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Autore: Kimmy_90    21/01/2011    1 recensioni
Rotolano sotto il cemento i rumori dei Branchi. Ringhiano, graffiano, mordono. Lottano.
Per Gioco.
Fra di loro si chiamano Demoni e Bestie. Sono ragazzi, sono uomini – a volte sono bambini, anche se è raro che un Branco ne accetti uno. Sopra il cemento non ne sa niente nessuno. O quasi.
Fintanto che rimane un gioco, il sangue che cola è semplice divertimento.
Ma ogni gioco viene scoperto, in un modo o nell'altro. E ogni gioco ha le sue regole.
La ragazza levò lo sguardo, continuando, passivamente, ad eseguire gli ordini.
Ma sì, in fondo gli ordini di Riva si eseguivano volentieri.
Credeva.
"Hai due possibilità, Sara. Se vuoi, puoi benissimo far finta che non sia successo niente. Cancella questa giornata dalla tua testa e vai avanti. Sul serio."
L’idea l’attraeva.
"Ma se pensi, anche solo lontanamente, che tu non sia in grado di ignorare completamente questa cosa, è un altro paio di maniche."

// Fantasy contemporaneo cambientato in Italia tra gli anni '70 ed oggi. //
Genere: Azione, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[NdA: Scusate ancora per i capitoli Troppo lunghi. T____T''''' Tanti per specificare, i primi 2 sono un Enorme prologo... a metà del terzo si comincia sul serio. Sempre che mai ci si arrivi, ovviamente.]





 
2. Adamo ed Eva
 
 
 
 
[26 giugno 1973]
 
David sbattè un libro giallastro sulla tavola di vernice: Ema susultò.
«David, quel libro ha più di duecento anni!» gli strillò dietro il venticinquenne, inorridito. «Vale un patrimonio!»
«Questo libro può anche bruciare, per quel che mi riguarda.» ribattè seccamente il moro. «Centinaia di pagine che aizzano le folle contro i demoni, contro le bestie e contro i draghi - soprattutto contro i draghi. Parole scritte dal pugno di chi promuoveva la caccia alle streghe, altro che patrimonio: sono stronzate!»
«Sono anche le uniche stronzate che danno una descrizione credibile dei nostri avi.» commentò Alessandro. «O di chi per loro era nella nostra stessa condizione. Se davano la caccia alle streghe, figurati se non la davano a quelli come noi.»
David si prese la testa fra le mani, sedendo su uno degli sgabelli fatti di bottiglie. «Potessi tornare indietro nel tempo, li ammazzerei.»
Ema si avvicinò al tavolo, raccogliendo, con immensa cura, il suo libro; per un istante sembrò coccolarselo. Era l'unico esemplare esistente nel raggio di chilometri: e lo avevano loro. David sembrava non comprendere la sottigliezza della situazione né, tantomeno, il portento della loro libreria.
«Se vuoi fare ricerche su Adam, perchè non chiedi al Bibliotecario?» domadò il capobranco, accennando ad Emanuele. A quella definizione, Ema parve gonfiarsi, impettito.
«Volevo solo capire da dove si sono inventati che i demoni drago sono pericolosi.»
«In effetti, nei testi antichi ne parlano sempre male.» rispose Ema, pensieroso.
«E nei testi moderni?»
«Da quello che so io, l'ultimo demone come Adam risale ad almeno seicento anni fa, ai tempi dei Medici – inizio rinascimento. Nei testi moderni non se ne parla, sono vecchie leggende; o, meglio, dovevano esserlo. Evidentemente no.»
David scosse il capo, interdetto. «Sono maree su maree di stronzate.» rimarcò. «Cosa cambia?»
«Che la teoria del codice genetico letto in maniera modulata non ci sta dietro. Una cosa è reperire il codice di un orso o di un lupo, un'altra è trovare quello di un drago – e, detto fra parentesi, non riesco ancora a capire come possa fare a volare.»
«Finchè non lo lasciamo fare tutta la metamorfosi, non lo capiremo mai. Magari non vola, le ali servono ad altro; ma lo fermiamo sempre quando iniziano ad apparire.»
«Un giorno di questi gli faremo fare la metamorfosi completa.» asserì Alessandro, con il tono di chi ha appena deciso di fare qualcosa che doveva fare da tempo.
E in effetti era così.
Adam era l'unico del branco di cui non si conosceva la vera forma animale: quando iniziarono a comparirgli per la prima volta le ali - escrescenze ossee che si dipartivano dalle scapole del ragazzino -, Alessandro e David lo fermarono immediatamente.
Il capobranco aveva già visto il drago nella mente di Adam, ma sino ad allora aveva pensato fosse una cosa che si riduceva alla psiche: una montatura dovuta al fatto che il ragazzino era piccolo, incosciente, e particolarmente sulle nuvole. Il suo animale prevalente poteva essere un rettile qualsiasi, che il suo inconscio aveva trasformato in drago per dargli la parvenza di proteggerlo meglio.
E invece no. Adam stava per trasformarsi veramente in un drago.
Cos'era un Drago?
Cosa faceva un Drago?
E soprattutto, quanto era grande?
Non facevano combattere il ragazzino proprio per questo: tolto il fatto che David non sopportava l'idea di veder combattere il fratello minore, non sapevano se, nel caso in cui si fosse trasformato completamente, il garage o bunker di turno sarebbe stato capace di contenerlo.
Ema fremeva all'idea di vedere finalmente un Drago – quello che madre natura aveva creato drago, quello che Gaia aveva fatto drago: un animale mitologico che si palesava in un mondo governato unicamente da leggi fisiche.
E da volui.
Che fossero i volui a permettere ai draghi di volare?
Il venticinquenne non attendeva altro che studiare quel fenomeno improbabile.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
[28 gugno 1973]
 
«Ale, sto pensando di mollare.»
Alessandro lo guardò perplesso.
«Medicina?» domandò, cercando di indovinare il dire dell'altro.
«No, questo.» spiegò David. «Chiudere con tutte queste idiozie di demoni e bestie. Siamo umani, prima di tutto. Non posso passare il tempo a controllare che non ci sia qualcuno che vuole far fuori mio fratello.»
«David, continueranno anche se decidete di smettere.» commentò Alessandro sfogliando le pagine del libro che stava studiando. Si fermò, sollevando lo sguardo verso il compagno. «E comunque la tua volontà non è quella di Adam. Lo sai che lui si diverte.»
«Ha tredici anni, non è capace di intendere e di volere. Posso costringere i miei a trasferirci, se mi metto d'impegno.»
«Ha tredici anni, è perfettamente in grado di intendere e di volere, e temo che voglia far parte della comunità. Anch'io preferirei ne stesse fuori, piccolo com'è: ma ormai è dentro. Qui è come una mafia, non si scappa; non perchè noi verremo a cercarvi, ma perchè stai scappando da quello che sei e che siamo.»
«Demoni? Wow. Scusa se scappo.»
«Lo sai che è solo una definizione arcaica.»
«Sì, lo so, ma chiarisce benissimo la nostra posizione.»
Alessandro chiuse il libro, pensoso. «Senti, potreste anche cambiare branco. Qui siamo in pochi, potresti trovarne uno che vi difende a dovere. Come quello di Erica, ad esempio, che è chiaramente schierato dalla nostra.»
«Ancora con questa mania di invitarci a lasciare il branco?»
«Sai che nessuno vi costringe a stare qui. La natura, invece, quella sì che vi costringe ad essere due demoni – ed Adam un demone particolare. Dovete fare la cosa migliore per voi, ma di sicuro non è scappare.»
«Lo sai quanto ti detesto quando fai questi discorsi da vecchio saggio, vero?» domandò retorico David. «Sono più vecchio di te.»
«Lo so.»
«Non intendiamo lasciare il branco.»
«Parla per te, Adam ragiona con la sua testa.»
«Adam ti adora, non lascerebbe mai il branco. E' fermamente convinto che tu sia il tizio più figo in circolazione.»
«Se invece di avere un fratello tu avessi avuto una sorella, questa storia avrebbe avuto un lieto fine.»
David saltò sulla sedia. «Dio, che SCHIFO!»
Alessandro scoppiò a ridere: per lo meno, era riuscito a smorzare la tensione e la serietà che si stavano creando.
David scrollava il capo, nel tentativo di mandare via tutta la serie di visioni che l'ultima frase dell'amico aveva generato nella sua mente.
«Se non ti conoscessi da quando sono nato, ti darei definitivamente del pervertito.»
«Dài, non venirmi a raccontare che non hai mai fatto un pensierino sulle sorelle altrui!»
«Sulle sorelle! Grandi! Mature! Non su stupidi ragazzini invasati nell'ottica che questi fossero nati femmina!»
Alessandro tornò a ridere, prossimo alle lacrime.
«Comunque» - tentò di riprendersi, inspirando profondamente - «Comunque, David, quelli come noi si radunano in branchi proprio per guardarsi le spalle. Se te ne vai, non fai altro che far saltare la tua rete di sicurezza – e lo sai. Tu stesso a momenti non riesci a trattenere la tua metamorfosi, ti pare che ti lascio andare in altre città? Non se ne parla. O ti trovi un branco a cui aggregarti, o tu e Adam non vi muovete di qui.»
David lo osservò di sbieco, leggermente irritato dal tono imperativo dell'amico.
«Ale, ti ricordo che decido io della mia vita.»
Alessandro sorrise lontanamente.
«Non fare quella faccia, Ale, è vero.»
«Certo che è vero. Non ti sto parlando come capobranco, ti sto parlando come amico. E come modello maschile di tuo fratello.» aggiunse.
David continuava ad essere inorridito dalla situazione. «Sei pessimo.»
«Oh – sì, solo che sono talmente diplomatico che solo tu e pochi altri eletti se ne rendono conto.» concluse, ridendo.
David scosse il capo, andando a cercare il tabacco e le cartine, la mente confusa ed ingarbugliata: no, non bastava decidere di mollare tutto ed andarsene.
Ale era lì, per lui. Non aveva nemmeno memoria del primo giorno in cui si erano conosciuti, perchè erano troppo piccoli per capire chi o cosa si muovesse attorno a loro: fino ai dieci anni, erano come due fratelli – con il terzo, Adam, in allegato. Si erano ritrovati poco tempo prima, nel periodo in cui andavano formandosi i branchi; inizialmente erano solo Alessando, Ema ed Amanda - solo poi si aggiunse David, e, un anno dopo, Adam.
Era un branco piccolo, ma compatto e potente.
La mano di Ema si faceva sentire: erano stati i primi ad avere una bestia, Amanda, che combatteva come un demone. O quasi. Erano cavie della loro stessa improvvisata tecnologia, che, nonostante tutto, funzionava.
David si accese la sigaretta, lo sguardo rivolto al soffitto della cantina.
Un'occhiata fulminea di Ale gli fece intendere che era decisamente meglio se andava a fumare fuori.
Il ragazzo si alzò, uscendo.
 
 
 
 
***
 
 
[3 luglio 1973]
 
«Siamo nel bel mezzo del Nulla.» commentò Amanda, la guancia pressata contro il finestrino del maggiolone.
«Sto seguendo Ale, non ho idea di dove ci voglia portare.» rispose David, al volante.
Davanti a loro, la cinquecento blu di Ema borbottava, avanzando con la sua dignitosa calma. Erano in viaggio da un'oretta, e ormai tutto quello che c'era attorno a loro era riassumibile in campi, tristi e desolati campi, giallastri, vuoti, alcuni già dissodati.
Adam, che stava seduto dietro, dormiva.
«Immagino stia cercando un bosco.»
«Se diventa troppo grande sfascia gli alberi, non è un'idea furba.»
«Allora non lo so.»
La cinquecento mise una freccia: rallentando, la videro prendere un sentierino sterrato.
David imprecò pesantemente.
«Ma perchè?» si domandò, scocciato. «Se rovino il maggiolone a mia mamma lei rovina me! Stupido uomo!»
La cinquecento continuò, lenta, ad inoltrarsi lungo la stradina; David, al seguito, procedeva con una calma e un'attenzione maniacale, terrorizzato all'idea che solo un sassolino, alzato dalle ruote, finisse sulla carrozzeria dell'automobile.
Dopo altri dieci minuti di sudori freddi per le eventuali conseguenze di danni al maggiolone, finalmente la cinquecento si fermò, e videro Alessandro scendere. Fece loro cenno di spegnere il motore, avvicinandosi.
«Puoi lasciarla qui.»
«In mezzo alla strada?»
«Questo terreno è di mia cugina, sono in vacanza, e hanno già raccolto e dissodato tutto. Sono isolati dal mondo, quindi dovremmo essere al sicuro: nessuno verrà qui a farsi gli affari degli altri.»
David sospirò, in parte rasserenato.
«Speriamo che sia così.»
Amanda scrollò il ragazzino, che, nonostante la strada impervia, ancora dormiva. Schiuse le palpebre rintronato, stiracchiandosi.
«Dai, Adam, muoviti.»
Il biondino annuì, scendendo impacciatamente dall'automobile.
 
 
«Nella siringa che ha Alessandro c'è il siero d'emergenza.» illustrò Ema, mentre tamburellava sull'ago di un'altra siringa.
«Questo, invece, è sedativo: roba che stende i cavalli. Con David ha funzionato benone, ma spero che non lo si debba usare, con te – dato che ho dei seri dubbi sulla sua funzionalità.»
«Non puoi usare direttamente il siero, nel caso?» domandò Adam, scrutando le siringhe: era leggermente impaurito da tutte le precauzioni che stavano prendendo.
«Diciamo che il siero non è esattamente una passeggiata, quindi prima andiamo col sedativo.»
Adam manteneva le pupille fisse sugli aghi.
Erano mesi che vedeva gente fare la metamorfosi, ed alcuni di loro, a partire da suo fratello, raggiungevano la forma animale senza troppi problemi: spesso ci scivolavano involontariamente, ma non è che se ne andassero in giro con tonnellate di siringhe – ne', tanto meno, le usavano. L'unica eccezione era Amanda, e le alte bestie, che invece dovevano essere tenute sotto controllo per via della metamorfosi forzata.
C'era qualcosa che gli sfuggiva.
David vide il fratello sbiancare lentamente, il fiato via via più pensante.
«Ema, lascialo stare.» fece Alessandro, avvicinandosi al biondino. «Non farti prendere dal panico, se no peggioriamo solo le cose. Il fatto che ci sia la rete di sicurezza non significa che devi cadere, no?»
Adam lo scrutò perplesso, i muscoli irrigiditi, le labbra serrate.
«Adam, calmati, dai.» intervenne David, posandogli una mano dietro le spalle – mai fosse che al ragazzino venisse la brillante idea di svenire. «Se non ti senti pronto, aspettiamo. Non è nulla di tragico, eh - oppure ce ne torniamo a casa e lasciamo stare.»
«No!» scattò quello. «Eh, no, sono mesi che voglio farlo, non mi fermerò mica adesso!»
«Va bene, va bene» - fece l'altro, sospirando. »Ma aspettiamo almeno mezz'oretta che ti tranquillizzi.»
Adam sbuffò, più per mandare via la tensione che per commentare quanto aveva detto il moro.
Anche se non vedeva l'ora di assumere la sua definitiva forma animale, per riuscire finalmente a capire cosa si provasse, la cosa gli faceva una certa impressione: era come buttarsi col paracadute.
Stai lì, sulla porta, guardi in basso, brami la caduta libera – e intanto ti chiedi quale parte malata della tua testa ti ha spinto a fare qualcosa di tanto folle.
 
 
Nel dubbio, si tolse i vestiti, rimanendo in mutande.
Prendeva lunghi respiri: non aveva mai smesso di respirare profondamente, da quando David ed Ale si erano armati di siringa.
Il branco lo osservava curioso, in cerchio, attorno a lui.
Sotto i piedi scalzi, sentiva la granularità della terra dissodata e secca.
Gonfiò i polmoni.
Non doveva concentrarsi, doveva solo lasciarsi andare. E lasciar perdere, momentaneamente, quel po' di dolore che gli serpeggiava nelle vene.
Prima le zanne.
I canini che, gonfiandosi, violentavano le gengive.
Poi le squame.
La pelle ispessita, poi rigida, poi dura – rilucente e vetrosa.
La colonna vertebrale che cercava l'estensione, nella coda, triangolare e lunga, ricoperta di placche affilate e terminante in due spuntoni ossei.
Se non avesse avuto a disposizione tutta l'energia che sprigionavano i volui, non ce l'avrebbe fatta: i suoi tessuti non avrebbero retto a quel bisogno di modificare la propria struttura. Andava già sentendosi sfinito, eppure, contemporaneamente, percepiva l'insorgere quel nuovo potere che lo avvolgeva sino ad esplodere in lui.
Dovette lasciarsi cadere in avanti, sulle quattro zampe, per ridefinire il suo equilibrio.
Ema osservava, fra l'impaurito e il dannatamente curioso, il ragazzino in piena metamorfosi: il volto rimaneva umano, ma gli zigomi iniziavano a fendere, come lame, la pelle delle gote.
Il corpo di Adam, sotto la spinta della sua pura volontà, migrava verso la nuova forma.
Nessuno avrebbe potuto immaginare ch'era così semplice, perdere l'umanità e deviare verso l'animale.
Ma non era affatto semplice.
Il reale meccanismo sfuggiva.
Emanuele socchiuse le palpebre, congetture su congetture, teorie su teorie che gli si affollavano nella mente.
Le mani ingrossate e ricoperte di squame, gli artigli come metallici, le gambe che si facevano sproporzionate e la spina dorsale che risaltava in bozzi sulla schiena, lacerando la pelle.
Fin lì, il ragazzino c'era già arrivato altre volte: ora si trattava di andare oltre.
Ema sapeva che faceva male, glielo avevano detto e confermato in molti: ma tutti continuavano a farlo, quindi non poteva essere una tortura.
E infatti, sebbene Adam sentisse la carne tirare e strapparsi, non poteva dire che gli dolesse del tutto: il suo metro di percezione del mondo cambiava, i colori visti dai suoi occhi divenivano rilucenti e vividi, i contorni netti e precisi; sentiva gli odori, tastava il terreno, percepiva il tocco dell'aria sul suo corpo.
E soprattutto, linkava.
Alberi, piante, insetti, lepri nascoste sotto terra.
Percepiva la presenza delle loro menti, le loro essenze, mentre nei polmoni rumoreggiava qualcosa di rovente ed instabile.
Roteò le spalle, muovendo le scapole, che finalmente iniziavano ad allungarsi. Strinse gli artigli delle ormai quattro zampe al terreno, incurvando la schiena.
David e Alessandro indietreggiarono impercettibilmente, mentre richiamavano a loro volta parte della loro metamorfosi: Orecchie animali, unghie artigliate e gambe potenti - non diversi da quanto era Adam, dopotutto. Assai più sciolti e tranquilli, si flessero sugli arti inferiori, attendendo, se necessario, il momento di scattare.
Ema osservò le scapole di Adam fiorire in ramificazioni di ossa e membrana sottile.
Il cuore in gola, non attendeva altro che vedere il seguito.
 
 
 
Sentiva il mondo in infiniti modi diversi: i colori sembravano essersi moltiplicati, gli odori erano divenuti milioni - ognuno dei quali diceva qualcosa di diverso.
Il muso tozzo, gli occhi grandi e gialli, Adam tastava l'aere facendo guizzare la lingua fuori dalle fauci, e contemporaneamente allargava le narici, larghe.
«Adam.»
Il drago scarlatto, che non era più lungo di forse tre metri, parve ignorare deliberatamente David. Portò il muso al terreno, iniziando ad esplorare il circondario: mosse qualche passo apparentemente scoordinato sulle zampe possenti e sproporzionate.
«Adam, ci sei?»
Nei tratti, era un cucciolo. Ema lo scrutava estasiato, domandandosi quanto grande sarebbe potuto divenire da adulto. Si sarebbe fermato a quattro-cinque metri? O sarebbe andato oltre?
«Adam!»
Il drago si voltò di scatto verso il fratello, osservandolo interessato.
Non che non lo sentisse o che non lo capisse: ma David era decisamente passato in secondo piano. La quantità di stimoli che riceveva dall'esterno era enorme, ed ognuno di essi suscitava un interesse vivissimo in lui;
scostò lo sguardo, catturato da uno dei mille suoni, rumori, odori e bagliori che gli intasavano i sensi.
«Mi sembra che vada bene.» commentò Amanda, osservando divertita il bestio ch'era divenuto il ragazzino.
In effetti, era tutto tranquillo: l'unica cosa che rimaneva da stabilire era quanto fosse cosciente e quanto no.
«Adam! Mi vuoi ascoltare?!»
In risposta, il drago si allontanò di qualche passo dal fratello.
«Forse non capisce. Adam?»
Adam ignorò anche il capobranco.
Lo aveva sentito, sì.
Lo aveva capito.
Ma aveva tutt'altro da fare.
Libero. Dall'autorità di qualunque persona o cosa.
Non lo capì subito, perchè la condizione gli parve naturale: ma quando si rese lontanamente conto che avrebbe dovuto obbedire agli ordini di David, l'unica cosa che formulò la sua mente fu 'e perchè mai dovrei prestargli attenzione?'.
Resosi conto di quella cosa, si fermò di scatto – mentre i compagni, ancora perplessi, ceravano di capire il suo comportamento.
Era vero. Doveva obbedirgli.
Ma chi era sua fratello? O Alessandro?
Non potevano niente su di lui. Non decidevano per lui, non potevano costringerlo a fare o a non fare niente.
Nessuno poteva.
Era veramente libero.
Talmente libero da rendersi conto di essere sempre stato libero, da realizzare che in realtà non era mai esistita nessuna regola che lo vincolava a niente e a nessuno.
Erano solo lui e la natura - natura di quel suo essere anomalo e poderoso.
Lui era natura. Libera, incontaminata, priva di qualsiasi regola o legge.
Giusto o sbagliato.
Buono o cattivo.
Macchè.
C'erano lui, e poi c'era la terra, e poi c'era il cielo.
Fine del mondo.
Ed era così semplice che per qualche, lungo, momento, si stupì di non averlo mai capito.
«Adam?»
Si mise a fissare Alessandro, curioso.
Da dietro il muso di rettile, ricco di corna ed escrescenze ossee, nessuno di loro riusciva a trarre una sola emozione umana: aveva completamente cambiato modo di comunicare, e questo lo sapevano; ma, non essendo ne' un lupo ne' un orso, o una tigre o un leone come tali altri, nessuno aveva la minima idea di quale fosse il suo nuovo linguaggio.
Però la sua coscienza pareva essere ancora presente.
Solo, in un certo senso, sembrava diversa.
Lo era.
Adam era talmente cosciente da essere sopra a tutto. Millenni di illogica umanità, di domande insensate e di risposte campate in aria, gli scivolavano addosso come acqua.
Cosa siamo?
Da dove veniamo?
Cosa ci attende in futuro?
Gli uomini si complicano così tanto la vita, pensò il drago.
Si fanno domande del tutto insensate.
E cercano di inventarsi risposte inutili.
Che stupidi.
«Cerca di tornare umano, adesso.»
Adam spiegò le ali.
«Adam...»
Si flesse, incurvando la schiena, le zampe cariche e potenti.
«Adam, cosa diavolo stai facendo?»
Levò le ali, verticali, pronto a sbatterle violentemente verso il basso.
«Adam, non ci provare! No! Scordatelo! Torna immediatamente umano!»
Ma al drago non interessava assolutamente l'opinione di Alessandro.
Con un gesto potente e sorprendentemente coordinato, fra un balzo e un battito d'ali, Adam si librò in aria: Emanuele prendeva appunti.
 
 
«Potrei ucciderti!»
Adam si fece piccolo piccolo, rintanando la testa fra le spalle.
«Mi spiace.» mugolò, con lo sguardo fisso a terra.
Amanda gli porse la maglietta. «Dai, non è successo niente, David.»
«Non è successo niente? Cristo, Amanda, ha volato per mezzo campo!»
«Non c'è nessuno che possa averlo visto...»
«Puoi dimostrarmelo?» tagliò David, infastidito.
«Ma ci sentivi?» domandò Alessandro al ragazzino, sbuffando.
«... sì.» rispose quello, con un filo di voce.
«E allora si può sapere perchè non ci hai obbedito?»
Adam si chiuse ancora di più, tanto che a momenti sembrava stare divenendo un riccio.
Sedevano sulle zolle dissodate, il sole calante dai raggi bassi e quasi taglienti; Adam continuò a tacere, senza rispondere.
«Lo state terrorizzando, voi due.» li apostrofò Amanda, incrociando le braccia.
«Noi? Ma l'hai visto?» insistette David, alterato. «Questo ci fa fuori con una zampata, ancora un po', e tu dici che noi lo stiamo terrorizzando?»
«Non era una zampata!» protestò Adam. «Sono solo atterrato male!»
«Non dovevi metterti a volare! Ma come ti è saltato in mente?»
«Ma...» mormorò quello, che ormai voleva farsi inghiottire dal terreno.
« 'Ma' cosa?»
Adam tornò a tacere.
«Va bene, David, piantala con la tua iperprotettività e lascialo in pace.» Intervenne Alessandro. «Tu stavi per staccare la testa a un tizio, la prima volta – o sbaglio?»
«Ma non ero cosciente!» si giustificò il ragazzo.
«Forse non ha la coscienza umana, quando si trasforma.» intervenne Ema, seduto poco più indietro, intento a risistemare gli appunti.
«Nessuno ha perfettamente la coscienza umana, quando è trasformato.» precisò David. «Ma non per questo ignoro quello che mi dici tu o che mi dice Ale.»
«Forse lui ne ha di meno.»
«Ma no, ero cosciente!» intervenne il ragazzino, in un momento di apparente coraggio.
«E perché non hai obbedito?» rincarò, tagliente, il fratello.
«Ma tipo...» iniziò a mugolare Adam, a disagio «Ma tipo... non so, non lo sentite anche voi..? Era strano.»
«Cosa era strano?»
Il biondino scrutava impaurito il fratello, che andava aggredendolo sempre più.
Se gli avesse detto che in quel momento non gli interessavano gli ordini, cosa gli avrebbe fatto?
Si zittì nuovamente, impaurito dall'idea di vedere ancora più furente David.
Amanda sbuffò.
«State cercando di tirar fuori sangue dai muri, sapete?» fece la ragazza, incamminandosi verso il sentierino. Emanuele la scrutò allontanarsi, per poi squadrare Alessandro interrogativo.
Il capobranco si alzò in piedi, stirando la schiena.
«Va bene, ragazzi, lasciamo stare. Indagheremo più avanti.»
Adam lo fissava sottecchi.
« 'Indagheremo' vuol dire che vuoi esplorare i miei ricordi?»
Alessandro storse le labbra. «Se continui a non spiegarci cosa è successo, dovrò farlo. Non è per farti un dispetto, Adam, ma dobbiamo capire cosa è successo.»
Il biondino fissò per terra, in bilico fra l'ipotesi rivelare tutto di sua sponte o far esplorare la sua mente ad Alessandro.
«Comunque scordati di combattere.» precisò il fratello, alzandosi in piedi a sua volta.
Alessandro lanciò a David uno sguardo ammonitore, ma non disse niente.
Adam rimase lì, avvilito, rimpiangendo la sua ora di libertà.
 
 
 
 
 
***
 
 
[7 luglio 1973]
 
 
David mosse passi rapidi e possenti nella galleria affollata, illuminata dalle luci che avevano alimentato con una serie di batterie: un generatore avrebbe reso l'aria irrespirabile, la quale, già di per se', era viziata a causa del poco spazio.
Raggiunti Mattia ed Edoardo, i due - memori di cosa stava per succedere la volta scorsa - s'impettirono sulla difensiva.
«Bhe?» fece David, in risposta all'atteggiamento di quelli. «Non sono mica coglione come voi, io. Non vi faccio niente, idioti.»
«Cosa vuoi?» domandò Mattia, mentre lo sguardo di Edoardo scivolava altrove.
Qualche metro più indietro, la presenza di Adam era intuibile per il solo fatto che gli occhi di tutti i partecipanti al raduno erano fissi su di lui. Il ragazzino, che si sentiva osservato e del tutto inadeguato al contesto, camminava accanto ad Ema ed Amanda, nascosto dietro Alessandro: neanche l'avessero fatto apposta, erano finiti a formare uno schieramento attorno a lui, a volerlo proteggere dall'interesse che suscitava.
«Parlare con Vittorio.» rispose il moro, cercando di ostentare tranquillità.
«E' fuori a fumare.»
David si esibì in una smorfia di fastidio.
«David, devi parlare con Tito, prima.» gli ricordò Alessandro, avvicinatosi a lui.
«Mph.»
Il moro si allontanò dal gruppo, separandosi; Alessandro e gli altri si sedettero per terra, qualche metro più in là da dove sostava il branco di Vittorio.
Tito, basso e grassoccio - sulla trentina -, era fra i membri più anziani della comunità, oltre che uno dei fondatori della rete cittadina. Sedeva per terra, come tutti gli altri; circondato da borse e scatoloni dal contenuto più vario, non si faceva notare se non per l'aria eccessivamente professionale che assumeva in quei raduni confusionari. Quell'uomo era quanto di più vicino ci fosse nella comunità ad un arbitro: si trattava di un demone, ma in pochissimi l'avevano visto compiere anche solo in parte la metamorfosi; sebbene fosse assodato che la sua forma animale era quella di un procione piuttosto corpulento, c'era ancora chi faceva girare la voce che in realtà Tito fosse un cinghiale – cosa che si addiceva decisamente di più al suo fisico.
Da lontano appariva come una persona affatto raccomandabile, ma non era altro che un tranquillo pizzaiolo con tanto di moglie e due bimbe piccole: trattandosi di uno dei meno belligeranti e più assennati, aveva assunto la sua posizione di giudice in maniera del tutto naturale.
Se non fosse intervenuto lui, molti scontri sarebbero finiti particolarmente male.
«Eilà, David. Ti sei calmato dall'ultimo raduno?» domandò al ragazzo, non appena questo si avvicinò a lui.
«Mh. Più o meno.»
Tito lo osservò di sbieco, le luci giallastre accese nella galleria che si riflettevano sul cranio rasato.
«Volevo sfidare Vittorio.»
«Vittorio?»
«Sì, Vittorio.»
«Un capobranco? Oggi?»
«Sì, Oggi.»
«Non è un po' tardi per chiedere la sfida oggi? Ci sono altri combattimenti in programma.» fece notare, lanciando qualche occhiata all'agendina che teneva in mano, su cui segnava meticolosamente gli eventi di ogni raduno.
«Ho come la sensazione che la gente non aspetti altro che questo scontro, in realtà.» David sorrise, divertito.
«Lo immagino. Se fai una delle tue solite scenate teatrali, David, penso che puoi anche ottenerlo subito.» commentò Tito, pensoso.
«Scenate teatrali?»
«Sì, tipo quelle dell'altra volta, sai. Andarsene voltando le spalle a tutti dopo averli riempiti di insulti: è stata decisamente un'uscita ad effetto.»
David storse le labbra, infastidito. «Sappi che non intendo rimangiarmi una sola parola di quello che ho detto.»
«Sì, lo so. Allora, sfida per regolare i conti?» domandò Tito, con tono da segretario.
«Voglio una posta.»
L'uomo risollevò lo sguardo verso David, curioso. «Ah sì? Saranno mesi che nessuno mette una posta. Cosa metti?»
«Voglio i loro libri.»
«Tutti? Non credo si possa fare.»
«Quelli che parlano dei draghi.»
«Ah. Capisco. Ne hanno un paio, da quel che mi risulta.» tirò fuori dalla ventiquattr'ore poggiata accanto a lui un quaderno. «Sì.» annuì, controllando la lista di libri che ogni branco gli aveva lasciato. «Ma se non sbaglio Emanuele e gli altri del gruppo di ricerca li hanno consultati tutti. Non ti conviene chiedere a lui?»
David storse le labbra, senza rispondere.
«Spero per te che tu non voglia distruggerli.» Tito conosceva bene i suoi polli. David scosse il capo: sapeva che non si potevano distruggere i reperti, salvo casi eccezionali; far sparire le prove che parlavano dei draghi non era decisamente fra questi.
«So che hanno l'unica versione originale della leggenda di Adamo ed Eva di tutta la città: voglio quella. C'erano anche tre draghi, se non sbaglio.»
«Ah. Quella – giusto.» Tito scribacchiò qualcosa sull'agendina, annuendo lievemente. «Ma la conosciamo tutti, la leggenda di Adamo ed Eva: è come conoscere la Bibbia.»
«Io e mio fratello non siamo battezzati né conosciamo lontanamente la Bibbia.» fece notare il ragazzo. «E Adam non ha mai sentito parlare dei tre guardiani, ne' di Adamo ed Eva.»
«Vuoi fargli leggere la leggenda?» domandò Tito, lontanamente sorpreso. «Scusa, vuoi sfidare un capobranco per far leggere a tuo fratello la leggenda di Adamo ed Eva? Non puoi raccontargliela tu e basta?»
David sbuffò. «Non è solo per quello – è per umiliare Vittorio.» ammise, infine. «Praticamente lui ha gli unici libri che non dipingono i demoni drago come dei mostri disumani: voglio ufficialmente sfotterlo davanti a tutta la comunità facendogli notare che in base ai suoi libri non aveva alcun motivo di aggredire Adam.»
Tito scribacchiò nuovamente sull'agendina: parve rimurginare per qualche istante, taciturno.
Infine chiuse il libretto con un colpo secco.
«David, non mi sembra una buona idea chiamare in causa la leggenda di Adamo ed Eva davanti a tutta la comunità.» commentò infine. «Alessandro sa che vuoi fare questa scenata?»
«Non è una scenata!» replicò il ragazzo, ferito nell'orgoglio. Sapeva di essere teatrale, ma fra l'essere teatrale il fare scenate, ne passava.
«Non lo sa.» ne dedusse Tito.
«Ma che importa? Hanno maltrattato mio fratello, quasi ammazzato - se ritiro fuori la leggenda di Adamo ed Eva non faccio del male a nessuno.» contestò il moro.
«David, non mi sembra una buona idea.»
David strinse la mascella, chiudendo gli occhi: sentiva che stava per lasciarsi scivolare, per l'ennesima volta, verso la metamorfosi.
Lui e l'autocontrollo erano due mondi a parte.
«Tentare di ammazzare Adam, invece, è una buona idea.» sibilò, cercando di non ringhiare.
«Calmati.» fece Tito, con il suo solito tono rassicurante e sereno; lontano, in quel tono di voce, David percepiva una serietà affatto tranquilla. Schiuse gli occhi, che si erano scuriti ed allargati: lo sclero era scomparso.
Erano gli occhi di un orso.
«David, tirare fuori la leggenda di Adamo ed Eva, con Adam in circolazione, rischia solo di essere controproducente: se c'è una cosa che tutti temono, oltre all'eventuale potenza di Adam o una guerra generale, è la predestinazione. Arriviamo da anni di contestazioni giovanili, figurati se l'idea di essere predestinati ci piace.»
David espirò, ricercando la calma.
Al solito, Tito parlava con la lucidità che a lui spesso era mancata: anche Alessandro faceva così – quei due erano dannatamente logici e diplomatici; mica come lui, che per ogni spiffero d'aria era pronto a far scattare gli artigli.
«Non farebbe nemmeno bene ad Adam, dato che è una potenziale prova che la leggenda di Adamo ed Eva sia vera.» continuò l'uomo, con tono che per David si stava facendo fastidiosamente paterno.
«E' una leggenda, non ci ha mai creduto nessuno, non vedo perchè dovrebbero iniziare a farlo ora.» pontificò il ragazzo, secco.
«Eh, qui sono anche quasi tutti battezzati.» fece notare Tito. «Nessuno di loro pensa, in questo momento, di stare agendo secondo l'arbitrio dantesco o la 'libertà' del cristianesimo, ne' si tortura pensando a quanti anni dovrà scontare in purgatorio o se finirà dritto all'inferno: però, ai funerali, o quando vedono le grandi catastrofi al telegiornale, ci fanno qualche pensierino.»
«Sono degli idioti.»
«Non mi interessa se quello che fanno è giusto o sbagliato - sai, anche a me scappa di comportarmi in questo modo; la questione è, David, che quando la gente si trova in difficoltà o davanti all'ignoto, inizia a credere. Adam è ignoto: la gente rischia di credere alla leggenda di Adamo ed Eva, se la richiami in questo particolare momento. In compenso, sono tutti terrorizzati dall'idea di essere predestinati, perchè vogliono essere liberi di decidere; quindi la tua arma ti si ritorcerebbe facilmente contro, perchè Adam diventerebbe la testimonianza di qualcosa che nessuno desidera sia realtà.» Tito espirò, scuotendo lentamente il capo. «Non è decisamente un buon momento per la comparsa di un demone drago, no.»
David si guardò attorno, scocciato: un centinaio scarso di ragazzi e ragazze invadeva la galleria, di pietra novecentesca, riempiendo l'aria di chiacchiericcio inconcludente; intravide in lontananza Alessandro, che, sebbene fosse seduto per terra come il resto dei partecipanti, svettava. L'interesse per Adam sembrava stare scemando, ma in molti continuavano a lanciargli occhiate fra l'incuriosito e il perplesso; il moro schioccò la lingua sul palato, levando la mano in un cenno di saluto verso Tito.
 
 
Per lui fumare equivaleva ad andare a caccia di risposte, che in genere non comparivano; meditava, assorto.
«Non guardi gli scontri?»
David espirò il fumo che aveva accumulato nei polmoni. Dall'interno della galleria, a qualche centinaio di metri da lui, si sentivano rieccheggiare vagamente i rumori di un combattimento.
«Preferisco stare qui.» rispose infine alla ragazza, per poi riportarsi la sigaretta alle labbra.
«Ah, pensavo facessi il palo.»
«No, oggi non tocca a me.» accennò, con un movimento del capo, a due ragazzi poco più in là: poggiati sulla rete che chiudeva la galleria in disuso, sembravano starsi bevendo un paio di birre in amicizia.
Hyun li squadrò, osservandoli a lungo: non pareva stessero facendo sforzi particolari. D'altronde, ai demoni bastava qualche minuto di concentrazione per riuscire a collegarsi con il circondario: dopodichè, le avevano sempre detto Erica e Michele, bastava fare attenzione a cosa succedeva.
Lei, ch'era una persona normalissima, ben lontana da quel mondo che sentiva di frequentare clandestinamente, cercava di crederci.
I due ragazzi messi a fare da palo, comunque, ogni tanto compievano qualche movimento innaturale, scattoso, che lasciava intendere alla ragazza che avevano percepito qualcosa.
Rimasero un po' in silenzio, la notte oramai inoltrata.
«David.» lo chiamò una voce profonda. Tito comparve dall'ombra dell'imboccatura della galleria.
«Cosa succede?»
«Se vuoi, c'è un buco.»
Hyun osservò il ragazzo perplessa. «Volevi combattere?» gli domandò, curiosa.
«Lascia stare, Tito. Rischio solo di fare casino.»
«Come preferisci. Anche senza posta?»
«Niente di niente. Lasciamo perdere, potrei anche essere troppo violento.»
Tito fece un versetto divertito. «Meglio così. Ogni tanto sembri essere saggio, sai?»
David mormorò qualcosa di incomprensibile, gettando il mozzicone a terra.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
[9 luglio 1973]
 
Ema trotterellò entusiasta verso Alessandro, seduto al tavolo della cantina.
Il capobranco, chino sul tomo di storia romana, mosse lentamente le pupille verso il venticinquenne, che si muoveva euforico.
«Abbiamo i risultati.»
Ale levò le sopracciglia perplesso.
«Di quale degli infiniti test clandestini che state svolgendo?» domandò all'amico.
«Oh – no, questo arriva in diretta dall'MIT, dal professor Chapman.»
Alessandro tornò al suo libro. «Suppongo che non pubblicheranno niente, come al solito.»
«Finirà fra i segreti di stato americani, immagino. Ma questa è roba potente, Ale, non so nemmeno come abbia fatto a farmela arrivare.»
«Forse perchè gli mandi una lettera ogni due giorni chiedendogli se ci sono novità?»
Ema si sedette di fronte ad Alessandro, schiaffando il plico di fogli sopra il libro che l'altro stava studiando. Il ragazzo scrutò i fogli, che davano l'idea di essere stati prodotti con una di quelle stampanti ad aghi che aveva intravisto in qualche dipartimento di ingegneria: su ogni facciata campeggiavano grafici, dati, scritte che suggerivano di essere in inglese ma dal linguaggio talmente tecnico che non avrebbe potuto escludere si potesse trattare di un'altra lingua.
«Ema, seriamente, pensi che io possa capire qualcosa di 'sta roba qui?» domandò verso l'altro, rendendogli la documentazione.
Il venticinquenne sbuffò.
«Sono spettrografie dell'interno della terra. Fatte con...» Alessandro lo fissava interrogativo e sconcertato. «Ok, lasciamo stare. E' roba da MIT. Quello che importa è che c'è una spiegazione più che chiara del primo richiamo.»
«Sarebbe?»
«La terra è imbottita di volui. Ufficialmente: questi dati lo dimostrano – quasi; non è quello il punto. In linea teorica i volui se ne rimangono dove dovrebbero stare, se non fosse che ogni tanto è come se si aprisse una crepa, e un fascio di volui si libera.»
Alesandro si raddrizzò sullo sgabello, attento. «Ogni quanto?»
«Ultimamente spesso. Ma dato che sono solo pochi anni che fanno questi studi, non so se è normale o meno. Circa ogni mese, con picchi di tre o quattro ferite al giorno.»
Ale ritrasse il capo indietro, indignato. «Ferite? Ferite di Gaia? Ema, ti rendi conto di cosa stai dicendo, vero?» domandò, acido.
«Sono fasci di volui, sottili e limitati, nello spazio e nel tempo. Sono come ferite
Alessandro lo guardava con le palpebre strette. «Quindi mi stai dicendo che le storie sulle ferite di Gaia sono vere?»
Ema fece spallucce. «Dico solo che quella nomenclatura ha un senso: chiunque l'abbia inventata, non avrà avuto uno spettrografo, ma qualcosa doveva aver capito. D'altronde, tutti i demoni che sono nelle vicinanze di un primo richiamo sentono che c'è qualcosa di strano, nell'aria; e le bestie a volte vanno in metamorfosi involontaria. Anzi, spesso, adesso che ci penso.»
«E' perchè chi subisce il primo richiamo usa tanti dei volui che sono presenti nell'aria, Ema, non perchè viene investito da quelli che si trovano nel centro della terra – dài!» sottolineò il capobranco, prendendosi il volto fra le mani.
«E invece sembra che la terra si effettivamente imbottita dei volui. Di Gaia
Alessandro tacque, come esausto. Spostò lo sguardo verso il terreno, di cemento ruvido.
«Il che spiega molte delle storie che circolano.» concluse Ema.
L'altro tornò a fissarlo, il volto improvvisamente indurito.
«Ma sei o non sei uno scienziato?» gli domandò Alessandro, infastidito. «Quale parte della tua mente di ricercatore improvvisato ti sta portando a dire che quel marasma di leggende assurde ed insensate possano essere anche lontanamente vere?»
Ema levò un sopracciglio. «Oh, bhe. Più o meno tutte le parti della mia mente.»
«Ema! Le leggende sono irrazionali!»
«Ale, insomma, cos'è, dobbiamo giocare a io che faccio il letterato e tu il fisico? Le leggende hanno sempre un fondo di verità, mister vado avanti a colpi di trenta ma mi dimentico i fondamentali.»
«Sì, un fondo di verità, ma molto in fondo, diamine!»
«Parla il lupo mannaro.» Ema non fece in tempo a finire la frase che Alessandro scattò in piedi, le labbra talmente serrate da essersi ridotte ad una fessura: lo sguardo, sbarrato e furibondo, era incollato sul volto del venticinquenne. Il ragazzo, completamente proteso in avanti, incombeva su di Ema, che si ritrasse istintivamente.
«Non azzardarti a ripeterlo.» sibilò Alessandro, immobile.
«Scusa, non volevo...»
«Non sono dipendente dalla luna piena, non ammazzo la gente, non divento incosciente e violento, e non sono così perchè un altro mannaro mi ha morso: non sono nulla di lontanamente vicino ad un lupo mannaro.» sillabò quello, parola per parola, lento e retorico.
«Ale, calmati.»
«Sono calmo.» precisò Alessandro.
Sì, era calmo.
Calmamente furente: statico, immobile come una statua, nell'espressione e nella postura. Completamente proteso verso Ema, lo fagocitava nell'ombra stagliata dalla sua figura.
«Volevo solo dire che le storie sui mannari si spiegano abbastanza, se si pensa alla forma che possono assumere quelli come te.» tentò di spiegare. Alessandro non mutò espressione. «E prenderti un po' per il culo, ok, lo ammetto.»
«Ecco. Hai più o meno colto uno dei miei pochissimi tasti dolenti, Ema. Evita.»
Ema sembrava stare trattenendo il respiro, tanto che quando Alessandro tornò a sedersi, espirò ed inspirò profondamente un paio di volte.
«Le leggende sono la dannazione degli uomini.» concluse il capobranco, serrando le braccia al petto.
«E la religione è l'oppio dei popoli – lo so.» rispose Ema. «Rimane il fatto che, se gli antichi si sono inventati Zeus perchè hanno visto cadere un fulmine, puoi anche negare che Zeus esista, ma non puoi negare i fulmini.»
Ale si espresse in un 'mph' infastidito.
«Io sto parlando di fulmini, Ale, non di Zeus. Le ricerche le facciamo sui fulmini, non sugli dei; nessuno di noi pensa che esista la dea Gaia, ma questo non toglie che la terra sia imbottita di volui.»
Il capobranco scosse la testa. «Non chiamarmi mai più mannaro, Ema.»
«Sì, certo.»
«Per Favore.»
Ema inclinò la testa. «Non ti chiamerò mai più in quel modo. Scusami.»
 
 
 
***
 
 
[10 luglio 1973]
 
L'androne era vagamente illuminato dalla lampadina che Adam aveva attaccato ad una delle sporadiche prese di corrente: l'aveva indirizzata con cura verso il libro, che ora leggeva disteso sul cemento fresco.
Confidarsi con Ema prima che Alessandro si mettesse ad esplorare la sua mente era stata cosa saggia: l'unico problema era che rimaneva assolutamente terrorizzato dalla figura di suo fratello.
In realtà David non se l'era presa male quando Emanuele aveva spiegato loro che Adam, in forma animale, aveva acquisito una coscienza totalmente libera dal SuperIo umano: dalla sua mente, cioè, si erano momentaneamente rimosse tutte le leggi non scritte che aveva accumulato inconsciamente crescendo - a partire dall'obbligo di obbedire al fratello maggiore o al capobranco. Così si spiegava la ragione per cui il ragazzino, quand'era divenuto interamente drago, sebbene avesse capito benissimo gli ordini dei ragazzi se n'era altamente infischiato.
Adam rimaneva ancora scosso da quella cosa, e sotto certi versi non riusciva a perdonarsi; dall'altro lato della sua testa, invece, sognava di ritornare in quello stato di libertà assoluta. In un modo o nell'altro, si sentiva in colpa, e sentiva che David ce l'aveva ancora con lui.
Quello era uno dei motivi per cui si nascondeva.
L'altro motivo era che sia Alessandro che Amanda che – in particolar modo – David non avrebbero approvato molto l'idea di Ema di dar da leggere un trattato di psicologia ad un ragazzino.
Ema stesso si era reso conto, qualche minuto dopo avergli fornito il tomo, che non era stata una trovata geniale: glielo aveva fatto vedere solo per spiegargli la differenza fra Io, SuperIo ed Es freudiani, ma il risultato era stato che il ragazzino si era appassionato incredibilmente all'argomento, pregandolo di darglielo in prestito. Ema aveva inizialmente acconsentito, elettrizzato dall'idea che finalmente Adam avesse trovato un libro interessante; si rese presto conto di aver fatto una stupidaggine – ma non aveva il cuore di chiedergli indietro il libro usando la causa del 'sei troppo piccolo per queste cose'.
Far giocare un preadolescente allo strizzacervelli non entusiasmava nessuno, ed Adam per primo lo intuiva: leggendo e rileggendo i vari argomenti del libro, aveva la sensazione di stare acquisendo delle informazioni che per lui dovevano essere ancora tabù, come lo erano la morte e il sesso per i bambini.
Lui di morte e di sesso ci capiva abbastanza, ma Freud e Jung sembravano stare andando decisamente oltre: comprendeva, ma percepiva che per lui, quello, era troppo.
Fra l'interesse che l'argomento suscitava in lui e l'emozione di stare trasgredendo, continuava a leggere famelico.
«Siamo tornati!»
Il biondino sussultò chiudendo violentemente il libro, per poi lanciarsi a rimetterlo nella sua borsa ed estrarre, in sostituzione, uno sgualcito fumetto di Superman.
«Eilà, com'è, mastino? Non è morto nessuno?» domandò Amanda, scherzosa, entrando nel garage. «Habemus Pizzae!»
Adam si illuminò, levandosi in piedi ed iniziando a ronzare attorno ad Alessandro, che reggeva la torre di cartoni della pizzeria.
«Dove sono David ed Ema?» domandò, cercando di assicurarsi che gli avessero effettivamente preso la margherita, e non un'altra di quelle pizze assurde e schifose che piacevano a loro.
«In missione alcolica.» ridacchiò Amanda, lasciando la sua borsa per terra. «Aiutami a portare qui il tavolo, dai, che se no in cantina moriamo asfissiati.»
«Ma mi avete preso la margherita?» domandò alla ragazza, seguendola lungo il corridoio
«Sì, Adam.»
«Ma posso bere qualcosa anch'io?»
«No, Adam.» rispose quella, mentre smontava il tavolo della cantina.
«Ma dài! Ma se non bevo con voi che siete grandi, quando diavolo bevo, io?» protestò il ragazzino, afferrando il margine della tavola ed un cavalletto.
«Quando sarai più grande.»
«Ma mio fratello a quest'età già beveva!»
«Eh, hai visto com'è diventato, no?» rispose Amanda, ridacchiando, mentre tornavano ad attraversare il corridoio. «Vorrai mica fare la sua fine?» - insindacabile, come ragionamento.
«Vi odio.»
«Va bene, allora facciamo così: bevi solo se ti prendi una sbronza di quelle da dare di stomaco per tutta la notte.»
Adam ritrasse la testa, inorridito.
«Non fare quella faccia» insistette Amanda «se vuoi giocare, devi anche accettare la parte brutta del gioco, sai.»
«Uffa.»
«Dài, che ti abbiamo preso il chinotto.»
«Grazie...»
Sistemarono l'androne per la serata, attaccando qualche altra luce e piazzando tavolo e sgabelli. Adam continuava a girare attorno alle pizze, affamato - controllando, ogni tanto, che la sua margherita fosse effettivamente una margherita.
«Oh, Adam, piantala.»
«Ma si freddano.»
«Chi mangia solo muore solo.»
«Ma chi mangia freddo mangia da schifo.»
David ed Ema apparvero qualche minuto dopo lo scambio di battute fra Adam ed Alessandro, esibendo, vittoriosi, due bottiglie di vino ed una di sambuca.
 
 
Cartoni di pizza e rimasugli di croste torreggiavano sulla tavola verniciata.
David versò la sambuca nel bicchierino di vetro, osservando il liquore vischioso fluire dalla bottiglia.
Portò le mani verso il bicchiere, con un enorme sorriso beota stampato in faccia: la sambuca prese fuoco in un piccolo sbuffo, per poi continuare a bruciare con la sua tipica fiamma bluastra.
«Sono un figo.» gongolò il moro.
«No.» rispose annoiato Ema – smontando il ragazzo, che grugnì. David tappò il bicchiere con il palmo della mandritta, soffocando la fiamma: battè, girò, se lo staccò dal palmo, insipirò i fumi e bevve a collo.
Alla quarta volta che si ripeteva la scena, Adam cercava ancora di capire che senso avesse quello stupido rito esibizionista che il fratello si divertiva tanto a compiere.
«Bene!» fece David, lasciandosi cadere sullo sgabello, che imprecò in un cigolio acuto. «Adam.»
Il ragazzino s'immobilizzò, domandandosi se non fosse che quello era già abbastanza ubriaco da mettersi a fare ramanzine insensate.
Ma David reggeva l'alcol in maniera prodigiosa, e si poteva dire che era ancora perfettamente lucido. «Ti volevo raccontare la leggenda di Adamo ed Eva.»
Adam si fece perplesso, assieme agli altri tre. «Non la sa?» domandò Amanda, quasi scandalizzata.
«Non so cosa?» chiese il ragazzino. «Adamo? Eva? Mela e serpente? Certo che la so.» fece, offeso.
«No no, quella dei demoni, mica la leggenda biblica.»
«Ma dai? Non la sa?» insisteva Amanda, ora sorpresa e divertita. Le sembrava che fosse come aver trovato un bambino che non conosce la favola di cappuccetto rosso.
«Ma cosa?»
«Ma no, Adam, sta tranquillo, è una stupidaggine. Pensavo te l'avesse detta.» disse Ema, scrutando David perplesso.
«No, non gliel'ho mai raccontata.» rispose il moro agli sguardi basiti dei compagni.
«Ma perchè?»
David si strinse nelle spalle. «E' una leggenda, non mi interessano molto, sai. Ma mi sa che ormai è questione di cultura generale.»
«E sarebbe?» domandò il ragazzino, che dalla curiosità andava rodendosi il fegato.
«Niente di particolare, però ha una visione carina dei draghi. Tutto qui – non farti strane idee, rimane una leggenda di chiassàdio quanto tempo fa.»
Alessandro scuoteva la testa in maniera impercettibile. 'Una leggenda' – altro che, quella era la loro Bibbia, secondo molti. A cui avrebbero dovuto prestare tanta attenzione quanta ne meritava, secondo lui, la Bibbia originale: zero, se non per studi umanistico psicologici. E, vabè, di cultura generale.
Fortunatamente David la stava ponendo come una stupidaggine, altrimenti rischiava che Adam iniziasse a montarsi la testa.
«E' una boiata, eh.» sottolineò nuovamente il moro. «Praticamente, ci sarebbe il dio onnipotente – la dea Gaia -, e cinque figure mitologiche. Due di loro sono Adamo ed Eva, e si dice che siano i genitori di tutti gli esseri viventi della terra. Dovrebbero essere due demoni con lo stesso animale prevalente, l'uno il negativo dell'altro. Ci sono versioni in cui si parla di due angeli, più che di due demoni, ma il principio è lo stesso: sono schifosamente potenti.»
«E allora?»
«E poi ci sono tre demoni drago.»
«Ah. E cosa sono, tipo tre serpenti?»
«Nha. Sono tre guardiani di Adamo ed Eva. Quindi sono tre figure positive.»
«Ah – figo! E com'è che non me ne hai mai parlato, scusa, dato che io sono un drago?» domandò inacidito il ragazzino.
«Te ne sto parlando apposta adesso – ma è una leggenda
«E comunque non sei un drago.» ci tenne a precisare Alessandro. «Tu ti trasformi in un drago.»
«Vabè, è irrilevante.» protestò Adam.
«No, non lo è.» rimarcò il capobranco. «Non farti venire strane idee: la leggenda parla anche del fatto che i demoni sarebbero l'esercito di Gaia, Adamo ed Eva i condottieri e i draghi i generali e guardiani. Per combattere una guerra contro non si sa né chi né cosa. E le bestie non vengono citate, quindi non è una fonte affidabile. E' una storiella che circola da millenni, come tante altre, come quella di Minosse e il minotauro.»
«Bhe, però Minosse e il minotauro ha senso: il minotauro era un demone.» concluse soddisfatto Adam.
«I demoni sono carnivori.» chiosò Ema, incrociando le braccia.
«Vabè, era una bestia.» si corresse il ragazzino.
Alessandro roteava gli occhi, infastidito dall'essere caduto in fallo. Metodico, continuò: «Sicuramente non c'era un labirinto e un filo di lana, Adam.»
«Sì, però...»
«Però niente. Preferisci parlare di excalibur? O della Sfinge? Sono tutti miti e leggende.»
«Però gli dei egizi...»
«Sì, Adam, ma non si mettevano a pesarti l'anima sulla bilancia.»
Adam intravide una lontana velatura di irritazione trapelare dal volto di Alessandro. Sconcertato da quella visione, che mai aveva avuto prima, decise di lasciar perdere il discorso onde evitare spiacevoli epiloghi.
«Vabè.» concluse, rinunciando alle sue contestazioni.
Dopotutto, lui per primo era capace di sciolinare una lunga serie di miti e leggende che non stavano né in cielo né in terra: Atlantide, fantasmi, vampiri, El Dorado, fonte della giovinezza e via dicendo.
Anche se - gli aveva spiegato Ema - figure riconducibili a demoni e bestie si erano trovate in moltissime delle culture e delle religioni del mondo, la maggior parte delle storie da cui provenivano rimaneva diceria insensata alimentata dalle paure e dai terrori della gente messa di fronte all'ignoto. Non c'era ragione di dar credito più ad una leggenda che ad un'altra, a meno che non si fosse degli esperti capaci di destreggiarsi fra delirio collettivo e realtà di fondo.
Quello che contava realmente, per loro, erano i fatti.
Nulla di più.
 
 
   
 
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