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Autore: AliceInHeartland    14/12/2010    4 recensioni
Una ragazza insicura di sè, un pò perseguitata dalla sfortuna.
Un libro... un diario, una lontana parente che la collega ad un passato che ritorna e che diventerà presto il suo presente.
Misteri, amicizie, amori... cambiamenti, forse...
La dimostrazione di come la vita possa cambiare quando meno te lo aspetti e di come la felicità bussi alla porta di chi meno la cerca.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Che cos’è, questa?
Una benedizione? Una maledizione?
Un premio? Una punizione?
Davvero non lo so.
Ma, una cosa è certa: ancora adesso mi chiedo come sia potuto accadere…

                                                                ***

“Lo sai che la signora Kitano è sempre disponibile, vero? Per ogni evenienza, puoi sempre rivolgerti a lei”
“Sì, mamma”
“Ah, e ricordati che le nuove divise sono tutte nell’armadio del soggiorno”
“Sì, mamma”
“Arline, stai attenta alle persone che introduci in casa! Accertati sempre che sia brava gente!”
“Sì, mamma”
“E, mi raccomando, attenta al gas, agli aggeggi elettronici e…”
“Mamma, ho capito! Può bastare!” esclamò, esasperata, la ragazza alla madre, che stava dall’altra parte della cornetta. “ Ho diciassette anni. E non è la prima volta che parti per stare così tanto fuori di casa, a causa del lavoro”.
“Lo so, lo so. Ma è la prima volta che ti lascio da sola! Da quando la nonna è morta, non possiamo contare su nessuno…” . La voce della donna sembrava alquanto insicura da come vibrava. “E poi, è da poco più di un mese che ci siamo trasferite a Kyoto, quindi…”
“Non preoccuparti, mamma. Starò bene” cercò di tranquillizzarla, lei. “A scuola andrà tutto bene. Mi sono già ambientata alla perfezione!”
“Oh… Sono davvero contenta di sentirtelo dire, Arline!” . La donna sembrò rincuorata della risposta ricevuta dalla giovane. “Bene, allora suppongo che vada tutto bene. Posso partire tranquilla?”
“Tranquillissima”
“Perfetto! Ah… Hanno chiamato il mio volo! Allora, ci si sente!”
“Mh! Va bene!”
“Ti chiamerò appena arrivo. Un bacione, Arline! Ricorda che la mamma ti vuole sempre bene!”
“Sì, mamma. Anch’io ti voglio bene. Fai buon viaggio”.
Detto ciò, riagganciò la cornetta del telefono e tirò un sospiro di sollievo.
Finalmente era partita. E finalmente poteva finire di mentirle, per tranquillizzarla.
Le aveva confermato che non sentiva alcun disagio nel rimanere completamente da sola per Dio neanche sapeva esattamente quanto tempo... Invece ne provava. Eccome se ne provava!
Non era la prima volta che la madre partiva e stava via per tanto tempo, causa lavoro.
Ma era sempre stata con la nonna e, quindi, mai effettivamente lasciata a sé stessa.
Dopo la morte di quest’ultima, però, da Tokyo la loro famiglia (composta unicamente dalla madre e da lei) si era trasferita a Kyoto, nella loro casa d’origine.
Dunque si trovava in una nuova casa e senza più la sua adorata nonna, con cui si sentiva tranquilla.
Non era per niente a suo agio e non era per niente sicura che ce l’avrebbe fatta!
Ma non poteva certo dirlo alla madre, no? Non voleva farle pesare quel viaggio, più di quanto non se lo stesse facendo pesare già da sola.
Era per motivi di lavoro e non poteva rifiutare. Lo faceva per garantir loro una vita adeguata alle loro necessità.
Era sempre stata lei la colonna portante di tutto, dato che suo padre era morto quando lei aveva soltanto tre anni, a causa di un infarto fulmineo.
Morì nel giro di poco tempo. Così poco, che la bambina non se ne poté neanche rendere conto. Nel giro di qualche ora, la sua vita cambiò dalla A alla Z.
Ma entrambe – sia la madre, che Arline – furono abbastanza forti da superare tutto.
Arline si era resa forte. Aveva imparato a gettarsi alle spalle i problemi e a superare gli ostacoli, impegnandosi più del dovuto. Tutto per non dare fastidio alla sua mamma, che già stava facendo tutto ciò che era in suo potere per mantenere le redini della famiglia. Sia dal punto di vista economico, che educativo.
Ecco perché voleva tranquillizzarla. Anche a costo di dirle qualche piccola bugia. Voleva che fosse sicura che andasse tutto bene.
Ma, in realtà, non andava tutto bene.
Per niente.
Le aveva detto che nella nuova scuola – dato che si era trasferita – ci si era ambientata subito e aveva trovato anche tante amiche, ma non era affatto così.
Era da un mese che frequentava quel nuovo istituto, eppure era da un mese che non riusciva a stringere amicizia con nessuno.
Restava sempre da sola, seduta al suo posto, al suo banco, mentre tutto il resto della classe si riuniva in gruppetti di cinque, o sei persone, per parlare e anche pranzare tra di loro.
Lei, coi suoi capelli castani, raccolti in due trecce che faceva cadere sulle spalle, i suoi occhi azzurri nascosti da quegli occhiali da vista con la montatura sottile (per farsi notare il meno possibile e non farsi appellare “occhialina”, come alle medie), il fisico esile e la tipica aria da brava ragazza (anche un po’ secchiona), invece, non riusciva mai a parlare con nessuno. O, meglio, il problema era un altro.
Quando era al liceo di Tokyo, molti dei suoi compagni, dopo aver saputo del suo trasferimento a Kyoto, le dissero di stare attenta, perché loro non vedevano di buon occhio i cittadini della “Grande metropoli” e molto spesso li prendevano di mira.
Arline era arrivata, dunque, già nella scuola con il pregiudizio che tutti la giudicassero male e non la volessero tra loro.
Così, non appena qualcuno le si avvicinava per tentare di farci due chiacchiere, lei si metteva sulla difensiva.
“Wow… Che pettinatura strana, Arline! Non credi sia un po’ antiquata? Eppure vieni dalla città. Mi pare strano che lì si usino ancora le trecce!” le aveva detto una volta, una ragazza, semplicemente per parlare con lei e darle un parere sulla sua acconciatura, ma l’atteggiamento di Arline fu a dir poco sconsiderato:
“Certo! Giustamente! Solo perché provengo dalla città, non mi è permesso farmi delle trecce! Ma cos’avete che non va? Adesso dovete anche dirmi come pettinarmi la mattina?!” aveva risposto all’altra, lasciando tutti di sasso, per il suo atteggiamento esagerato e permaloso.
Da quel giorno, nessuno tentò più di avvicinarla.
La ragazza non si era resa conto che era proprio il suo atteggiamento ad allontanare tutti, più che la sua persona.
Così, fu iniziata ad additare in classe come secchiona (dato che, anche se appena arrivata, era una delle più brave della classe), asociale, irascibile,  permalosa e aggressiva, nonché stupida snob proveniente dalla grande metropoli.
Il che non era vero. Non era niente di tutto ciò. Ma oramai la sua fama era diffusa in tutta la scuola e ci sarebbe voluto un miracolo per superare i pregiudizi che si erano venuti a creare su di lei.

Ahhhh… Non ne posso più!

Arline sospirò, guardando fuori dalla finestra. Nonostante si trovasse in classe , quella lezione era davvero noiosa. Matematica non l’era mai piaciuta. Inoltre, non aveva mai effettivamente usufruito delle lezione dei prof, dato che risolveva quei problemi come fossero puzzle per bambini di cinque anni.
Nonostante fosse una materia che non le piaceva, vi era molto portata. Come la madre.
“…ura-san…”
Mamma… Perché non mi hai portato con te?!
“… imura-san…”
Mi sarei dovuta introfulare di nascosto nella sua valigia!
“Yukimura-san!” la riprese una voce ben definita e con tono austero. La voce dell’insegnante.
“Sì!” rispose lei, sobbalzando e alzandosi in piedi, una volta interpellata.
“Si può sapere che stai facendo? Sogni ad occhi aperti?”
“No, ecco… Io… stavo solo…” … sperando di scappare via da qui? Vorrei tanto, ma non posso, sensei!
“Capisco che, essendo un genio venuto dalla città, tu non abbia bisogno delle mie umili lezioni, ma… Ti spiacerebbe prestare lo stesso attenzione? Almeno per buona educazione?” chiese con impertinenza, l’insegnante.
Risa. Eccole.
Giustamente non potevano mancare a quella battuta.
Perfetto! Adesso anche i professori ce l’hanno con me…
Scommetto che adesso sono tutti contenti che io sia stata ripresa… Scommetto che se la ridono sotto sotto e che si sentono soddisfatti!
Tra poco anche gli alberi di questa scuola si volteranno verso di me ed insinueranno: “Non guardarci! Non erano meglio gli alberi di Tokyo?!?”.
Sospirò, la povera ragazza.
Non ce la faccio più… Mamma, vienimi a prendere! Io non ce la faccio proprio più!

                                                                   ***

Arline Yukimura.
Diciassette anni.
Liceale.
Single.
Provvidenzialmente perseguitata dalla sfortuna.

                                                                 
 ***


Era domenica, quel giorno. E il sole splendeva ardentemente, per essere una giornata d’autunno.
Dopo aver ricevuto la telefonata della madre ed averle fatto il rapporto degli ultimi giorni, averla tranquillizzata, mentendole ancora, e aver chiuso la chiamata, decise di rimettere ordine in quella casa.
Erano passati due mesi, oramai, da quando si erano trasferiti lì, ma non aveva ancora ben sistemato la sua roba e tanta altra, in generale.
Nell’ingresso c’erano ancora scatoloni imballati e chiusi ermeticamente.
Non avevano avuto neanche il tempo di arrivare, che già la mamma era dovuta partire e lei aveva dovuto affrontare un problema più grande di un altro.
Per quanto ancora la sfortuna l’avrebbe perseguitata?
Beh, ad ogni modo… Oggi non voglio deprimermi con questi pensieri! Oggi si lavora! Bisogna sistemare tutta questa roba!
Arline si era da subito trovata bene in quella casa, anche se un po’ di disagio non mancava mai: era grande, molto più grande di quella che avevano avuto a Tokyo. Ed era tutta in stile antico, con le porte scorrevoli su cui vi erano sopra riportati dei dragoni, delle fantasie floreali, o anche dei paesaggi caratteristici di Kyoto.
La mamma le aveva detto, in macchina, quando erano sulla strada per arrivare in città, che quella casa era appartenuta alla bisnonna di suo padre, in cui ci era anche vissuto fino al giorno della sua morte.
“La bisnonna di papà?” aveva chiesto la ragazza, incuriosita.
“Già. Sai, la verità è che non ha avuto figli” le aveva spiegato, la madre. “Ha adottato un ragazzino a cui poi, successivamente, diede il suo cognome”.
“Adottato? A quel tempo lo si poteva fare?”
“Per una donna era difficile, certo. Ma, ancora non so in che modo, riuscì ad ottenere il permesso. Era una donna di grande carisma”
“Davvero?”
“Tua nonna lo diceva sempre” ricordò con nostalgia, parlando della madre del marito, la donna. Oramai aveva imparato ad amarla come se fosse stata la sua di madre. E quando era morta, era stata quella che ne aveva sofferto maggiormente. “Però, nonostante questo, sembra non abbia avuto alcuna storia”
“Possibile? Mamma, secondo me stai delirando. Non si è mai sentito che una donna di grande carisma non abbia avuto almeno una storia, in tutto il corso della sua vita!”
“Invece sembra proprio che sia stato così. Si diceva che avesse amato un uomo, ma che quell’uomo morì in battaglia, prima di lei. Addolorata, dunque, decise di rinunciare per sempre all’amore. Si ritirò in questa casa in cui stiamo andando ad abitare noi, e lì visse fino all’ultimo dei suoi giorni, in sola compagnia di suo figlio adottivo e del suo gatto”.
L’aveva impressionata con quanta enfasi le avesse raccontato quella storia e ne rimase leggermente stupita.
Ricordarlo ancora adesso le fece aumentare i battiti del cuore.
E quella sensazione le rimase durante tutte le pulizie di casa e la sistemazione degli oggetti e indumenti vari.
La bisnonna, eh? Una donna carismatica che, dopo aver amato un unico uomo, tanto intensamente, e dopo averlo perso, ha rinunciato all’amore. La sua vita è stata colma di solitudine se non fosse stato per il bambino che aveva preso sotto la sua ala e quel suo gatto, Toshi.
“Ogni tanto andava qualcuno a trovarla, sai?” aveva aggiunto la madre, mentre stavano scaricando i pacchi nel corridoio della nuova casa.
“Eh? Qualcuno?” . Arline le era sembrata davvero interessata all’argomento. Ecco perché aveva deciso di riprenderlo in mano.
La donna aveva annuito. “La nonna mi ha detto che, da quel che si raccontava, alcuni uomini, a volte, andavano a trovarla. Erano diversi uomini. Alcuni pensavano fossero suoi amanti occasionali, dato che andavano a farle visita ogni due, o tre anni”
“Sempre tutti assieme?”
“Oh, no, piccola mia. No. Uno alla volta. Quando capitava. Si alternavano. Non si seppe mai chi fossero quegli uomini.
Una volta, una vicina di casa della tua bisnonna le chiese: “Ma chi sono quelle persone? Amici? Conoscenti? Parenti?”
E lei sai che rispose?”
La ragazza aveva scosso la testa, per indicare che non ne aveva la minima idea.
“Lei le sorrise gentilmente e le rispose: “No… Loro sono molto, molto di più… Sono persone con cui ho un legame indissolubile…”.”
Un legame indissolubile, eh?
Ancora adesso, mentre sistemava nella stanza per gli ospiti il futon nell’armadio a muro, ci pensava.
Nonostante si dicesse che fosse sola, però… Alla fine non lo era così tanto, se c’erano persone con cui poteva vantarsi di avere “un legame indissolubile”.
Pensò alla bisnonna e la confrontò a sé stessa, alla sua situazione attuale.
Un legame indissolubile… Come potrei sperare di trovare qualcuno con cui avere un legame indissolubile?
Non scherziamo!! Come potrebbe mai accadere che…

Mai sfidare il destino… Tutto viene a chi sa aspettare…

“Ma cosa…?” . Arline si era piegata sulle ginocchia, posando il futon sul tatami, per prendere quell’oggetto, caduto da quell’anta dell’armadio a muro.
Non sapeva di cosa si trattava, ma doveva essere molto vecchio, dato il grumo di polvere che vi era sopra.
La ragazza aveva scoperto quell’armadio unicamente perché vi si era infilato, al di sotto della fessura, uno dei suoi dischi preferiti e, cercando di recuperarlo, aveva trovato il tesoro.
Ma, all’interno, non vi era nulla di speciale se non qualche oggetto di antiquariato: qualche vecchia katana, delle fasce con un distintivo d’acciaio che oramai, logorato dal tempo, era irriconoscibile, qualche pezzo di stoffa strappata.
Tutto ciarpame! Ed io che pensavo di trovare gioielli e diamanti!
Ahhh! Sono davvero sfortunata!
Aveva pensato in quel momento, ripromettendosi di sbarazzarsi di quella roba al più presto. Ma in quei giorni era stata tanto occupata che proprio non ne aveva avuto il tempo.
Quella domenica, però, se n’era ricordata: aveva tolto tutta quella roba inutile, posandola per terra e stava posando il futon nell’armadio, quando, all’improvviso, un’anta era caduta e da essa era fuoriuscito questo oggetto.
Dopo averlo preso tra le mani, girandolo e rigirandolo la ragazza poté notare che, sotto lo strato impensabile di polvere, vi era un libro.
“Cough, Cough” tossì la giovane, ripetutamente, dati tutti i batteri che si erano annidati su quella copertina per anni e che lei aveva smosso con tanta celerità. “Cough, cough! Ma quanti anni avrà questo diamine di libro? Un millennio? Sembra non lo si tocchi dall’età Edo!”
Arline si rigirò il libro tra le mani, domandandosi che cosa ci fosse scritto all’interno.
Onestamente la tentazione di lasciarlo perdere fu grande, ma anche la sua curiosità non era da meno.
Dunque, lo aprì.
Lo scrutò attentamente e, inizialmente, non riuscì a capirci un granché. Oltre al fatto che l’inchiostro si fosse, in parte, sbiadito, ma anche il modo di scrivere era abbastanza antiquato.
A giudicare dal linguaggio, sembrava scritto da qualcuno che aveva vissuto vero la fine dell’800.
Possibile che…?
“Non ci credo…” . La ragazza ebbe un sussulto. “Questo… non è un semplice libro…” constatò. “Questo è… un vero e proprio diario…” .
Incredula di ciò che aveva trovato, la ragazza si sedette sul tatami, sfogliando accuratamente le pagine ingiallite del diario, per paura di poterne staccare una pagine, con un movimento troppo avventato delle dita.
“E’ incredibile come si sia conservato per così tanto tempo… Chissà a chi appartiene…” non poté fare a meno di chiedersi la giovane. “Vediamo… Se solo riuscissi a leggere qualcosa…”.
Ma niente da fare. Quasi tutte le pagine di quell’antica reliquia erano illeggibili.
“Ah!” esclamò, ad un certo punto. “Ne ho trovata una in condizioni migliori! Vediamo un po’…”.
Dopo aver cercato l’inizio del capitolo, Arline si sistemò meglio gli occhiali e incominciò a leggere ad alta voce: “Scritto nel 24 luglio del 1891.
Caro diario,
oramai non so più che fare con Toshi. Quel gatto combina davvero troppi danni. Anche stamani, come al solito, l’uomo che si apposta qui, all’angolo, per vendere il pesce, è venuto a lamentarsi del fatto che “quel pestifero esserino” – come lo chiama lui – gli avesse rubato delle sardine.
Non sapevo più come scusarmi col pover’uomo e ho dovuto, necessariamente, consegnargli qualche soldo, per ripagare, almeno in parte, il danno.
Per fortuna il mio piccolo Ryuuki, ora come ora, lo sta tenendo a bada, giocandoci un po’.
Ieri sera è venuto a trovarmi Harada-san. E’ stato gentile. Ci ha portato dei dolci occidentali e qualche gioco per Ryuuki. Non gli sarò mai abbastanza grata.
Mi ha parlato dei suoi viaggi e del fatto che, ogni tanto, gli venisse nostalgia dei bei vecchi tempi, quando la shinsengumi era ancora in piedi. E di quando… Beh, lo sai, di quando il mio adorato Hijikata, Okita-san, Yamazaki-san… erano ancora vivi.
Quanti compagni avevamo perso…
Ah, non va bene… Solo a pensarci, mi viene nuovamente da piangere. Sto iniziando a diventare paranoica, vero? Sarai stanco di sentire le mie rimembranze sui tempi ormai andati.
Solo che, con tutta la buona volontà, non riesco a farne a meno…
Beh, cambiando argomento, sai che…”.
Vuoi vedere che questo diario appartiene a…
La ragazza non riuscì a proseguire nella lettura. Vi era una parte troppo ingiallita. Quindi la saltò e riprese a leggere quasi verso fine pagine: “…io non ci credo onestamente. Quella donna mi ha detto che, con quegli oggetti che ho raccolto, e pronunciando quell’haiku – a suo dire – magico, possa rincontrarli ancora una volta, tutti quanti.
Già… Che tentativo poco concreto di realizzare un sogno, vero?
Solo che… se non si sogna, come si fa a continuare a vivere, una volta che la vita è così desolata?
Beh, non importa. Anche se non ci credo, i versi di quella poesia sono davvero dolci.
Perché non riportarli? Sarebbe davvero un peccato:

Il tempo che passo con te è sorprendente.
Ho finalmente realizzato che il nostro appuntamento è finito.
Non voglio andarmene, non voglio più andarmene.
Fermiamo il tempo così da rimanere insieme per sempre.


Ogni volta, ogni giorno, in tutto…
Anche se siamo distanti, ci troveremo entrambi ancora insieme.
Ogni volta, ogni giorno, in tutto…
Credimi, anche se il tempo non può essere fermato,
e’ destino, c’incontreremo sempre un’altra volta, vero?


Ma, anche così, se potessi esprimere un solo desiderio:
Dio, ti prego, ferma il nostro tempo.”

Fu allora che…  Dio fermò il tempo e che mandò indietro le lancette dell’orologio.
Fu allora che la preghiera della ragazza fu ascoltata.
Il problema era che…
si trattava della ragazza sbagliata.

Arline rimase sconcertata: quella luce abbagliante che aveva avvolto i vecchi oggetti che si trovavano sul tatami (e che aveva trovato nell’armadio) e che successivamente invase tutta la stanza, scomparve senza lasciare tracce.
O, meglio, di tracce ne aveva lasciate, ma…
“Che…. Che…”
Dei ragazzi… ed anche molti… erano comparsi nella camera… e la guardavano tutti con arie un po’ perplesse e stupite.
Indossavano dei kimono molto antichi e la maggior parte avevano i capelli lunghi raccolti in strane acconciature.
L’attenzione di tutti quegli uomini cadde su di lei che, si spinse con la schiena contro il muro, più che spaventata.
“Che… Che… CHE DIAMINE STA SUCCEDENDO QUI?!?”

                                                                    ***

Che cos’è, questa?
Una benedizione? Una maledizione?
Un premio? Una punizione?
Davvero non lo so.
Ma, una cosa è certa: ancora adesso mi chiedo come sia potuto accadere…

Bisnonna Chizuru… ma che mi hai combinato?!?
  
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