si era sbronzato per reprimere l’amarezza e la tremenda solitudine? Perché non accettava gli squilibri del passato per approdare serenamente verso il futuro? Sete di giustizia, come diceva lui. Sete di vendetta, come dicevano gli altri. C’era stato un complotto, un intrigo internazionale, un sotterfugio, un affare di Stato. Una squallida scelta oligarchica di potenti e capitalisti. Non c’entravano niente le rivendicazioni. Era così evidente a suoi occhi che fosse un lurido pretesto che provava rigetto per coloro che si erano bevuti questa storiella. Qualcuno aveva condotto suo padre nella fossa e qualsiasi cosa fosse accaduta avrebbe fatto sì che quei balordi lo avrebbe seguito presto, ma senza medaglia al valore.

« Potrei avere anch’io un volantino? » una voce cupa e stagionata si rivolse a lui. Era un vecchio, un barbone probabilmente, che si avvicinò discreto al tavolino.

« Sì, certo. Ovviamente. »
Afferrò il primo del blocco e lo porse, gentilmente, all’anziano.

« Un complotto, eh? Phil, mio caro ragazzo, perché persisti in questa tua battaglia? Quell’uomo alle tue spalle non sarebbe fiero di te in queste condizioni... » affermò, senza aver letto nulla. Senza conoscerlo.
Il primo istinto di Phil fu quello di voltarsi, come se avesse momentaneamente dimenticato cosa ci fosse dietro di sé. I suoi occhi si scontrarono con quelli di suo padre. E non fu una sensazione piacevole.

« Sarebbe stato. Lui non c’è più. E poi scusa, come diavolo sai il mio nome? »

« Parleremo più approfonditamente quando arriveranno anche gli altri. »

« Altri? Altri chi?» sempre più confuso, sempre più favorevole all’ipotesi che fosse un folle. E lo assecondò per questo, principalmente.

« Shh! Eccoli. Manca poco. » lo zittì ponendo fine alla conversazione. Le sue pupille guizzarono da una parte all’altra della strada. C’erano ospiti in arrivo.

Peter si era infilato nel solito autobus. La masnada consueta del lunedì mattina lo opprimeva al centro del veicolo. Ma a lui stava bene così. Si sentiva protetto da uno scudo umano. Non aveva bisogno d’altro. Avrebbe oltrepassato Ground Zero in un batter d’occhio e poi avrebbe proseguito a piedi.

Fancy non era andata a scuola. Tipico, marinava quando ne aveva voglia, semplicemente “perché sì”. Era frivola, era infantile, era appunto fancy. Scorrazzava con le sue compagne per i negozi, facendo sudare sette camicie ai commessi di turno. Nella zona vicina alle ex Torri Gemelle era sorto un nuovo outlet di accessori. Doveva svaligiarlo.

« Adesso. » sussurrò allora il vecchio, ma Phil ebbe modo di udire distintamente.

Il mezzo pubblico frenò di colpo, facendo cozzare tra loro i passeggeri rimasti in piedi, che si guardarono confusi. L’autista annunciò che una gomma era sforata e invitò tutti a scendere, scusandosi per il disagio. Ognuno iniziò a maledire quella giornata, a suo modo. Peter fu restio a scendere, ma d’altronde non gli restavano molte alternative.

« Merda! » piagnucolò la ragazza, osservandosi la scarpa destra con un ginocchio flesso. Il tacco era rimasto sul marciapiede. Era fino troppo aghiforme per resistere ancora a lungo. Giunse anche per quello in momento di cedere. Zoppicò goffamente fino al palo dove sfilò la scarpa incriminata, pensando ad un modo per sistemarla. Le amiche la fissarono seccate e così fece segno loro che le avrebbe raggiunte più tardi.

Erano tutte e tre lì, per una coincidenza assai fortuita.

Il ragazzo li fissò intensamente con aria stupita. Non c’era nulla in loro di bizzarro. Un uomo di colore di mezz’età e una teenager bionda (sicuramente tinta). Nonostante questa palese normalità (concetto a New York molto più esteso che in altre città), non riuscì a staccare lo sguardo. Magneticamente attratto dalle loro figure senza entusiasmo.

« C’è un filo rosso che vi unisce. » tuonò l’anziano signore.

« Scusa, cosa hai detto? »

« C’è un filo rosso che vi unisce. » ripeté , scandendo.

«Eh? Filo rosso? Quanto e cosa hai bevuto? Guarda che sono ancora le nove del mattino, è un po’ presto per l’happy hour. » lo liquidò, senza dare un briciolo di credibilità alle sue parole, ma questi sembrò contrariato.

« Smettila di pormi quesiti! Inizia a scavare dentro te visto che non lo hai mai fatto in questi sette anni. » irritato, gli donò le spalle e proseguì verso altri luoghi, sparendo oltre le auto parcheggiate.

« Certo che in questa città si trovano certi psicopatici... » commentò Peter con il mento ancora rivolto verso quello strambo individuo.

« Già... Senti, dato che sei qui, daresti un’occhiata a questo? » gli allungò uno dei suoi fogli stampati.

« Cos’è? Una di quelle cose anarchiche di voi scapestrati? » aggrottò la fronte, severo.

« Anch’io voglio leggere!» si intrufolò tra i due uomini e rese nota la sua curiosità.

« Non credo ti possa interessare. Forse non lo ricordi neanche... » ipotizzò Philip. Non le dava nemmeno dieci anni.

Fancy strappò il volantino dalle mani di Peter e posò i suoi occhioni su quelle pochi righe. Due lacrime ornarono le estremità di ciascuna palpebra, prima di crollare, stanche.

« Certo che me lo ricordo » singhiozzando, interpretare le sue parole diventò ogni secondo più complesso « Io non volevo disobbedire, ma non volevo starmene sola a casa. Mamma e papà si arrabbiarono molto, dissero che non dovevo andare a trovarli al lavoro... »

« I tuoi genitori lavoravano alle Twin Towers? » ritornò la voce di Peter, colpito da questo particolare. La ragazza si limitò ad annuire col capo.

« Allora anche tu sei tra i sopravvissuti... » l’uomo voltò il capo di qualche grado e strinse gli occhi.

« Come “anche tu”? » Philip si intromise, si sentiva fin troppo alienato. Lo puntò con l’indice.
« Eri lì l’11 settembre? » palesemente sgomento, con la bocca semi aperta.

« Dovevo esserci, ci lavoravo in quel postaccio. » Incrociò le braccia dinanzi al petto. Gli costò quest’azione, rivangare il passato.

« Incredibile... »
Le sue iridi castane spaziarono dal viso mogano di lui ai boccoli flavi di lei, andando avanti e indietro, ripetutamente.
« Ero andato in visita scolastica. Anch’io mi sono salvato, anche se ... » indicò l’immagine esattamente dietro di sé.
« Mio padre. » unì le mani sulle cosce, storcendo le labbra.
Fancy si sporse oltre il bordo del tavolo per mettere a fuoco quel viso.

« Ma io ho già visto questo signore. E’ lui che mi ha salvata dalle fiamme. »

« Lui... ? Dici sul serio?»

« Sì, mi ha preso in braccio e mi ha portavo via.» racconta, mimando le azioni.
« Non potrei averlo dimenticato. E’ stato un eroe. »

« Già... Lo sono stati tutti. » S’inumidirono le sue retine, senza che potesse controllarlo.
« Quel tipo mi ha detto che siamo legati da un filo. Abbiamo vissuto tutti e tre la stessa esperienza. Siamo ancora qui per raccontarla. Credo che sia questo il significato. » Anche se restava un mistero come ne fosse a conoscenza.

Il suo braccio si distese nella loro direzione. « Philip »

La prima a rispondere fu la ragazzina. « Io sono Fancy. » gli strinse la mano e sorrise cortesemente.

« Legati da un filo, eh? » disse scettico. « Peter. »
« Cosa facciamo qui? Proteste illecite? Questa è appropriazione di suolo pubblico.» Un agente di polizia giunse spauracchio interrompendo i convenevoli fra i tre.

« Agente, non è come crede. Ho una regolare autorizzazione. Aspetti, gliela mostro. Deve essere qui, da qualche parte.» Si tastò la divisa e iniziò a perlustrare le tasche.

Un foglio viene infilato nella tasca interna di un giaccone.
Peter scosse la testa per rimuovere dalla mente quel fotogramma.

« Allora? » il poliziotto dava segni di nervosismo.

« Un attimo, non capisco come sia possibile. Sono sicuro di averla portata con me. » gli iniziarono a tremare le mani, come ogni qualvolta si sentiva insicuro.

« Ehm... Prova... Prova a guardare nella tasca interna... » bofonchiò Peter, tossendo di tanto in tanto.

Philip tirò giù la cerniera lampo e indagò all’interno. Inarcò un sopracciglio mentre estraeva quel pezzo di carta porgendolo all’ufficiale.

« Bene. E’ tutto in ordine. Tolgo il disturbo. » in quattro e quattro otto l’agente fece dietrofront e se tornò da dove era venuto.

Un rettangolo biancastro rotola per il marciapiede.
Fancy trattenne una risatina, mettendo una mano sulla bocca.

« Perché ridi? »
La ragazza mosse le mani davanti al viso.
« Niente, niente. Non farci caso. Senti perché non ci teniamo in contatto? Ti lascio il numero di cellulare, così possiamo mandarci tanti sms! » capovolse il volantino e vi appuntò una serie di cifre.

« Ah la prossima volta, ricordati di fissarlo meglio, se no vola via.» Questo disse prima allontanarsi nella direzione diametralmente opposta a quella imboccata da Peter.

«In che senso?» Una folata di vento trascinò inesorabilmente il cartellone con sé.

Nel presente si vive in balia del ciclone. Non è così facile capire...
   
 
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