Fanfic su artisti musicali > Guns N'Roses
Segui la storia  |       
Autore: La neve di aprile    16/01/2011    4 recensioni
Ricordo la prima volta che ti vidi, Izzy.
È una scena che si è stampata nella mia memoria, un marchio che non vuole saperne di sbiadire.
Pioveva da giorni, non c’era stato un attimo di tregua. Nemmeno il più piccolo spiraglio di sole.
Il cielo continuava a vomitare pioggia sulla città, che scintillava.
Le luci dei lampioni, le vetrine, i grattaceli: si rifletteva tutto nelle strade coperte di pozzanghere.
E adesso che gli anni sono passati, che le cose sono cambiate, mi rendo conto che forse la mia vita, la tua vita, sarebbe stata diversa se le cose avessero preso una piega diversa.
Forse ci saremmo risparmiati tante cose, forse saremmo stati persone diversi.
Ma non sarebbe stata la stessa cosa.
REVISIONE IN CORSO.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Hand in glove'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
HAND IN GLOVE
# KEEP HOLDING ON




Ci sono ferite che non si possono rimarginare.
La prima persona a noi cara che muore, il primo amore non corrisposto, la prima vera grande delusione.
La vita è fatta di prove che o le superiamo o ci sbattiamo contro, o si vince o si perde, ma non ci è concesso abbandonare il campo di gioco.
Si tira avanti, nascondendo le ferite di guerra come meglio si può, fingendo di stare bene, credendolo con tanta forza che diventa difficile persino credere il contrario fino a quando qualcosa non solleva i lembi delle nostre sicurezze e non ci mostra quelle cicatrici che vanno via via suppurandosi, infettandosi, espandendosi come un cancro maledetto.
E non c'è terapia che possa servire.
Si può imparare a sopportarle, si può imparare a convincerci e, con l'età, a sopportarle come vecchie amiche un po' bisbetiche e malinconiche, di quelle fastidiose che nemmeno lo sai perché ci parli ancora.
Ci si può assuefare a tutto, persino ai grandi dolori.
Gli esseri umani sono creature straordinarie.
Così fragili e così resistenti, si spezzano per una caduta ma sopravvivono a dolori infinitamente più grandi senza mai scendere dalla giostra infinita della vita.
Capaci di sopravvivere alla malattie più crudeli senza mai cedere, eppure del tutto disorientati davanti ad un sentimento troppo forte o troppo intenso.
Gli uomini più cinici si sciolgono in lacrime davanti al visetto paffuto del loro primogenito, le donne più lacrimevoli si caricano sulle spalle il peso di famiglie intere e tirano avanti senza guardare in faccia nessuno e senza mai scordare di raccontare la fiaba della buona notte ai propri pargoli assonnati.
Eppure persino il più stoico degli esseri viventi si porta addosso il marchio di un dolore troppo grande da poter esser ignorato.
Non c'è scampo da queste ferite, non esistono chirurghi che possano ricucirle armati di ago, filo e buona volontà.
E ci sono momenti in cui l'unica cosa da fare è smettere di rifiutarle, abbandonandosi alla marea dei ricordi, facendosi portare al largo per non tornare più.
Perché alle volte può capitare che quello che si trova dall'altra parte è proprio quello di cui avevamo bisogno per tornare a sorridere.





ROXANNE
1991 - 1995




The fairy tale life wasn't for me
I don't wanna be like Cinderella
Sitting in a dark old dusty cellar
Waiting for somebody
To come and set me free.

Play, Cinderella.


LOS ANGELES.
Riprendersi non fu  facile.
L'abbandono, la delusione, il rifiuto, l'orgoglio.
Le bruciavano così tanto in gola che non aveva saputo come fare per riuscire a buttar giù un singolo respiro - c'erano persino notti in cui temeva il momento in cui sarebbe andata dormire, convinta che il suo inconscio le avrebbe tirato qualche brutto scherzo mentre era a piede libero e si sarebbe arreso, facendola smettere di respirare per placare il mostro che le lacerava il cuore.
Si era crogiolata nel confortevole calore dell'autocommiserazione, chiedendosi dove avesse sbagliato, perché mai le persone scappassero da lei senza dirle nemmeno addio, aveva odiato Izzy con tutta se stessa senza però accorgersi di non riuscire nemmeno a pronunciare il suo nome.
Se ne è andato, se ne è andato e non esiste che io lo vada a cercare aveva strillato con gli occhi rossi di pianto e la voce stravolta di chi non è in sé, dritto in faccia ad un attonito Christopher che le aveva suggerito di andare a prendersi la spiegazione che cercava.
Non essere stupida, l'aveva rimproverata lui alzandosi e accendendosi una sigaretta che gli era stata prontamente rubata di mano, tu hai solo paura di sentirti dire qualcosa che non ti piacerà.
Ed era vero.
Era terrorizzata al pensiero di sentirsi dire che avrebbe potuto fare di più, che si era abbandonata alle comodità di una routine che, per quanto insolita potesse essere, era pur sempre una routine.
Si sentiva la testa scoppiare e per un mese non aveva fatto altro che piangere come una donnicciola qualunque, senza poter dormire più di tre ore per notte, tormentata da sogni così dolci e crudele da portarla a sfiorare la pazzia.
Era stata nervosa, intrattabile, irascibile, scontrosa.
Aveva litigato con tre quarti delle persone che conosceva e cancellato radicalmente dalla sua vita l'altro quarto, di tutti gli amici che aveva Christopher era l'unico che non temesse per la propria incolumità nell'andare a trovarla.
Ed era stato sempre lui, in una luminosa mattina di maggio, a costringerla ad affrontare la realtà: qualunque fosse il motivo, Izzy l'aveva lasciata e non sarebbe tornato.
Punto.
O lo accettava o avrebbe finito col consumarsi nel suo dolore fino a morirne.
Le aveva ricordato con l'infinita pazienza che solo i grandi amori mancati sanno avere della sua vita prima di Izzy, del tipo di persona che era e le aveva sbattuto in faccia quello che era diventata, meno che un'ombra di se stessa.
Le aveva lavato i capelli mentre piangeva rannicchiata nella vasca da bagno, in un lago di acqua bollente e luce dorata, massaggiandole le spalle smagrite e canticchiando per lei canzoncine che non sapeva nemmeno di ricordare.
Con la delicatezza di una piuma le aveva pulito il viso dal trucco sciolto dalle lacrime, aveva districato i nodi tra i suoi riccioli e quelli che si portava nell'anima, per poi raccontarle una favola e rimboccarle le coperte, guardandola cedere al sonno disperato di chi ha bisogno di dimenticare ad ogni costo.
Quasi settantadue ore, otto spuntini, cinque corse al bagno più tardi Roxanne aveva riaperto gli occhi ed era rinata.
Con una determinazione feroce aveva ripreso in mano le redini della sua vita e, prima ancora di aver fumato la prima sigaretta della giornata, aveva deciso di vendere il suo appartamento.
“Voglio una fottuta casa sulla spiaggia,” aveva detto sbattendo le palpebre nella luce di un'abbacinante giornata quasi estiva, seduta su una sedia sgangherata del suo minuscolo cucinino, lo stesso che aveva assistito, quattro anni prima, al primo confronto con la realtà e il mondo estraneo del chitarrista.
Il biondo l'aveva guardato, gli occhi del colore del mari tropicali baciati dai primi raggi dell'alba, e senza dire niente l'aveva abbracciata sorridendo.
“Andiamo a comprare una fottuta casa sulla spiaggia!” aveva esclamato, prendendola a braccetto e trascinandola in una sorta di danza irlandese inventata sul momento, che aveva finito col farli ruzzolare a terra in un groviglio di gambe e braccia magre e pallide e un fracasso infernale di pentole e coperchi caduti a terra.
Una volta scoperto quanti soldi ci volessero per la famigerata, fottuta casa sulla spiaggia, Roxanne aveva ripiegato su un più modesto appartamento a solo trenta fottuti chilometri dal mare, poco più di un monolocale che la costringeva a cambiare almeno tre autobus per arrivare al lavoro e riuscire a raccimolare a malapena gli spiccioli necessari a coprire l'esorbitante affitto del suo nuovo buco e comprare qualcosa per non morire di fame.
Il secondo passo della sua nuova vita era stato quello di cambiare lavoro.
Armata più di buona volontà che di effettive referenze, aveva varcato la soglia di tutte le case discografiche che era stato in grado di trovare e aveva mentito, si era inventata lavori che non aveva fatto, aveva supplicato e aveva sfidato chiunque le capitasse a tiro di mettere alla prova il suo incredibile orecchio musicale.
La maggior parte delle volte era stata accompagnata alla porta con un sorriso di cortesia e la promessa di una telefonata che non era arrivata: a tre mesi dal giorno in cui - e lei non lo avrebbe mai saputo - Izzy sarebbe tornato a cercarla, si ritrovò ad ammettere che forse cambiare vita non era stato poi così semplice come aveva creduto.
Ma invece di abbandonarsi al confortevole tepore dello sconforto si rimboccò le maniche e nelle pause tra un turno e l'altro all'Underpass continuò a insistere, a chiedere, a proporsi e a reinventarsi sotto lo sguardo perplesso di un sempre più grasso e stanco Alec.
Soffiandogli in faccia nuvole di fumo acre - malboro rosse, l'unico vizio a cui non sapeva rinunciare - aveva commentato che per lo meno l'adrenalina dell'attesa la teneva in piedi e la faceva andare avanti nonostante alle volte si sentisse un buco al posto del cuore.
Un anno e mezzo più tardi, allo scoccare del 1993, mentre nel cielo esplodevano i fuochi di artificio più esagerati che avesse mai visto e alla radio passava un'orrenda canzone di cui non avrebbe mai più saputo il titolo, un ragazzo aveva provato a baciarla, ci era riuscito, e poi si era beccato lo schiaffo sonoro che lei gli rifilò più per un riflesso condizionato che per altro.
Era ingrassata ed era dimagrita, si era tinta i capelli di un'improbabile arancione ed era tornata del suo colore naturale mangiandosi tutto lo stipendio nel giro di tre giorni, ricoprendo il parrucchiere di cui aveva deciso di fidarsi di insulti e maledizioni, tirando avanti a suon di carote sgranocchiate per strada e patatine mangiucchiate di soppiatto al lavoro - ma nonostante tutti i suoi tentativi non c'era stato modo di salvare le sue onde dall'impietosa opera dell'ammoniaca e aveva visto i suoi capelli diventare improvvisamente così corti da lasciarle scoperta la nuca in un improbabile caschetto asimmetrico che era stato l'orgoglio e la gioia di Christopher.
C'erano momenti in cui si chiedeva se sarebbe mai stata in grado di uscire con un ragazzo senza che il paragone con Izzy la riportasse a casa con un magone e un'insostenibile voglia di affogarsi di gelato fino a scoppiare.
Si era sentita sola come non mai e aveva passato momenti in cui non riusciva a far altro che chiedersi come fosse riuscita a diventare così assolutamente mediocre e ordinaria, incapace di lasciarsi andare anche per una sola, prevenuta nei confronti di ogni essere di sesso maschile che trovasse il coraggio di avvicinarsi e bussare al portone nelle mure delle sue difese.
Morirai sola, acida e zitella la prendevano in giro senza troppi scrupoli nelle serata del suo giorno libero, scatenando una pioggia di improperi pronunciati solo per nascondere il dolore che quelle parole le scavano in petto, così sincere e così maledettamente vere.
Ma non smise di lottare.
Si affidò alla più preziosa delle cure, il tempo che scorre implacabile e guarisce da ogni male, confidando nel fatto che ogni giorno passato era un giorno a cui era sopravvissuta, un giorno che l'aveva resa più forte, un giorno che la portava sempre più vicina al momento in cui avrebbe ripreso a sentirsi come una persona normale e come una menomata, qualcuno a cui aveva strappato via un pezzo del corpo a forza.
Il cuore, nel suo caso.
Venne anche il '94, e dopo il '94 fu il turno del '95 in cui una casa discografica di nicchia decise di assumerla per farle passare le giornate dietro il bancone di plastica bianca e lucida della reception, a rispondere al telefono e raccogliere demo di giovani in cerca di speranze, a guardare i sorrisi plastificati dei signori dei piani alti.
Non era ciò che aveva sperato, ma era un passo avanti verso un suo sogno e per la prima volta nella vita ebbe l'onore di sedere ad un tavolo dell'Underpass, un mercoledì sera in cui suonava un gruppo grunge ancora sconvolto dalla morte di Kurt Cobain, come una cliente servita da Alec in persona.
Ficcatelo bene in testa ragazzina, aveva borbottato sbattendole sotto il naso un piatto di patatine bollenti e unte, questa è la prima e ultima volta che prendi i tuoi maledetti ordini.
Lei aveva sorriso, lo aveva ringraziato e aveva intasato le sue vene di colesterolo abbuffandosi senza ritegno.
Fu quella sera che iniziò ad avere la sensazione di aver ritrovato un compromesso con se stessa, un punto di equilibrio così precario che non voleva neppure pensare a cosa sarebbe successo se fosse inciampati nei suoi stessi passi.
Probabilmente si sarebbe spaccata in frammenti così piccoli che non ci sarebbe stato modo i rimetterla insieme.
I suoi capelli erano di nuovo lunghi abbastanza da arrivarle poco sotto le spalle, a sfiorarle le scapole sempre sporgenti sotto la pelle chiara, quando conobbe Zack.
Era il 13 giugno 1995.



IZZY
1995 - 2000



I close my eyes
only for a moment
and the moment's gone.

Kansas, Dust in the wind.


LAFAYETTE.
Il giorno in cui Roxanne inciampò -letteralmente- nei piedi di Zack Hamilton, Izzy Stradlin era steso a pancia in giù su un letto sfatto, perso nei meandri di un sogno in cui poteva rivederne il volto mentre rideva e ingarbugliava le parole raccontandogli qualcosa che non riusciva ad afferrare.
Aspetta, non ti sento cercava di dirle lottando contro le brume viscose del sogno che lo trascinavano via.
Ma lei finiva di parlare, si illuminava in un sorriso così radioso da fargli male agli occhi e poi gli dava le spalle, correndo via e sciogliendosi in un mare bianco e caldo.
Sbattè le palpebre, faticando nel mettere a fuoco le pareti bianche della stanza.
Il sole si riversava a fiotti sul pavimento in legno chiaro, bagnando la stanza di un riverbero dorato, le grandi vetrate a parete si aprivano su un giardino rigoglioso, colmo di fiori in boccio.
Riusciva a percepire il suono soffocato della radio in cucina e la voce secca di Annika che cercava di fare del suo meglio per seguire i pochi accordi della vecchia canzone che suonava, c'era nell'aria l'odore intenso del caffé appena tostato e quello più dolce delle brioches messe a scaldare nel formo.
Ma aveva come l'impressione di essere ancora addormentato, che ciò che il suo corpo percepiva non fosse la realtà ma la percezione che il suo inconscio aveva di essere.
Erano anni che non sognava Roxanne.
Nei primi periodi temeva la notte perché il sonno gli avrebbe mostrato ciò a cui aveva rinunciato, ma con il passare del tempo il dolore e la mancanza si erano attenuate, specie dopo il fallimentare tentativo di ritrovarla.
Si rigirò sulla pancia, mentre le parole di Alec gli frullavano per la testa nitide come le aveva sentite, esattamente quattro anno prima.
Lei non ha bisogno di vederti, Izzy.
Lei ha bisogno di continuare a credere che te ne sei andato e che non tornerai mai più, perché non può permettersi il lusso di andare in pezzi una volta ancora e non lo merita, non merita di soffrire così tanto per il capriccio di un momento.
Non aveva avuto il cuore di dargli torto, non lo avrebbe avuto neppure in quel momento, mentre rigirava la sottile fede dorata che gli fasciava l'anulare sinistro.
Aveva trovato beffardo il tiro che il destino gli aveva tirato, facendolo incappare nell'unica svedese di tutta Los Angeles: la prima cosa a cui aveva pensato era stata quella volta in cui Roxanne aveva esclamato che l'avrebbe lasciato proprio per una stangona bionda nata nel cuore del più gettonato paese del nord Europa.
Assurdo quasi quanto il loro matrimonio, una fuga dal mondo che avevano girato senza mai fermarsi se non per incidere quell'unico album ignorato dal mondo proprio per evitare di ricadere nel tran tran da cui era fuggito a gambe levate.
Izzy Stradlin and the Ju Ju Hounds, solo perché aveva scelto di continuare a seguirlo.
Aveva cancellato il suo passato, aveva finto di essere un'altra persona e alla fine lo era diventato, fino a sentirsi nuovamente in pace con se stesso.
L'immagine di Roxanne era sbiadita e il suo ricordo era diventato uno dei tanti della sua assurda gioventù, tanto che era in grado di parlarne senza sentire alcuna fitta al petto o chissà dove.
L'aveva superata, si era innamorato di nuovo.
E allora perché quel sogno?
Più tardi, mentre si rifletteva negli occhi di ghiaccio di sua moglie, si sentì uno stupido ad aver dato così importanza ad un sogno: Roxanne era il passato e, per quanto potesse solo che augurarle ogni bene, era un capitolo che aveva chiuso -bruscamente- e che non intendeva riaprire.
Stava bene così.
Aveva un disperato bisogno di crederlo.
Si sentì stupido molte altre volte, negli anni a venire.
Certi giorni, certe date che tornavano a bussare alla sua porta con perfida costanza ogni trecentosessantacinque giorni erano così dolorosi che poteva percepire fisicamente il velo di tristezza che gli calava sul viso come una maschera, resistente persino ai sorrisi più smaglianti e alle risate più luminose.
Era in quei momenti che si fermava, indipendentemente da quello che stava facendo, e fumava una sigaretta raccontando a Roxanne quella che era diventata la sua vita, di come guardava l'inevitabile scontro rimandato per troppo tempo con i suoi problemi raggrumati all'orizzonte in un fronte così scuro da non promettere nulla di buono.
Si perdeva nei meandri dei suoi pensieri e li lasciava correre a briglia sciolta, un fiume di parole che non sapeva raccontare a nessun altro, che non riusciva ad esprimere se non in quegli attimi rubati ad un matrimonio che iniziava a perdere splendore o in una canzone che poi sentiva come troppo privata per provare seriamente ad incidere.
Quando il rapporto con Annika si incrinò definitivamente, al punto che risanare le ferite era qualcosa che andava al di là delle loro possibilità, il desiderio di rivedere Roxanne lo logorava.
Si sentiva soffocare dai suoi capricci, sentendosi un bambino piccolo che si lagna davanti alla vetrina scintillante di un negozio di giocattoli, pestando i piedi e strillando fino a perdere il fiato, ma per contro non sapeva neppure come affrontare la separazione che in parte aveva causato, scegliendo di sposare una perfetta estranea.
Il 1997 fu l'anno in cui iniziò a detestare gli infiniti cavilli legali che erano la fortuna di fior fior di avvocati, pescecani della peggior specie pronti a divorare anche il più minuscolo brandello di carne.
Se credeva che Axl fosse un mostro senza cuore, attratto solo dal frusciare delle banconote e dal tintinnare delle monete, dovette ricredersi.
Ferita nell'orgoglio più che nell'animo, Annika lo consumò in ogni sua fibra, imprimendogli sulla pelle il marchio della sua leggerezza e condannandolo ad un assegno mensile che lo avrebbe perseguitato per molto tempo -e che se non fosse stato per la ferocia inaudita del suo avvocato avrebbe avuto qualche zero in più.
Che cosa se ne farà poi di tutti quei soldi! Protestò esasperato con Duff, una sera d'inverno.
Si farà ricostruire l'orgoglio a suon di borse e scarpe, fu la risposta disincantata del bassista, dall'altro capo del filo.
Se poi il pronostico del suo vecchio amico si era avverato o meno, non l'aveva mai saputo.
Nel momento in cui si era ritrovato libero da ogni vincolo, tutto ciò che aveva voluto era abbracciare l'unica donna che non l'avrebbe mai tradito: la sua chitarra.
Si era gettato cuore e anima nella musica, cercando di esplorare mondi che fino ad allora non aveva neppure mai considerato, ripromettendosi che nel momento in cui avrebbe avuto qualcosa di veramente buono da mostrare al mondo, allora avrebbe affrontato i suoi demoni e sarebbe tornato da lei.
Lavorò sodò, a tratti perdendo la cognizione del tempo e a tratti passando ore intere a fissare il soffito della sala d'incisione senza che un solo pensiero riuscisse a scalfire la bolla di apatia che si era costruito attorno.
Il tempo divenne qualcosa di relativo, scandito dal ritmo di pasti senza orario e sogni senza incubi; il mondo si rinchiuse tra le mura della sua nuova, piccola casetta e quelle del pub dove andava di tanto in tanto la sera ad ascoltare qualche ragazzino coraggioso strimpellare la chitarra e abbozzare i primi tentativi di canzoni.
Ebbe qualche avventura di una notte, ragazze troppo ubriache o troppo giovani per poter sapere cosa si nascondesse dietro il suo nome e poco interessate alla conversazione -cosa che del resto per lui andava più che bene, impegnarsi in qualcosa che potenzialmente avrebbe potuto prosciugare tutte le sue energie sia fisiche che mentali era qualcosa che tentava di evitare con tutte le sue forze.
Sentiva che lo strato di cemento con cui aveva tentato di uccidere i suoi stessi sentimenti andava crepandosi inesorabilmente e tremava al pensiero di poterne sentire i lamenti strazianti una volta ancora.
La verità era che aveva soffocato la Chernobyl del suo cuore e ignorato le sue radiazioni che invece di affiorare in superficie avevano iniziato a scendere più in profondità, infettandolo al punto che non sarebbe mai più stata la stessa persona.
Ma non era ancora pronto ad abbandonarsi alla corrente e affrontare il dolore che lo lacerava, per rimettere assieme i pezzi di quel muscolo incredibile che lo teneva vivo e batteva piano nel suo petto, non era pronto a leggervi sopra, tra la carne e il sangue, che tutto quel tempo non aveva soffocato nulla, che voltare le spalle al problema non lo aveva reso più piccolo o meno importante.
Con una tenacia insospettabile svaporò gli strati più lucidi della sua coscienza e mise a tacere tutte le remore che affioravano in superficie nel momento in cui abbassava la guardia guardando vecchie fotografie, fu talmente bravo da arrivare a convincersi che andava bene così, che la sua vita senza sorprese, senza stravolgimenti, senza amore andava bene così.
Gli piaceva la torbida routine in cui era caduto, gli piaceva alzarsi con il sole e andare a correre con il suo cane, fare colazione con una tazza di caffé e una sigaretta, abbracciare la chitarra e a volte far solo finta di comporre qualcosa, aspettando che la fame lo liberasse da ogni impegno per concedergli il tempo di un pranzo solitario e poi un pisolino sul divano, prima di un giro in moto nel pomeriggio e una birra al pub dopo una cena comprata al cinese take-away sulla via di casa.
Era diventato così bravo a farsi piacere ogni cosa che per un po' quasi non si accorse di come il troppo uso stava finendo col logorare la stessa maschera dietro cui si era nascosto.
Quando finalmente gli strappi sul suo costume divennero troppo grandi per essere rattoppati ancora, di fatto, non seppe più cosa fare per nascondere ciò che la realtà riuscì a sbattergli finalmente davanti agli occhi.




ROXANNE
2000  - 2007



Smokin' around
It's within me somehow
I'll carry to what I am bound
The truth that I have found.

Bon Ivor, The Whippgrass.


LOS ANGELES
Alzò gli occhi al cielo, pozze di oscurità che fissarono con ostinazione i grossi nuvoloni grigi aggrovigliati sulla linea dell'orizzonte, nella placida attesa di quel qualcosa che avrebbe fatto scoppiare il temporale, annegando la città in un improbabile acquazzone primaverile.
Era in ritardo -o se non lo era ancora, presto lo sarebbe stata- ma non aveva voglia di infilarsi nel gelido bozzolo di aria condizionata dell'ufficio del suo avvocato quando fuori il sole le scaldava le braccia nude con una carezza così delicata e tiepida che rinunciarvi sarebbe stato un crimine imperdonabile.
Sistemò la borsa a tracolla, realizzando che il giorno in cui Zack le aveva chiesto di sposarlo il cielo era di quella stessa sfumatura, azzurro ceramica che sfumava in un grigio livido, rabbioso, dove lo sguardo si perdeva in lontananza, oltre i profili delle colline di Hollywood.
Avevano finalmente terminato l'interminabile trasloco in una casetta affacciata su uno dei tanti canali di Venice, dopo quasi un anno dall'inizio dei lavori e almeno sette di convivenza più o meno ufficiale tra l'appartamento di lui, un monolocale affacciato sul Sunset Boulevard, e il suo maledetto a solo trenta chilometri dal mare.
E lui si era inginocchiato, in mezzo a un mare di candele, e le aveva detto io e te dovremmo sposarci, vuoi sposarmi Roxanne?
Erano stati anni felice, alla fine dei conti, anni in cui aveva sempre saputo dove fosse il suo ragazzo, anni in cui aveva potuto telefonargli in qualsiasi momento sapendo perfettamente che al terzo squillo al massimo lui avrebbe alzato la cornetta, anni in cui non si erano mai trovati in due diversi fusi orari e in cui uscire la sera a fare una passeggiata non richiedeva di indossare né occhiali da sole né enormi cappelli sotto cui nascondersi.
La normalità, ecco cosa l'aveva affascinata di Zack.
L'assoluta regolarità della sua vita, la banalità di un posto da impiegato in una ditta di spedizioni, la confortante sicurezza di una storia senza eccessi o follie.
Aveva amato la tiepida noia delle loro uscite, si era adattata alle chiacchiere sul lavoro e sugli amici che si sposavano così in fretta da far credere qualcuno stesse puntando loro una pistola alla tempia minacciando di premere il grilletto se non fosse comparso un anello al loro anulare.
Chiacchiere che avevano finito col farle provare la stessa inconcepibile urgenza, placata solo dal miraggio di una promozione sul lavoro che avrebbe messo fine alla sensazione di acqua alla gola ogni volta che la fine del mese si avvicinava.
E se l'era sudata, aveva conquistato una scrivania in una stanza con sette persone, poi un'altra un piano più in alto e quattro colleghi in meno, poi un'altra ancora in una stanza tutta sua dove le finestre si spalancavano sopra la città e allora l'aveva saputo, la sensazione le si era infilata nelle ossa e la certezza di essere arrivata -senza sapere dove, senza sapere come- si era radicata in lei intrecciandosi alla normalità della sua vita.
Ai vecchi amici di sempre se ne erano sostituiti di nuovi, facce pulite e camicie immacolate da portare con le maniche arrotolate alla fine della giornata, davanti ad un bicchiere di vino  dopo il lavoro, tutte persone che non avrebbero mai potuto immaginare che dietro un trucco sapiente e pantaloni dal taglio impeccabile si nascondeva l'ex cameriera di un pub che una sera a settimana tornava dietro il bancone per amore di un Alec invecchiato in fretta e male, burbero e incapace di tenere una cameriera per più di una settimana.
Tu sei l'unica che sappia fare questo sporco lavoro, le diceva ogni volta, sputando tabacco nel retro del locale. E lei gli sorrideva, così come si sorride ai vecchi invecchiati male, assecondando i loro capricci con una gentilezza che non scade mai in compassione, senza neppure immaginare che nemmeno dieci anni più tardi si sarebbe ritrovata a camminare per strada, tenendo tra le mani dei documenti in attesa solo di una sua firma per mettere bene in chiaro come lei avesse ereditato l'Underpass, il locale che le aveva letteralmente salvato la vita.
Ascoltò il ticchettare dei tacchi sull'asfalto, riflettendo sul fatto che se Zack fosse stato ancora suo marito non le avrebbe reso così facile scrivere con inchiostro blu il suo nome su quelle linee tratteggiate.
Nella sua assoluta e totale normalità, così faticosamente conquistata, non era concepibile che un vecchio datore di lavoro lasciasse ad una delle sue cameriere il locale; la sua assoluta semplicità di velava di torbido al primo accenno di svolta da un percorso programmato una volta finita la scuola.
Eppure per questo lo aveva sposato e lo aveva amato, sentendosi rimproverare di esser scesa a compromessi con se stessa.
Però solo lei poteva sapere cosa significasse vivere con una persona che rientra a casa ogni sera alla stessa ora, che si accontenta di mangiare un arrosto con patate la domenica a pranzo e che l'alcol lo vede solo per una birra con gli amici, il sabato sera. Una birra che rimane sempre una e non sfocia negli eccessi.
Zack Hamilton, così noioso e così rassicurante.
Le ci erano voluti anni per capire quanto in profondità di spingessero le ferite che la storia con Izzy le aveva lasciato addosso, tagli così profondi da perforarle le ossa di un dolore sordo ad ogni cura, intenso da mozzarle il fiato in gola e gelarle il sangue nelle vene.
Solo la noia era stata in grado di anestetizzarle l'anima e impedirle di sentire il male delle fratture che si ricomponevano, della pelle che si tendeva e calava come un sipario a nascondere le cicatrici del suo cuore e Zack era la sua iniezione quotidiana, lo zucchero che indorava la pillola.
Solo che un giorno era guarita.
Si era alzata al mattino e aveva finalmente sentito che era tutto a posto, che per quanto brutti potessero essere, i solchi del passato avevano smesso di bruciare e la realtà le era piombata addosso vorace, implacabile, insostenibile: lei non era innamorata di suo marito come avrebbe dovuto essere.
Gli voleva bene, gli era grata per il tiepido bozzolo di sicurezze che in cui l'aveva stretta per tutto quel tempo, ma era tempo di andare avanti: il divorzio era stato discreto, normale, banale. Come il loro matrimonio.
Non aveva festeggiato la ritrovata libertà, aveva passato la notte nel suo vecchio appartamento rimasto invenduto, tra pareti da ritinteggiare e mobili coperti da lenzuola, una valigia di vestiti e un vecchio materasso polveroso sui cui dormire un sonno pesante, il sonno dei bambini, senza sogni né incubi.
E il tempo era scivolato via, leggero come una carezza, portandosi via sua madre e poi Alec, lasciandole accanto solo Christopher che adesso l'aspettava paziente, davanti ad un elegante palazzo vicino a Rodeo Drive, probabilmente fumando una delle sue solite sigarette.
Non aveva mai più sentito nessuno, di loro.
Aveva smesso di rispondere alle telefonate di Steven e lui piano piano aveva smesso di chiamare, Slash e Duff erano scomparsi dopo qualche stentata cartolina di Natale e Axl.. Axl aveva avuto la decenza di non farsi mai vedere né sentire, abbandonandosi ad un declino che ora, a vent'anni dall'uscita del loro primo e storico album, lo rendeva uno scherzo della natura con troppo botulino in faccia imbarazzante al punto da renderle impossibile persino l'associazione di quella faccia con il ragazzino magro come un chiodo che l'aveva odiata senza motivo.
In un angolo del suo appartamento c'era uno scatolone, nascosto sotto cappotti troppo pesanti e vestiti troppo stretti o troppo vecchi per essere indossati, dove conservava gelosamente album e album di fotografie, vecchi video e magliette strappate, lettere e bigliettini che bisbigliavano ammalianti di anni così epici e incredibili da non sembrare veri.
Non li guardava mai, li teneva lì per il giorno in cui si sarebbe trovata vecchia e rugosa, con un nipotino un po' arrogante e convinto di aver davanti una vecchia rimbecillita dall'età, per potergli raccontare delle persone che aveva conosciuto e dei posti in cui era stata a vent'anni suonati o giù di lì, quando fumare non faceva poi così male e le ragazze scappavano di casa per vivere nella Città degli Angeli facendo le spogliarelliste, frequentando musicisti spannati e vivendo di niente, giusto i soldi per pagare un affitto assurdo e comprarsi da bere alla sera.
“Roxy, sei in ritardo!”
La voce di Christopher la colse di sorpresa, strappandole un sorriso malinconico.
Come tutti, anche il suo amico era cambiato: gli anni non lo avevano risparmiato e attorno ai suoi occhi acquamarina poteva riconoscere un reticolo di rughe sottili come fili di ragnatela.
I bei capelli biondi erano corti, i vestiti ingombranti e appariscenti della gioventù sostituiti da un paio di jeans e una camicia azzurrina, giusto una giacca di pelle a sdrammatizzare l'uomo che più di chiunque altro le era stato vicino.
Ma era l'unico che ancora continuasse a chiamarla Roxy, come se fossero ancora i due ventenni in attesa di conquistare in mondo, senza una sola preoccupazione a velare i loro sguardi limpidi.
Nel riflesso dei ray-ban infilati nello scollo della camicia, poté vedersi mentre si avvicinava, una donna nel fiore della maturità con addosso un paio di jeans scuri, stivali con un tacco che una volta non avrebbe mai indossato e una camicia bianca; le labbra dipinte di rosso e un sorriso mite a incurvarle.
“C'era traffico, mi spiace, il taxi è rimasto bloccato”.
Lo salutò con un bacio sulla guancia, prendendolo a braccetto e aspettando che il portiere aprisse loro la grande porta, nel riflesso di uno specchio scorgeva già il bancone lucido di un bar di lusso: non ci sarebbe stato un bicchiere di birra ad aspettarli, quanto piuttosto un calice di vino e la voce fumosa dello stesso avvocato che aveva gestito il suo divorzio.
Con il senno di poi, aveva ammesso che se la storia con Izzy era andata come era andata, non è stata sicuramente solo colpa di un ragazzino diventato famoso senza nemmeno sapere perché; una fetta di errori portavano il suo nome scritto sopra a caratteri cubitali e se fosse stata più attenta, più matura, allora forse le non cose non sarebbero andate così.
Ma aveva anche imparato che rimuginare sul passato non serviva a nulla se non a diventare nostalgici e la nostalgia portava a nostalgiche sbronze a base di margarita e mal di testa che non era più in grado di gestire al mattino dopo.
Era andata avanti, come tutti.
Non c'era stato nient'altro da fare.


 

Non c'è una regola d'ora per sopravvivere alle storie d'amore.
C'è chi si lascia perché non c'è poesia e chi perché ne ha troppa e non riesce a sopportarne le implicazioni.C'è chi tradisce e chi è tradito, chi perdona e chi è perdonato.
Ci sono bambini di mezzo o proposte di matrimonio, c'è la noia, c'è la paura, c'è il troppo amore e l'incompatibilità -le storie a volte semplicemente si spengono, perdono la loro brillantezza e muoiono silenziosamente senza poter esser salvate e alle loro spalle rimangono due persone improvvisamente divise, alle prese con ciò che rimane di loro.
Si possono leggere tutti i manuali di questo mondo e formulare comunque un'ipotesi che possa spiegare certi comportamenti e certe frasi, con la sicurezza che prima o poi arriverà una nuova storia che stravolgerà il nostro precario sistema di certezze con una rivoluzione scientifica senza pari.
Non c'è una regola, per uscirne senza ferite.
Non c'è un modo per smettere di piangere, un modo per non sentire il dolore.
Si può maledire l'amore, si può rifuggerlo, si può evitarlo e negarlo con tutte le proprie forze, ma lui è sempre lì.
Veglia sui nostri passi, aspetta il momento che più ritiene opportuno e viene a bussare alla tua porta: e che tu lo voglia o meno, ti investe con la sua irruenza luminosa e ti fa dimenticare di tutto il dolore che potresti provare, di tutte le delusioni che potresti incontrare. È talmente luminoso che l'unica cosa che puoi fare è abbandonarti alla speranza e farti trascinare via.
L'amore è ciò che rende gli uomini grandi, l'amore è ciò che li rende piccoli piccoli e li colora di vergogne nuove, insospettate, per poi riscattarli quando tutto sembra perduto; amare è un atto di fede in un'altra persona, il gesto più coraggioso che un essere umano possa compiere in tutta la sua vita e quello che presumibilmente gli farà più male.
È l'unico fulmine che cade più volte nello stesso punto -al centro esatto dell'anima.
Può ustionarti, bruciarti, accecarti o farti cadere in un stato di shock, accade tutto in una frazione di secondo, così rapido che è impossibile accorgersene: l'attimo in cui si comincia veramente ad amare una persona cambia la tua vita per sempre.
Le persone cambiano, in nome dell'amore, e nemmeno se ne rendono conto.
Si rimane feriti, dei relitti sentimentali, a volte persino ci si crede impotenti tanto profondi sono gli squarci che si nascono dietro sorrisi di cortesia e banalità quotidiane, ed è inutile cercare una cura.
Semplicemente non esiste.
Non esiste una regola d'oro per guarire dal mal d'amore: puoi solo aspettare che se ne vada da se, che l'animo inizi a guarire piano piano e che i pezzi di un cuore in frantumi si rimettano assieme, attorno il fulcro esatto dove si è schiantato il colpo iniziale e la prima crepa è nata.
Si sopravvive e la vita va avanti, si incontrano altre persone, si incontrano vecchi amici e per quanto un cuore rotto porterà per sempre i segni e il ricordo dell'attimo in cui si è sbriciolato in mille pezzi, succederà di nuovo.
Ci sarà sempre un posto giusto e un momento giusto, in cui il fulmine cadrà di nuovo.


   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Guns N'Roses / Vai alla pagina dell'autore: La neve di aprile