Capitolo 2: Prima della verità...
Mentre
percorrevo il lungo corridoio, il mio sguardo si posò sugli
arazzi e sui quadri che erano alle pareti.
Uno in particolare rapì la mia attenzione.
La cornice era dorata e pesante e al suo interno l’intera
tela era occupata da Romeo e Giulietta di Dicksee.
Lui era appoggiato alla ringhiera fatta in muro e al suo fianco
c’era una colonna che sembrava girare su sé
stessa. Giulietta lo baciava tenendo le mani dietro al collo di lui.
Piccola parte del quadro rappresentava il palazzo in cui risiedeva la
giovane.
Non era il genere di pittura che piaceva a mio padre.
Quello, infatti, l’aveva scelto mia madre, prima di
rifugiarsi in una specie di esilio volontario nella sua camera
personale.
Io e lei non avevamo mai avuto un dialogo di nessun genere, a parte le
chiacchierate spensierate di quando ero bambino, prima che nascesse
Jane.
Il suo posto nella mia vita era stato riempito dalla sua assenza.
Quella di fronte al quadro, era stata l’ultima volta in cui
avevo sentito la sua voce e la ricordavo come se fosse stato ieri.
Il corridoio era
illuminato appena. Era accesa solo la luce della piccola lampada posta
accanto ad un quadro. Ogni cornice era affiancata da un piccolo
pulsante che era collegato alla lampadina.
L’ombra della
cornice che era illuminata si perdeva quasi subito nel buio della casa,
ma ciò che catturò la mia attenzione era stato
tutt’altro: un’ombra magra e femminile.
Riuscii a sentire
l’odore del fumo pungermi le narici ed alzai il capo.
La donna che per tanti
anni avevo visto in fotografia,era a pochi passi da me ed era assorta a
guardare il quadro che aveva di fronte a sé in modo tanto
intenso da non aver sentito i miei passi.
Mi avvicinai a lei,
curioso di vedere i suoi occhi: erano verdi, come i miei e sembravano
brillare di luce propria. Erano talmente rapiti da
quell’immagine e lontani dalla casa in cui realmente si
trovavano.
Era una sognatrice,
avrebbe potuto capirlo chiunque.
-Mamma.- le sfiorai un
braccio e lei appoggiò la sua mano sulla mia. Mi sorprese:
sembrava distratta, invece era completamente presente a ciò
che le accadeva intorno.
-Buonasera Elwin. Non mi
è mai piaciuto questo nome. Avrei preferito chiamarti Edward.
-Come state?- la mia
educazione mi aveva insegnato ad usare il “voi”
anche con i propri familiari, pur essendo nel ventunesimo secolo.
-Non mi piace
l’educazione che ti ha imposto tuo padre: è
fredda, distante. Dammi del tu, Elwin.
-ma voi…
-Sono tua madre, caro. E
tu sei parte di me come io lo sono di te. Vuoi sapere come sto? Allora,
chiedimelo ancora
Faticai un po’
a formulare la domanda e a riprendermi dallo stupore che mi
investì dopo aver sentito delle parole tanto dolci.
Costrinsi la mia educazione a stare per un po’ da parte
–Come stai, mamma?
-Sono triste, figlio
mio. Vorrei fuggire da qui, ma non posso: tuo padre ha usato
un’ottima strategia per tenermi legata a lui. Quando ho
firmato quel contratto, credevo che fosse la cosa giusta da fare,
perché tuo padre era l’uomo giusto per
me… ma ti sto parlando di quasi vent’anni fa. Ora
quell’uomo è diventato crudele. Ha fatto scorrere
litri di sangue per costruire questa reggia.- rimase per un
po’ in silenzio, continuando ad osservare il quadro. Poi si
voltò a guardarmi-Dovrai seguire i suoi passi, ne sono
consapevole… ma quando sarai in grado di scegliere e quando
riuscirai a vedere in questo quadro ciò che vedo io, cambia
vita. Va via dall’inferno in cui ti getterà tuo
padre.
Annuii senza rispondere.
La luce che fino a pochi istanti prima aveva reso vivi i suoi occhi
scomparve.
Le era bastato solo
volgere lo squadro e tutta la magia dei suoi occhi si era sciolta come
neve al sole. –Mamma…
-Non permettere a tuo
padre di privarti di conoscere l’amore e, soprattutto, quando
avrai trovato l’amore vero, non firmare alcun contratto che
non sia quello che sigla la decisione di sposarti. L’amore
posto alla firma di un contratto pre o post-matrimoniale è
un obbligo. Ed è brutto sentirsi obbligati ad amare- sorrise
mesta, poi mi accarezzò il viso. –Addio Elwin.
-Suo padre la sta aspettando.- mi avvisò Mike.
-Grazie.
Mi fermai ad osservare la porta scura: era rifinita nei minimi
particolari e persino sulle maniglie in ottone pesante erano incise le
iniziali di mio padre.
Il lusso e lo sfarzo in quella casa sembravano trapelare da ogni
angolo, anche il più insignificante
Aprii la grande porta dell’ufficio di mio padre ed entrai,
seguito da Mike.
Quando l’uomo si inchinò e chiuse la seconda porta
dietro di sé, mi accomodai sulla comoda poltrona di fronte
al divano su cui era steso mio padre. –Dovete parlarmi?
-Sì, Elwin. E’ giunto il momento che tu sappia a
cosa andrai incontro…
Angolo Autrice:
Eccomi qui. Perdonate il mio enorme ritardo, ma questa storia non è affatto facile da scrivere e ho sempre paura di cadere nel banale!
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
A presto, la vostra Exentia_dream