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Autore: Puglio    23/11/2010    8 recensioni
Sono passati quasi dieci anni dalla battaglia contro il Kishin. Maka e i suoi amici sono cresciuti e molti di loro sono cambiati. C'è chi ha intrapreso una carriera all'interno della Shibusen, chi si è sposato, chi si è allontanato... ma sarà proprio il ritorno di uno di loro a cambiare la vita di Maka, quando già sembrava segnata in modo irreversibile.
Nota: in alcuni i casi i personaggi potranno apparire ooc. Se è così, è perchè li ho voluti far crescere. Dieci anni passano per tutti, anche per loro...
Non credo di inserire siparietti comici in stile con l'anime. Per farlo, credo, bisogna esser bravi e io non credo di esserlo. Il rischio è di fare qualcosa di ridicolo, più che di divertente.
Per finire... ora che la storia è terminata, posso dire di essermi divertito molto nel realizzarla. Perciò, spero sinceramente che possa piacervi, e che nel leggerla possiate trovare lo stesso divertimento che ho provato io nello scriverla.
Buona lettura! E grazie per essere passati di qua.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Black Star, Death the Kid, Maka Albarn, Soul Eater Evans, Tsubaki
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Maka non riusciva ad essere tranquilla. Se ne stava seduta alla sua poltrona, aspettando che Soul si facesse vivo, ma per il momento non era ancora accaduto. Innervosita, lanciò un'occhiata all'orologio sul camino, che segnava le dieci e trenta. Soul aveva un ritardo di mezz'ora. Ormai era chiaro che non sarebbe arrivato.

Si passò una mano tra i capelli, accavallando le gambe. Avrebbe dovuto aspettare? Forse ancora cinque minuti, giusto per essere sicuri...

Erano quasi le undici quando alla fine Maka si alzò. Senza dire una parola, raccolse l'impermeabile e lo infilò, dandosi una veloce occhiata allo specchio. Quindi raccolse le chiavi di casa e si avviò cupa alla porta. Yuko, la babysitter, sporse la testa oltre il divano.

«Professoressa, ma... che fa? Esce?»

Maka si allacciò l'impermeabile, infilando in tasca le chiavi. Quasi sembrò non averla notata.

A quel punto, Yuko si alzò, andandole incontro e stringendosi nelle braccia.

«Signorina Albarn...»

«Io vado, Yuko» fece Maka, senza voltarsi. «Mi raccomando, non aprire per nessun motivo. E non lasciare mai solo Daniel. Ti ho lasciato il numero della Shibusen, nel caso sentissi qualcosa o avessi bisogno di aiuto. Chiama, e loro ti manderanno subito qualcuno».

«Sì» fece Yuko, perplessa. «Ma lei...»

«Questo è il mio dovere» commentò Maka, come fosse una cosa ovvia. «Non posso restarmene qui, mentre gli altri rischiano la vita. Non credi anche tu?»

«Ma lei non ha una...»

Di fronte all'espressione sconcertata di Maka, Yuko arrossì, rendendosi conto di aver detto qualcosa di troppo. Maka si accorse del suo imbarazzo, e le posò una mano sulla spalla, sorridendo.

«Anche se non ho una Buki, combatterò ugualmente. Anzi, probabilmente lo farò anche meglio» disse, sforzandosi di apparire sicura. Yuko la fissò con uno sguardo poco convinto. Maka impallidì.

«Non aver paura. Ci vediamo domattina» le disse, cercando di scacciare dalla sua mente il ricordo dello sguardo della ragazza. Aveva già abbastanza paura. Non aveva bisogno di caricarsi anche di quella degli altri.

Fu con un certo sollievo che uscì di casa, richiudendosi piano la porta alle spalle. Fuori, l'aria era pungente. Maka strizzò gli occhi, respirando a fondo. Il suo fiato si addensò in una nuvoletta tremolante, che per un attimo le galleggiò attorno al viso, prima di dissolversi del tutto. C'era silenzio, intorno a lei. Un silenzio tanto profondo che ad ascoltarlo sembrava di calarsi in una tazza di melassa gelatinosa. La lampadina delle scale mandava un ronzio appena udibile, vibrando in quella notte densa come una debole e lontana interferenza. Non si muoveva nulla. Tutta Death City sembrava calata in un sonno inverosimile.

Maka rabbrividì. Chiuse gli occhi, chiamando a raccolta tutto il proprio coraggio. E finalmente, si staccò dalla porta.

I suoi passi lungo il piccolo portico risuonarono spettrali. Un passo, due passi, tre...

Era come camminare in una sala vuota.

Maka misurò la distanza che la separava dalle scale. Ogni passo era come un macigno, che piombava pesantemente al suolo. Il tacco dei suoi stivali di pelle batteva sulle mattonelle di cotto con una tale determinazione che sembrava dovesse quasi penetrarle. Ad ogni passo, Maka si sentiva come sprofondare. Forse era perché le gambe le tremavano, o forse era per quel suono così strano che mandavano i suoi passi, un suono cupo e secco, simile a un martello, che si staccava dai suoi piedi per poi vibrare a lungo nell'aria, attorno a sé; fino a quando non andava a raggiungere le ombre che danzavano ai lati dei suoi occhi, pallide come tanti spettri febbricitanti.

Smettila di pensare. Ti stai lasciando suggestionare come una stupida.

Shinigami aveva detto che il Kishin aggrediva le ragazze sole. Erano già tre, le persone sparite da quando il Kishin era apparso la prima volta. Tre ragazze intorno ai venticinque anni. Proprio la sua età.

Maka scrollò le spalle, scossa da un brivido. Si sollevò il bavero dell'impermeabile, chiudendoselo davanti alla bocca. Non era da lei provare tutta quella paura. Non capiva il perché le capitasse una cosa del genere, proprio in un momento come quello. Era una Shokunin. Aveva combattuto centinaia di volte nella sua vita, e aveva sempre vinto.

Però, prima di allora, non era mai stata sola.

Quando mise piede sul primo gradino, un rumore, unito al breve guizzo di un'ombra in fondo alle scale, la fece trasalire. Maka si irrigidì. Restò a fissare quell'ombra farsi sempre più grande e scura, mentre lei continuava a non muovere un passo. Provò a pensare alla tecnica che aveva appreso per trasformarsi, ma per qualche ragione non le veniva in mente. La sua mente era completamente vuota. Sudava.

Dei passi risuonarono lenti, su per i gradini. Maka trattenne il fiato. Doveva assolutamente trasformarsi, ma più pensava a come farlo, più non sapeva da dove cominciare. Si era allenata a lungo, ma non era mai uscita in missione da sola e non aveva considerato l'ansia che prende in quei momenti, svuotandoti la mente. Quella era la prima volta, dopo tanto tempo, che usciva per un incarico. E se non cambiava presto qualcosa, sarebbe stata anche l'ultima.

Lentamente, Maka ritornò sui suoi passi. Risalì il gradino, senza voltarsi, gli occhi fissi sulla curva che facevano le scale. La mano che teneva attorno al collo le scivolò come abbandonata lungo il fianco. Provò a stringerla a pugno, ma era intorpidita. Si passò la lingua sulle labbra socchiuse, ormai secche per il freddo e per la paura.

Era stata una stupida a uscire. Ma ormai era lì, e non si sarebbe tirata indietro.

Ciò che si nascondeva in fondo alle scale prese a risalire. Maka attese, mentre il suono dei suoi passi si faceva sempre più vicino. Chiuse gli occhi per un attimo, forse l'ultimo istante della sua vita. Chissà se doveva pregare, in un momento come quello...

Non che le importasse. Non conosceva molte preghiere.

Con un sospiro, Maka trattenne il suo cuore dall'esplodere. Ora era nuovamente padrona di sé. Ascoltava ciò che la sua mente le diceva, e cominciava a riacquistare energia. Pur nella sua debolezza, aveva un qualche punto di vantaggio. Il campo di battaglia era pur sempre casa sua. E poi i suoi amici, non vedendola arrivare, sarebbero venuti a cercarla. Forse.

Comunque, ormai non c'era più ragione di preoccuparsi. Era questione di pochi istanti, poi...

«Ohi, Maka».

Maka strabuzzò gli occhi. Incredula, fissava il volto assonnato di Soul, che risalì in quel momento l'ultimo gradino con un grosso sbadiglio.

«Soul?»

Lui si grattò la testa, frugandosi nella tasca della giacca. Estrasse una sigaretta, che fece per accendersi. Furiosa, Maka gli si scagliò contro, strappandogliela dalle labbra. Lui la osservò perplesso, mentre la buttava a terra e la pestava con la punta aguzza dello stivale.

«Sei in ritardo» esclamò lei. Lui sembrò realizzare quanto era appena successo solo in quel momento.

«Non mi avevi detto l'ora» disse, ma senza aver l'aria di volersi scusare. Maka digrignò i denti.

«Muoviti, idiota».

Camminavano veloci. O meglio, Maka camminava veloce. Soul le stava dietro annoiato, limitandosi a non perderla di vista. Seccata, Maka si voltò, squadrandolo.

«Vuoi darti una mossa?» fece. «Gli altri ci stanno aspettando da un pezzo».

«Se vuoi il mio parere...»

«Non mi interessa il tuo parere».

«Come vuoi» fece lui, «ma non credo che sia una buona idea muoversi tutti insieme».

Maka rallentò il passo, lasciando che lui la raggiungesse. Lo guardò perplessa.

«E perché?» chiese.

«Non hai detto che il Kishin attacca solo ragazze sole? Se ci muoviamo come un branco di iene, non si farà mai vedere».

«E tu cosa suggerisci?»

Soul sollevò le spalle. «Credo che sarebbe meglio andare divisi. Due al massimo. Tre, se non si vuole lasciare Crona da solo. Ma non di più».

Maka sembrò riflettere su quanto Soul aveva appena detto. Per quanto odiasse ammetterlo, la sua idea non era affatto male. Anzi, sembrava decisamente sensata. Chissà perché non era venuto in mente anche a lei.

«Eccoli» fece Soul. Maka alzò gli occhi. Nella piccola piazza, proprio davanti a loro, un folto gruppetto di persone attendeva raccolto. Non appena i loro compagni li videro sbucare dal fondo della strada, si levò un mormorio agitato.

«Finalmente» latrò Black Star. «Credevamo già di dovervi venire a prendere nello stomaco del Kishin. Lasciami indovinare, Maka» aggiunse, lanciando un'occhiata obliqua all'indirizzo di Soul. «La colpa è di quel deficiente, vero?»

«Hai qualche dubbio?» commentò Maka, inarcando un sopracciglio. Improvvisamente si rabbuiò, notando l'occhiata di intesa che Liz stava rivolgendo a Soul, credendo forse di essere non vista.

Per quanto la cosa la seccasse, doveva assolutamente resistere alla tentazione di guardare se lui le rispondeva. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione, per nulla al mondo...

Ha risposto! Quel bastardo maledetto.

«Bene, adesso che ci siamo tutti possiamo organizzarci» cominciò Kid. «Io direi di cominciare col battere la zona del mercato, quindi...»

«Aspetta».

Gli occhi di tutti si voltarono verso il volto di Maka. Sembrava in preda a una forte determinazione, e ad un certo fastidio.

«Quello scemo di Soul ha avuto un'idea che mi sembra buona... anche se mi secca ammetterlo» aggiunse con un ringhio, avvertendo la soddisfazione di lui nel ghigno che portava vagamente stampato in volto. «Credo che sia meglio se andiamo divisi».

«Divisi?» commentò Tsubaki. «Ma potrebbe essere pericoloso».

«Sì, però è il modo migliore per coprire tutta la città. E poi, il Kishin non si farà mai vedere se agiamo in gruppo. Se siamo al massimo in due, le probabilità che sia lui stesso ad attaccarci sono molto più alte».

Quell'idea lasciò tutti piuttosto perplessi. Ma per quanto provassero a pensare diversamente, era chiaro che aveva parecchio senso.

«D'accordo, faremo come dici tu» convenne Kid. «Ma cerchiamo di muoverci in modo preciso. Non procediamo a casaccio, altrimenti rischieremmo di allontanarci troppo gli uni dagli altri. In caso di necessità, diventerebbe troppo difficile arrivare in tempo per i soccorsi».

«Movimento simmetrico» lo schernì Black Star, ondeggiando i fianchi. Kid impallidì.

«Fissiamo dei punti di raccolta» suggerì Tsubaki. «Ci troveremo tutti davanti alla chiesa, che ne dite? Poi vedremo come procedere».

Convennero tutti che era una buona idea. Si sarebbero incontrati sotto il campanile all'incirca dopo mezz'ora. Quindi, dopo essersi scambiati le ultime raccomandazioni, si allontanarono; e ogni Shokunin scomparve imboccando un vicolo di Death City, assieme alla propria Buki.

«Siamo rimasti soli» commentò alla fine Soul, con un ghigno. «Devo dire che la cosa non mi dispiace».

Maka gli rivolse un'occhiata sferzante.

«Per favore, risparmiami le tue melensaggini» disse, con aria di evidente disgusto, «e vedi di non metterti a fare qualche tiro dei tuoi, intesi?»

Soul alzò le mani, assumendo un'espressione offesa. «Io?» disse. «Assolutamente».

Fu con un sospiro che Maka si incamminò insieme al suo vecchio compagno, calandosi con lui nella nera notte che avvolgeva Death City come un manto.

 

 

*

 

 

Le campane risuonarono per la seconda volta. Erano le due. Ancora poche ore, e sarebbe spuntata l'alba. Il Kishin non si era visto.

Maka calciò un ciottolo, sbuffando silenziosa. Soul, al suo fianco ma molto più discosto, se ne vagava per nulla interessato a quello che avevano intorno. Ogni tanto lanciava una qualche occhiata a Maka, indugiando su di lei più del dovuto e trovandola via via stanca, pensierosa, frustrata.

O arrabbiata, come in quell'ultimo caso.

«Si può sapere che vuoi?»

«Scusa, non ti si può neanche guardare?»

Maka sollevò le spalle, riparandosi dietro il bavero dell'impermeabile. Soul tacque, preferendo non aggiungere nulla.

«Almeno sei venuto, anche se non è servito a molto» farfugliò lei. Soul fece finta di non aver sentito.

«Ho detto che almeno sei venuto!» ripeté Maka. «Dove sei stato, piuttosto? Scommetto che eri al locale di Blair».

«Ero in giro. Dove, non ti riguarda».

«Oh, mi scusi. Non intendevo farmi gli affari suoi, signore».

«Come io non mi faccio i tuoi» aggiunse Soul.

Per un po', nessuno disse nulla. Quindi, «senti, Kid si è arrabbiato e non vuole più che Daniel venga a lezione da te...» saltò su Maka. «Mi dispiace». Soul, alle sue spalle, annuì.

«Lo immaginavo».

«Cosa?»

«Che prima o poi sarebbe successo».

Maka alzò gli occhi dal vicolo buio in cui stava guardando, per fissarli sul volto annoiato di Soul.

«Adesso non metterti a fare del sarcasmo» fece. «Se è successo, è solo colpa tua».

«Io non ho fatto nulla» ribatté Soul, fermo. «Ma in un certo senso mi sento sollevato. Credo che sia meglio, se Daniel non pensa più alle Buki. Almeno per un po'...»

Maka arrossì. Le aveva fatto uno strano effetto sentirlo pronunciare con tanta familiarità il nome di suo figlio. Si intenerì, anche se non ne sapeva bene il perché.

«Kid pensa che lui voglia farlo per dispetto, e che magari sia stato proprio tu a spingerlo».

«E come avrei fatto?»

Maka rise. «Non lo so. Kid a volte si comporta in maniera stupida. Ma se lo fa, è perché ci tiene a noi».

«Noi?»

«Daniel ed io».

Soul aggrondò. Per qualche istante era riuscito a dimenticare che loro erano una specie di famiglia.

«Perché è finita?» azzardò. Maka stava rovistando tra alcuni sacchi dell'immondizia, spostandoli con un manico di scopa abbandonato trovato lì accanto. Nemmeno sollevò gli occhi.

«Cos'è che è finito?»

«La storia tra te e lui» disse Soul. Maka gettò via il bastone, spazzandosi le mani l'una contro l'altra.

«Chi ha detto che è finita?» chiese, perplessa. Davanti al suo sguardo inespressivo, Soul impallidì.

Al diavolo.

«Tu, piuttosto» fece lei, infilandosi le mani in tasca e frugandovi alla ricerca di un fazzoletto. «Ti vedi con Liz?»

Lui grugnì qualcosa di indistinto.

«Come?»

«Così pare» ripeté, ora a voce un po' più alta. Maka sentì un fremito improvviso. Per un attimo, l'alone fiacco della luce che i lampioni spargevano attorno a loro, parve indebolirsi ancora di più.

«Interessante» commentò. «Non me l'aspettavo...»

«Non ci vado a letto».

Maka arrossì. Lo guardò, ma trovandolo che la stava fissando, distolse immediatamente lo sguardo, posandolo sull'androne buio di un palazzo alla sua destra.

«Non te l'ho chiesto, e comunque non è affar mio».

«Questo è sicuro, ma mi sembrava giusto dirtelo».

«Non vedo perché».

Lui sospirò. Maka sorrise.

«Comuque... grazie», mormorò.

Soul inarcò un sopracciglio. «Davvero ti piace ancora?» le chiese. «Kid».

Maka scoppiò a ridere. Lo guardò, le guance leggermente arrossate. «Ti dispiacerebbe?»

«Potresti limitarti a rispondere senza fare tutte queste domande» obiettò lui, caustico. «Sei sempre la solita petulante...»

Per un attimo si guardarono, e calò il silenzio. Lui sembrava attendersi qualcosa, ma non accadde nulla. Lei gli rivolse uno sguardo curioso.

«Che c'è?»

«Mi aspettavo che tu mi tirassi una sberla, o qualcosa del genere» fece lui, inarcando un sopracciglio. «Un tempo l'avresti fatto».

«Già, ma ora sono cresciuta. Non mi preoccupo più di certe cose... però» fece raccogliendo alcuni ciottoli di ghiaia che si erano sollevati dal selciato «posso sempre trovare qualcosa con cui colpirti».

Lei prese a lanciargli i sassolini, ridendo. Lui li schivò, con un pallido sorriso sul volto. Quando il suono dell'ultimo sassolino che rimbalzava sul selciato si spense, Maka si strofinò le mani per pulirsele dalla polvere, e abbassò gli occhi. Improvvisamente triste, si morse le labbra.

«Quando sei così, chi riuscirebbe a non volerti bene?» disse. Soul si fermò, perché anche lei si era fermata. Lo guardava, torva.

«Non capisco perché te ne sei andato, Soul» fece. «Avresti potuto dirmi tutto. Avremmo trovato una soluzione».

Lui la guardò a lungo, senza dire nulla. Quindi gonfiò il petto in un profondo sospiro, grattando l'asfalto sotto i suoi piedi con la punta della scarpa.

«Non a questo, Maka» fece. Lei tacque. In silenzio, lui estrasse una sigaretta e se la portò alle labbra. Quando avvicinò l'accendino, per un attimo, il suo volto risplendette dei vividi bagliori azzurrognoli della fiamma. Quindi, tutto ciò che restò a brillare nel buio, fu la punta ardente della sua sigaretta.

«E allora, perché sei tornato?» esclamò lei, livida. «Perché non te ne sei stato in quel buco in cui ti sei cacciato per tutti questi anni? Stavamo bene senza di te. Io stavo bene. Poi torni, e tutto diventa improvvisamente troppo complicato».

«Non c'è nulla di complicato. E poi non ho intenzione di restare qui a lungo».

Maka sbiancò. Si avvicinò di un passo, fissandolo dritto negli occhi. Lui aspirò l'ultima boccata di fumo, trattenendola sul fondo dei polmoni e rilasciandola dopo qualche secondo. Quindi gettò la sigaretta a terra, pestandola col piede.

«Parti?» chiese lei, timidamente. «Ancora?»

Lui scrollò le spalle.

«E perché sei tornato, allora? Non capisco».

«Perché avevo fatto una promessa a Shinigami. E perché dovevo rivedere...»

Maka socchiuse le labbra. «Chi?»

Lui la guardò. Quindi si volse, muovendo qualche passò lì attorno.

«Sei sicura che si tratti di un Kishin?» fece, cambiando improvvisamente discorso. «Non potrebbe essere un semplice delinquente, un uovo di Kishin?»

Maka divenne dura, ma scosse la testa. «No» fece, scrutando nell'ombra. «Shinigami è sicuro che si tratti di un Kishin. Sembrava molto preoccupato ieri, quando siamo andati da lui. Si è raccomandato di usare la massima attenzione».

«Capisco».

«Ma è strano» fece Maka, perplessa. «Non riesco a capire... ho provato a leggere l'anima del Kishin e sento che è vicinissimo. Ma per quanto mi sforzi, non riesco a individuarlo. Percepisco chiaramente la presenza della sua anima, ma allo stesso tempo la sento vicina e lontana... vedo la tua, e sento la mia... quella del Kishin è fortissima, ma non so dove sia. È come se fosse a un palmo dalla mia mano eppure, ugualmente, è lontanissima e sfocata».

Soul ghignò. «Forse, hai perso parte della tua capacità».

«Non è così» obiettò lei, senza curarsi della sua ironia. «C'è qualcosa di strano. È come se l'anima del Kishin si nascondesse dietro un velo, la cui forza riesce in qualche modo ad occultarla. Forse si fa scudo con l'anima di qualcuno, o forse...»

«I miei complimenti».

Maka si voltò. Un'ombra si staccò lentamente dal muro, prendendo forma davanti ai suoi occhi. Era come se il buio si stesse improvvisamente cristallizzando, assumendo la forma di un corpo vivo. Con stupore crescente, Maka fissò le due cavità che si aprivano in quello che doveva essere il volto di quell'essere, due buchi profondi come pozzi scavati nella terra nuda e nera, sul cui fondo ardevano fiamme le cui lingue rossastre si contorcevano come impazzite. Due lunghe strisce di tenebra si separarono dalla notte con uno schiocco sinistro, saettando gocciolanti attraverso l'aria improvvisamente gelida. Il corpo ancora informe del Kishin si sollevò facendo forza su quelle due semplici braccia, fino ad emergere completamente, un liquido grumo notturno che assorbiva ogni luce attorno a sé.

«Sei una ragazza davvero intelligente, Maka. Non c'è che dire» mormorò il Kishin. La sua risata gli uscì da quella che sembrava essere la sua gola, ma che in realtà non era che un ammasso agglutinato di materia bruna, che formicolava incessantemente come alla ricerca disperata di quella forma che ancora tardava a manifestarsi. Maka indietreggiò, cercando Soul con la coda dell'occhio.

«Soul...» mormorò. Lui non rispose.

«Ah, cerchi lui» sibilò il Kishin. «Avanti, Soul. Non aiuti la tua amica?»

Maka si voltò. Soul era là, alle sue spalle, il volto pallido e teso. Fissava duramente il Kishin.

«Soul, trasformati! Presto» gridò Maka. Soul digrignò i denti.

«Soul?»

«Non posso».

Per Maka fu come una doccia fredda. Tremò, volgendo lentamente lo sguardo verso il Kishin. L'ombra si era fatta sempre più cupa e densa, ma ora aveva acquistato una qualche forma, seppur vaga. Si era rimpicciolito, e allo stesso tempo sembrava aver assunto tratti più armoniosi. Le lunghe lingue di tenebra che fungevano da braccia si erano ridotte, e ora penzolavano leggermente oscillanti lungo i fianchi di quello che sembrava essere un corpo umano. Le membra erano ancora mobili e tondeggianti, come serpenti che brulicavano fluttuanti nell'aria. Solo gli occhi erano gli stessi, ma più intensi.

«Che succede, Maka?» fece il Kishin. La sua voce era fredda, e tagliente, come il vento che colpiva Maka in volto, ferendola alla pelle. «Percepisco il tuo smarrimento. Hai paura? Sì, hai paura. Ti senti abbandonata... poverina».

Rise, e fu come se tutte le stelle del cielo si fossero spezzate, riducendosi in polvere. Maka non riusciva a reggersi sulle gambe. Cercava disperatamente una soluzione, ma si sentiva soffocare. L'aria si era come rarefatta, inghiottita dalla notte che turbinava intorno a quell'essere come un uragano.

«Ora capisci come ci si sente, non è vero? Essere soli, abbandonati, in balia di qualcosa che non si può gestire...»

«Io non ho paura» mormorò lei, con tutte le sue forze. Il Kishin si chinò su di lei. Maka ne sentì il terribile puzzo di morte penetrarle fin sotto la pelle.

«No, tu non hai paura... Tu sai vincere la paura, ma questo... non ti servirà. E sai perché?»

Ti prego, Soul...

Maka tese una mano dietro la schiena. Soul doveva solo toccarla.

«Non ti servirà perché non è la paura ciò che devi temere. Ciò che più devi temere, è il dubbio. Senza il dubbio, la paura non esiste. Se non abbiamo dubbi, non abbiamo paura. Ma non possiamo non avere dubbi, perché questi non dipendono da noi. Il dubbio è come un verme» fece il Kishin, e dalla sua mano aperta sgusciò fuori una cascata di grossi vermi bianchi, che caddero al suolo contorcendosi tutti, l'uno sull'altro. «Esso si insinua dentro di noi, in silenzio, senza che noi possiamo fare nulla per impedirlo. Come il verme scava lentamente la terra, il dubbio rode la tua coscienza, e depone in essa le sue uova. Quando queste si schiudono, la tua anima viene imprigionata da altri dubbi, che come vermi disgustosi e striscianti serpeggiano al suo interno, moltiplicandosi fino a sbriciolarla. Finché, alla fine, tu... non esisti più».

«Soul, dannazione!»

Maka sudava. Aveva la pelle d'oca in tutto il corpo e il sudore le gocciolava lungo la schiena e la fronte, mandandole dei brividi.

«Ora, proprio adesso, tu hai dei dubbi, Maka. Ti chiedi se hai fatto bene a fidarti ancora una volta di Soul. E ti chiedi se i tuoi amici riusciranno ad arrivare in tempo...»

«Loro arriveranno».

«Loro arriveranno di certo» ridacchiò il Kishin. «Resta da vedere quando».

Maka indietreggiò ancora. Sembrava che il Kishin non avesse alcuna fretta. Sapeva che gli altri sarebbero giunti da un momento all'altro, perché non vedendola al punto di ritrovo sarebbero corsi a cercarla. E poi, Stein avrebbe percepito immediatamente la presenza dell'anima del Kishin. Almeno lui sarebbe arrivato...

… allora perché quell'essere era così dannatamente sicuro?

«Dubbi, dubbi...»

«Smettila!»

«Dubbi, dubbi... quanti dubbi. Sembra facile fidarsi, quando tutto va bene, vero? Quando tutto è facile, quando non si ha paura di perdere tutto. In quel momento, però, cominciamo a chiederci se quelle debolezze che ognuno ha, non impediranno a coloro a cui ci siamo affidati di salvarci. In fondo, sai che i tuoi amici non sono abbastanza forti. E sai anche che tu stessa non possiedi la forza necessaria per vincere. Non è vero?»

Maka si sforzava di non sentire. Ma per quanto lo facesse, la voce di quell'essere le trapanava il cranio con un'insistenza a cui non riusciva minimamente a opporsi.

«Ah, ora sento il dubbio, dentro di te. Lo sento, bello grasso e vivo. Lo percepisci? Come una crisalide, si sta dibattendo... prima lentamente, e poi sempre più convulsamente, finché...»

«Soul, dammi la mano!»

Maka si voltò, lanciando a Soul uno sguardo supplichevole. Lui indietreggiò.

«Soul, per l'amor di dio!»

«Non posso essere la tua Buki!»

«Che diavolo fai, Soul! Muoviti!»

Lui alzò gli occhi sul Kishin, le cui braccia guizzanti terminavano unendosi in un abbraccio con la notte che li circondava entrambi. Ancora pochi attimi, e...

«Soul! Trasformati ora, o vattene!»

Soul guardò angosciato Maka, che lo fissava con le lacrime agli occhi, ma sul volto un'espressione di dura condanna. Strinse i denti.

«La senti, Maka?» esclamò il Kishin, trionfante. «La senti? È qui, e non la puoi battere! Arriva! È questa, la vera...»

«Maka, no!»

«...paura!»

Soul cercò di sottrarsi alla presa di Maka, ma non ce la fece. Non appena lei gli afferrò il braccio, il richiamo della sua volontà fu talmente forte che lui fu costretto a trasformarsi per lei. In un attimo, Maka strinse tra le mani una falce scintillante, la cui lama lucida rifletteva come bagliori di tenebra viva.

Gli occhi del Kishin dardeggiarono. Indietreggiò.

«E adesso» fece Maka «ti farò assaggiare la vera...»

Fu come se qualcosa avesse risucchiato l'aria attorno a lei. Maka strabuzzò gli occhi. Sentì la pelle tendersi e seccarsi, per poi spaccarsi e accartocciarsi. Fiamme di fuoco le dilaniavano la carne viva sotto di essa, e le ossa al suo interno si frantumarono. Lanciò un grido, che non lasciò mai la sua gola in fiamme. Un dolore lancinante la percorse tutta. Il sangue prese a ribollirle nelle vene.

Cadde, come da una distanza altissima. Era come se stesse cadendo all'interno di un pozzo, un pozzo profondissimo e buio. Una risata folle echeggiava attorno a lei, dentro di lei, risalendo le sue terminazioni nervose. Le esplose nel cervello, che si liquefece, come ghiaccio sotto l'azione del sole cocente. Si trovò a navigare in quella brodaglia grigiastra da cui le ombre di pensieri e ricordi spuntavano come punte di iceberg qua e là, o come pallidi relitti morenti.

Sentiva una pazzia sorda crescere in lei, e un'insana voglia di sfogare tutta la propria frustrazione, e rabbia. I suoi occhi le bruciavano, e sentì come una fiamma, ardere in fondo ad essi.

Doveva solo cedere. Era così, che diceva quella voce, no?

Abbandonati a me. Non ti lascerò mai più andare, te lo prometto...

«Maka!»

Ci fu uno schianto, e Maka tornò a respirare. Con le lacrime agli occhi, fissava smarrita il cielo sopra di sé. Era sdraiata a terra, il corpo raggelato e immobile. Il volto di Crona si affacciò ai suoi occhi.

«Crona...»

Con grandissima fatica, lei spostò lo sguardo sul ragazzo, che si voltò a guardare in un punto non precisato, poco lontano da loro. Maka si alzò, debolmente. Soul, nuovamente umano, aveva bloccato con un solo braccio l'avanzata del Kishin. Non appena vide che la ragazza si era ripresa, il suo sguardo si fece duro.

«Stai bene?»

Lei scosse la testa. Guardò Soul, quindi il Kishin. Poi abbassò lo sguardo. Fu allora, che se ne accorse.

L'ombra. L'ombra di Soul era unita a quella del Kishin.

Con le lacrime agli occhi, Maka socchiuse le labbra.

«Cosa hai fatto?» mormorò. Lui distolse lo sguardo. Improvvisamente, il Kishin scomparve, trasformandosi nell'ombra di Soul. Con un ultimo ghigno, essa rimase come scolpita sul muro, poi strisciò fino al suolo, svanendo.

«Ho provato a dirtelo» fece lui. «Ecco perché non potevo essere la tua Buki».

Maka non capiva. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma le lacrime la soffocavano.

«Soul...»

«Mi dispiace».

Il suono di numerosi passi echeggiò nella notte ormai agli sgoccioli. Soul serrò le labbra. Quindi si rivolse a Crona.

«Continua a prenderti cura di lei, per favore» disse. Crona annuì, triste. Maka li fissò entrambi, senza capire.

«Ieri mi hai fatto una promessa, Maka» fece Soul con un sorriso triste. «Mi aspetto che tu faccia il possibile per mantenerla. Vedi di non deludermi».

Quindi sparì, fuggendo nella notte.

Quando giunsero gli altri, Soul era già scomparso. Maka si alzò, liberandosi dalle domande insistenti degli altri con un gesto infastidito. Mosse qualche passo incerto, raggiungendo il punto in cui fino a pochi istanti prima si trovava Soul.

La notte stava finendo. Il silenzio che regnava su Death City era più fondo che mai. Un pallido raggio di luce accese l'orizzonte. Il mattino arrivò, e con esso un nuovo giorno.

Maka abbassò gli occhi. Ai suoi piedi, nella fredda luce di quel giorno appena nato, qualcosa emetteva un tenue bagliore. Si chinò. Era una piccola chiave, caduta lì chissà come. La prese, tenendola sul palmo.

Quindi si coprì gli occhi, e pianse.

 

 

 

 

 



  
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