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Autore: LaMiya    06/01/2011    0 recensioni
È la storia di un'aquila e fin qui ne sono sicura. È la storia di un monaco e sono sicura pure di questo. Non so se finirà bene o male, ma vista la categoria in cui l'ho messa credo che non finirà nel migliore dei modi. Spero comunque che vi piaccia e aspetto recensioni e consigli!
Un fischio attraversò le montagne, l’eco rimbalzò sulle pareti di roccia, estinguendosi poco dopo a Nord, ai confini con la Cina. L’aquila alzò la testa, scrutando l’orizzonte, curiosa. Spalancando le enormi ali spiccò il volo dal masso su cui si era posata e si diresse verso l’origine del suono, inoltrandosi sempre di più tra le vette. Più saliva di quota più gli alberi sparivano alla vista, sostituiti da campi ricoperti da verde erba, che gli animali brucavano del tutto indifferenti al resto del mondo.
Per amore della mia reputazione ho corretto alcuni errori di punteggiatura! Recensite!
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nemesis
Capitolo 1
LA LEGGE DEL PIÙ FORTE




L’alba si levò all’orizzonte. Era un’alba rossa come il sangue, eppure non incuteva paura. Il bagliore vermiglio si propagò per le lande desolate del Tibet, illuminando le cime delle Ande e i piccoli villaggi che le popolavano. Qua e la si vedevano gli abitanti uscire dalle proprie case per recarsi al lavoro, che li avrebbe portati fino alle più alte vette, dove l’erba più buona saziava i greggi che vi pascolavano. Avanzando a grande velocità il calore del sole si diffuse fino agli angoli più remoti e nascosti, sprigionando ovunque il suo bagliore dorato. I prati verdi cominciarono ad essere ricoperti di vita, i fiori sbocciarono, regalando al mondo i loro colori. Le aquile delle Ande volavano tra di essi cercando le prede che avrebbero funto da colazione. Con un grido acuto, che riempiva d’angoscia chiunque lo sentisse, si lanciavano sulla loro preda, affondandone nelle carni il becco acuminato, squarciandone la pelle, saziandosi del loro sangue.
Un’aquila che volava più alta di tutte, girò il collo ricoperto di piume verso un punto indistinto dell’orizzonte: era grande, molto più grande di qualunque altra; le piume nere rilucevano al sole, splendendo di una luce nera, forte; il becco giallo era ricoperto di una sostanza vischiosa color della morte; gli artigli parevano di acciaio, così affilati che nessuno sarebbe sopravvissuto ad un loro singolo tocco. L’animale spalancò il becco e la sua voce, il cui suono era simile allo stridere di un gesso contro la lavagna, echeggiò tra le profonde valli del Tibet. Con una rapida picchiata, schiacciando le ali contro il corpo snello, si lasciò cadere nel vuoto, sferzando il vento con il suo becco appuntito. Pochi secondi prima di schiantarsi al suolo riaprì le ali, la cui apertura si poteva stimare di due metri o poco più, e dopo aver appurato che non ci fossero nemici nelle vicinanze, si preparò ad attaccare la sua preda.
Il coniglio bianco, fin troppo appariscente in quelle zone, riusciva a mimetizzarsi molto bene durante l’inverno, ma in estate la sua vita era a rischio continuo e sovente rischiava di perderla in uno scontro con i predatori che lo attaccavano. Ignaro del pericolo che lo sovrastava, il piccolo mammifero continuò tranquillamente a brucare e quando il rapace li piombò sopra con un altro acuto grido, lanciò un lamento di morte, senza però poter far nulla per salvarsi. Attirati dagli ultimi singulti che il bianco coniglio emanava, accorsero sul posto altri uccelli, che però non osarono avvicinarsi vedendo chi era colei che si stava saziando di quelle carni, ancora grondanti di sangue. Poi, all’improvviso, quando tutti stavano disperdendosi per andare alla ricerca di altro cibo, un esemplare maschio, la cui grandezza non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella dell’aquila, forse troppo affamato per tentare di cacciare per conto proprio, si lanciò con un battito d’ali verso la sua meta. Allungando gli artigli riuscì a sfiorare le carni ancora calde della preda, ma fu in quel preciso momento che l’aquila rispose alla sfida. Girò la testa e gli occhi rossi lampeggiarono alla luce del mattino, con un gesto repentino schioccò il becco ad un soffio dall’ala del suo aggressore. Rendendosi conto del pericolo che stava correndo l’altro rapace tentò di evitare il colpo, ma questo non lo salvò dalla punizione. Con l’ala squarciata precipitò al suolo e venne circondato subito dagli altri esemplari che si cibarono della sua anima.

Quella era la legge che regnava sovrana tra gli animali di quelle zone: il più forte sopravviveva, mentre il più debole veniva sopraffatto. E l’aquila lo sapeva bene. Fin dal primo istante aveva capito che non si poteva sperare di resistere un anno, se non si imparava da subito a combattere e a resistere. E da quando era arrivata nel Tibet, aveva imparato così bene le sue leggi, che nessuno osava più contraddirla, ma anzi, cedevano il passo quando passava...

Un fischio attraversò le montagne, l’eco rimbalzò sulle pareti di roccia, estinguendosi poco dopo a Nord, ai confini con la Cina. L’aquila alzò la testa, scrutando l’orizzonte, curiosa. Spalancando le enormi ali spiccò il volo dal masso su cui si era posata e si diresse verso l’origine del suono, inoltrandosi sempre di più tra le vette. Più saliva di quota più gli alberi sparivano alla vista, sostituiti da campi ricoperti da verde erba, che gli animali brucavano del tutto indifferenti al resto del mondo.

***



Il monaco sedeva calmo e immobile su di un masso, ai suoi piedi si estendevano vallate coperte d’erba e di campi, che pastori e contadini si occupavano a mantenere vivi; alle sue spalle, imponenti, le cime delle montagne riflettevano le loro ombre acuminate sui contadini, che, ignari delle forze in quel momento all’opera, continuavano la loro giornata.


Angolo delle mie storie:

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