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Autore: crimsontriforce    05/12/2010    3 recensioni
I nomi degli eroi che sconfissero Sin sono scavati come un mantra nella pietra dei templi: Yunalesca, Gandof, Ohalland, Yocun, Braska, Yuna. Degli altri pellegrini restano solo orme erose dal tempo.
Ultima tappa per un evocatore e il suo guardiano, una possibilità inesplorata fra tante.
Le storie di Spira finiscono sempre allo stesso modo.
3.3: Sotto una coltre di stelle. Così finisce.
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Yuna, Yunalesca
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed ecco infine la pappardella che rimugino da anni e scritta in occasione del Big Bang Italia, challenge molto sfiziosa che dà un paio di mesi per cacciar fuori più di 10000 parole su un singolo progetto a piacere, fanfic o original. C'è tutto il gusto dello strapparsi i capelli per consegnare per tempo, il lamentarsi coi compagnucci di quanto è venuta scacia la fic e di quanto sei un cane a plottare perché credevi di raggiungere a stento il limite minimo e invece veleggi sulle 63000 (solite piacevolezze di challenge, insomma XD), e poi c'è un'incredibile e amorevolissima schiera di persone volenterose pronte a fare un regalino agli scribacchini. A me il regalino l'ha fatto El Defe ed è un bellissimo fanmix scaricabile qui, che vi consiglio di cuore... magari senza leggere il booklet che per ora, ovviamente, spoilera^^
Ora, OC protagonisti. Spero che entro la fine della fanfic parlino da sé, anche se non sono sicura di averli espressi al meglio. Quello che so è che questi eventi di cui voglio parlare non potevano essere una storia su Yuna o avrei usato ben volentieri Yuna. Non potevano essere una storia su Braska, su Yocun, Ohalland e men che meno Gandof, non potevano essere su Isaaru, su Zuke, su Ginnem né potevano essere su Seymour. Sarebbero potuti essere un What if su Dona o su Belgemine (che comunque non ha perso occasione per un po' di sano presenzialismo), tirandoli un po' per le orecchie. Ma avevo più voglia di restare in canone usando due miei personaggi storici in vesti spirane.
Solita solfa sui termini specifici, che essendo la fanfic luuuunga ricorrono tipo tutti, qui.











PORTÒ LA MORTE A ZANARKAND





1. Un passo oltre il precipizio


(Non fare il passo più lungo della gamba, pellegrino. Vedo che né Yevon né gli Eoni sono tuoi padroni, ma ricorda che tu non sei il loro.)
(Farò ogni passo che mi porterà a Zanarkand, madama evocatrice.)
(E tu? Sei il suo guardiano? Tienilo d'occhio, ché non si perda in sciocchezze.)
(È quello che faccio.)





La fine di tutto, fuorché Sin


Il cielo sopra la montagna sacra era sereno. A quelle altitudini capitava che per trovare le nuvole si dovesse guardare in basso, dove i cumuli riempivano canaloni e strapiombi nascondendo il mondo al di sotto.
Sert guardava in basso. Seguiva distratto i voli rotondi degli uccelli che s'inseguivano sopra le coltri nere. L'evocatore si reggeva appena alla sporgenza di roccia: non sentiva più il freddo nelle mani guantate che stringevano a vuoto la neve e le ginocchia non gli rispondevano. Guardava l'abisso. Guardava in fondo, guardava gli uccelli, rifuggendo le macchie di sangue che segnavano una traiettoria lungo la scarpata. Accettare che esistessero le avrebbe fissate e rese reali, mentre tutto quello che poteva fare per restare vivo e aggrappato alla terra ghiacciata era convincersi di essere immobile nel tempo, che quando si fosse rialzato questo si sarebbe riavvolto a suo comando e sarebbe tornato a pochi istanti prima, quando il suo guardiano respirava e viveva sotto i suoi occhi. O prima ancora, prima degli ultimi scontri, alle pendici di quella montagna maledetta. O a casa, nella lontana Kilika assolata, pianificando un futuro che sembrava breve e semplice.
Sert possedeva un talento naturale per convincersi, affinato negli anni e culminato nella peregrina idea di poter raggiungere Zanarkand e dare così un senso ai suoi giorni. Costruire una fede cieca nel proprio successo era, in fondo, privilegio da evocatore. Ma se tutto era sotto controllo, e Sert ne era certo – il tempo è fermo, aspetta me – perché sentiva un dolore lancinante al cuore?

“Il peggio deve ancora venire”, commentò una parte di lui che si era tenuta in disparte dalla cappa di nulla che gli era crollata addosso e lo osservava quieta. “La realtà busserà alla tua porta e piangerai e strillerai tutte le tue ingiustizie fino a che avrai voce, ma per l'amor di quel che è sacro non a voce troppo alta, per favore, o ti arriveranno addosso tutte le fiere del Gagazet e non hai più nessuno che ti difenda, o che ti curi. E fa' veloce che siamo in ritardo, la gente là sotto aspetta una Calma da tutta la vita.”
Sert strinse i pugni. Era abituato anche ad avere voci che riecheggiavano nella sua testa, sogni non suoi, frammenti di immagini cui non dava un senso da quando aveva stretto il patto con Lord Ifrit, anni addietro, ma mai così chiare né così spiacevoli. Fece una smorfia e trattenne il fiato. Piangere e strillare, che sciocchezza.

Il peggio venne. L'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio quando Sert sentì che presto, da un momento all'altro, il suo castello di assurdità avrebbe ceduto e si sarebbe dovuto arrendere all'evidenza, e si gettò all'indietro rannicchiandosi in mezzo alla neve per non scivolare nel vuoto quando venne scosso dai primi singhiozzi. “Grion”, piangeva. “Non doveva andare così.” Non strillò, perché la voce della sua coscienza (o dell'autopreservazione o dell'autoinsulto, o c'era una possibilità remota che fosse Ixion ma no, non era Ixion: troppo diretto per chiunque di loro, perfino per la sua irruenza) era stata ingrata e sentiva di doverle dare torto, ma aveva ragione. Non poteva fermare il tempo, così rivisse in silenzio la lotta che avevano perso, un combattimento così comune dopo tanti ostacoli superati insieme: l'assalto del Bashura, forse un piede in fallo – mantenere reale l'evocazione impegnava tutta la sua concentrazione, non stava guardando, dannazione non stava guardando e ora non avrebbe mai saputo, nemmeno un ultimo ricordo – e i due corpi avvinghiati che rotolavano sgraziati verso il fondovalle.
Nel presente restava solo lui, che avrebbe voluto scomparire nella pace ovattata della montagna e non era lontano dal riuscirci, con le vesti bianche che si confondevano col ghiaccio e solo una fusciacca e la pelle scura a spiccare sul suolo.

Il peggio venne. La coscienza di evocatore ebbe la meglio quando Sert si arrese all'idea che tutti i pianti di Spira non avrebbero riportato indietro il suo guardiano e che in virtù del suo ruolo avrebbe dovuto imparare più di chiunque altro ad accettare la fine di una vita. I pianti non l'avrebbero riportato indietro – ma potevano impedirgli di proseguire verso un'esistenza più serena, lontana da Sin e dalla spirale di morte.
Una vita fa, a casa, quando aveva un letto cui tornare e persone concrete cui badare, il suo compito era stato quello di accompagnare i morti oltre il dolore e il rimpianto che li legavano a Spira, insegnare loro il distacco e offrire la sua compassione nell'arco di una danza, prima di tornare alla realtà infreddolito e stanco ma con la consapevolezza di aver scongiurato la nascita di nuove fiere. L'aveva evitato alla sua città, evitato ai viaggiatori, evitato agli spiriti stessi dei morti che non meritavano di marcire nell'invidia per il mondo disgraziato dei vivi fino a venirne sopraffatti. Grion, fra tutti, non lo meritava. Doveva un ultimo onore al suo guardiano, il più difficile: ricordava di aver sentito evocatori falliti parlarne con orrore, durante una sosta: la perversione del senso stesso del pellegrinaggio, dicevano. Si era sentito così fiero del suo protettore, allora. Così stupido in quel sentimento di invincibilità.
Si fece forza, imponendosi di smettere di tremare. Si alzò in piedi, grato di avere con sé un'asta robusta cui potersi appoggiare, e tornò ad affacciarsi al precipizio. Sentì la vista appannarsi: tutto il male che credeva di aver buttato fuori gli era strisciato nuovamente addosso, togliendogli ogni forza. Si trovò ancora in ginocchio. Si intimò di alzarsi. Ancora una volta, la testa girava e le gambe non volevano sostenerlo. Per te, si fece coraggio. “Se puoi sentirmi”, disse ad alta voce, “aspettami, di là. Manca poco, in un modo o nell'altro.”

Iniziò la concentrazione rituale, inspirando a fondo e terminando bruscamente il tentativo in un accesso di tosse e singhiozzi. Alzò l'asta in un primo movimento ma si trovò a terra, ancora, a prendere a pugni il terreno e la sua incapacità di mettere in fila due pensieri senza che quel grumo di emozioni si mettesse in mezzo spaccandogli il cuore, quelle stesse emozioni che gli urlavano di portare a termine il rito o di considerarsi più indegno di Sin, che almeno sapeva concedere una morte veloce alle sue vittime. Ma non ci riusciva. Il pensiero di allontanarlo del tutto da Spira, di accettare di nuovo la sua morte e saperla eterna pesava come pietre su ogni suo muscolo. Sapeva che stava compiendo un errore atroce ed era pronto a rinunciare a ogni dignità, ma restò nella neve a piangere, ancora, mentre i suoi pensieri schizzavano impazziti a cercare una ragione di quello che era accaduto.















Un po' calcata sull'emo per necessità di wordcount e anche per sfogo di avvenimenti recenti, non direttamente sulla mia pelle ma troppo vicini per uscirne illesa.
Sopportatemi, c'è anche una trama e Possibili Punti d'Interesse Generico sparsi qua e là. A mio gusto, il primo sarà già qui appena voltata la pagina. I capitoli saranno 9, un po' più lunghi di questo, e penso di aggiornare un paio di volte a settimana. :)
   
 
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