Questi personaggi non mi appartengono, sono di proprietà di Stephenie Meyer, quindi questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.
Eravamo
in piena estate, nessuno per le strade. Il
silenzio era pesante fastidioso. Era buio e faceva freddo.
Lo sentivo nelle ossa.
Una goccia di sudore mi accarezzò il viso, fermandosi sul
mento dritto.
Di fronte a me, Charlie Swan, il famoso imprenditore di San
Diego.
-Non farlo.- mi chiese, tremando. Era spaventato e non
aveva torto ad esserlo.
Nello stesso momento in cui Charlie parlò, Demetri mi
ordinò di agire.
-Non chiedermelo.- risposi.
L'uomo di fronte a me serrò gli occhi e fece il segno
della croce lentamente. I suoi gesti erano dettati sì dalla
paura, ma anche
dalla voglia di rubare alla vita quel respiro in più.
E chi ero io per avere la presunzione di poter prendere
una decisione tanto importante?
Lo guardai ancora e, quando riaprì gli occhi, il lampo che
li attraversò investì anche me: le sue emozioni
erano talmente forti che non
avrei mai potuto ignorare di averle vissute per quell'attimo in cui
l'avevo
guardato.
-Ti prego...- implorò.
-Sparagli!- ordinò ancora Demetri.
Guardai di nuovo Charlie, poi gli diedi le spalle e mi
rivolsi a Demetri. -No.
-Cosa?
-Non gli sparerò.
-E' per quella puttanella, vero?
-Non è una puttanella... e non è per lei. Non
solo,
almeno...
-Questo bastardo ha ucciso tua sorella.
-E' stato un incidente.
-L'ha fatto apposta. L'ha uccisa volontariamente.
-Non mi pare. Quelli che uccidono volontariamente siamo
noi, non lui.
-L'ha uccisa.
-E' stato un incidente! Ha rischiato anche lui di morire.
-Sparagli!
-No.
-Sparagli, ho detto.
Sorrisi beffardo e gli voltai le spalle. Mi incamminai
verso Charlie, la pistola tra le mani.
Non avevo mai ucciso fino a quel momento e non me ne
vergognavo. Proprio per questo non l'avrei mai fatto.
Gli occhi di Charlie erano fissi su di me, le orecchie
tese ad ascoltare ogni mio passo, le mani strette a pugno, ma incapaci
di
difendersi.
Quando gli fui di fronte, gli diedi una pacca sulla
spalla. -Va via.
-Stai correndo un grande rischio.
-Ne vale la pena.
-Perchè lo fai?
-Un giorno capirai... e spero che accetterai. Ora va.
Mi sorrise e iniziò a camminare. I suoi piedi camminavano
sempre più veloce, fino a diventare corsa.
Aspettai che si allontanasse.
In quel frammento di tempo, tutti gli ideali con cui ero
stato cresciuto crollarono come castelli di sabbia colpiti dalle onde:
non
erano i soldi, né un cognome a rendere importante e potente
una persona. Era
ben altro, qualcosa che sperai di poter conoscere presto.
Mi avviai verso Demetri e lo affiancai. -Sei un codardo.-
mi disse.
-Sali e guida.
-Tua sorella è morta per colpa di quell'essere e doveva
pagare per il crimine che ha commesso.
-Mia sorella è morta.
-Perchè è stata investita.
-No. Jane è morta perchè era ubriaca.
Mi guardò come se avessi bestemmiato. Poi, tornò
a guardare
la strada. -Non sei degno di essere figlio di Aro. Molti, al tuo posto,
pagherebbero affinché venisse commissionato loro un delitto
d'onore.
-Già. Tu sei uno di quei molti, vero?- dissi, storcendo le
labbra per il senso di nausea che sentivo addosso. La mia non era una
domanda,
quindi non aspettai nessuna risposta.
Delitto d'onore, che idiozia.
Quale onore poteva avere un uomo che uccideva qualcuno che
con un incidente aveva causato la morte di un altro, rischiando la
propria
vita, pur di salvare quella dell'altro? Nessun onore.
E quale diritto poteva avere un uomo come mio padre di
forzare il destino di un altro uomo? Nessun diritto.
Jane era ubriaca ed era andata fuori strada, investendo
altre due auto. La prima è stata quella di Charlie Swan, ma
lui che colpa
aveva? Nessuna, se non quella di essersi trovato nel posto sbagliato al
momento
sbagliato.
-Codardo, vigliacco. Ecco cosa sei... un ingrato.-
continuava Demetri. -Vile. Sei un perdente!
Presi la pistola dal fodero e gliela puntai alla tempia.
-Ti consiglio di chiudere la bocca se non vuoi trovarti con il cervello
intasato di piombo.
-Oh oh...abbiamo ritrovato il coraggio?
Caricai il grilletto. -Sei stanco di vivere, Demetri?
Mi fissò. La sicurezza che ostentavo spaventò
anche me:
riuscivo a sentirla, mentre scorreva nelle vene.
E capii che anche Demetri l'aveva colta quando lo guardai
negli occhi: le iridi verdi-azzurre avevano perso il brillio che le
caratterizzavano
quando sapeva sua la vittoria. -No.- rispose.
Continuai a guardalo, mentre aprivo il finestrino: l'aria
che mi colpiva il viso riusciva a farmi pensare meglio.
Avevo bisogno di essere lucido al cento per cento... non
sarebbe stato facile comunicare la mia decisione ad Aro.
-Bene.- dissi, volgendo lo sguardo altrove.
Il silenzio, per il resto del tempo, fu nostro compagno di
viaggio.
Quando arrivai nella grande villa, mi diressi all’ala
ovest della residenza, lì, dove c’era lo studio di
Aro.
Prima, mi fermai per un momento fuori la porta, poi,
bussai con le nocche delle mani.
-Avanti.
Aprii la porta e la richiusi alle mie spalle…
Salve
popolo di EFP.
Eh sì, per il vostro grande dispiacere sono tornata con
una nuova storia.
La mia mente malata non smetterà mai di partorire idee
insane e le mie mani, ovviamente, non andranno mai contro la
volontà del mio
cervellino xD
Il prologo si svolge in medias res, ciò vuol dire che i
capitolo che seguiranno descriveranno avvenimenti precedenti e
successivi a
quello che avete appena letto.
Beh, fatemi sapere cosa ne pensate.
Grazie in ogni caso, anche se avete perso solo un po’ di
tempo a leggere le mie pazzie.
Un bacio, la vostra Exentia_dream