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Autore: Teanni    25/10/2010    1 recensioni
Piton è sopravvissuto all'attacco di Lord Voldemort, grazie ad uno sfacciato colpo di fortuna e ad un certo Signor Paciock.
Ma il fato è crudele: costretto a letto, deve sopportare la presenza di una giovane donna irritante che lo odia profondamente.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Severus Piton
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Non c’è niente di male nel sperare ancora
traduzione a cura dibesemperadreamer

Si costrinse a fare ciò che lui le aveva chiesto. Senza nemmeno notarlo, si ridusse le dita sanguinanti, mordendosi le unghie com’era sua abitudine quando era nervosa. Quando vide Potter e i suoi amici avvicinarsi alla Stamberga Strillante, non poté far altro che seguirli.

La vecchia casa odorava di fatiscenza e legno marcito, e le tavole lignee che ricoprivano il pavimento scricchiolavano sotto i suoi piedi ad ogni passo. I suoi sensi recepirono quell'informazione ma essa non raggiunse i suoi pensieri coscienti. Tutto ciò a cui riusciva a pensare in quel momento, era che doveva trovare Severus. Vero, lui doveva affrontare Voldemort da solo, ma dopo...la sua morte… sviò i suoi pensieri dalla parola, non riusciva neppure a pensarci. Come sarebbe potuta sopravvivere senza morire di dolore?

Il suo cuore smise quasi di battere quando lo vide lì, riverso a terra in una pozza del suo stesso sangue. Ce n’è così tanto, pensò con orrore. Gelò sul posto momentaneamente, così come i tre ragazzini terrorizzati alla sua sinistra. Ma dopo appena un battito di ciglia si riscosse dal suo stato di torpore e in un attimo fu al suo fianco. Gli occhi di Severus si concentrarono su di lei, comunicandole, senza parlare, la sua sorpresa nel vederla lì.

Abigail gli s’inginocchiò accanto, facendo a mala pena caso al suo sangue che penetrava attraverso il tessuto dei pantaloni, inzuppandoli. Quando vide che lui non era ancora pronto ad arrendersi, e con le dita cercava inutilmente di arrestare l'emorragia, una scintilla di speranza si accese dentro di lei, benché la sua parte razionale le suggerisse che fosse inutile. Aveva già perso troppo sangue.

Mentre lei premeva le sue dita sulla ferita, la mano di lui scivolò via lentamente. Con l'altra mano Abigail cominciò ad accarezzargli la testa in modo rassicurante. “Idiota, dovevi proprio andare a fare l'eroe, eh?" disse dolcemente con una voce ridotta a un sussurro. Lacrime rotolavano lungo le sue guance, ma non le notò neppure finché non caddero sulle vesti di Severus.

“Abby." Si sorprese nell'udire la sua stessa voce così diversa dal normale, raschiante e un po’ strozzata. L'ombra di un fugace sorriso si dipinse agli angoli della sua bocca e lei non poté fare a meno di imitarlo, benché non desiderasse altro che urlare al mondo la profonda ingiustizia che stavano subendo. Lo aveva appena trovato.

“Sì, sono io, proprio dove sarei dovuta essere." Era difficile far uscire le parole. La vista di lui, così fragile, che se ne stava andando così rapidamente, la soffocava.

Frammenti sussurrati di una conversazione raggiunsero il suo orecchio. “Chi è lei?" udì debolmente domandare al sorpreso ragazzo dai capelli rossi dietro di lei.

“Penso di conoscerla. Anche se non riesco a inquadrarla, in questo momento," disse Hermione, con un tono di voce che rendeva evidente la sua confusione.

“Quello che realmente m’irrita è solo...quand'è che sto bastardo untuoso ha trovato il tempo di farsi la ragazza?"

“Piantala, Ron! Non essere cattivo," lo ammonì la giovane.

Abigail non sentì nulla del loro piccolo scambio, era prova troppo occupata a prendersi cura delle ferite di Severus. Una parte di lei sapeva che era inutile, ma se si fosse arresa o lasciata prendere dallo sconforto, sarebbe crollata e non poteva permettere che accadesse. Doveva essere lì per lui ora, doveva essere forte. Come gli aveva detto poco prima, il suo posto era lì, al suo fianco.
“Potter" raspò Severus. Il suo respiro diventava di minuto in minuto più affaticato, ma stava tenendo duro. Abigail annuì col capo e si girò per far avvicinare il ragazzo.

Un accenno d’isteria rese la sua voce stranamente stridula quando lo chiamò, ma sorprendentemente Harry acconsentì senza replicare. Quando posò gli occhi su Severus, osservò l'estensione delle sue ferite e comprese che lui fosse solo ad un passo dalla morte, Abigail vide qualcosa di simile alla comprensione velare i suoi tratti.

“Più vicino, Potter," ordinò l’uomo, esaurendo gli ultimi residui di forza che possedeva.

Potter s’inginocchiò vicino a lui, fissando dritto quel volto che aveva disprezzato così a lungo e che era adesso una maschera cinerea. Una lacrima argentea scivolò dall'angolo dell'occhio di Piton e Harry riconobbe immediatamente cosa era - un ricordo da poter vedere in un Pensatoio.

“Guardalo. Promettermi che lo farai." La mano di Piton strinse il davanti del maglione di Harry, e i suoi neri occhi esigenti scavarono dentro quelli del ragazzo, che riuscì solo ad annuire col capo. Sembrò che Piton fosse rimasto soddisfatto dalla risposta, perché le sue dita allentarono la presa e la sua mano scivolò via lentamente. Poteva smetterla di sforzarsi. Aveva fatto tutto.

Con grande orrore Abby comprese cosa stava per accadere. L'avrebbe perso e questa volta per sempre. “Non ti rischiare a tirare le cuoia ora, Severus," sibilò lei, sorpresa nel trovarsi più arrabbiata che triste.

“Non ce la faccio più," bisbigliò con rammarico. “Perdonami."

“Non hai nulla da farti perdonare," disse tranquillamente, ma lui non udì mai quella risposta. Abigail abbassò lo sguardo sulla sua forma immobile: il suo petto non si abbassava né si sollevava più, aveva gli occhi ancora fissi su di lei benché ora fossero senza vita. La consapevolezza le esplose dentro, raggiungendo con le sue gelate ramificazioni ogni angolo della sua mente. È morto. È morto. Merlino, è morto!

Emise un singhiozzo strangolato che pressava da una vita nel retro della sua gola e che suonò come il grido di un animale ferito. Qualcosa nel suo intimo si frantumò, ed era sicura che non sarebbe mai più riuscita a rimetterne insieme i cocci. Se ne era andato lasciandole solo un ricordo a cui aggrapparsi disperatamente. La sua anima, la sua essenza o qualsiasi altra cosa lo avesse reso quella persona unica, quell'uomo meraviglioso e ambiguo che amava così tanto, era ormai perduta. Non lo avrebbe mai più sorpreso a sorriderle dolcemente quando pensava di non esser notato, mai più avrebbe tenuto le sue mani tra le sue affusolate dita aggraziate, mai più avrebbero riso insieme su una battuta che solo loro potevano capire...mai più. Seppellì il volto sul suo petto, inalando il suo profumo, sapendo che forse sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe potuto farlo e che probabilmente avrebbe dimenticato il suo odore, così come tutte le molte altre piccole cose che erano così importanti, benché quella fosse l'ultima cosa su terra che avrebbe voluto.

Pianse forte, incurante che i suoi singhiozzi potessero essere uditi. Era come se il suo petto volesse esplodere, come se qualcuno stesse provando a strangolarla, tanto era serrata la sua gola. Conficcò le dita nel tessuto lanoso delle sue vesti da Mangiamorte, cercando di aggrapparsi a qualcosa che aveva già perso. Dio, come desiderava venire avvolta dalle sue braccia adesso!
Era stato facile ignorare le sue stesse ferite, grazie al costante afflusso d'adrenalina che aveva agito nel suo sistema, ma ora stavano rendendo di nuovo nota la loro presenza. Il dolore corporeo si stava mescolando alla disperazione, sommergendola con un’altra ondata devastante. “Non lasciarmi. Non lasciarmi. Per favore, non lasciarmi!" . Il pensiero permeava ogni fibra del suo essere, ogni suo respiro, ogni suo battito cardiaco, ogni sua lacrima versata. Mentre continuava a cantilenarlo come un mantra nella sua testa, la sua visione si tinse di nero ai bordi, e si sentì scivolare lentamente nell'incoscienza. La sua testa si pressò contro il suo petto, e sentì il costante ma molto debole Tum-Tum di un cuore. Probabilmente era il battito del proprio. Ma a che pro, se voleva solo strapparselo dal petto? Con quell'ultimo, macabro pensiero, svenne.

***


Quando riprese conoscenza, si ritrovò a fissare il bianco soffitto, piuttosto opprimente, di una stanza di ospedale. Il secondo stesso in cui la sua coscienza riemerse dal piacevole intorpidimento del sonno, la realtà le piombò di nuovo addosso. Gemette e fece correre la mano tra i suoi capelli, di fatto tirandoseli. Per amor di Dio, non poteva essere stato solo un incubo dal quale svegliarsi, ritrovandosi Severus come sempre al suo fianco?

Adesso che era sveglia avrebbe dovuto affrontare il resto del mondo. E il resto del mondo includeva curiose infermiere, guaritori dall'aspetto serioso e, possibilmente, persino alcuni giornalisti che le avrebbero voluto strappare qualche informazione. Non era sicura di essere pronta. In effetti non era nemmeno sicura che avrebbe mai più voluto affrontare il resto del mondo.
Essere vestita con una striminzita vestaglia verde d'ospedale, distesa in un letto che non era il proprio, la faceva sentire piuttosto esposta. Non voleva far altro che andare a casa, raggomitolarsi sul divano e piangere fino ad addormentarsi di nuovo.

Per suo grande sgomento, il suo risveglio non era passato inosservato. Avrebbe voluto passare qualche minuto in più da sola con i suoi pensieri. Anche se generalmente la solitudine era per lei insopportabile, siccome i suoi pensieri finivano sempre per rigirare attorno a lui, non riusciva a sopportare di essere circondata da altre persone. Le davano solo fastidio.
Entrò un giovane uomo che aveva un ché di familiare e che indossava gli stessi abiti verde menta di tutti i guaritori del San Mungo. Il colore dei suoi abiti attrasse la sua attenzione molto più del fatto che le sembrava conoscente. Sembrava vomito radioattivo. Per il suo pessimo umore aveva una mezza idea di farglielo notare. Il pensiero che Severus avrebbe gradito la tentò ancor di più.

“Buongiorno, signorina Carter, come si sente oggi?" le chiese, guardando oltre il bordo della cartella clinica che aveva in mano.

Abigail sbuffò, arcuando un sopracciglio. “Una schifosa meraviglia."

“Signorina Carter, sono spiacente… ma erm…posso chiamarla Abigail? Abbiamo quasi la stessa età…"

“No, non penso che sia necessario." La situazione le diede la strana sensazione di dejà vu.

Il giovane guaritore la guardò sorpreso, sbattendo le palpebre degli occhi un paio di volte prima di continuare, sembrando imperturbato. “Le vostre ferite si sono rimarginate bene, vedo." le si avvicinò di un passo, esaminandole il viso con occhio critico. “Nessuna cicatrice, come previsto. Bene. Bene."

“Quindi non c'è un motivo valido per tenermi prigioniera qui, no?"

“No, potrete andare via domani mattina. Il vostro amico tuttavia…"

“Il mio amico?"

“Sì, il vostro amico. L'uomo con cui è stata portata qui… mi lasci controllare… Severus Piton?" Le rivolse uno sguardo preoccupato. Il suo viso aveva perso tutto il colore, le sue dita avevano afferrato
inconsapevolmente la coperta in una stretta morsa, così stretta infatti, che temette che lei avrebbe forato il tessuto.

“Cosa stava dicendo su Severus?" chiese lei impaziente.

“Che avrà bisogno di molte cure prima di poter essere dimesso. Fortunatamente siamo riusciti a stabilizzare le sue condizioni. È un piccolo miracolo che sia ancora vivo, a rigor di logica sarebbe dovuto morire. Nessuno è mai sopravvissuto al veleno di una creatura magica così potente."
Il giovane guaritore smise di parlare quando notò la sua paziente levarsi le coperte di dosso e subito dopo scendere dal letto.

“Non potreste lasciare il letto…" cominciò a dire, ma nonostante la sua protesta, lei era già in piedi. Il pavimento di linoleum era sgradevolmente freddo sotto i suoi piedi, ma lei ignorò sia il gelo sia le esortazioni del guaritore.

“Signorina Carter," disse più severo, mettendosi davanti a lei per impedirle di lasciare la stanza. Pensava che così facendo lei avrebbe dovuto riconoscere la sua presenza e infine rinsavire. Invece Abigail lo guardò stupita, prima che la sua espressione venisse rimpiazzata da un cipiglio arrabbiato.

“Si levi di torno," disse con un tono atono, fissando la porta al di sopra della spalla del guaritore. Nei suoi ricordi, l'aveva già attraversata.

“Dovete riposare. Non vi siete ancora del tutto ristabilita. Devo elencarvi le vostre ferite? Benché non sia una legge universale, vi accorgerete presto che il processo di guarigione richiede di rimanere a letto, almeno per alcuni giorni. Anche se le pozioni fanno magie nel senso più letterale del termine, non vi potete aspettare miracoli. Anche il paziente deve collaborare, sa."

“Oh, stupidaggini" scartò la sua preoccupazione con un gesto vago della mano, dirigendosi di nuovo verso la porta, ignorando completamente di avere addosso solo una striminzita vestaglia d'ospedale.

“Signorina Carter," sbuffò lui, “questo è un oltraggio! Le chiedo…"

“Non avete il diritto di chiedere niente." Si era girata con gli occhi che dardeggiavano in sua direzione. “Avete la minima idea…" s’interruppe momentaneamente per provare a riguadagnare la calma, ma non vi riuscì. “Avete la minima idea di cosa ho passato? L'ultima volta che ho controllato questo posto era un ospedale e non una prigione. Ora mi porti da Severus! Se pensa che mi coricherò tranquillamente nel mio letto aspettando che lei si decida a lasciarmelo vedere, se lo può scordare!"

Il guaritore deglutì. “Alla fine del corridoio, prendete a sinistra. Il ICU è in fondo, dopo la porta di vetro a due ante. Terza porta a destra. Vostra zia…"

“Anche lei è lì. Lo so. Grazie." Annuì col capo brevemente prima di lasciare la stanza.

Abigail percorse velocemente le lunghe corsie dell’'ospedale. Si lasciò indietro le file di camere alla sua destra e alla sua sinistra senza degnarle di uno sguardo in più, così come le infermiere che la guardavano stupite. Aveva gli occhi puntati con risoluzione in avanti.

Ed eccolo lì oltre la porta, all'interno di quella camera che una volta era stata il suo personale purgatorio. Non era stato reale prima, ricordò a se stessa, ma questo volta sì, ne era alquanto certa.
I suoi occhi vagarono sopra la silenziosa forma dormiente di sua zia, che aveva lo stesso aspetto del suo ultimo ricordo di lei, e infine giunsero su Severus. Per un istante non poté far altro che rimanere paralizzata sulla soglia a fissarlo. Eccolo lì, disteso sul letto come se stesse dormendo. No, non dormendo, come testimoniava la flebo da cui le pozioni curative venivano inoculate nelle sue vene. Era incosciente.

Dovette per prima cosa elaborare la situazione prima di riprendere a muoversi. Era vivo. I suoi occhi, come per cercare conferma, ricaddero sul suo petto che si alzava e abbassava a ritmo regolare. Sì, era
veramente vivo. Mosse alcuni passi verso di lui, sopraffatta improvvisamente dalla voglia di toccare la sua mano per dimostrare a se stessa che questo non era solo un sogno, un'altra illusione che l’avrebbe lasciata distrutta e confusa.

L’uomo appariva pallido e vulnerabile. Non l’aveva mai visto così e questo la sconcertò oltre ogni sua immaginazione. Per lei, lui era sempre stato il più forte dei due. Qualcuno che ti faceva voltare quando entrava nella stanza, qualcuno che attraeva involontariamente attenzione per la sua prestanza, per l’autorità che emanava la sua forte personalità. Adesso quel carisma era svanito,lui appariva debole. Le sue dita si avvolsero con attenzione intorno al suo polso. Doveva ancora rassicurarsi che era tutto reale, per quanto orribile la situazione fosse.

Il suo volto era cinereo e la tonalità malsana della sua pelle veniva messa ancor più in risalto dai suoi capelli scuri. Sembrava trasandato e lui non lo era mai. Ciò la irritò oltre ogni limite, e la fece infuriare contro quelle infermiere che passavano rapidamente al paziente successivo senza abbottonargli la vestaglia correttamente, senza spendere due minuti in più per scostargli i capelli dal viso. Si curvò sopra di lui, accarezzando dolcemente la sua guancia con le dita prima di spostargli i capelli indietro.

Non aveva la minima intenzione di lasciare il suo fianco e almeno finché non si fosse svegliato, avrebbe aspettato tutto il tempo necessario. Frugò la stanza con gli occhi in cerca di una sedia su cui sedersi, ma non ne trovò. Forse si sarebbe potuta sedere sul bordo del letto, rifletté brevemente, ma d'altra parte c’erano tutti i tubicini della flebo. Forse non era una buona idea, dopotutto.

Mentre era persa nei suoi pensieri, i suoi piedi si stavano congelando a contatto col pavimento freddo, tanto che le dita si erano già intorpidite. Lentamente divenne fortemente consapevole della sua mancanza di vestiti, e di avere addosso solo un sottile pezzo di stoffa a ripararla dalla nudità totale. Venne scossa dai brividi. Dove era la sua bacchetta? Avrebbe evocato un vestito di pront’accomodo o una coperta, insomma, qualsiasi cosa l’avesse salvata dal congelamento.

All’improvviso intravide un movimento alle sue spalle e si voltò di scatto sorpresa. I suoi fianchi dolsero per quel gesto repentino, ricordandole delle costole rotte che erano state medicate recentemente. Il giovane guaritore era sulla soglia della porta, e sembrava un po’ insicuro.

“Ancora voi? Che volete?” saltò su lei. La sua voce suonò più stanca che acida, come invece avrebbe voluto.

Il guaritore ignorò per gentilezza la domanda, ma soltanto perché era stato nella stanza abbastanza a lungo da vedere quanto il comportamento della donna fosse cambiato intorno a quell'uomo che giaceva incosciente nel suo letto d’ospedale, dimentico di quanto questa donna fosse preoccupata e di quanto lui le fosse caro.

“Sono venuto a dirle che ho avuto un'idea. Potremmo mettere un altro letto in questa stanza, così potrete rimanere qui.”

La sua proposta la lasciò momentaneamente di stucco, poi riuscì a borbottare delle scuse, seguite da un affrettato consenso e un imbarazzato “Grazie”.

“Non mi ringrazi troppo presto. E’ l'ospedale che dovrebbe ringraziarla, veramente. Conosce le nostre misere finanze. Non possiamo permetterci di fare occupare a un singolo paziente un'intera stanza, tutta da solo.”

“Capisco,” disse lei accennando una specie di sorriso. “Mi dispiace, sono stata così scortese prima.”

“Come voi avete perfettamente fatto notare prima, questo è un ospedale. Sono cose che possono succedere, di tanto in tanto.”

Note della traduttrice besemperadreamer:
Ciao a tutti^^
Grazie a lAleCassandra, ElseW, biancalupin e GilGalahad e a tutti coloro che seguono la storia^^
Se trovate errori nella traduzione siate un pò più specifici così lo posso correggere:-)
Alla Prossima!
  
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