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Parte 2: In Mare Aperto ^
Capitolo
1: Ace E La Ragazza Dell’Isola
Pioveva e tuonava.
La stanza oscura veniva illuminata un istante
sì e l’altro no dai lampi, e non appena aperti gli occhi, tutto ciò che stava
intorno alla ragazza stesa sul letto era appannato. Ogni tentativo di vedere
più chiaramente sembrava fallire, ogni suono, compreso quello del temporale,
appariva ovattato e confuso. Tutto, nella sua testa, era confuso; rimaneva
soltanto uno strano odore di bruciato, un dolore lancinante al braccio destro e
una spossatezza di cui non avrebbe saputo chiarire la provenienza.
Dov’era
finita?
Tentò di mettersi a sedere, ma sbattè contro
qualcosa e ricadde sdraiata sul letto. Appoggiò la testa sul cuscino e cercò di
capire cosa si fosse presa di petto.
-Il
medico ha detto che devi stare sdraiata- l' apostrofò una voce.
Il
qualcosa, pensò la ragazza, era un qualcuno.
Il
braccio continuava a bruciare dolorosamente, così come la testa continuava ad
essere completamente... Vuota.
-Pensavo
che non l’avresti più finita di strillare- stava dicendo intanto la voce,
chiaramente appartente ad un giovane.-Come hai detto che ti chiami...? Arissa,
giusto?-
La
ragazza aprì gli occhi e voltò la testa verso sinistra. Le tre figure sfocate
che vedeva si fecero pian piano più nitide, fino a sovrapporsi. La voce
apparteneva ad un ragazzo di vent’anni, che seduto a cavalcioni su una sedia di
legno, parlava ignorando lo stato di semi incoscienza in cui si trovava Arissa.
-Arissa...?-
borbottò la ragazza, passandosi una mano sulla fronte sudata.-Sono io?-
Lui
scoppiò a ridere e si dondolò un po’ sulla sedia, ricevendo in risposta una
smorfia di dolore.-Sei divertente- osservò, mentre la ragazza riusciva
finalmente a mettersi seduta sul letto.
-Mi
fa male il braccio- osservò Arissa, abbassando lo sguardo sulla fasciatura
bianca che aveva al braccio sinistro.-Cos’ho?-
-Un’ustione-
rispose il ragazzo.
-Ustione?-
domandò Arissa, perplessa.-Grave? Mi brucia.-
-Abbastanza
grave da lasciarti la cicatrice- rispose lui, posando una mano sul cappello per
calarselo un po’ sugli occhi.
Arissa
lo interruppe subito.-Cicatrice?-
Lui
le sorrise amichevolemente, senza aggiungere nulla.
-Tu chi sei?-
-Ma
come, non te lo ricordi? Ci siamo già presentati prima!-
Prima? Prima
quando? E prima di cosa?
-Qual
è il tuo nome?- domandò Arissa, dubbiosa.
Il
giovane alzò il pollice della mano come per dirle che andava tutto bene e le
rispose:-Ace.-
Arissa
lo guardò un pò, poi si girò a guardare il vetro della finestra che veniva colpito
senza sosta dalla pioggia.-Dove siamo?-
-A
dire il vero non lo so neanche io. Avevo bisogno di fermarmi all’isola più
vicina che avrei trovato.- Disse Ace, ridendo.
-Non
ricordo niente.- Affermò Arissa, passandosi una mano tra i capelli. Sentì che
stranamente erano sudati e bagnati, e a dire il vero, anche il vestito che portava
era bagnato. Addirittura puzzava di fumo!
-Non
lo so neanche io cos’è successo quando sei entrata in quella casa in fiamme.
Quando ti ho portata fuori eri priva di sensi.- Le riferì Ace.-... Ei, non
guardarmi in quel modo.-
Arissa
fece una smorfia.-Sono entrata in una casa in fiamme? E perché?-
-Ah,
non chiederlo a me!- esclamò Ace, alzando gli occhi al soffitto.
-Per
questo sono bruciata?- domandò Arissa, accennando alla fasciatura che le
avvolgeva l’avambraccio.-E perché non ricordo niente?-
-Senti.
Facciamo così: adesso riposati. Al resto ci penseremo dopo.- Propose Ace.-Una
bella dormita è quello che ci vuole, dai retta a me...- Si alzò dalla sedia
senza smettere di sorridere.
-Tu
sai il mio nome.-
-Ci
siamo presentati prima.-
-Prima
quando?-
-Riposati-
ordinò lui, ridendo.-Vedrai che dopo andrà meglio... Io intanto vado a fare uno
spuntino...-
Arissa tentò di trattenerlo, ma prima che potesse inventarsi qualcosa da dire, Ace era già uscito dalla stanza, allegro. Lei rimase sul letto a pensare a quale avrebbe potuto essere il passo successivo per riuscire a ricordare qualcosa.
Decise
che era ora di alzarsi dal letto e dare un’occhiata alla stanza.
Appoggiò
i piedi a terra e si alzò lentamente. Il vestito di cotone bianco le scivolò
sulle gambe, e lei lo guardò pigramente. Era sporco e anche bagnato.
Non
seppe dire se la condizione pietosa in cui versava il proprio vestito fosse un
segno buono o cattivo, ma tutto ciò che doveva fare era stare calma e pensare
con lucidità. Forse avrebbe potuto ricordare qulcosa di quel passato che ora
proprio non riusciva a capire.
S’inginocchiò
e guardò sotto il letto.
Una
tracolla verde scuro.
Allungò
una mano e la afferrò rapidamente, la trascinò a sé e la aprì senza esitare.
C’era qualcosa: una carta geografica arrotolata. Nient’altro.
La
stese sul pavimento e la esaminò rapidamente. C’era un’isoletta cerchiata con
un pennarello rosso: un puntino quasi invisibile su cui era stato scritto con
una grafia chiara e precisa “Tharaa”.
Arissa
fu contenta. Quella era la sua grafia, ne era sicura. Questo voleva dire che
quell’isolotto poteva essere legato al suo passato, in qualche modo. Forse Ace
le avrebbe saputo rispondere.
Tuttavia
un altro problema era proprio Ace. Chi fosse, da dove arrivasse e da quanto
tempo si conoscessero era un mistero, e ancor più lo era scoprire dove l’avesse
portata.
La
ragazza ripose la carta nella borsa e lancià quest’ultima sotto il letto. Ed
ecco un’altra cosa di cui era certa: quella borsa le apparteneva.
Si
alzò e si sgrullò il vestito dalla polvere, sebbene quello rimanesse infangato
e bruciato.
La
stanza era quadrata, dalle pareti tappezzate di carta da parati verde muschio.
Nessun quadro, nessun ornamento: solo un comodino di legno su cui erano
poggiate alcune bende e altre cianfrusaglie, il letto disfatto e la sedia su
cui prima era stato seduto Ace. La finestra era piccola e quadrata, e la luce
era davvero scarsa perché era solo quella delle due lanterne appese ai lati
della porta.
Arissa
avrebbe gradito specchiarsi, ma la cosa non sembrava essere possibile. Riusciva
a vedere un accenno alla sua figura, attraverso il vetro della finestra.
Soltanto la sagoma.
Uscì
dalla stanza senza fare rumore.
Il
corridoio esterno terminava alla sinistra di Arissa con un imponente armadio di
ferro chiuso a chiave, mentre alla destra della ragazza le pareti correvano
fino a terminare in una rampa di scale che portava al piano di sotto. Si
susseguivano altre porte come quella che Arissa si era appena chiusa alle
spalle, fino alla fine del corridoio.
La
ragazza si spostò alla sua sinistra e guardò l’armadio, lo toccò, lo esaminò,
provò a forzare la serratura, poi si mise le mani sui fianchi e sospirò. Rimase
in ascolto: si sentivano delle voci provenire dal piano di sotto. Diede le
spalle all’armadio e decise di raggiungere la fonte di quel parapiglia. Mano a
mano che si avvicinava alle scale la baraonda aumentava di volume, fino a che
Arissa potè distinguere delle voci in coro che cantavano, rumore di vetro e in
più le note stonate di un pianoforte.
Si
fermò quando arrivò in fondo alle scale.
È un’osteria...
La
gente che cantava e brindava, annoverava per lo più pirati, alcuni più
raccomandabili di altri, impegnati a perdere tempo con risate, barzellette di
pessimo umorismo e liquori. I tavoli erano tutti disposti in modo
confusionario, alcuni erano troppo affollati, altri completamente vuoti: uno in
particolare era pieno di gente che mangiava, beveva e intanto tirava i dadi.
Le
porte dell’osteria erano chiuse, ma un tipo mezzo ubriaco stava per essere
accompagnato fuori da un giovane.
Arissa
si guardò intorno, intimorita. Si scansò immediatamente non appena un pirata le
passò accanto per salire al piano di sopra. Le rivolse uno sguardo che lei si
accurò di evitare, poi sparì per le scale.
-Ah!
La ragazza si è svegliata!- esclamò una voce rauca.
Il
braccio di un uomo sulla trentina alto e smilzo, calvo, e dall’aria abbastanza
languida, le circondò le spalle.-Come va il braccio?-
Lei
si liberò immediatamente della presa e si allontanò di almeno un paio di metri
da lui, poi rimase a squadrarlo con aria diffidente.-Chi sei?-
-Sono
il dottor Hakabane!- esclamò lui, indicandosi.-Bel modo di ringraziare qualcuno
che ti ha salvato la vita!-
-Io
non so chi sei- replicò Arissa, in tono asciutto.-Dov’è Ace?-
Il
medico sospirò e indicò il bancone.-Laggiù. Potresti esprimere un po’ più di
gratitudine, però...-
Arissa
scosse la testa freneticamente e si allontanò a passo svelto, cercando di non
urtare nessuno dei pirati, né di dare fastidio ad alcuno che avrebbe potuto
procurarle guai. Arrivò al bancone inciampando sugli sgabelli che una donna
ingombrante e goffa le aveva rovesciato addosso, e si sedette accanto a Ace.
-Ace...-
Lui
se ne stava con la testa appoggiata sul bancone, davanti a una decina di piatti
vuoti.
-Ace!-
esclamò Arissa, battendogli la mano sulla spalla.
-Guarda
che è inutile- intervenne il medico, che intanto l’aveva raggiunta.-Quel tipo
soffre di narcolessia, non si sveglia neanche con le cannonate-
Arissa
gli lanciò un’occhiata sospettosa e continuò a scuotere Ace per la
spalla.-Svegliati! Ho bisogno del tuo aiuto!-
-Senti
ragazzina, perché non andiamo di sopra e mi fai vedere la ferita?- domandò il
medico, insistente, mentre allungava una mano per afferrarle il polso.
-Lasciami
stare- rispose Arissa, nervosa.-Non ti conosco.-
-Ma
potremmo conoscerci meglio-
-No!-
esclamò lei, sostenuta.-Devo svegliare Ace.-
In
quel momento, Ace si tirò su e sbadigliò sonoramente. Sembrava ancora nel mondo
dei sogni, ma per lo meno era sveglio.
-Ace!-
esclamò Arissa, sollevata.
Lui
si guardò intorno, individuò l’uomo alle spalle di Arissa, poi sbadigliò di
nuovo e commentò:-Alla fine non mi ha dato retta.-
-Non
avevo voglia di riposare- rispose Arissa.-Chi è quest’uomo?- domandò, indicando
il medico che sorrideva sfregandosi le mani.
-Ah,
quello è il tuo medico- fece Ace, sorridendo.-Avevo una fame...-
-Non
ho bisogno di un medico- replicò Arissa, alzandosi dallo sgabello per
nascondersi dietro a Ace.
-Che
ti prende?- domandò il giovane, voltandosi verso di lei.
-Non
mi fido di quel tizio!- esclamò Arissa.
Il
medico sospirò.-Ma io non volevo fare niente di male...-
-Ace,
andiamo via...-
-Dobbiamo
proprio? Io ho ancora fame!- protestò Ace.-E poi non posso mica scarrozzarti a
destra e a sinistra... Non sono una nave da crociera...-
Lei
lo ignorò.-Vado a prendere la mia borsa e andiamo!-
(...)
-Insomma
non mi stavi prendendo in giro quando dicevi di non ricordare nulla.- Disse
Ace, mentre uscivano dall’osteria.
Arissa
si sistemò la borsa a tracolla.-Ovvio. Non ricordo niente. Mi chiedevo se
potevi darmi una mano a ricordare qualcosa...-
-Non
credo di poter fare molto- disse Ace,-Io sono arrivato sulla tua isola tre
giorni prima che ci incontrassero. Mi sono fermato un po’ all’osteria, ho fatto
un paio di ricerche e poi ho deciso che dovevo andarmene. Soprattutto perché
avevo notato che c’era qualcosa che non andava.-
Lei
lo fissò.-Del tipo?-
-C’era
molta gente malata, in giro.- Rispose Ace, stringendo i pugni.-Stavo per
andarmene, quando una ragazzina è venuta a cercarmi. Non ricordo il suo nome,
ma ha detto che una sua amica, cioè tu, era scomparsa nel bosco qualche giorno
prima.-
-Sei
venuto a cercarmi?-
-E
fortuna che l’ho fatto. Altrimenti non ti avrei trovata stesa dentro una specie
di grotta in riva al mare. C’era un mostro a fare la guardia all’entrata, ma
l’ho sconfitto subito!- esclamò con orgoglio.-Poi sono venuto da te.-
Arissa
chiuse gli occhi. Il mostro. Il frutto. Il libro.
-Il
libro!- esclamò improvvisamente.-Non hai trovato nessun libro?-
-No.
Solo quella borsa-
-Certo,
il libro era nella borsa- disse Arissa. Corse a frugare nella tracolla, ma c’era soltanto la carta geografica che le
aveva dato Shanks.
Improvvisamente
le accorsero alla mente vaghi ricordi ammassati alla rinfusa, piccoli scorci
del passato che aveva appena vissuto. Suo padre e la sua diperata ricerca di
una cura per la malattia, la partenza per cercare il frutto Tam-Tam, che aveva
trovato in una grotta in riva al mare. Ricordò un mostro che l’aveva attaccata
e morsa, poi la malattia che era sopraggiunta.
Si
fermò e si guardò le mani.
Fisicamente
non sembrava esserci stato alcun cambiamento. Forse il frutto Tam-Tam non era
poi così efficace. Era soltanto un bel frutto rotondo di colore rosso cremisi
che le era sembrata l’unica fonte di salvezza.
-Ti
sei imbambolata per caso?- gridò Ace. Era già lontano, e lei gli corse dietro
immediatamente.
-Adesso
mi ricordo quasi tutto. Almeno tutto quello che c’è stato prima del mio
risveglio...-
-Dopo
siamo tornati al villaggio- raccontò Ace, in tono meno spensierato rispetto a
poco prima.-Alcuni avevano appiccato il fuoco ad una casa, e tu sei entrata
immediatamente.-
Arissa
si portò una mano dietro il collo.-Ho come l’impressione che qualcuno mi abbia
stordita.- Emise un gemito.-Non riuscirò
a ricordare niente se non do un’occhiata a quella casa... Avrebbe potuto essere
casa mia, o casa di Cammy! Cammy era con te quando sono entrata nella casa in
fiamme?- domandò preoccupata.
Ace
sorrise e scosse la testa.
(...)
-Riesci a
camminare?- chiede Cammy, con voce flebile, togliendo dal sentiero boscoso i
rami e le foglie che erano stati rotti dalla recente tempesta.
Arissa fa una
smorfia e alza gli occhi al cielo coperto da nuvole nere. Le fronde degli
alberi si muovono, scosse dalla tramontana, mentre gli uccelli scappano e
trovano rifugio nei posti più sicuri che può offrire il bosco.
-Sì- risponde
Arissa dopo aver valutato la situazione.-Dobbiamo sbrigarci- aggiunge.
Ace la segue e
si guarda intorno.-Conoscete la strada?-
-Abitiamo qui da
sempre- afferma Cammy, arrossendo.-Conosciamo l’isola a memoria!-
Arissa mette a
tacere tutti con un gesto rapido della mano, e a grandi falcate si mette a capo
del gruppo, procedendo svelta e sicura per il sentiero. Dietro, Ace avverte
l’atmosfera farsi pesante.
Arrivano così al
limitare del bosco, e Arissa indica le case del villaggio.
C’è qualcosa che
non va. In lontananza si vede del fumo che sale verso il cielo e viene spazzato
via dal vento, senza contare le urla e gli schiamazzi che provengono dalle
strade. Alcune ombre scure vengono proiettate sul muro di una casa. Sono ombre
alte di uomini che in mano tengono qualcosa di fino e allungato, che termina in
un forcone appuntito.
Le due ombre
rimangono fisse nello stesso punto per un po’, poi si rimpiccioliscono sempre
di più e scompaiono, e al loro posto spuntano i loro proprietari che corrono
verso una direzione precisa.
Arissa vede i
due uomini e capisce. Lancia uno sguardo a Cammy e li segue a capofitto senza
dare spiegazioni.
Nella sua borsa
sente rimbalzare il diario e la mappa. Corre a perdifiato per le strade,
urtando la gente che corre con dei secchi d’acqua in mano. La sua mente è poco
lucida, sa solo che deve arrivare in minor tempo possibile alla fonte di quel
fumo. Il villaggio è piccolo, non avrebbe dovuto metterci molto tempo. Sente
Ace e Cammy la stanno seguendo, intimandole di fermarsi.
Arrivata vanti
una casa in fiamme, Arissa si guarda intorno: la gente che è sotto la finestra
grida e alza pale e picconi al vento.
Poi il ricordo
diventa più confuso, fino a svanire in una nube bianchiccia.
Note
dell’autrice:
Mi
scuso per l’enorme ritardo, ma non ho avuto neanche un briciolo di tempo ç_ç…
Tantopiù che ho dovuto modificare l’intreccio della storia *_*… Spero di
continuare durante le vacanze di natale *guarda il cielo speranzosa*. Per
adesso non posso rispondere alle recensioni, ma nel prossimo capitolo tenterò
di farlo... Intanto ringrazio i preferiti: milla96,
the one winged angel, tre88, yunix07
E
i seguiti: ayumi_L, Elly11, Killy, kirej,
Miki michaelis, Sofi_Chan, tre88,
yunix07