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Autore: Eriok    01/11/2010    4 recensioni
Una nuova era. Il mondo dopo Il Giorno dell'Apocalisse. Gli esseri umani come sopravviveranno? Esseri mutanti, con le facoltà di animali selvatici si dividono tra Cacciatori e Vittime... ma uno di loro si mette dalla parte degli oppressi, e una nuova guerra ebbe inizio.
Tratto dal primo capitolo: "Compresi troppo tardi, nella mia corta vita, che ci sono solo due categorie d’esseri nel mondo: i Cacciatori e le Vittime.
E imparai troppo tardi a quale delle due categorie io appartenevo.
Troppo tardi."
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Sovrannaturale
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- Questa storia fa parte della serie 'Cacciatori E Vittime'
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Cacciatori e Vittime

1.

 

 

Compresi troppo tardi, nella mia corta vita, che ci sono solo due categorie d’esseri nel mondo: i Cacciatori e le Vittime. E imparai troppo tardi a quale delle due categorie io appartenevo.

Troppo tardi.

 

«Capo, dove cazzo sei!? Qui ci stanno massacrando!» Chiara urlava nella radio, mentre rumori di pallottole e grida risuonavano nella valle. La castana sparò contro il ghepardo che stava per azzannarla. Il suo cadavere venne scavalcato, mentre correva in aiuto dei compagni.

«CAPO!» chiamò ancora, mentre con velocità infilzava una tigre imbestialita che tentava di ghermire un compagno.

 

“Correre, correre.” Le foglie erano piccole frustate sugli occhi di Elisa, mentre correva alla velocità della luce. I suoi compagni stavano per perire. Dove intervenire.

 

«Eleonora! Dietro di te!» Chiara salvò la vita all’amica, che mitragliò un felino dietro di lei. D’un tratto il branco si fermò nell’attaccare, e si ritirò velocemente.

Chiara, con lo sguardo dubbioso osservava il fuggi fuggi generale degli animali selvatici, mentre i ragazzi sopravvissuti urlavano di gioia per la battaglia vinta.

«Questa fuga non mi convince…» mormorò alla compagna dai capelli neri. Eleonora fece un cenno d’intesa, intuendo i pensieri dell’amica.

«Ragazzi! Aiutate i feriti e torniamo alla base! Coloro che sono in forze e non trasportano feriti raccolgano più carne che possono!» urlò, per poi lanciare uno sguardo alla castana.

«La loro resa non mi convince Chiara, meglio battere in ritirata…» disse.

La castana osservò il cielo, color piombo dal giorno fatidico dell’esplosione. I suoi occhi castani si mischiarono a quelli azzurri della compagna.

«Neanche a me. Andiamocene.» e con velocità raggiunse il battaglione.

La maggior parte dei ragazzi era ormai partita alla volta della base, solo pochi erano rimasti, per racimolare ancora cibo e aiutare i superstiti.

Ma, d’un tratto, un urlo stridulo spezzò il silenzio forzato della foresta.

Eleonora alzò lo sguardo, scorgendo uno stormo di uccelli neri e zampe affilate dirigersi verso di loro.

«Dannazione, i battaglioni aerei! RITIRATA!» urlò agli uomini restanti, mentre altri tentavano di sciogliere lo stormo con spari di mitraglia.

«Non sprecate proiettili, FUGGITE NEI BOSCHI!» Eleonora intravide Chiara ancora nel mezzo della valle, ad aiutare una giovane ferita ad una gamba.

«Chiara, và via!» ma il suo richiamo non fece desistere l’amica. Con la rabbia disegnata sul volto la raggiunse, afferrando la ragazza ferita caricandola sulle spalle.

«Andiamocene, presto!» urlò la castana, mitragliando gli uccelli ormai a pochi metri da loro per coprire la compagna.

Eleonora intanto aveva raggiunto un manipolo di ragazzi, scaricando la ferita e lasciandola a loro.

Con orrore intravide la compagna cadere in mezzo alla valle, alla mercé dei rapaci.

«CHIARA!».

 

“Correre, correre” veloce e decisa, l’ordine nella sua mente rimbombava. La radura ormai a pochi metri da lei, e la sua vista colse i rapaci in posizione d’attacco. E Chiara ferita a terra.

“Correre, correre… Correre ed attaccare” e il comando cambiò.

 

La ragazza dai capelli neri tentò di correre in aiuto dell’amica, sparando agli uccelli intorno a lei, tentando di darle una via di fuga. Ma non si alzava, e stringeva con dolore una gamba.

«Chiara, alzati!» urlò, prima di mitragliare un rapace a pochi metri da lei. l’essere cadde a terra, tra i rantoli del dolore. Eleonora afferrò il braccio dell’amica per sollevarla, ma si ritrovò sbalzata a terra da delle forti tenaglie acuminate.

«AH!» urlò dal dolore, il braccio completamente scorticato.

«Eleonora!» la castana l’afferrò, portandola a terra. E alzando lo sguardo si scoprirono entrambe finite.

I rapaci puntavano a loro, con i loro becchi affilati e le loro zampe acuminate.

Fu un ruggito a distanziarli da loro.

Un ruggito di rabbia e potenza.

Davanti a loro un essere, né donna né pantera. Il volto trasfigurato, con tratti animaleschi. Il corpo leggermente deformato e ingigantito.

Un nuovo ruggito si propagò nella valle, disperdendo temporaneamente i rapaci nel cielo plumbeo.

«Fuggite!» urlò l’essere, con voce roca e gutturale. Parlare le risultava faticoso.

Ma Chiara rispose.

«Io non riesco a camminare, ed Eleonora è svenuta!» rispose trillando, tentando di far rinvenire la compagna dagli occhi azzurri.

Ele… te ne prego, riprenditi…” nel cuore un timore mai avuto prima.

Un rumore di ossa scricchiolanti e leggeri rumori ringhianti le fece levare lo sguardo, trovandosi davanti la vera essenza della bestia: una donna dai corti capelli scuri e occhi castani.

Afferrò con forza Eleonora, caricandola su di una spalla, per poi tentare di afferrare anche l’altra, non riuscendoci.

«Va via senza di me, salva lei!» le disse, capendo le intenzioni della donna. Elisa la guardò, scorgendo nei suoi occhi un timore per l’amica mai scorto fino a quel momento.

«Va! Te ne prego!» e nei suoi occhi neri scorse la paura. Mista a lacrime.

Silenzio. E un ricordo doloroso riaffiorò nell’animo della donna dagli occhi scuri.

«No.» e con quella parola ritentò, prendendole entrambe sulla schiena.

Di nuovo quel suono di ossa incrociate e ringhi sottomessi.

E Chiara si ritrovò sul dorso di una pantera, con Eleonora stretta davanti a sé, mentre fuggivano veloci alla base.

I rapaci, riprendendo coraggio però, stavano già ritornando alla carica, tentando di afferrare le due donne ferite sul dorso del mezzo animale. Un nuovo ruggito si propagò, ma stavolta non funzionò. L’essere tentò di disperderli, fuggendo attraverso la vegetazione fitta. Nel verde acceso della foresta, Elisa tentava di arrivare alla base, unico luogo sicuro.

Raggiunsero in fretta la città vicina, e il grigio del cielo si mischiò alla terra, rinnovando la maledizione dell’uomo: il cemento. Correndo per le vie abbandonate e saltando gli ingorghi di macchine arrugginite raggiunsero il centro, dove a pochi passi stava la base. Gli uccelli erano ancora su di loro.

“Correre, correre.” Nella mente della donna rimbombava solo quella parola. E sulla sua schiena sentiva le mani di Chiara stringerla forte, mentre il corpo di Eleonora stava morto trattenuto dal corpo della compagna.

L’apertura dell’edificio era a pochi metri.

“Correre, correre.” I rapaci continuavano ad attaccarle in picchiata ed Elisa tentava di correre zigzagando, per evitare i colpi d’artigli. L’avevano accerchiata, e Chiara stava urlando per i rapaci che tentavano di ucciderla. Meno male che aveva ancora con sé una pistola. Colpi di proiettile mandavano urli acuti nella piazzetta, mentre Elisa saltava da una parte all’altra per aprirsi uno spazio in mezzo alla miriade di piume e becchi acuminati. Poi, un buco creatogli dalla mora.

Con un balzo Elisa si buttò letteralmente nell’imboccatura, salvando entrambe le ragazze e se stessa.

 

«Bravo, Capo! Le hai salvate!» urla di vittoria giovanili si proruppero nell’entrata. Mentre la donna, tra i rumori di ossa scricchiolanti e ruggiti trattenuti, ritornava alla forma umana.

«Presto, portale in infermeria!» ordinò la giovane, autoritaria. Chiara ed Eleonora vennero poste su delle barelle e portate di corsa nei corridoi.

Pacche amichevoli e urla di vittoria ancora echeggiavano nell’entrata.

«Silenzio!» urlò. Un urlo selvaggio, autoritario. Con un leggero sentore animalesco nella voce. E silenzio fu.

«Voglio un rapporto immediato della spedizione.» parlò, per poi dirigersi a passi sicuri verso la centrale operativa. La donna, soprannominata Capo, in realtà si chiamava Elisa. Il cognome nessuno lo conosceva. Aveva solo 23 anni, eppure in quello stabile, era la più vecchia. L’unica persona che aveva più anni di lei era Amir, il medico di colore, che di anni ne aveva 26. Non aveva neanche l’intero dottorato in medicina.

Elisa camminava, contornata da ragazzi giovani che parlavano come soldati.

«Abbiamo perso due ragazzi e una ragazza nello scontro, ma in compenso abbiamo guadagnato almeno sei cadaveri di felini.» parlò un ragazzo moro e alto alla sua destra. Una cicatrice profonda deturpava la sua guancia, finendo fin in fondo al collo.

«Hanno combattuto con onore. Che riposino in pace.» mormorò, per poi farsi il segno della croce, subito imitata dal resto del gruppo.

Raggiunse un portone, subito aperto da ragazzini, nel salone un grande tavolo elettronico.

«Giacomo, il rapporto dell’area?» chiese la donna, parlando ad un giovine dalla cresta viola vestito di un camice troppo grande per lui. Una catena cingeva il suo collo.

«Abbiamo analizzato i dati che i tuoi combattenti mi hanno consegnato, e abbiamo scoperto un’altra zona acquifera qui vicino.» rispose, parlando da una postazione computerizzata.

«Dobbiamo impadronircene il più presto possibile. La nostra vecchia fonte ormai è quasi prosciugata… Adrian!» urlò la donna trovandosi subito scattante un ragazzo dai biondi capelli, lunghi fino alle spalle.

«Agli ordini!» rispose, facendo il saluto militare.

La donna sospirò scocciata.

«Smettila di fare il pagliaccio e ascoltami. Fatti dare le coordinate della fonte d’acqua da Giacomo, poi prendi una squadra di ricognizione e d’idraulica e vai a prenderne possesso. Quell’acqua ci serve il più presto possibile.» ordinò severa. L’uomo fece un cenno d’intesa e corse a compiere il suo dovere.

Quando raggiunse un enorme tavolo rotondo, si sedette su l’unica sedia lì vicino.

Sul tavolo un enorme mappa della zona fino ad ora conosciuta da loro.

Al centro la città, con le vie agibili e quelle bloccate dalle macchine. Con bandierine rosse le tane dei felini. Quelle verdi le tane degli erbivori ancora esistenti.

In giallo le altre basi sicure, proprio come quella, dislocate una nella foresta, ben mimetizzata. L’altra nelle montagne, ingoiata dalle imboccature tutte uguali. Mentre analizzava con sguardo deciso la mappa interattiva sentì un rumore di radio.

«Qui parla Amir, Infermeria.» una voce profonda e scura.

La donna sorrise, afferrando il talkie walkie e rispondendo.

«Qui parla Elisa, ti ascolto.» affermò, poi lasciò la presa sul bottone, aspettando il tono scuro.

«Raggiungimi, ho bisogno di te.» il tono preoccupato dell’uomo fece dubitare la ragazza, facendola inquietare.

«Arrivo subito.» e con quello abbandonò la sedia per dirigersi con passo veloce per i corridoi dell’edificio.

I corti capelli scuri, con semplice taglio militare, non faceva intuire la natura di essi. Gli occhi scuri, castani e profondamente indefiniti erano indecifrabili. Dei graffi sulla guancia sinistra facevano intuire una ferita di guerra contro un felino. Il semplice corpetto militare lasciava poco all’immaginazione. I pantaloni, militari anch’essi, nascondevano armi in ogni anfratto, e le pistole in bella vista non stonavano con le lame al loro fianco, ben arpionate al corpo della donna. Gli anfibi ai piedi davano un suono sordo al suo passo sicuro, e il tintinnio continuo delle lame lo rendeva inquietante. In apparenza una donna normale, se non fosse per una coda felina che spuntava dal dietro dei pantaloni, completamente nera.

«Cosa c’è Amir?» domandò la donna, raggiungendo l’uomo su un paziente urlante e scatenato.

«Non riesco a fermarlo, e i miei aiutanti vengono sbalzati da lui. Aiutami.» parlò l’uomo con calma, mentre in mano teneva fermo una siringa ripiena di liquido trasparente.

La donna afferrò con forza le braccia del ragazzo, bloccandogli le gambe con la presa a forbice. L’uomo fu veloce e preciso nell’iniettare il calmante e dopo pochi secondi il ragazzo cadde in un sonno profondo.

«Grazie.» rispose cordiale l’uomo, per poi curare il malessere del ragazzo.

Elisa fissò il ragazzino biondo che aveva bloccato. All’apparenza aveva 13, forse 14 anni.

“Così stramaledettamente giovani, e già dati in pasto al mondo…” pensò la donna, indagando le altre barelle, piene. Intravide i capelli castani di Chiara chini su di una, e decise di raggiungerla.

Chiara stava piangendo, poggiata sul corpo dell’Eleonora completamente insanguinato. Un braccio completamente martoriato, arrivando fino alle ossa.

Elisa posò una mano sulla schiena della compagna, facendola sussultare. E i suoi occhi neri incontrarono quelli color cioccolato.

«Elisa…» mormorò tra le lacrime, per poi tentare di alzarsi. Ma la gamba ferita le fermò a metà l’azione.

«Sta buona, e non ti preoccupare… sta pure seduta…» e per cordialità si chinò, arrivando all’altezza dell’amica.

«Elisa… l’Ele… si è sacrificata… per me…» soffiò tra le lacrime, mentre tentava in tutti i modi di asciugarsi e di fermarsi. Ma non ci riusciva.

Elisa l’avvolse, prendendola in un abbraccio duro, ma confortevole.

Chiara scoppiò, piangendo ancora di più, mentre da dietro di lei Amir indagava il braccio della donna sulla barella.

«Sii sincero Amir.» chiese la mora, parlando da sopra la testa della compagna castana.

«Come sempre, amica mia.» rispose, sistemandosi gli occhiali sul setto nasale. Fissò lievemente le condizioni della mora, per poi leggere una cartella poggiata sul comodino vicino.

«Non è messa bene… ma se la caverà.» parlò poi, mentre con velocità e sicurezza si metteva i guanti per intervenire.

Chiara sussultò dalla spalla di Elisa, mentre la donna la guardava sorridendo. Scorgendo nei suoi occhi un sollievo tale da non farla smettere di piangere. Versava lacrime per un motivo totalmente diverso ora.

Le diede delle leggere pacche sulla spalla per poi sussurrarle delle parole che fecero strabuzzare i suoi occhi neri:

«Non avere paura di parlare con lei di questo nuovo sentimento che provi… Non è male, Chiara. È amore. E l’amore non è mai un errore.» e con quelle parole si alzò, sorridendo alla ragazzina seduta su quella sedia, con le lacrime agli occhi.

Sorrise di quel sorriso luminoso che pochi potevano scorgere.

Sorrise di quella luce che raramente si poteva intravedere nel buio di quella era.

 

Nel mondo che ora conosciamo ho visto poca luce, Elisa. Ho pochi ricordi dell’era precedente all’esplosione. Ma il ricordo più vivo e folgorante è la luce del Sole. Caldo. Avvolgente.

E ti dirò di più… Quel sole che da anni non vediamo più, io, Elisa, lo vedo ogni volta. Nei tuoi occhi. Nei tuoi avvolgenti e caldi sorrisi.

E il mio cuore si spezzava nella domanda che ogni volta m’assaliva.

“Perché quel sorriso adesso io non lo vedo più?”.

E adesso mi viene da ridere, perché conosco la risposta.

Ed era solo una stupidaggine.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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