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Autore: Exelle    08/12/2010    2 recensioni
La vita di Severus Piton è monotona e solitaria.
Quella di Luna Lovegood, incomprensibilmente folle.
E se venissero raccontate nella stessa storia?
_Finalmente il capitolo sedici_
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Luna Lovegood, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Più contesti
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Le cose che per Severus Piton rientravano nella categoria ‘Oltre la comprensione’, erano ben poche.
Per una mente organizzata, pragmatica e attenta come la sua, il catalogare tutto ciò che i suoi occhi pece osservavano, incontravano, analizzavano, finiva immancabilmente in una ‘cartella’ appropriata, creata dal suo raffinato cervello.
Severus Piton creava cartelle per ogni cosa.
Cose da fare, progetti, persone da incontrare, persone da evitare,libri da leggere, libri da bruciare, provette da comprare, cose da ignorare, cose da studiare, ricordi importanti, ricordi da dimenticare, segreti di Silente, Serpeverde, segreti dell’Oscuro Signore, segreti di se stesso, Malfoy padre, impegni, lezioni da preparare, studenti da tormentare, Potter, barattoli nuovi da comperare, Mangiamorte, giuramenti da mantenere, risposte pronte, la rubrica sul Pozionante Puntiglioso, Malfoy figlio, commenti sarcastici, ricette, cose da odiare, veleni, incarichi, casa…
In realtà, la lista nella testa di Severus Piton, continuava per molte centinaia di altre voci.
Tuttavia, come in altri infiniti momenti, il pensiero di Lily Evans, aveva interrotto le elucubrazioni mentali del professore più temuto di tutta Hogwarts.
Lily Evans.
Un nome così semplice, così normale.
Il nome della sua migliore amica.
Ogni volta che i suoi pensieri deviavano in zona Lily, Severus Piton era ben accorto nel riportarli sul giusto binario. Eppure, più cercava di evitare il ‘deragliamento’ e più il viso di Lily riaffiorava tra lo sciame dei ricordi incasellati, sconvolgendoli, disturbandoli, rendendoli privi d’importanza.
Era una Lily muta e inespressiva, decisamente diversa dai ricordi movimentati e allegri della loro infanzia. Severus Piton si era chiesto più volte se la colpa fosse del Pensatoio. Dopotutto, per intere settimane, aveva continuato a riversarci ininterrottamente i suoi ricordi, rivivendo con insospettabile entusiasmo i momenti passati con lei. Dentro al Pensatoio, per la gioia del suo più caro amico, Lily Evans viveva. Tornava a ridere, a scuotere i capelli, a correre e a parlare. Un eterno déjà vu, con gesti sempre uguali, sempre ripetuti, scolpiti nella memoria del tempo.
Gesti irreversibili e forzati, che non sarebbero cambiati mai.
Un’idea che Severus Piton si era rifiutato categoricamente di accettare e incastrare in qualche cartella.
Il Pensatoio era un dono meraviglioso, dove tutto era possibile.
Severus Piton aveva addirittura iniziato ad odiare il semplice pensare a Lily; l’immaginazione si disintegrava di fronte alle magiche virtù del Pensatoio e al sorriso, mai così reale, dell’ eternamente giovane Lily Evans.
Certo, Silente aveva accennato ad un compito, assieme alla custodia del Pensatoio.
Compito che l’anziano Preside sembrava aver dimenticato, senza farne più parola con Severus.
Forse, aveva ipotizzato Piton, Silente se ne era totalmente scordato.
Sia del compito, sia del prodigioso bacile.
O ancora, era semplicemente troppo pigro per scomodarsi a recuperare ciò che era di sua proprietà.
Per tutti i folletti Silente, scendere nei sotterranei? Giammai!
Severus Piton sogghignò. E se il vecchio si dimenticasse del tutto di possedere un Pensatoio?
Un piccolo, efficace Oblivion!, e tutto si sarebbe risolto… a favore di Severus!
Avrebbe potuto stare con Lily per il resto dei suoi giorni.
A chi importava del futuro, quando il passato era così dolce?
Di certo non a Severus Piton, che nel futuro non vedeva altro che alunni ebeti e discorsi inutili, fino al termine della sua parabola decadente, una morte poco gloriosa e poco piacevole per mano di un certo Lord Oscuro, privo di appendice olfattiva.
Non avrebbe nemmeno avuto la consolazione della pensione.
Ma se sceglieva la via del Pensatoio… i momenti bui e deprimenti che angosciavano il suo sconfortante futuro, potevano diventare un po’ più rosei, più vivibili.
Sarebbe potuto andare incontro al destino mano nella mano con Lily, come aveva sempre sognato! Anche se non proprio in modo tradizionale.
Doveva però mettere in conto che un giorno i ricordi sarebbero finiti, come tutto del resto.
 E allora cosa avrebbe fatto?
Severus Piton ci aveva pensato mille e molte volte, e finalmente, aveva raggiunto ciò che amava definire ‘compromesso’, che del compromesso, non aveva proprio nulla.
Li avrebbe rubati. Dopotutto, l ’aveva già fatto in passato, rifletté con una stretta al petto. A Severus Piton non piaceva ricordare quel periodo, ma ora, che scelta aveva? Lei non c’era più. Non ci sarebbe stato tempo per i litigi e per i rimorsi, ma solo per i ricordi.
 E infiltrato assieme ai membri dell’Ordine della Fenice, i più cari amici di Lily…
Quale migliore occasione? Sarebbe stato l’araldo salvatore del tempo e avrebbe restituito alla memoria dei posteri - la sua memoria- la figura di Lily Evans, la sua.. Migliore amica.
Lily lo avrebbe apprezzato.
Lily c’era sempre stata per lui, nel bene e nel male. Quando tutto era crollato, Lily gli aveva teso la mano, quando nessuno si sarebbe abbassato a dare aiuto al ragazzo con i vestiti spaiati.
Gli aveva dato una casa. Una famiglia. E per quello e per tutto, Severus Piton era grato.
Lui le avrebbe restituito il favore. Non l’avrebbe dimenticata.
Severus chiuse gli occhi, e fu quel semplice gesto a riportarlo alla realtà e a quello che - non - stava facendo.
Stava tenendo una lezione, per mille Goblin!
Mise a fuoco ciò che vedeva e per poco non vacillò. Il disagio, fissando quelle faccette incuriosite e beffarde, lo investì. Cercando di rimettere l’imbarazzo nella cartella ‘Emozioni da sopprimere’, Severus Piton provò a riprendere il filo del discorso, se mai c’era stato.
Il suo sguardo scivolò sugli studenti silenziosi nei banchi vuoti, cercando disperatamente un segno, uno sguardo, un indizio, un qualcosa.
Incrociò lo sguardo smeraldo di Lily,- Potter, non Lily, Potter!-, e riprese a parlare:
“La prima legge di Golpalott…”
La mano della Granger scattò in aria, e per una volta, Severus Piton si sentì quasi sollevato nel cederle la parola.
La Granger  scattò in piedi, con quell’assurdo cespuglio che aveva per capelli saltellanti sulle spalle, ma quando parlò non citò la terza legge di Golpalott.
Tutt’altro.


Il passato, un ricordo.

Bianca.
Questa fu la prima parola che si affacciò nella mente del giovane Severus Piton, quando vide la casa di Lily Evans. Una graziosa villetta, con un’altrettanto grazioso giardino, cinto dal tipico steccato bianco e regolare. Dalle finestre alte e appena appannate, si intravedeva una luce calda e accogliente, carica di promesse come cioccolata, gentilezza, affetto.
Si distingueva dalle altre case per l’insolita aura di bontà, quanto quella di Sev per la trascuratezza e l’abbandono.
Chissà perché, Severus era dell’idea che Lily e la sua famiglia non potessero vivere in nessun’altro posto che non fosse quello.
La casa sembrava costruita a immagine e somiglianza di lei.
Semplice, bella, familiare.
“Vieni” disse Lily, precedendolo a passi leggeri, attutiti dal fruscio della salopette troppo grande che portava. Sulle ginocchia, aveva ancora le macchie verdi del prato in cui erano atterrati esausti dopo la loro rocambolesca fuga. Severus ricordò con piacere la luce del sole e l’odore di fieno di quel posto.
Era stato davvero un bel pomeriggio, ma ora…
Severus rimase immobile, pensando.
“Sev?” Lily si era voltata e lo fissava, impaziente.
L’amico fece un lungo sospiro prima di parlare: “Forse non dovrei.”
Lily lo guardò intensamente per un lungo minuto.
“Perché?”
“Perché non voglio approfittare della tua ospitalità, Lily.”
“Sev, sono io che ti chiedo di entrare…” la rossa sorrise “E poi non hai mai visto casa mia!”
“Credo di poter aspettare ancora un po’, ora è molto tardi.”
Severus aveva ragione. Il cielo era passato dal rosso tramonto al blu nero della notte, e le luci della via stentavano a tenere lontana l’oscurità. Ma Lily non voleva arrendersi.
“Entra” gli intimò.
“Non voglio che tu venga… cioè, che tu finisca nei guai.”
“Sev, i miei genitori non sono come i tuoi, non si arrabbieranno di certo per…”
Lily si maledì, per non essersi morsa la lingua in tempo.
“Mi fa molto piacere sapere che i tuoi genitori sono migliori dei miei, grazie Lily.”
“Non intendevo…” provò a giustificarsi la ragazzina.
“Non ti ho chiesto io si venire a Spinner’s End.” Gli occhi di Sev erano scuri e profondi e Lily, con estremo disappunto, si accorse di non poterci leggere alcunché. Come era stata stupida!
Stupida ed egoista.
“Io volevo aiutarti, erano giorni che non ti vedevo e…”
“Potevi aspettare.”
Severus si girò e cominciò a percorrere a ritroso il vialetto. Lily lo rincorse e gli si piazzò davanti.
“Sei ferito, non puoi andartene.”
“Se non torno, domani questo sembrerà un graffio!” esclamò Sev con amarezza.
“Ma io non potevo lasciarti lì!  Sono i tuoi genitori, certo, ma nessun figlio dovrebbe avere genitori simili.”
Gli occhi di Lily scintillarono, nella sera sempre più buia: “Resta qui.”
“Lo sai che…”
“Se esci da quel cancello, non tornerai a casa e rimarrai in giro per i fatti tuoi, aspettando che tuo padre esca e se ne vada.”
Lily evitò di aggiungere: ‘finché non tornerà ubriaco marcio, dimenticando quello che è successo’.
Severus girò il viso fissando un punto lontano fuori sulla strada, dove le luci dei lampioni si facevano sempre più fioche.
Lily Evans sapeva riconoscere una vittoria.
Strinse la mano all’amico e lo guidò di fronte alla porta d’ingresso, spingendo il batacchio dorato.
La porta si aprì e il sorriso di sua madre, li accolse nell’amorevole atmosfera di casa Evans.


“Davvero meravigliosa, una bella casa, sì?”
Severus Piton, adulto e appoggiato alla balaustra dell’ampia veranda della residenza Evans si voltò sorpreso. Non era abituato ad altri visitatori nel Pensatoio.
L’incedere elegante del Preside, non sembrava per nulla fuoriposto nel vialetto curato. Così come non appariva fuori posto la veste smeraldo che indossava.
Sembrava un ramarro con la barba. Ammesso che i ramarri portassero occhiali a mezzaluna.
Piton non rispose. Dopotutto, come rispondere ad un uomo che s’introduceva senza permesso nei ricordi altrui?
Silente salì con grazia gli scalini e studiò il battente con aria interessata. Da dietro la porta, giungeva la voce trillante di Lily che faceva le presentazioni e il signor Evans che rideva per qualcosa che la figlia aveva detto.
“Una bella famiglia.”
Silente si sedette sul divano di vimini puntando lo sguardo sullo steccato, osservando ogni millimetrica variazione del legno levigato. “Sono vivi, lo sapevi?”
“Non ne avevo idea” disse Piton “Dove..?”
“Cos’è successo oggi a lezione?” domandò amabilmente Silente, senza guardarlo.
“Nulla.”
Silente si pizzicò l’attaccatura del naso, sogghignando divertito. “Bloccarti per mezz’ora, di fronte ad una classe in attesa di apprendere … lo chiami nulla, Severus?”
“E’ stato un attimo di distrazione.”
“Un attimo di distrazione!” Silente rise di più, colto da un’inspiegabile, almeno a Piton, eccesso di  ilarità.
“Credo di aver perso un pezzo di giornata.” Sembrava folle detto a parole, ma era l’unica spiegazione che Severus era riuscito a darsi per lo strano fenomeno che l’aveva colto quella mattina.
“Buffo… E quindi, se la signorina Granger non ti avesse fatto notare che la tua ora era trascorsa da un pezzo, tu saresti ancora lì a spiegare la prima legge di Golpalott?”
“Probabilmente” ammise Piton a denti stretti.
Silente cominciò a ridacchiare come una vecchia zia.
“L’ultimo insegnante che mi sarei aspettato di cogliere impreparato!”
“Silente, smettila. Se tu sai cosa diavolo mi è preso, potresti anche degnarti di darmi una spiegazione o un chiarimento, non credi?” borbottò l’oscuro pozionista in tono antipatico.
Silente, per nulla intimidito dal tono scontroso dell‘uomo, parlò con naturalezza. “Dato che non so niente, Severus caro, temo che dovrò limitarmi a farti notare che la signorina Lovegood è su nel tuo ufficio ad aspettarti e faresti bene ad andare. Da quasi un’ora aggiungerei, quindi sbrigati per cortesia.”
“Luna Lovegood?”
“Non dirmi che ti sei dimenticato anche di lei!”
‘Disgraziatamente no’ pensò irritato Severus. Scese giù per il vialetto poi si girò, fissando Silente. Il vecchio si era spostato e fissava l’interno di casa Evans dalle finestre, come un guardone qualunque.
Un guardone conciato in modo decisamente stravagante.
“Silente, non vieni?”
“Severus caro, credo che la signora Evans stia cucinando la sua famosa torta al rabarbaro, e penso seriamente che la sua variazione con burro di mandorla sia così interessante che richieda almeno un’occhiata da parte mia…” Silente socchiuse gli occhi, senza staccarli dalla finestra: “Anche se vista da qui, perciò vai e non preoccuparti per me!”
Severus Piton, che si considerava strano quanto bastava per accettare la miriade di stranezze e fissazioni del Preside ultracentenario, uscì dal vialetto, dirigendosi spedito fuori in strada.
Ringraziò il familiare risucchio che lo trasportava lontano dalle nebbie rassicuranti del passato e dalla zuccherosa torta al rabarbaro della signora Evans, che aveva mangiato solo per farle piacere.
Per la prima volta, Severus Piton era felice di uscire da un ricordo.


Il presente, Hogwarts.

“Buongiorno” disse educatamente Luna Lovegood.
Se era stupita di vedere il suo insegnante più arcigno e tenebroso, uscire da un bacile di pietre runiche, non lo dava certo a vedere.
Ordinaria amministrazione, nel mondo psicotico dei Lovegood,.
La ragazza portava i suoi Spettrocoli colorati sulla sommità della testa, e aveva gli occhi inspiegabilmente truccati di uno sfarzoso blu pervinca.
Sembrava una variopinta divinità indiana, protettrice dei tonti e dei folli.
Severus Piton era felice di non essere né l’uno, né l’altro. Era molto meno felice del fatto che la Corvonero, in uno spasmo di confusione, si fosse accomodata al suo posto alla cattedra, e avesse invaso il piano di lavoro con le sue pergamene e i suoi libri di scuola, e -colmo dei colmi-, con il più completo orrore di Severus Piton, una copia nuova fiammante del Cavillo, che titolava la prodigiosa scoperta delle  Nacchere Nuocicuoci.  L’illustrazione era troppo confusa e fantasiosa per dare una spiegazione su cosa fossero, o se la loro esistenza fosse in qualche modo comprovata.
Il Cavillo. Severus Piton si era chiesto più volte se i lettori del periodico di Xenophilius, includessero qualcun altro oltre alla stramba figlia.
L’immagine di un vecchio barba bianca con un sorriso placido e inebetito, gli suggerì l’identità del lettore numero due.
“Lovegood,” Severus lanciò un’occhiata prolungata all’orologio appeso alla parete: “Mancano venti minuti, perciò prendi pure le tue cose e torna alla torre.”
“Signore, il professor Silente ha detto che l’avrebbe detto, signore”
 La voce di Luna era talmente svagata da sembrare una presa in giro.
“Il Professor Silente al momento è impegnato in una faccenda seria, quindi sono io a decidere”
“Ha detto qualcosa a proposito di una torta, signore.” Rispose la ragazza.
Santo cielo! Piton era inorridito, non tanto dal fatto che la Lovegood potesse ritenere una torta come ‘faccenda seria’, bensì dalla temerarietà del Preside che parlava di ricordi strettamente privati ad un’alunna mentalmente instabile.
“Che altro ha detto Silente?” ringhiò Piton, improvvisamente incattivito.
“Il professor Silente…” Luna Lovegood sembrava aver perso il tono mistico in favore di una saccente cadenza alla Granger: “… Ha solo detto di aver bisogno di parlare con una vecchia amica”
Vecchia amica?
Cosa diavolo voleva dire?
“Ha detto solo questo?”
Luna sbatté candidamente le palpebre. Piton non poté non chiedersi perché gli occhi non le schizzassero fuori ogni volta che lo faceva. Erano davvero sporgenti.
Luna afferrò la copia del Cavillo e cominciò a leggere.
“Lovegood, rispondi.”
Luna riemerse dalle profondità delle Nacchere Nuocicuoci.
“Le ho risposto, signore.”
Piton si passò una mano sul viso, mentre la platinata prendeva a canticchiare un’ignota canzone.
Chi aveva offeso, maltrattato o aggredito, per meritarsi quel tormento?
Incrociò le braccia e si schiarì la voce. Lui e quella ragazzina dovevano risolvere la questione. Non doveva permettere  a Silente di trascinarlo nei suoi piani contorti e astrusi, che terminavano sempre con lui come malvagio di turno.
Malvagio puntualmente maltrattato da Santo Potter, of course.
“Lovegood, credo che entrambi abbiamo cominciato col piede sbagliato”
“Io non l’ho presa a calci!” trillò inspiegabilmente la Corvonero. La rivista le scivolò di mano, colpendo la boccetta d’inchiostro, che si rovesciò sui compiti disordinati sulla cattedra.
Un lago nero e traslucido oscurò il Sistema Solare che la ragazzina stava completando.
“Proprio una roba da Paciock” sbottò Piton.
“Lei non è molto gentile” commentò Luna scrutandolo con i suoi occhi a sfera. Non sembrava intenzionata a pulire o a far Evanescere il disastro che aveva combinato. Rimase a specchiarsi  sulla superficie liquida, dove i suoi capelli rilucevano argentei. Sembrava incredula e stupita di vedere il proprio riflesso.
“Non mi piace perdere il tempo in gentilezze” mormorò Piton estraendo la bacchetta.
Macchia Ivanesca!”
La pergamena tornò linda e pinta, ma Luna era ben lungi dal ringraziare.
“Lo sa? Lei è maleducato e i suoi commenti sono sgradevoli e offensivi. Farebbe bene a trattare gli studenti con un po’ più di tatto” sbottò con una serietà decisamente fuori luogo e inappropriata per lei.
 Da quando, rifletté Piton, i pazzi danno lezioni di comportamento?
L’insegnante alzò lo sguardo sulla ragazzina. La cattedra, frapposta fra loro, sembrava l’unica cosa che potesse impedirgli di afferrare quell’impertinente e di strangolarla, con buona pace di Silente e le sue leggi sulla tolleranza e l’amore!
Era straordinariamente tentato di far esplodere il mobile e afferrare il colletto inamidato della platinata, abbastanza perché imparasse quale fosse il modo e le parole con cui rivolgersi ad un’insegnante.
Era stata una giornata difficile, tra vuoti di memoria e vecchi vestiti di verde affetti da strane manie pasticcere, e l’idea di un omicidio cominciò ad apparire a Severus come la degna conclusione di quelle ore sprecate.
Luna cominciò a riordinare le sue cose, con rapidità crescente. Piton si accorse che la ragazzina aveva un tic all’occhio sinistro e si mordeva il labbro. Era arrabbiata?
“Non voglio stare qui un minuto di più, lei non ha il diritto di offendere…”  si bloccò alzando gli occhi al cielo per una frazione di secondi: “…  I miei conoscenti, sì.”
“Lovegood, esigo delle spiegazioni. Non puoi rivolgerti in questo modo ad un tuo insegnante!” ringhiò Severus in risposta. Non era ancora nato lo studente in grado di tenergli testa. E sicuramente non sarebbe stata la giovane Lovegood.
Luna non gli rispose, o almeno non  fin quando non ebbe la cartella a tracolla.
“Non le devo niente di niente. Proprio niente.” Sembrava aver ritrovato il suo tono soave, anche se gli occhi a bulbo sprizzavano scintille rabbiose.
“Lei è un maleducato irrispettoso, e io sono troppo intelligente per stare qui ad ascoltarla.”
, penso Piton, quello era tutto da vedere.
Luna curvò la bocca all’ingiù, come una sconvolta maschera greca. Sembrava aver intuito i perfidi pensieri di Piton che colpito, si limitò a richiamarla. Non poteva nemmeno punirla. La prospettiva di doverci passare altro tempo era troppo aberrante.
“Lovegood!”
Luna saltellò tranquillamente alla porta, riprendendo a canticchiare. Severus riconobbe abbastanza chiaramente le parole: Maleducato cafon che vivi in un trombon.
Era davvero troppo! Che diavolo di follia era mai quella? Non aveva nessun senso!
Piton  aveva un’incredibile desiderio di mettersi a urlare.
“Lovegood se uscirai da quella porta…”
SBAM!
La porta si richiuse con un colpo secco alle spalle della Corvonero.
La voce di Silente, interruppe il fiume di pensieri confusi che attraversava il cervello dell’ oscuro pozionista.
“Un successone come primo giorno, eh?!”



  
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