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Autore: TokyoRose    09/01/2011    0 recensioni
Abigail Lehmann - Bell.
Il nome probabilmente non vi dirà nulla.
Ama il blu,la fotografia e la neve.
Ha un fratello "gemello" dal quale la separano quattro anni,dieci centimetri e troppi chilometri.
Vincendo una borsa di studio per un prestigioso collegio si trasferisce da un'anonima uxurbia canadese a Oxford dove,insieme a compagne di stanza non così perfette come appaiono,comincerà il suo sogno,ma anche il suo incubo.
Spero vi piaccia,è la prima storia che scrivo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Imbarco al gate 19 per il volo AK457 Toronto - Londra iniziato" disse una voce annoiata con un marcato accento ispanico dagli altoparlanti. Sicuramente avrebbe preferito passare la giornata in una spa invece di coprire il turno della sorella.
Dovrei smetterla di immaginare la vita di perfetti estranei mi dissi,dando una veloce occhiata al biglietto: si trattava del mio volo.

Mi girai verso Ian,incerta su come salutarlo.
Mi morsi l'interno della guancia accorgendomi di avere gli occhi lucidi: mi sarei odiata se avessi versato un'unica lacrima in quel momento rendendo ancora più difficile quell'addio.

Eravamo nello stesso punto in cui mesi prima avevamo salutato Jason.
Da quel giorno avevamo passato ogni notte sui tetti delle nostre case,cercando di farci forza e andare avanti.
Ci sfogavamo la notte per riprendere a essere i soliti Abby e Ian al mattino seguente,o almeno a sforzarci di esserlo.

Volevo ricominciare,una tabula rasa e quel viaggio mi dava la possibilità di farlo,ma allo stesso tempo avevo paura di lasciare il mio vecchio mondo alle spalle e avrei dato di tutto per poter ritardare quel momento. Ma era inevitabile e nessuna bella parola avrebbe potuto renderlo meno doloroso o più facile.
Frasi fatte,auguri,congratulazioni… No,lui era sincero,forse troppo: non mi avrebbe mentito,sapevo benissimo che anche se voleva davvero essere felice per me (e una parte di lui lo era davvero)mi odiava per essermene andata senza ammettere,nemmeno una volta,quello che cominciavo a provare per lui.

E cavolo se faceva male. Mi sentivo morire dentro perché lo stavo lasciando lì,troppo codarda per ammettere che in uno strano modo lo amavo.
Avevo la gola secca,il cuore che pompava il mio sangue a rilento,stanco e affannato. Sentivo la mia pelle abbronzata diventare fredda come il marmo,la bocca semiaperta come per dire qualcosa ma la verità era che non riuscivo a trovare le parole.
No,questa è una bugia. Sapevo esattamente quello che dovevo dirgli: solo due parole,cinque lettere. Ma non l'avrei mai fatto.
Era meglio così,mi avrebbe dimenticata presto.
Un'altra bugia.

Bugie,bugie e solo bugie.
Mentivo a me stessa e a lui.
Lo sapevamo entrambi e ci stavamo profondamente male.

Evidentemente non ero abbastanza brava a nascondere il mio tumulto interiore perché mi circondo con le sue braccia,come un fratello comprensivo.
E questo suo fare mi faceva odiare ancora di più me stessa.
Il suo sguardo ferito era tutta colpa mia.
Ero solo una sciocca e stupida ragazzina,non avrebbe mai dovuto affidarmi il suo cuore.

"Ian…" Mi guardò negli occhi,quei penetranti e famigliari occhi blu.
Sospirai. "E' come un cerotto" mi dissi, "Farà male all'inizio ma poi passerà".
"Io non ti amo." gli dissi guardandolo dritto negli occhi,sfoderando la mia "vera" faccia da poker,quella che utilizzavo quando essere credibile era una questione di vita o di morte.

"Mi dispiace,ma è così" sussurrai,trattenendo le lacrime.
Sciolse il suo abbraccio e mi guardò con rabbia,per la prima volta nella mia vita l'avevo visto così ferito,vulnerabile e pieno di odio verso di me.
E fu così che uscì dalla mia vita. Per sempre.

Sapevo di aver fatto la cosa giusta,avrebbe continuato a pensare a me per qualche settimana e quella ruffiana di Hayley lo avrebbe consolato e gli sarebbe stata accanto come un piccolo cagnolino fedele. Quella ragazza aveva un debole per Ian da anni e sarebbero stati bene insieme. Lui l'avrebbe addolcita e lei lo avrebbe rinvigorito con l'energia che un tempo possedevo anch'io.
Probabilmente si sposeranno dopo il liceo e vivranno nella casa sulla collina dei Donovan con un cane e tre figli biondi.

Mi girai verso il gruppetto di studenti che mi stavano aspettando: due ItGirls,il classico e (diciamocelo ormai banale) TipoAltoMisteriosoFintoDark™ che va tanto nei romanzetti della Mayer,lo SportivoSensibileAncheSeNonSembra™ e la TimidaIntelettuale™.

La bionda simil-barbie mi guardò con il suo sguardo vitreo e annoiato,continuando a masticare a bocca aperta una cicca alla fragola: vestita all'ultima moda,non le importava altro che delle calorie,del suo peso e dei capelli biondi (evidentemente tinti),sciolti sulle spalle.
Non ho niente contro le ragazze che si prendono cura del loro corpo: ma era evidente che quelle due avevano a cuore solo la bellezza del loro corpo e non il loro benessere fisico. Odiavo ragazze come quelle come odiavo Joan: nonostante tutte le notti che avevamo passato davanti al suo letto,le esortazioni a mangiare,i tentativi di capire,i ricoveri… Era morta. Ridotta a un mucchietto di ossa continuava a inseguire quella malsana ossessione.

Guardai la seconda ItGirl e mi senti mancare il pavimento da sotto i piedi: era la copia esatta di Joan,solo di un paio d'anni più grande e meno magra.
Alta,occhi verdi,pelle chiara e lentiggini dorate sulle guance,capelli color mogano,una volta così lisci e settori,invidiati da tutte le sue amiche,erano ridotti a pagliuzze e accuratamente nascosti da una parrucca di ottima fattura. Il rossore sulle guance era solo un tocco di fard che si applicava la mattina presto prima di colazione e un trucco nude da sfoggiare di prima mattina coi genitori per sembrargli in ottima forma. Chiaccherava velocemente mentre tagliava i pancake in tanti piccoli pezzettini,rassicurandogli su quanto le piacevano ed erano buoni,ma doveva proprio scappare e non era nemmeno riuscita a mettersi un po' di lucidalabbra quella mattina.
La giacca oversize per nascondere le braccia troppo magre era poggiata sulla sedia vicino a lei.

Il FintoDark e MisteriosoPerScelta mi afferrò prima che cadessi al suolo,battendo di pochi attimi lo sportivo,ma con nessuna traccia di cortesia nel suo gesto.
Quando vide che riuscivo a tenermi in piedi mi lasciò andare e mi ignorò completamente. Anche se consideravo quel gesto profondamente maleducato,ne fui sollevata: non ero dell'umore di dare spiegazioni ed essere carina con lo stereotipo del ragazzo che detesto. Purtroppo lo sportivo,anche se molto più piacevole,non seguì la stessa tecnica e cominciò a chiedermi se mi sentivo bene.
Troppo stanca per mentire,così mormorai un timido "non proprio". Lanciai un'altra occhiata alla doppelganger di Joan,sapendo che non si poteva trattare dell'originale: avevo visto la sua bara calare in una buia fossa,sentito l'odore acre della terra che fu usata per seppellirla,sentito i singhiozzi disperati dei suoi genitori. Non poteva essere lei.

Mi rigirai verso il ragazzo che mi aveva aiutato,cercando di essere carina a mia volta,dando inizio allo "Dolce&Solare(ForseUnPo'StorditaMaInModoCarino)Abby" Show. Una volta mi veniva naturale,ma adesso dovevo sforzarmi un po'.

Salimmo sul grande aereo della Air Canada,probabilmente un Air Bus 868.
Salendo quelle scale alzai,per l'ultima volta,gli occhi al magnifico cielo di Toronto.
Entrammo salutando le hostess,sorridenti malgrado la loro stanchezza.
Il mio posto era il 34B,tra lo sportivo (che in seguito scoprì chiamarsi Chester) e la TimidaIntelettuale™ Madleine.

La ragazza,un topo da biblioteca,non parlò molto: rimase immersa nella sua lettura cercando di evitare le poche domande che le rivolgevamo. Era piuttosto carina,anche se si nascondeva dietro alla montatura nera degli occhiali. Gli occhi grigi erano quelli di un coniglietto spaventato: mi veniva voglia di avvicinarmi a lei,inginocchiarmi e stringerle le mani dicendole,guardandola dritto negli occhi,che sarebbe andato tutto bene. Aveva delle piccole lentiggini dorate sulle guance,piccole briciole di sole impresse sulla sua chiara pelle. I dolci lineamenti del viso erano circondati da una folta chioma castano chiaro. Era vestita in modo semplice e pragmatico,la sua insicurezza la spingeva a nascondere il suo corpo il più possibile.

Chester mi parlò della sua passione: il canottaggio. Aveva guadagnato proprio grazie a quella la sua borsa di studio. Ammiravo la sua dedizione allo sport e ne ero impressionata. Lui trovava interessante le mie fotografie e io,come tutti gli artisti,avevo bisogno di poter raccontare le storie dietro le mie "opere" (non sono ancora gran chè,hanno bisogno di più tecnica e spessore,ma è proprio per questo che ho fatto domanda alla Collins: ha uno dei migliori corsi di fotografia d'Europa).
E devo ammetterlo,i suoi complimenti mi facevano sentire una vera artista,cosa che ben pochi riuscivano a fare. La maggior parte sbiascicava parole nelle quali non credeva veramente,lo facevano solo per essere gentili o qualcosa del genere. I loro sorrisi sembravano autentici,ma gli occhi tradivano emozioni contrastanti o sguardi appannati,come se in realtà non fossero qui con me,ma con qualcun'altra,elogiando cortesemente il lavoro di un'illustre sconosciuta verso la quale si sentivano in obbligo,per un motivo ad entrambi sconosciuto. Ma con lui non era così: sentivo era davvero presente e quando parlava era sincero,perché i suoi occhi mi vedevano attraverso,come una volta avevano fatto quelli di Ian. Vedevano solo la mia essenza e non le maschere che mi ero cucita addosso. Nonostante questo,però,non erano ancora pronti a vedere le mie emozioni e la mia sofferenza,anche se inconsciamente riuscivano ad avvertirle.
  
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