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Autore: EsseTi    06/01/2011    2 recensioni
Ha inizio il settimo anno di Harry Potter a Hogwarts: Sirius Black, nella battaglia al Ministero, non è mai morto, e lo stesso Albus Silente non è stato ucciso, ma continua a essere il preside della scuola. Nel corso dell'estate, Silente ed Harry hanno cercato, trovato e distrutto quasi tutti gli Horcrux: solo il serpente Nagini e Voldemort stesso li separano dalla loro vittoria. Intanto, lo scoppio della guerra è alle porte ma - L'istruzione - dice Silente - non deve essere trascurata -. Così, il trio ritorna a Scuola per frequentare l'ultimo anno. Quando però arriva Selene, una ragazza bellissima e misteriosamente inquietante, il mondo che credevano di conoscere viene stravolto e i piani del fato mutano irrimediabilmente. Selene viene dal greco, significa luna. [...]"Questa è Magia Oscura" pensa Harry. [...]- Da che parte stai, eh?! - le urla Hermione, furiosa.[...]- Quella era mia madre...che c'entri tu con mia madre?!?! - Harry urla. Si, Selene non aveva decisamente considerato che l'Occlumanzia le si sarebbe potuta rivoltare contro. Harry non avrebbe mai dovuto sapere cosa c'entrava lei con Lily Potter.[...] - In fondo è mio padre.Non lo voglio morto. Voglio che soffra, come ha distrutto la vita di mia madre...che soffra tanto da chiedere lui stesso di morire - mormora Selene, con una voce fredda che credeva non appartenerle.[...] - Vedi, Harry...io...so fare delle cose...particolari - gli confessa, gli occhi verdi fissi nei suoi.[...]- Dai Remus, parlamene...raccontami la storia della Luna..di Selene.. - lo implora Harry. Remus è agitato, non sarebbe stato giusto dirglielo.[...]- Perchè non vuoi dirmi chi è? - Harry è quasi paonazzo. - Non mentirmi, Sirius, dimmi chi è suo padre! - [...] Harry...è ora che tu sappia una cosa... -. Un profondo rumore dal piano di sotto scuote il moro, che prende Selene per un polso, sorridendo.- Me lo dirai più tardi..adesso è ora di combattere -. Selene scuote la testa: sa già che dopo sarà già troppo tardi.
N.B. Nonostante la bellezza fuori dalla norma, Seleneè un essere umano. Non è un vampiro nè un essere soprannaturale, ma una persona normalissima.
Genere: Avventura, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Il trio protagonista, Un po' tutti, Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Da VII libro alternativo
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Capitolo 16 : Ripensamenti e ricordi
 

[martedì 14 ottobre]
E’ adorabile: una ciocca di capelli rossi attorcigliata tra le dita, il volto pallido senza trucco, le occhiaie scure, gli occhi gonfi di sonno, i capelli arruffati e un simpatico brufolo sul naso. Sembra una bambina nella culla, con l’espressione persa nel vuoto ma che curiosa osserva tutto il mondo intorno.
Draco non può fare a meno di guardarla, e lei non se ne accorge. E’ terribilmente geloso, lo è sempre stato: odia il modo in cui Potter cerca di farla integrare nel suo gruppo. Lei non vuole, non può stare con loro, lei è solo sua e basta: negli anni precedenti, Draco non aveva mai dovuto farsi tanti problemi; non c’è mai stata persona al mondo ad averla trovata tanto simpatica da tentare di avvicinarla. Ma adesso, Potter è arrivato come sempre a distruggere le uova nel paniere.
Selene sobbalza quando Draco le solletica leggermente un fianco, attirandone l’attenzione: la ciocca di capelli che stringeva tra le dita scivola via, poggiandosi sullo zigomo e gli occhi di lei mettono a fuoco il biondo.
- A che pensi, crù? – le chiede il biondo, stringendola a sé.
Sono sdraiati nel letto di lui, nel dormitorio maschile di Serpeverde, con le tende del baldacchino accuratamente incantate per proteggersi dalla vista e dall’udito altrui: sono lì da ore, in silenzio, semplicemente a tenersi compagnia. Le era sempre piaciuto il silenzio.
- A niente…. –
- Non è vero… -
- Uff, che fastidioso che sei… - lo prende in giro la rossa, con un sorriso. Draco si vendica solleticandole appena i fianchi per strapparle un sorriso al quale lei si lascia andare immediatamente. –Però effettivamente…pensavo a mia madre…sai, la settimana scorsa, quando la Burbage… -
- Si, me lo ricordo. Cosa ti ha detto tua madre? – taglia corto Draco. Non vuole sentir parlare di quel giorno, lo perseguitava già abbastanza in sogno.
- Beh, prima di andare a letto, mi ha preso da parte, mi ha detto un sacco di cose strane.. – fa una pausa, ricordando lo sguardo stranamente serio di sua madre. – Ha iniziato a dire di essere stata una cattiva madre, di non aver pensato a me, di avermi rovinato la vita: poi mi ha detto che devo dimenticare l’educazione che lei mi ha dato, che è tutta sbagliata…che la gente non vuole tutta farmi del male, che devo permettere alla gente di avvicinarsi a me e che non sarebbe successo nulla di male. In pratica mi ha detto di ricominciare la mia vita tutta daccapo, ti sembra normale? –
- Beh, il discorso non ha mica tutti i torti…cioè, tu…tu sei un po’ come me, e invece tua madre ha sempre rimproverato mio padre…forse adesso ha capito che qualche errore l’ha fatto anche lei.. – inizia il biondo. Selene si stacca da lui, sollevandosi sui gomiti e guardandolo stupita: un ciuffo di capelli cade a coprirle il viso, ma non se ne cura.
- Fammi capire…tu credi che in me ci sia qualcosa di sbagliato?? – soffia la rossa, seriamente preoccupata. Draco si mette seduto, prendendole una mano e stringendola con forza tra le sue: quella di lei è straordinariamente fredda, come sempre. Draco si era sempre chiesto se in quelle mani il sangue le circolasse.
- Non sto dicendo questo, sono l’ultima persona a poterlo dire…però…non esiste persona al mondo che, su di te, la pensa come me: nessuno che dica che sei una persona solare, allegra, divertente, simpatica e di compagnia. Solo io, perché solo io sono abbastanza simile a te da capire, perché io ti ho visto crescere. Ma non c’è nessun altro a saperlo, e a nessuno interessa tra l’altro, perché…non dico che abbiano paura di te, però, ecco…credono tu sia antipatica, perché non ti fai conoscere… - le spiega.
Selene fa spallucce, non si sorprende nel sentire quelle cose: in fondo, aveva lavorato anni e anni per ottenere quello, e adesso che ce l’aveva, perché sua madre si lamentava?
- Ma… - inizia. Draco la interrompe di nuovo, consapevole del fatto che l’avrebbe fatta arrabbiare: Selene odiava essere interrotta, le faceva perdere il filo e lei odiava parlare e trovarsi al centro dell’attenzione.
- Ascolta, non è sbagliato questo, fosse per me tu vivresti in un castello di vetro, solo con me e con nessun’altro. Ma adesso tua madre si sta preoccupando, quindi, per il suo bene e per il tuo, non credi sia il caso di ascoltarla? .
- Ma che cosa dovrei fare scusa? Ascoltarla si, ma…che dovrei fare? Nessuno me l’ha mai insegnato. – ammette. Draco apre bocca per risponderle, ma alla fine scopre di non aver nulla da dirle: nessuna l’ha mai insegnato neanche a lui, tutti gli “amici” che ha sono soltanto ragazzi che hanno paura di lui, o di suo padre. Espira, passandosi una mano tra i capelli.
- Non lo so. – è costretto a dire. – Credo che….credo che tua madre voglia semplicemente che tu ti fidi della gente. Cioè, se qualche compagna ti invita a studiare con lei, a salire le scale con lei, dici di si. Se qualcuno ti chiede che ore sono, concedi un sorriso insieme alla risposta, invece di fuggire via subito. –
Selene è perplessa.
- Bah.  – esclama soltanto, sistemandosi il maglione e chiudendo i capelli in una coda alta. – Sarà meglio che vada, ho una relazione da finire e non credo che Vitious sarà tanto clemente in cas di mancata consegna. –
- potresti sempre dirgli di essere stata impegnata a curare un amico malato! – risponde lui, in una mezza risata.
- E sentiamo, caro amico malato, che malattia avresti? – lo prende in giro.
- La coccolite! – le dice ridendo, guardandola dal basso con gli occhi spalancati e il labbrino.
- Oh, Draco Malfoy, sei davvero adorabile! – ride Selene. – Ma non farti vedere da nessuno così, rovineresti la tua reputazione! – gli comunica, stampandogli un bacio sulla fronte, prima di scendere dal letto per tornare in Sala Comune.
Il dormitorio Serpeverde è deserto: Selene scende le scale, attraversando velocemente la Sala Comune verde e argento poco affollata e fuggendo nei sotterranei. Non vede l’ora di essere davanti al camino, fa terribilmente freddo: mentre cammina, non può fare a meno di pensare alle parole di sua madre, e a quelle di Draco. Era davvero così indisponente con gli altri?
Sale le scale, osservando gruppetti di gente sorridente camminare insieme e scherzare, mentre lei è da sola a salire le scale. Forse sua madre ha ragione, e Draco ancor più di lei.
 
- Hai vinto ancora, Herm, d’accordo. Mi sono stufato, basta! –
- Dai, Ron, l’ultima partita… -
- Ok ok, ma che sia l’ultima! Non c’è gusto a giocare con te! –
Ron ed Hermione, nella Sala Comune di Grifondoro, si lasciando andare ad un divertente battibecco,
mentre giocano a scacchi: su un divano vicino, Ginny sta aiutando Harry con un compito di Pozioni.
- Su, Harry, concentrati… - lo rimbrotta Ginny.
- Sono concentratissimo – le mente. In realtà il profumo di lei gli sta rendendo la vita particolarmente difficile: non voleva averla così vicino, gli riportava alla mente una marea di ricordi, felici, di un anno che non sarebbe tornato ma che avrebbe desiderato rivivere. Forse, poi, neppure tanto per Ginny in sé, quanto soprattutto per la quiete e la pace che era riuscito a trovare: negli ultimi mesi, invece, viveva con un groppo in gola, gonfiato dal non potersi pienamente confidare con i suoi migliori amici, per non preoccuparli, soprattutto Hermione, la più apprensiva.
- Hai scritto mandragola con tre “g” e triturare con un “tu” in più.. –
- Oh…..ops… - Harry arrossisce, Ginny ha terribilmente ragione. Poggia la piuma sul tavolo, allontanando il foglio di pergamena. – E’ che ho urgentemente bisogno di una pausa…e di qualcosa di caldo. –
- ti va una cioccolata? Potremmo scendere nelle cucine a chiederne un po’ agli elfi…a Dobby non dispiacerà concedercela, e poi è un sacco che non lo andiamo a trovare.. – propone Ginny. Anche qui Harry deve ammettere che la rossa ha ragione: non vede Dobby da mesi. Esattamente da Giugno: l’ultima volta che è sceso nelle cucine, l’ha fatto con Ginny. Dopo averla lasciata non ha più avuto il coraggio di farlo: temeva di incontrarla, a lei piaceva molto scendere di sotto e ammirare divertita gli elfi nel loro frettoloso sgambettare.
Torturata dall’attesa, Ginny Weasley spera vivamente che Harry le dica di si: non aveva una gran voglia di cioccolato, ma stava disperatamente cercando una scusa per restare sola con lui. Vuole la sua attenzione, esclusivamente per lei,  vuole che lui la guardi ancora come appena sei mesi prima, che la ami, che la desideri: non è ancora disposta a cederlo, a nessuno. Men che meno a una snob dai capelli rossi e gli occhi verdi. Odia quella ragazza, profondamente: è subdola, antipatica, snob e indisponente: e nonostante tutto, harry la guarda con affetto, come guarda, Hermione, o lavanda, o lei. Come se quella…quella…quella! fosse una persona normale, degna di essere considerata e a cui rivolgere la parola. Avrebbe potuto sopportare di vedere Harry felice con chiunque altro, ma non con lei.
- D’accordo, non può che farmi bene una cioccolata. – accetta alla fine. Ginny sorride, nascondendo un sospiro soddisfatto: si alza, avviandosi fuori dal buco del ritratto. Non è ancora sufficientemente tardi da confinare tutti nelle proprie sale comuni, perciò i corridoi sono abbastanza affollati: harry le cammina di fianco, imbarazzato ma sereno, mentre Ginny avanza fiera, muovendo le mano per cercare di sfiorare quelle di lui. Il contatto lieve della loro pelle fa sobbalzare Harry, che per dissimulare fa finta di nulla, continuando per la propria strada: si sente incastrato in qualcosa che gli sta sfuggendo di mano. Forse ha sbagliato a credere che un’amicizia tra lui e Ginny sia possibile, così presto almeno. Prima che abbia la possibilità di pentirsi, lei si ferma, al centro di un corridoio affollato, passaggio oblligato per molti studenti diretti alle mete più disparate: ha il capo basso, sta in silenzio, ma il suo corpo ha un piccolo sussulto che lascia immaginare ad harry che la rossa stia piangendo.
- Ginny? – la chiama, avvicinandosi a lei, senza toccarla. Ginny non alza il viso, resta ferma nella stessa posizione: i capelli lunghi le ricadono sul capo chino, nascondendo ad Harry il volto pieno di lentiggini. – Gin… - le sussurra di nuovo. Questa volta le sfiora una spalla, avvicinandosi ulteriormente: e Ginny alza il viso, gli occhi lucidi, ma non sta piangendo. Harry la guarda, attento: è sempre meravigliosa come tutte le altre volte che l’ha avuta così vicina. Il naso piccolo, leggermente all’insù, gli occhi azzurri liquidi, le lentiggini sulla pelle i lunghi capelli rosso fuoco, lisci, appena un po’ stopposi: tutti particolare che la rendono meravigliosa, quasi fosse una principessa.
- Io…scusa Harry…è che… -  si limita a dire. Non ha la minima idea di come giustificarsi, ma non era più riuscita a camminargli accanto come se nulla fosse: continuava a pensare se si stesse comportando con lei come faceva con Selene. E se avesse ceduto alle lusinghe di lei: se si fosse fatto corrompere da quegli occhi verdi e quella pelle pallida? Se l’avesse baciata? Il groppo in gola a quel pensiero l’aveva fermata, ma non era riuscita a piangere, nonostante i singhiozzi: era arrabbiata, oltre che delusa e amareggiata. Lei non doveva neppure parlargli, altro che toccarlo, baciarlo. Ginny espira, cercando di calmarsi, eppure Harry è così vicino: intorno al loro sente i primi mormorii, ma nessuno si cura particolarmente di quei due studenti fermi nel largo corridoio. – Scusami Harry… - gli dice anticipatamente, prima di alzarsi sulle punte, facendosi forza sulle spalle di lui, e baciarlo.
Voleva farlo da molto tempo: dalla notte in cui lui l’aveva lasciata. Aveva cercato di convincersi che lui era uno stronzo, poi che lui aveva ragione, alla fine che ormai era fatta, di lasciarlo perdere: non si era mai convinta abbastanza. Lo vuole ancora, sogna ancora un futuro con lui, e vederlo insieme ad un’altra, anche semplicemente a parlarle, l’aveva scossa: non glielo avrebbe mai lasciato, non sarebbe mai stato felice con quella, bella si, ma senza cuore. E’ con lei che Harry deve stare, con lei che lo ha amato per anni, in silenzio, e che solo perseverando è riuscita ad avere.
Le labbra di Harry sono esattamente come lei le ricordava, hanno ancora lo stesso sapore: e inaspettatamente, oltre ogni sua più rosea previsione, Harry sta rispondendo a quel bacio. E stringe la vita con una mano, mentre l’altra è andata a stringerle il capo, impedendole di allontanarsi e insinuando la lingua nella bocca di lei, alla ricerca della sua. Ginny trema, sostenuta dalle forti braccia di lui: è dannatamente felice, più di quanto avrebbe mai potuto credere. Si staccano piano, con delicatezza, avvertendo ogni singolo millimetro di pelle che si allontana, lo scorrere dei vestiti dell’altro sui polpastrelli.
Harry sbatte appena gli occhi, come risvegliandosi da un sogno strano; non crede a quello che ha appena fatto. Non avrebbe dovuto, Ron si arrabbierà con lui: eccome se lo farà. Gli urlerà contro di non mettere le mani addosso a sua sorella, di rispettarla, esattamente come la prima volta, un anno prima: questa volta, però, harry ne è certo, si sarebbe arrabbiato ulteriormente quando Harry avrebbe ammesso di non aver ugualmente il coraggio di iniziare nuovamente una storia con lei. Su questo punto è terribilmente deciso: l’aveva lasciata per non metterla in pericolo, e adesso che Voldemort ha scoperto l’assenza degli Horcrux presto sarà guerra aperta, e Ginny non può essere coinvolta. E inoltre, quell’estate senza di lei non è passata invano: Harry non è pronto ad avere una storia seria, innamorato o meno. Probabilmente non sarà neanche vivo tra tre mesi, figurarsi fare progetti.
Ginny trema ancora impercettibilmente, ma nasconde quel sorriso che stava per esploderle sul viso.
- Harry… - lo chiama dolcemente, avvicinandosi di nuovo a lui per sfiorargli un braccio con la mano. Harry non si ritrae, ma fissa con attenzione quella piccola mano stretta sul proprio braccio.
- Scusa, Gin, non…non avrei dovuto.. – si giustifica, debolmente. Ginny scuote il capo, minimizzando.
- Tranquillo, sono stata io.. –
- Non avrei..non avrei dovuto risponderti, aggredirti in quel modo e.. –
Ginny sente chiaramente il tonfo del proprio cuore a quelle parole: sono simbolo della fine, della vergogna, segno chiarissimo che lui non la vuole.
- Tu…tu non mi vuoi…. – ammette, più per convincere se stessa che per informarlo. Harry la guarda, il suo sguardo lo mette in imbarazzo.
- Non è questo Gin..:! Tu sei la ragazza migliore del mondo, bisognerebbe essere un pazzo per rifiutarti..-
- E allora perché lo stai facendo? – il tono di lei è secco, duro, suona come una constatazione: non è lamentoso, pietoso, né sono arrivate delle lacrime ad offuscare l’azzurro dei suoi occhi, Ginevra Weasley non avrebbe mai pianto.
- Perché non meriti questo, non meriti di vivere con l’angoscia che Voldemort possa uccidere me, o peggio ancora te! Meriti qualcuno di normale, con cui andare a prendere una burrobirra, andare a vedere le partite di Quidditch, fare una passeggiata senza Mantello dell’Invisibilità e senza guardarti dai Mangiamorte! Meriti più di un idiota con sulla spalla un timer il cui tempo sta per scadere! Non devi essere innamorata di me, Ginny, perché quando… - harry fa un respiro profondo. - …se dovesse succedermi qualcosa, tu resteresti sola a piangermi, e non posso permetterlo!... –
- Ascoltami bene, Harry James Potter, non ho permesso per sedici anni neppure ai miei fratelli di darmi ordini: credi che permetterò a te di farlo? Non sono una donnicciola aggrappata alle gonne di mamma, so badare a me stessa e so cosa voglio: voglio te, amo te, e non mi importa tutte le scuse che potrai tirar fuori. Non mi importa di morire, è un rischio da correre, e se dovesse succederti qualcosa piangerò fino a quando mi pare, poi mi rialzerò e lotterò, contro me stessa e contro chiunque o qualunque cosa possa provare a schiacciarmi. Ma mai, e dico mai, prenderò ordini da te. Sono stata chiara? . gli comunica, con calma e sicurezza. Harry la guarda, il capo alto, fiero, e quegli occhi chiari lo trafiggono come una lama. – ma se la verità è che non mi vuoi, che non mi ami, allora è tutta un’altra storia. In quel caso, dimmelo, dimmi la verità, e questa sarà l’ultima volta che ti porrò di fronte ad un discorso del genere. –
Harry Potter si scompiglia i capelli con una mano, soppesando le proprie parole: Ginny ha un’aria sicura di fronte a lui, pronta a sostenere qualsiasi risposta.
- Non lo so, Gin, non ne ho la minima idea – espira lui. – Sono confuso, non so cosa voglio. Ho paura per te, ma non so se è solo questo. Non so se ti amo ancora. – Si stropiccia un occhio, ha quasi mal di testa: era così sicuro della sua scelta, non averla vista lo aveva quasi convinto che lei avesse accettato. Ma adesso, avere davanti il suo corpo, i suoi occhi e la sua testardaggine, stava distruggendo le sue difese: non era mai riuscito ad opporsi, lei riusciva ad averla vinta sempre, in ogni situazione.
Ginny incassa il colpo con fierezza, senza dare il minimo segno di sconvolgimento: il suo cuore, però, ha battuto un altro colpo, forte come e più del precedente. Annuisce, senza mai abbassare il capo: non si sarebbe fatta umiliare.
- D’accordo, è tutto chiaro… Vuoi che me ne vada, che esca dalla tua vita? –
- No. – questa è l’unica risposta sicura che Harry ha per lei. Con un balzo in avanti, la inchioda delicatamente contro il muro, baciandola ancora. – Non voglio che tu te ne vada. Voglio tempo. – ammette, ad un passo dalle labbra di lei, prima di bloccarla ancora, assaporando quel dolce sapore di fragola, mentre dietro di loro continua l’incessante movimento del corridoio del terzo piano.
 
Odia essere rinchiusa, è una cosa estremamente snervante: lei, che ha sempre amato girovagare, viaggiare, osservare, è bloccata in un piccolo alloggio nel castello di Hogwarts, per sfuggire ai mangiamorte. Donna White si alza dal divano, chiudendo il libro che stava leggendo e poggiandolo sui gonfi morbidi cuscini: fuori dalla finestra guarda il buio scendere sul lago, gli ultimi ragazzi in giro rientrare per non violare il coprifuoco; sorride alla vista di un ragazzino che, impacciato, inciampa nel mantello troppo lungo passando accanto ad una ragazza bionda, sicuramente più grande di lui. Gli alberi della Foresta proibita agitano appena le loro chiome, alla lieve brezza della sera: si ricorda tutte le volte che è fuggita lì, di notte, con Augustus  e Jenny, senza mai farsi beccare, per mangiare il cibo ottenuto dagli elfi dopo essere sgattaiolati in cucina. Se li ricorda ancora, i suoi due migliori amici, anche se non li vede da vent’anni. Jennifer Mitchell era diventata la sua migliore amica dal momento in cui si erano incontrate nello scompartimento del treno: dalla pelle candida, i capelli biondi e liscissimi, gli occhi azzurri e un corpicino sottilissimo, le era immediatamente stata simpatica. Era il suo idolo, ne invidiava persino un po’ la bellezza: lei, con i capelli rossi, tagliati sempre a caschetto dalla mamma, un po’ crespi, e gli occhi scuri, castani come la terra appena arata: con il tempo, anche lei era fiorita, divenendo una bellezza, diversa da Jenny certo. Erano state smistate entrambe a Corvonero, ed erano divenute inseparabili: Jennifer sognava di diventare Guaritrice, tanto che dopo Hogwarts abbandonò il piccolo paesino in cui viveva per studiare e inseguire il proprio sogno. Si erano scritte e tenute in contatto per tutti gli anni a venire, e così Donna aveva saputo di come la sua migliore amica di scuola avesse realizzato il proprio sogno e si fosse trasferita in America insieme al marito e ai due figli: la vita che aveva sempre sognato. Non le scriveva da diciotto anni: dopo quello che era successo, si sentiva una donna distrutta, si vergognava troppo per infangare la vita perfetta di Jennifer. E poi c’era Augustus: si era unito al loro duo dopo che, al quarto anno, lo avevano salvato da una punizione sicura per essersi quasi fatto beccare da Gazza nel vecchio bagno di Mirtilla Malcontenta. Odiava il suo nome, ad un livello tale che, tra di loro, si faceva chiamare Michael. Augustus Rookwood era un Serpeverde, uno degli alunni più brillanti della scuola e una delle persone più belle del mondo. Augustus Rookwood, adesso, è un Mangiamorte. Donna torna a sedersi sul divano, con la testa tra le mani. Il suo Michael le manca tremendamente, ma adesso non esiste più, adesso c’è solo Rookwood, il fido mangiamorte di Voldemort: Donna si trova a chiedersi se, nella visione di Harry che le aveva salvato la vita, richiudendola nella scuola, ci fosse stato anche lui: avrebbe avuto il coraggio di partecipare a quella missione? Di vederla morire? Lui l’aveva vista piangere, ridere, dare di matto, mordersi le mani per l’ansia prima degli esami…l’aveva vista donna, per la prima volta. Era stato lui a renderla una donna, nella piena consapevolezza di quello che stavano facendo: non erano ubriachi, né confusi: semplicemente, Donna era convinta che non ci sarebbe stato uomo migliore da ricordare per la sua prima volta. Aveva 15 anni, ed erano in un angolo del parco, vicino al lago, in una tenda che lui aveva montato, con un bel fuoco caldo e una fessura trasparente per vedere le stelle: avevano mangiato, riso, giocato persino a scacchi. Poi lui, vedendola, tremante aveva preso il controllo: chiudendo gli occhi, Donna riesce ancora a sentire il suo profumo di muschio.
- hei… - Augustus la guarda, la vede tremare. – Vieni qui.. – le dice dolcemente. Non le chiede se ne è sicura, lei ha già deciso: e lui avrebbe controllato tutto, avrebbe fatto in modo che quella piccola e fragile creatura ricordasse quella notte per il resto della vita. La vede con i capelli lunghi chiusi in una coda, la stessa di ogni giorno, la fronte scoperta, gli occhi grandi impauriti e il labbro tremante: si alza, decisa, avvicinandosi a lui e rifugiandosi tra le sue braccia.
- Michael…mi fido di te..non…non farmi male..- lo implora quasi brividi di nervosismo malcelati lungo tutto il corpo. Lui le bacia la fronte, stringendola a sé.
- Non ti farò mai del male, te lo prometto. Ti proteggerò da tutto e tutti, anche da me…ti voglio bene, Donna… - le sussurra, vicino ad un orecchio, stringendola più forte. Non le avrebbe fatto male, le avrebbe mostrato cosa vuol dire l’amore fisico: era una cosa sbagliata in realtà, lo sapeva, lei avrebbe dovuto donarsi soltanto al ragazzo di cui si sarebbe innamorata e che si sarebbe innamorato di lei…ma loro erano amici, non esisteva al mondo uomo che tenesse a lei più di se stesso. In fondo, quindi, era un po’ giusto. La mano di Augustus salì lungo la schiena di lei, lasciandole un brivido che le fece spalancare gli occhi, poi arrivò al collo, infine ai capelli: con un gesto fluido, l’elastico che le stringeva i capelli scivolò lungo quella chioma, lasciando che i lunghi capelli cadessero a coprire le sue spalle. Il ragazzo si tirò appena indietro, guardandola bene: con i capelli sciolti era molto più bella che con quella pettinatura da vecchietta che si faceva ogni giorno. Donna arrossisce, nascondendosi sul suo petto e respirando quel profumo: con un gesto fluido, lui continua, togliendole il maglioncino, la camicia e la gonna a pieghe, insieme alle calze. Quando lei rimane con solo i lunghi capelli ramati a coprirla, Augustus si gode quella visione paradisiaca: il corpo sottile e scattante nudo di fronte a lui. Lei si nasconde, riparandosi con le braccia, ma lui è più veloce: le ferma le mani, poggiandole sul proprio petto e iniziando a baciarla dolcemente, scatenandole mille brividi. Donna si sente tanto scossa da non rendersi conto delle mani di lui che la guidano a sbottonare la camicia e a poggiarsi sul rigonfiamento sotto i pantaloni: lei sobbalza, come un gatto spaventato, ma Augustus non le lascia il polso.
- Non avere paura di me. E’ così che si fa. – le dice soltanto, come a un bambino cui si spiega un incantesimo facilissimo e scontato. Donna prende coraggio, lasciando che lui la guidi: continua il suo cammino sbottonando i pantaloni e insinuandosi all’interno: arrossisce furiosamente, vergognosa e spaventata, tanto rigida da non riuscire più neppure a ribellarsi. Il ragazzo si ferma, poggiando le mani sulla vita di lei: non riesce più a reggere il suo autocontrollo, ma non può forzarla: si gode le carezze sulla pelle di lei, i baci sul suo collo, i suoi sospiri che la fanno sciogliere piano e la fanno muovere contro di lui, finalmente un po’ viva, un po’ intraprendente. Quando la adagia sul divano, Donna non protesta: la bacia ancora, assaporando quella pelle morbida. Se potesse, passerebbe tutta la notte a baciarla, ad accarezzarla: lei ha un altro sussulto quando la mano di lui si insinua risalendo tra le sue gambe, trattenendo un gemito di dolore. Ma lui non vuole farle male, ritrae immediatamente la mano, accarezzandole il viso e scostando i lunghi capelli: gli occhi di Donna sono aperti, a guardarlo curiosa.
- Dammi un bacio… - le ordina quasi, prendendo quello che lei, ubbidiente, gli offre. Si scosta, poggiando le labbra sul collo di lei, e le scivola dentro, con un movimento delicato ma deciso.
Donna sobbalza, scattando su dal divano; si ricorda ancora ogni particolare di quella notte. Lei aveva avuto ragione, non ci sarebbe stato uomo migliore al quale consegnare la propria verginità: non le aveva neppure fatto male, contrariamente a quanto si aspettava dai racconti delle amiche. L’aveva amata muovendosi piano, rinunciando a prendersi il proprio piacere per non farle male, per non stancarla, ma lei aveva insistito: non era stanca, non aveva dolori, e voleva vedere l’espressione d’estasi disegnarsi sul suo volto. Era stata l’unica volta che aveva fatto l’amore: tutte le altre volte era stato puro sesso, e quella dannata notte….beh, da quella notte non aveva più permesso a un uomo di toccarla.
Lei e Augustus non avevano più fatto l’amore dopo quella prima volta, e nessuno dei due si era lamentato: l’ultimo anno di scuola, lui aveva manifestato tendenze che lo avevano allontanato da Jennifer e Donna, e, dopo i M.A.G.O. , era sparito. Non aveva mai risposto alle lettere di Donna, alle sue richieste disperate di vedersi ancora una volta, di consigliarsi: Donna non si era mai umiliata tanto con uomo, soltanto con lui. E lui non le aveva mai risposto. Anni dopo, Donna vide il suo volto sulla Gazzetta del Profeta, tra i nomi dei Mangiamorte: stava lì, brillava come fosse scritto col sangue. Augustus Rookwood. Avrebbe dovuto odiarlo, ma non ci riusciva. Avrebbe dovuto raccontare agli Auror tutto quello che sapeva su di lui, per rendere più facile catturarlo e rinchiuderlo ad Azkaban, ma non lo aveva fatto. Avrebbe dovuto scrivere, nei suoi articoli per il Profeta, anche il suo nome tra quelli dei Mangiamorte avvistati dopo una tortura ai Babbani, ma lo aveva celato con un eccetera. Era sempre stata una codarda, prima ancora che quell’uomo le distruggesse la vita, prima ancora che sua figlia le segnasse la vita. Se ne rendeva conto: non era diventata codarda e vigliacca dopo quella violenza, ma lo era sempre stata. Era sempre stata spregevole.
Donna si morde un labbro, fino a farlo sanguinare. Le mancava ancora, dannatamente, come tutte le notti in cui, piangendo nel letto da sola, immaginava di averlo accanto a sé, a carezzarle i capelli, quando non aveva ancora nessun Marchio nero, tatuato sul braccio, quando non aveva ancora perso il senno, quando nessuno gli aveva ancora fatto il lavaggio del cervello.
Ma avrebbe dovuto accettarlo. Il suo Michael era morto, sulle sue ceneri era sorto Augustus Rookwood. 

Angolo dell’autrice: Rieccomi!
Tantissimi auguri a tutte…!xD La befana quest’oggi ha portato un regalino, l’ispirazione per finire questo capitolo!xD
Purtroppo sono di fretta, non riesco a ringraziare personalmente tutti, ma mando un grazie a chi segue questa storia, anche a chi non commenta.
Spero di poter postare presto e di avere più tempo per i ringraziamenti.
Un bacione a tutti e a prestooo!
S. 

   
 
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