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Autore: Lady Gardenia    25/01/2011    0 recensioni
Penelope è una maga.
Filippo un principe.
Cosa hanno in comune?
Assolutamente nulla. Tranne un cavallo, una gita e... un destino
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cambiare la sorte

 

Che la mia farfalla avesse un debole per criticarmi, lo sapevo fin troppo bene. Che la mattonella incantata –per errore- avesse il dono della parola al solo fine di rendere più complicata la mia radiosa esistenza era un altro dato di fatto. Che il cappello viola –altro pasticcio- si divertisse ad improvvisarsi fine commentatore dei miei vestiti con tendenza all’ipercritica mi veniva ricordato ogni volta che aprivo il mio armadio. E che il mio gufo, il mio famiglio, con quel carattere insopportabilmente simile al mio, desse manforte ai miei esperimenti falliti mi era tragicamente noto.

Ciò che era decisamente insopportabile, ciò che ancora non sapevo, era che quel principino viziato, irresponsabile, tragicamente irrequieto e terribilmente adorabile fosse in grado di provocarmi malditesta e guai anche quando agiva con le migliori intenzioni.

Era già un po’ che il ciondolo mi aveva reso noto con il suo lampeggiare irregolare che lui si stava avvicinando. Ed era già da un po’ che era in atto un dibattito –non richiesto- su una questione che ritenevo assolutamente superflua.

«Il fatto che quel principino sia così cieco da guardare te, quando potrebbe ammirare le delizie della mie striature blu-argentate non è e non sarà mai una garanzia di successo. Per quanto assolutamente oltraggioso nei miei augusti confronti! Un uomo bisogna saperselo tenere, cara e tu non sei sufficientemente graziosa per poter pensare di…»

«Grazie, il concetto è chiaro», sibilai interrompendo lo stridere della vocetta fastidiosamente acuta della farfalla.

«Detesto essere d’accordo con l’insetto, ma potresti davvero evocare qualcosa di meglio». Il cappello ‘guardava’ con palese disgusto il contenuto del mio armadio e con ancor più palese rimprovero il vestito viola che avevo indosso.

La voce borbottante del mio gufo interruppe il cappello «Ciance inutili! Non riuscirebbe ad evocare un merletto neanche con tutta la concentrazione del mondo!»

«Non è colpa mia se i merletti sono troppo complessi».

Il mio tono cantilenante non lo indusse a smettere. «Siamo carenti in magia pratica, non accampare scuse. Filosofeggi e fantastichi troppo!»

Essere rimproverata da un uccellaccio doveva essere necessariamente il fondo. Dimenticavo la mattonella ninfomane. «Troppo tempo con quel principe. Troppo tempo nello stesso letto con quel principe! Dovreste cercare entrambi nuove distrazioni!»

«È già assurdo che lui ti preferisca alle delizie che sicuramente offre la sua corte. Conciata in quel modo gli farai passare la voglia». Vessata da una farfalla: la mia vita era un successo!

Un’occhiata dalla finestra e un bruciore proveniente dal ciondolo mi avvertirono che quella conversazione assurda aveva termine. Mi precipitai per le scale, inciampai nella mattonella, scivolai su un gradino, sbattei all’angolo dell’armadio e innervosita, dolorante e affannata spalancai bruscamente la porta un secondo prima che il principe avesse modo di bussare. Lo avrei accolto con il semplice, banale vestito viola che aveva provocato il fioccare di critiche e con il consueto arrestarsi del respiro di quando me lo trovavo davanti.

«Avevate previsto il mio arrivo con la vostra palla di cristallo o qualche altra stranezza?»

Combattei l’istinto di evocare effettivamente una palla di cristallo e dargliela in testa e lo guardai come facevo ogni volta che tirava fuori una nuova ingenuità sulla magia. In definitiva, lo guardai come un idiota! Toccando il pendente che portavo al collo, gli ricordai: «Dimenticate che con questi ciondoli so sempre dove siete?» Dall’aria vagamente mortificata, che cercava di nascondere sotto il suo ingenuo atteggiarsi da principe, intuii che avevo fatto centro.

«Non posso ricordarmi tutte le diavolerie dei vostri incantesimi. Perdonate se non tengo sempre a mente lo straordinario potere di questi oggettini graziosi!» L’inflessione della voce su ‘straordinario’ e l’appellativo poco consono alle mie arti magiche e l’impressione, più che giustificata, che preferisse l’aspetto estetico dei ciondoli piuttosto che le loro potenzialità mi indussero ad elargirgli un’amabile occhiata di disprezzo misto a biasimo.

«E comunque bastava guardare dalla finestra per vedervi arrivare con il vostro galoppo tutt’altro che fluido». Cantilenai per punire la sua eccessiva, inconcludente vanità.

«Il mio galoppo è perfetto!» Perfetto… magari no. Bello… senz’altro! Mi limitai a pensarlo.

«E io vi dico che siete goffo!»

Il mio tentativo di far scendere dal piedistallo il principino viziato mi si ritorse contro nella forma di un’adorabile risata. «Sentite chi parla!»

Aggrottai la fronte, incrocia le braccia e contorsi il viso in una smorfia. Odiavo e detestavo dal profondo che si rimarcasse la mia mancanza di coordinazione. E lui lo sapeva! «Non siete affatto galante, Altezza». Calcai la voce sul titolo al solo fine di indispettirlo e proseguii cantilenando: «Far notare ad una fanciulla che è priva di grazia è davvero scortese e inelegante».

Accolse l’ultima affermazione con un’alzata di spalle. Evidentemente non ero stata granchè credibile. «Quando cerco di comportarmi da principe perfetto mi dite che sono affettato e ridicolo!»

Mi tornò violentemente alla memoria l’immagine del principe e del suo blocco di appunti sul corteggiamento, che si prodigava a farmi una noiosissima corte per mere ragioni di stato. Annuii energicamente per cancellare il ricordo. «Certo! Lo confermo».

«E allora perché vi lamentate?»

La sua aria divertita mi indispose leggermente. «E chi si lamenta?», lo esasperai. Lo vedevo fremere di impazienza, evidentemente non era venuto da me per il solo scopo di deliziarci reciprocamente con battutine acide.

«Maga, di che cosa stiamo parlando esattamente?»

Mi persi in fantasticherie sul perché della visita, sperando includessero ‘qualcosa’ che avrebbe indispettito la mattonella, e tardai a rispondere. «Temo di aver perso il filo…», mentii per mettere fine a quelle oziosità. Incapace di staccargli gli occhi di dosso, quasi mi sfuggiva un particolare piuttosto rilevante. Incominciai un’analisi critica dell’abbigliamento del principe. Niente fronzoli. «Avete finalmente deciso di rinunciare a piume, velluti e merletti? Forse vi ho insegnato qualcosa, dopotutto…» Doveva esserci qualcosa sotto, non avevo mai pensato neanche per un istante che il principe potesse accettare le mie critiche sul suo abbigliamento pomposo. Osservai il sorrisetto di orgoglioso trionfo che si disegnava sulle sue labbra. E rischiai di distrarmi definitivamente.

«Vi piaccio così?»

Feci un disperato tentativo di opporre resistenza. «Principe, non ho alcuna intenzione di alimentare la vostra sconfinata vanità…» Ovviamente durò poco. «Sì». Quel dannato principino mi strappava continuamente confessioni poco dignitose. Detestavo l’idea di alimentare il suo sproporzionato ego con la mia palese mancanza di autocontrollo.

«In realtà sono vestito così perché… ecco… vorrei chiedervi di uscire, stasera. Con me. Vorrei portarvi in un posto».

Mi colse totalmente di sorpresa e impreparata. «In incognito?», fu la prima domanda inutile che mi passò per la testa.

«Ovviamente».

Non avevo alcun motivo per rifiutare. Non avevo alcun motivo VALIDO. Ogni volta che ero uscita con il principe, ogni volta che ero stata con lui, mi ero giustificata dicendomi che lui era l’erede al trono ed io la maga che aveva giurato di sostenerlo. Ma con quegli abiti comuni, con quel sorriso di complicità, non avevo alcuna speranza di convincermi che fosse giusto cedere, perché era proprio quello il mio ruolo: guidarlo nella scoperta delle reali condizioni del suo regno. Le mie scusanti per quell’attaccamento contro ragione avevano smesso di essere valide già da un po’. Molto sbagliato.

Mentre ogni fibra del mio corpo gridava disperatamente sì, mi appellai a tutti gli impedimenti che la mia mente fu in grado di trovare. «Non dovreste studiare?», cercai di darmi un tono utilizzando un timbro severo.

«Già fatto».

«Esercitarvi con la lancia?»

«A quest’ora?» Tecnicamente il mio principino avrebbe dovuto esercitarsi a tutte le ore del giorno con la lama, viste le sue scarse competenze in materia, ma non provai minimamente ad alzare un’obiezione. Ormai avevo già ceduto.

Continuai solo per inerzia: «Il vostro precettore approva?»

«Sì».

Il suo assenso catturò la mia attenzione. «Male!», lo rimproverai senza realizzare che non era un’altra discussione ciò che desideravo di più.

Il suo sguardo passò dall’entusiasmo alla preoccupazione. Mi fece male quel cambiamento. «Perché ‘male’?»

Ormai non mi restava che espiare il piacere della gita con una ‘lezione di vita’. Mi illudevo che avrebbe placato la mia coscienza. «Perché un futuro Re non dovrebbe avere bisogno dell’approvazione del suo mentore per uscire. Dovrebbe farlo e basta, senza neanche chiedere il permesso».

La sua obiezione fu sensata: si sarebbe scatenato il finimondo se lo avesse fatto davvero. Ma io fremevo per vederlo re, la parte poco prudente di me desiderava una dimostrazione di forza che sapevo essere inutile. E quella frenesia venava il mio sarcasmo di cattiveria. «Come siete importante. Metterebbero il regno sottosopra solo per ritrovare un ragazzino gracile e infantile».

Mi voltò le spalle e tornai a ragionare. La lucidità aveva ripreso il sopravvento contro quelle parole avventate e gratuite. Ma aveva portato con sé la consapevolezza del dolore. «Dove andate?» Trattenni veemenza e paura. Un giorno con questo comportamento incoerente probabilmente lo avrei perso, ma per il momento contava solo riuscire a mantenerlo ad una distanza tale che ci permettesse di essere felici senza coinvolgerci in modo irreparabile.

«Torno al castello. Mi pare evidente che non avete alcuna voglia di uscire, quindi torno indietro. Scusatemi se vi ho importunata». Il tono freddo di chi non può più coprire una ferita con l’indifferenza… Non potevo sopportarlo! Barai. Mi dava fastidio che non capisse quanto lo volevo, che avesse dubbi. Lo strinsi da dietro con tutta la forza del possesso. La mia voce più carezzevole mormorò: «E la gita?»

Si girò, così vicino da permettermi di annegare in un’occhiata. Vidi la determinazione sciogliersi nella debolezza di un invito. «Montate a cavallo. Non è lontano».

Scopo raggiunto. Mi staccai bruscamente per riprendere il controllo e impossessarmi delle redini. Ma la mia goffaggine mi tradì e lui, pur confuso, risultò più rapido. Quello che seguì fu il consueto scambio di battutine al quale era impossibile sottrarmi. Buttai lì un accenno alla sua adorata Verbena, avendo cura di storpiarne il nome. Pura infantilità: lo sapevo e mi divertiva.

«Reggetevi forte», mi informò la sua voce.

Con immenso piacere presi atto che c’era solo una cosa a cui potevo tenermi. «Dove?», domandai con candore, contrastante con il sorrisetto malizioso che non poteva vedere.

«Alla mia vita?»

Lo sfiorai appena e mi divertii a provocarlo. «Questa vita mingherlina? Avrei paura di spezzarla…» Stuzzicarlo mi provocava sempre grandi soddisfazioni: il principe aveva un chè di permaloso e nel frettoloso tentativo di ribattere alle mie inattaccabili affermazioni scivolava in interessanti allusioni.

«Maga, non lamentatevi delle mie dimen…ehm…del mio…» Ecco, non aveva tardato a restare incastrato nelle sue stesse parole. Sogghignai divertita. «Del vostro… cosa?»

Lo vidi e lo sentii muoversi per riacquistare un minimo di dignità. Sforzo inutile: restava così deliziosamente infantile! Adoravo quel misto di capriccio e orgoglio.

«Del mio…fisico. Non mi sembra che vi dispiaccia più di tanto, o non sareste qui». Dispiacermi? Ovviamente ero il più lontano possibile dall’anche solo pensare di poter essere dispiaciuta. L’imperfezione di Filippo era assolutamente perfetta! Certo avesse avuto qualche muscolo in più… fosse stato un filino più alto… o avesse avuto le spalle un po’ più larghe e magari la forza per tenere l’armatura… Risi tra me e me: poche cose erano appaganti come fargli notare tutti quei ‘difetti’ che mi facevano impazzire.

Mi strinsi alla sua vita, ovviamente con più forza e… ehm… intensità di quelle necessarie al tenermi a cavallo. Aderii alla sua schiena e la sentii fremere. Mi sfuggì un sorriso mentre poggiavo la fronte sulla sua spalla e desideravo intensamente stringerlo più forte, annullare ogni dannato spazio tra me e lui, come se la nostra pelle a contatto potesse bruciare la distanza tra due anime. Mossi la mano sul suo torace in una carezza senza averne coscienza e venni ridestata dai miei pensieri dal contatto con le sue costole.

Alzai di scatto la testa e continuai a tastare il suo petto non per carezzarlo, ma per indagare. Mi arrabbiai. «Principe, state mangiando?» pizzicai i punti dove teoricamente avrebbero dovuto esserci degli addominali e invece c’era solo pelle. Ignorai il suo ahi di protesta e ovviamente anche una rassicurazione a cui non credevo.

«Maga, ma che fate?»

Ero infastidita dalla cocciutaggine con cui continuava ad ignorare il suo bisogno di forza. Quindi non feci il benché minimo tentativo di dissimulare il disappunto, anche se probabilmente non lo avrei fatto lo stesso. «Cerco una traccia di muscolo, ma sento solo pelle e ossa. Principe, non vi prenderanno mai sul serio come uomo se continuate ad avere la corporatura di un ragazzino…l’esercito non rispetterà un comandante che neanche riesce ad indossare l’armatura e…»

Sapevo che non mi stava ascoltando, probabilmente da ‘principe’ in poi non aveva più recepito neanche una parola, convinto che bastasse non sentirli i problemi per ignorarli e decidere che non esistano.

Infatti mi interruppe. «Maga, vi prego. Per questa sera, possiamo fingere che io non sia il Principe ereditario e che esercito, Cavaliere Nero, Corona e quant’altro non esistano? Vi supplico! Solo per questa sera, fingiamo di essere due normali, onesti, giovani cittadini. Ho molto bisogno di una serata di vacanza, e anche voi. Avete l’aria stanca…»

Se n’era accorto… e se questo non fosse stato un guaio, me ne sarei persino rallegrata. Ma non doveva avere sospetti, non doveva immaginare quanto mi stessi sfibrando. «Io… mi sto applicando molto. Sapete, devo perfezionare la mia magia se voglio esservi utile…» Ero a conoscenza di quanto l’odiasse e lo trovavo immensamente ridicolo. Trovavo insensata la sua gelosia per un’entità astratta a cui ero legata, ma mai quanto avrei potuto esserlo a un corpo che mi faceva fremere, a uno spirito per il quale lottare, a un sorriso che invocava un bacio.

Mi disse che la magia mi logorava ed io non seppi negarlo. Apprezzai che non si lanciasse in uno dei soliti sproloqui pieni di ingenuità in cui denigrava la magia, il suo effetto su di me, i maghi e tutte le entità esistenti. Ma quel silenzio pesava di parole taciute solo per evitare uno scontro. «Stasera vorrei solo essere libero. Libero di essere solo Filippo. Filippo uscito con Penelope».

Fu una strana fitta. Io non avrei mai rinnegato ciò che ero e lui non sarebbe mai scappato dal suo fato. Il destino non si lascia raggirare. Ma avvertivo di provare un desiderio simile al suo: essere completamente me stessa, senza dover lottare. Volevo una tregua dal precipitare degli eventi, prima che fermare la storia diventasse impossibile. Infusi alla mia voce allegria, anche se cedere a quel desiderio significava riconoscere che a noi tutto sommato la felicità era preclusa.

«Infondo… perché no. Però scusatemi, non mi avete ancora detto dove stiamo andando!» Prova inconfutabile che stavo perdendo colpi: prima non avrei mai seguito anima viva, morta o entità che non avesse anticipatamente palesato la nostra destinazione. Pessimo, non avevo più i sensi in guardia!

«Nel villaggio di Brenn, lo conoscete?», non tardò a rispondermi. Lo conoscevo di fama: doveva essere un posto grazioso, forse ancora pacifico, ma non c’ero mai stata. Non interrompevo mai il mio eremitaggio.

«Oggi si tiene lì la festa per la sua fondazione… sono circa cento anni che esiste! Quando ero piccolo…» La voce si perse. Compresi che si trattava di un ricordo penoso. Ogni volta che parlava della sua infanzia provavo una strana tristezza.

Gli venni incontro, intuendo la sua difficoltà. «Cosa?» La mia voce tremò d’incertezza e la sua le fece eco con il dolore. «La Regina…mia madre, mi portava lì ogni anno. Mi piaceva moltissimo. Dalla sua…da quando lei è…» Si fermò. Non gli permisi di indugiare troppo su quel pensiero. «Proseguite. Ho capito».

Forse ero stata troppo brusca. Ma i sensi di colpa che provavo per essere stata accanto alla Dama Velata proprio in quel periodo, l’idea che potesse essersi servita della mia energia per far del male al mio principe, mi annebbiavano la mente. Facevo fatica a ragionare quasi quanto lui esitava a parlare.

«Insomma, è la prima volta che ci torno. Da solo non me la sentivo». Volevo cancellare quella sofferenza, ma sapevo di essere inadeguata. Nulla di quanto potevo dire o fare avrebbe cambiato il passato. Feci scorrere una mano tra i suoi capelli, cercando di trasmettergli il mio affetto, incerta se stessi cercando di esorcizzare il suo passato o il mio disagio. Lasciai scivolare la mano sul suo volto e strinsi il suo corpo al mio delicatamente.

Restammo abbracciati finchè non fummo in vista di Brenn. Senza dirci una parola. Lui che lottava per essere forte ed io che tentavo in tutti i modi di fargli percepire la mia presenza. Volevo sapesse che non era solo, che ero pronta ad affrontare con lui i ricordi, ma allo stesso tempo non potevo rischiare di rendermi indispensabile. Un re doveva farcela da solo.

D’innanzi alle porte di Brenn ruppi quell’alchimia. «È inutile che ricerchiate qualcosa che ormai è passato, Principe. Essere qui non la farà tornare». La miglior Regina che avesse mai regnato era morta per sempre. Era tempo di smetterla di vagheggiare un passato finito. «Pensate solo a passare una bella serata in mia compagnia…» Lo dissi per lui, ma anche per me in fondo. Mi sentivo così strana quando era pensieroso. E poi ero certa che fosse quella sensibilità malinconica a nascondersi dietro la facciata della sua infantilità. Amavo totalmente quella parte di lui, ma non volevo vi si perdese. Aggiunsi una piccola provocazione per destarlo: «Sempre che mi troviate piacevole».

Rispose alla malizia con un vero sorriso, di quelli in cui mi smarrivo, che contraccambiai felice.

«Avete ragione. Un’ultima cosa, però: non chiamatemi ‘Principe’! e non datemi del ‘voi’! Ricordatevi che siamo in incognito!»

Questo davvero non potevo farlo. Lo guardai torva. «Non posso darvi del ‘tu’! non me la sento! E poi, come accidenti dovrei chiamarvi?», stridetti.

«Ho un nome, mia cara».

E questo lo sapevo anch’io. Molto arguto il principe. Ovviamente non si rendeva conto del legame che creava un nome. Per chi aveva la forza di riconoscerla, un nome contiene fin troppa magia, unita con eccessiva emotività. Chiamandolo per nome non sarei mai riuscita a controllare ciò che provavo. Ancora una volta mi ripetei che non potevo farlo. «Dovete meritarvelo, l’essere chiamato per nome. Penso che continuerò a chiamarvi ‘Principe’, stando attenta che nessuno mi senta». Un altro orrido pensiero attraversò la mia mente e provai un’ondata di panico. Urgeva mettere in chiaro. «Quanto a voi, non provate a trovarmi qualche assurdo nomignolo. ‘Maga’ va più che bene».

Assunse quell’aria di ingenuità che mostrava sempre quando qualcosa di eclatante gli sfuggiva. «Veramente pensavo di chiamarvi ‘Penelope’…»

Ovviamente il peggio. La mia essenza era contenuta nella parola ‘maga’. In quella ritrovavo ciò che ero e ciò che il rapporto tra me e il principe doveva rimanere. Non in ‘Penelope’, che era tropo pericoloso, troppo esposto, troppo segreto. E poi stonava. Il nostro legame lo percepivo quando pronunciava la parola ‘maga’, l’inflessione su ‘Penelope’ mi era del tutto estranea. «Detto da voi suona terribilmente stupido. Basta, continueremo a chiamarci come al solito, e staremo attenti».

Considerai la questione chiusa, sperando di non doverci tornare mai più e lo seguii verso le stalle pubbliche. Quando si girò verso di me, temetti di dover ripetere tutto da capo. Per una volta, invece, mi trovai a dover inaspettatamente ringraziare la sua spiccata vanità. «Allora, come sto? Dite che come travestimento può andare?»

La risposta era no. Ma io ero un’osservatrice troppo accurata, tutto sommato potevo dargli un po’ di soddisfazione. Non prima delle critiche, però! «Ad un’occhiata approfondita no. Avete l’aria troppo beneducata, siete pulito, aggraziato e troppo snello per essere un contadino. Senza contare poi che le vostre mani sono palesemente quelle di una persona poco abituata al lavoro manuale». Proprio come per un bambino, alla minima critica il suo entusiasmo si spegneva. Optai per consolarlo. «Ma nessuno vi guarderà con tanta attenzione, quindi direi che siete a posto». Mi divertì il modo in cui cambiò espressione e mi venne voglia di prenderlo in giro. «Certo, a parte il vostro brutto naso di famiglia…» Non era poi così grave, né così terribile. Certo non era un bel naso, ma non avevo mai minimamente pensato che sfigurasse il suo viso. Ma il modo in cui trasaliva inorridito e toccava la leggera gobba della sua più grande imperfezione –spalle escluse- era piuttosto appagante.

Ovviamente la reazione che preferivo non tardò. «Perché, dite che è riconoscibile?», domandò con autentica preoccupazione.

Scoppiai in una poco diplomatica risata. «Non siate ridicolo, Principe! Stavo scherzando!»

«Scherzate senza offenderlo, allora. Ne vado piuttosto fiero. Tutti i discendenti della mia famiglia lo ereditano».

Il suo narcisismo esagerato lo portava ad edulcorare la realtà. E ovviamente l’ipotesi che ammettesse di avere una mancanza era mera fantasia. «Il Cavaliere Nero no!», lo rimbeccai senza pensare. Come ogni volta che nominavo quel nome, sentii una scossa dentro di me. Per diverse ragioni ero sicura che la provasse anche il principe. Ma il suo era odio, il mio era vertigine. Cercavo di evitare di indugiare su quel pensiero, ma il Cavaliere Nero era il mio ricordo infelice come tale aveva troppo potere sulla mia mente. Mi mancava l’aria ogni volta che mi soffermavo sul mio desiderio per lui. Per quanto appartenesse al passato, non riuscivo a dimenticare che, se prima del principe non c’era mai stato nessuno, era solo perché io avevo desiderato intensamente di appartenere all’essere che ora dovevo combattere.

Il mio disagio si rifletteva sul volto del principe. «Il Cavaliere Nero non è un figlio legittimo. Non è un vero discendente». Un tono duro che mi riscosse, parole insensate che dovevo correggere.

«Credete che un naso vi dia il diritto di salire al trono, Altezza?»

«Avevate promesso di non menzionare nulla di inerente alla nostra vita, Maga. Vi costa tanto mantenere questa promessa?»

Silenzio. Mi sentii stranamente in colpa. Non pensavo che le mie parole potessero fargli così male. Portai una mano alla bocca. Troppo spesso parlavo dando voce alla fretta e all’urgenza. E se non permettere ai sentimenti di parlare era una buona difesa, spesso si rivelava anche un’arma a doppio taglio. «Accidenti, avete ragione! Posso ottenere il perdono reale?»

«Non avete il diritto di chiedermelo».

Mi sembrò di affogare. Annaspavo incerta e non capivo. «Perché no?»

«, non essendo un ‘reale’, come posso concedervelo?»L’ansia divenne insofferenza. Un bambino, avevo davanti un ragazzino idiota che al più poteva avere dodici anni. Viziato, per giunta. E molto!

Alzai gli occhi al cielo e invocai la pazienza perché mi impedisse di compiere un infanticidio. «Come siete stupido!»

Ebbe l’accortezza di non ribattere e finalmente portò alle scuderie quel cavallo troppo appariscente, troppo prezioso e troppo bianco per i miei gusti. Sperai che lo stalliere fosse troppo poco accorto per sospettare qualcosa. E infatti quell’individuo era malato per i cavalli. A noi non diede neanche un’occhiata. Filippo sembrava perfettamente soddisfatto dell’effetto sortito dal suo cavallo. Per amor del quieto vivere evitai di commentare.

Brenn era oltre la mia immaginazione. Il caos cittadino, che non ero mai stata in grado di amare, si stemperava in un entusiasmo contagioso e i colori si mescolavano come in un’allucinazione. Così lontana dalla fredda, regale austerità della corte, dalla pomposità dei tornei e dal semplice verde del mio bosco, Brenn si era tirata fuori dalla realtà almeno per un giorno e i nobili con la loro boria dividevano il loro spazio con i normali cittadini, vestiti dei loro abiti migliori per la festa.

Il clima rilassato era un’oasi di tranquillità in un regno a un passo dal collasso. Ma io leggevo i loro volti e parte di ciò che vedevo non mi piaceva. Accanto a espressioni innamorate circolava il sospetto. All’allegria si mischiava il complotto. Per Filippo poteva anche essere sufficiente, ma io per vedere il bello intorno a me avevo bisogno di lui. La sua compagnia era la sola che mi consentisse di dimenticare per un attimo il calcolo dei possibili nemici della corona. Abbassare la guardia era pericoloso, ma io volevo vedere il mondo con i suoi occhi.

Mi appoggiai a lui e mi sfuggì un sospiro. Filippo mi guardò allarmato e mi chiese se qualcosa non andasse. Sorrisi, felice della sua premura, mentre come per magia provai il piacevole smarrimento di un sogno. «Al contrario. È tutto molto, molto bello. Non ero mai stata a Brenn. Non è un buon posto per recarvisi da soli, non trovate?»

«Sono pienamente d’accordo», sottolineò la risposta stringendomi con più forza a lui. Il suo abbraccio era avvolgente, caldo e tremendamente ideale. Nella fitta di piacere che mi provocavano le sue braccia strette intorno al mio corpo, avvertivo distinta l’urgenza della fine. Non sarebbe durato. Ma era una sensazione lontana, indistinta se paragonata all’abbandono di quel gesto, alle nostre carezze quasi timide in quel luogo pubblico.

I particolari era sfocati, ero così piena di sensazioni che riuscivo a cogliere solo il tutto. Non cercavo più il dettaglio, tanto mi sentivo appagata da quel silenzio improvviso tra noi così pieno da non necessitare parole.

Seguivo nello sguardo di Filippo il mio stesso smarrimento. E così mi accorsi immediatamente di quando si ridestò. I suoi occhi luccicavano di giocoso divertimento. Cercai cosa stesse guardando.

Probabilmente avrei dovuto sentirmi oltraggiata. Ma non per ciò che stesse guardando in sé: non trovavo per nulla offensiva un’innocua bancarella piena di ridicoli cappelli con pretese di essere “solo per maghi, streghe e folletti”, sovraffollata da un’orda di bambinetti urlanti. No, io mi sarei dovuta offendere, ma riuscivo solo a sentirmi contrariata, per il palese –idiota- collegamento mentale che il principe aveva instaurato tra i cappelli e me. Era pericolosamente divertito e –ancora una volta come un bambino- era incapace di celare il proposito di uno scherzo. Fui categorica: «Non ci pensate nemmeno!»

Ovviamente lui si avvicinò lo stesso. «Perché no? Probabilmente siete l’unica ad avere il diritto di portarli».

Fissava il cartello. Io fissavo lui con aria minacciosa, sperando desistesse. «Questo è certo! Nessuno di questi ragazzini studia magia. Un apprendista mago non ha tempo di venire alle fiere cittadine…» Io perlomeno non ne avevo avuto di certo. L’apprendistato mi sfiancava del tutto. «Senza contare che di solito ha troppa poca energia…», quest’ultima osservazione si perse in un mugugnare, non avevo la forza di ricordarglielo ad alta voce.

Fortunatamente lasciò cadere l’argomento. Ovviamente non l’imbarazzante questione dei cappelli. «È giunto per voi il momento di possedere un cappello a punta. Quel coso parlante che tenete nell’armadio non conta!»

Perché poi? Di quale dannata utilità era un insulso cappello a punta? Rendermi ridicola? Esorcizzare il suo odio per la magia? Ma perché il principe doveva essere così dannatamente puerile? Sembrava un ragazzino! (Avevo perso il conto di quante volte lo avessi pensato). «Non vedo come un cappello a punta possa rendermi più maga di quanto già sia!», protestai.

Parole sprecate. Neanche avevo finito di pronunciarlo che era già scappato via verso il banchetto. Mi diedi all’inseguimento. Strattonai, pregai, tentai gli occhi dolci. Lo abbracciai. Provai di tutto. Unico risultato: essere ignorata. Del tutto snervante! Era troppo interessato a quell’accrocco viola dotato di insulse margheritine gialle, ridicolmente ondeggianti. E poi a me i cappelli stavano male! Me lo mise in testa senza troppi complimenti e con un entusiasmo fastidioso mi spinse davanti allo specchio. La mia faccia contrariata era ornata da margheritine gialle penzolanti. Mossi la testa. Constatai con orrore che le margheritine sottolineavano ogni movimento. Repressi a fatica il disappunto. Stavo per toglierlo, arrabbiarmi e ricordargli che non ero il buffone di corte, ma una valida maga. E invece tenni il cappello in testa e mi apprestai ad andare.

 


«Ora che avete fatto questa idiozia, vogliamo procedere?»

Esitava, fissandomi perplesso. «Non lo togliete?»

«No», replicai concisa, omettendo accuratamente che in realtà –ma molto in profondo- lo trovavo tenero. Era una sensazione poco dignitosa, ma non potevo far finta che in un modo del tutto contorto non mi avesse fatto piacere. Certo mi sfuggiva del tutto il motivo, ma l’espressione entusiasta del principe rendeva la cosa sopportabile. Solo che… ogni passo e la mia piramide visiva era invasa da margheritine gialle. La situazione poteva anche essere teoricamente sopportabile, ma in pratica era scomoda. Facevo un passo… margheritina! Mi voltavo… margheritina. Acceleravo… margheritina. Mi fermavo… margheritina. Sull’ultima pausa e l’ultima margheritina optai per una vendetta. «Ho scordato una cosa, Altezza. Potete aspettarmi qui?»

«Volete che vi accompagni?»

Commisi l’errore di fare di no con la testa e i cari, dolci fiorellini invasero per l’ennesima volta la mia visuale. Ero sempre più convinta che anche il principe meritasse un dignitoso regalo. Tanto più che il modo ipnotizzato e inebetito con cui guardava le margheritine era del tutto idiota e poco degno non solo di un principe, ma direttamente di un uomo. «No, è tutto a posto. Torno subito!»

Non attesi risposta e corsi via. In un attimo ero di nuovo alla bancarella di giocattoli, circondata da bimbi scalpitanti che additavano il mio cappello, piagnucolando che ne volevano uno anche loro. Cercai di ignorare la questione e con la massima serietà chiesi al mercante se vendesse delle spade giocattolo, evitando di muovere la testa e dare un tono più ridicolo alla mia richiesta. Comunque il mercante non mi risparmiò un’occhiata scettica, mentre tirava fuori una voluminosa quanto eccentrica cesta di ridicolissime spade di legno. Ne presi una sottile con l’elsa rossa, il colore preferito del principe. E mi sarei persino ritenuta soddisfatta della scelta, se non fossi stata troppo impegnata ad odiare la risatina trattenuta del mercante. Dovevo proprio essere un bello spettacolo: margheritine e spade.

«Per caso volete anche una bacchetta da fata?»

Occhiataccia. «No, grazie. Sono apposto». Mi chiesi perché un uomo così sgradevole gestisse una bancarella per bambini. Ma non mi lasciai impensierire, ora toccava a me prendermi la mia parte di divertimento. Feci uno scatto per tornare da Filippo il più rapidamente possibile. Volevo vedere la sua espressione.

Non feci neanche un metro, improvvisamente faceva troppo caldo. La mia pelle era gelida, ma mi sembrava di star prendendo fuoco. L’anello lampeggiava e ad ogni suo sfavillare il mio respiro diventava più difficile e l’aria mi abbandonava. L’universo reclamava il mio tributo. Attesi che le fitte si attenuassero e mentre pian piano declinavano mi trascinai, ansimando, verso il principe.

Era importante riprendere il controllo. Feci respiri sempre più profondi finchè il mio ansimare divenne leggero. Sorrisi vedendolo e non solo per rassicurarlo, mi venne incontro ridendo, ma io non ero ancora sufficientemente in me per reagire in modo normale. Mi appoggiai al muro. Aspettai che la testa smettesse di girare. Era un effetto dall’energia perduta: il mio colpo reggeva male lo sbalzo.

Cercai istintivamente il braccio di Filippo. Non volevo aggrapparmi a lui, ma temevo di svenire. «Non sono abituata all’attività fisica…», dissi per rassicurarlo e non fargli venire idee strane.

Ottenni l’effetto opposto. «O diciamo pure che è quello stupido anello…»

Sobbalzai… come accidenti faceva a saperlo? Perché non era così intuitivo quando effettivamente serviva? Che gli costava impiegare intelligenza, osservazione, spirito critico su qualcosa che non fosse la mia persona?

Il risultato di tutte queste considerazioni mentali fu la solita occhiataccia che, ne sono certa, confermò la sua ipotesi. «Altezza, non ricominciate. Sto bene». Tentai il tutto per tutto. Lo mollai e mi tirai su. E con uno sguardo di sfida tesi quello spadino ridicolo e glielo diedi con noncuranza.. «E comunque questa è la mia vendetta per il ridicolo cappello».

La prese sorridendomi. «Grazie davvero! Penso che mi sarà molto utile. Durante il prossimo duello la userò senz’altro. La chiamerò ‘Arma Letale 2’». Arma letale era il modo assurdo con cui chiamava il suo anello. L’avevo sempre trovato ridicolo.

L’immagine del principe che affrontava il Cavaliere Nero con un pezzo di legno era così agghiacciante che mi fece sorridere, nonostante quella stessa immagine popolasse alcuni dei miei incubi. Ma il mio sorriso non dovette sembrare molto convincente, visto che il principe mi abbracciò. Avevo un debole per gli abbracci protettivi, per il sentirmi stretta a lui, per il saperlo dietro di me ad avvolgermi con le sue braccia. Mi faceva completamente perdere la testa, mi sentivo ottenebrata.

«Volete riposarvi un po’?» Annuii, come in trance, sperando che non mi lasciasse neanche per un secondo. «In una di queste stradine c’è una piazzetta piuttosto tranquilla: ci sono solo un armaiolo e un gioielliere. Non è molto frequentata ed è su questo livello».

Mi staccai da lui. Mi costò fatica, ma era necessario. Non dovevo accettare quella debolezza, per quanto lo volessi. Presi invece un suo braccio, dal momento che ancora non mi sentivo sicura, e gli dissi con voce ferma: «Andiamoci. Così possiamo guardare qualche vera spada intanto che mi riprendo… forse dovrei fare un po’ di moto, di tanto in tanto…» Non lo convinsi, ma per fortuna non commentò. Apprezzavo che ogni tanto fosse in grado di tenere la bocca chiusa, mi dava modo di non sprecare insulti.

Mi lasciai condurre alla piazzetta. Così nascosto e in disparte era un posto davvero grazioso: una piccola rosa preservata dal caos. Il silenzio, la luce scarsa e la totale assenza di anima viva lo rendevano un luogo fin troppo intimo: del tutto inadatto, considerato che tutti i miei sensi erano già troppo concentrati sul principe. Mi sarebbe stato difficile distrarmi. Lui non mi aiutava. Si ostinava a fissarmi. Mossi lo sguardo ovunque pur di non guardarlo. Insegne in ferro battuto. Ciottoli. Panchine. L’angolo della sua bocca. Lo sfavillare della vetrina del gioielliere. Un vicolo. Un neo appena sopra il labbro che avrei tanto voluto… Persi la pazienza. Mi indignai e per porre fine alla mia mancanza di autocontrollo lo guardai torva.

«Smettete di fissarmi come se fossi una statuetta di porcellana sul punto di rompersi!» Rise. Qualcuno doveva insegnargli che non si risponde alle lamentele di una ragazza divertendosi: e si credeva pure un grande esperto di donne! Bah! «E questa risata deficiente a cosa devo imputarla?» Mentalmente ringrazia la risata che aveva avuto il sano effetto di una doccia fredda..

«Siete deliziosamente scortese, e questo vuol dire che state bene. Mi sento rassicurato».

Alzai gli occhi al cielo. Che motivazione tenera, ma ridicola: come al solito! «Smettetela di avere paura per me, Principe. Non rientra tra i vostri compiti di futuro Re». Odiavo parlare di doveri quando fino ad un momento prima e miei pensieri erano più incentrati sulla modalità ‘piacere’.

«Potrò ben decidere di chi preoccuparmi!», rispose con una veemenza che provvidi subito a far tacere con la massima di vitra che speravo di riuscire prima o poi a far sedimentare in quella testa vuota. «Un Principe non può decidere per la sua vita…» Mi interruppe con il tono di uno scolaro che ripete svogliatamente la lezione. «Lo so, lo so “ma solo per quella degli altri”. In tal caso potrei…»

Intuii al volo il pensiero pericoloso che stava per produrre. «Tranne che per la mia, ovviamente!» scosse la tesa e non ribattè. Ottimo: il mio non era uno spunto per dibattere, ma un assioma.

Che stesse zitto però non mi garbava: volevo allontanare da lui quel pensiero, quella discussione… tutto!

«Vi dispiacerebbe se andassimo a guardare qualche spada?» avevo appena assistito ad un miracolo. Filippo, spontaneamente, voleva andare da un armaiolo. Trattenni a stento l’entusiasmo. «Certo che mi va!» Scattai verso la bottega prima che potesse cambiare idea.

Non sapevo se quell’armaiolo fosse famoso o meno, ma di certo era un artista. Le sue creazioni toglievano il fiato. Erano armi perfette, che mescolavano abilmente la bellezza con l’essere letali. Armi dall’aspetto aggraziato e dagli intarsi raffinati luccicavano sinistre e i più pesanti spadoni a due mani mantenevano una grazia inquietante.

Tra queste una mi colpì in modo del tutto particolare. Era grossa e possente, come i muscoli che sarebbero serviti per sollevarla. Brunita, come diventa dorata la pelle di chi ha passato ore al sole ad allenarsi. Letale, come l’uomo che potrebbe impugnarla. E con un fregio di draghi e serpenti che mi suggerì forza, inganno, passione, brutalità. Era seducente e mi ricordava qualcosa di già conosciuto. Ci misi un po’ a capire che non mi ricordava qualcosa, ma qualcuno. «Fa tanto Cavaliere Nero…», dissi di risposta alla smorfia del principe, vedendomi ammirare quell’arma. Le sue preferenze andavano ad uno spadino esile. Un raffinato soprammobile che in battaglia non avrebbe potuto competere con la più grossolana delle spade. Era palesemente un oggetto ornamentale.

«Ehi tu! Ragazzino!» una voce secca apostrofò il principe. Ci voltammo entrambi: lui con troppa foga, come al solito. Tre individui sgradevoli ci fissavano. Uno era l’armaiolo e gli altri due dei nobili abbigliati della consueta aria di strafottente curiosità che, non molto tempo fa, ostentava anche Filippoo. Nulla di diverso dalla normalità. Il loro disprezzo non mi tangeva minimamente.

«Dite a me?» Mi resi conto che per quella testa calda del principe non era lo stesso. Era un occasione per dimostrare di essere cambiato, sperai la cogliesse e non facesse sciocchezze.

«Quanti altri ragazzini vedi qua dentro? Lasciatelo dire, queste armi sono decisamente fuori dalla portata del tuo braccio… e delle tue tasche. Senza contare che ad un contadino le spade non servono a un accidente. Lasciati dire anche che a me non piace avere poveri derelitti sognatori nella mia bottega e questi illustri signori non hanno alcuna intenzione di spartire con te la poca aria che c’è qui dentro. Quindi raccatta la tua ragazzina e tornatene in piazza, tra gente della tua stessa risma».

Trovavo insultante e mi urtava profondamente che un uomo così gretto e dai modi tanto beceri fosse in grado di produrre tanta bellezza. Ma anche in questo caso non mi stupii: l’abilità rende presuntuosi e l’avidità servili e striscianti. Mi diressi verso la porta per lasciarmi alle spalle quella questione del tutto irrilevante. Mi giunse ancora una volta quella voce gracchiante, accompagnata dalla più sgradevole delle risate e ghigni vari. «Ecco, quella si che è adatta a te!» Doveva aver visto la spada di legno. Questo significava complicazioni.

Non c’era bisogno che mi voltassi per prendere atto che Filippo non si era mosso e che, lungi dall’incassare l’umiliazione con superiorità, stava lì con aria indispettita di sfida. Terribilmente indisponente. Rimasi sulla porta. Io non sarei andata a recuperarlo. Volevo vedere come si toglieva da quella situazione, senza pestare i piedi e dire ‘sono il principe!’ Era una buona occasione per vedere se aveva realmente il carattere e la forza per essere re o se mi stavo ingannando del tutto sul suo conto. La sua reazione era fondamentale per me.

«Allora? Vuoi che ti diamo una mano noi ad andartene?», disse uno dei cavalieri.

La reazione di Filippo fu quella sbagliata. «Non osate toccarmi…», sibilò con rabbia.

Ora sarei dovuta andare a riprenderlo, trascinarmelo via e poi urlargli contro. Ma a nessuno si nega una seconda possibilità, no? E poi magari mi sbagliavo e le cose non stavano per precipitare. Intanto mi godetti lo sfoggio di intelligenza dell’altro nobile. «QQQq«« Mastro Wald, permettete a questo… questo… ragazzetto presuntuoso di parlarci così nella vostra bottega? Voi non sapete proprio come trattare i clienti»

Filippo non accennava ad uscire. A quel punto era chiaro che la situazione sarebbe precipitata. Lasciai perdere cavaliere tarchiato e armaiolo rissoso e mi concentrai su quello che sembrava un filino più intelligente –se non altro perché non aveva detto ANCORA nulla di particolarmente stupido. Aveva uno sguardo perplesso, dubbioso, che divenne orrore. Proprio come il mio quando mi resi conto che quell’idiota reale non aveva tolto l’anello di famiglia!

Il danno era fatto. Ero furente, come ragazzo ‘normale’ Filippo aveva fallito: la sua collera, il suo maledetto orgoglio avevano prevalso sul buon senso. Sperai almeno che in veste di principe si comportasse decentemente e ancora una volta non intervenni. Ero troppo disposta a dargli altre possibilità.

«Per tutti i diavoli, fermatevi! Non avete capito chi è?» Ecco che arrivavano i riconoscimenti. in ginocchio. «Principe Filippo!» e in un attimo furono tutti in ginocchio, striscianti e umiliati a chiedere perdono. Ero disgustata. «Vostra Altezza, perdonatemi… Che deplorevole errore»

Ignorai patetici lamenti e affini e mi concentrai sulla risposta del principe. La sua ultima possibilità: sperai non sbagliasse. «Deplorevole, concordo. Ma non perché mi avete mancato di rispetto, cosa che sinceramente non mi tocca, ma perché avete dimostrato di essere un uomo gretto e avido, disposto a maltrattare un comune cittadino per adeguarvi ai gusti sadici dei vostri clienti». Non gli credevo: si sentiva perfettamente che era la vanità per la sua posizione a parlare. Purtroppo continuò. «E in quanto a voi…la nobiltà sta nell’animo, non nel titolo». Ero disgustata da quest’ultima banalità. «Potrei punirvi tutti e tre per il vostro comportamento, ma non mi va di rovinarmi la serata. Giungeremo ad un accordo. Voi tre non mi avete mai visto, chiaro? Tutto ciò non è mai accaduto». Sì, certo! Qualcuno doveva insegnare al principe che la lealtà non si compra con due paroline, peraltro mal costruite!

Mi avvicinai a lui, innervosita e più che seccata. Avevo appena preso una decisone faticosa, ma inevitabile. «Inutile, Principe. Non potete contare sul loro silenzio. Siete un idiota. Vi dico fin d’ora che dopo sarò molto, molto debole e forse anche affamata. Non prendetevela con la magia, ma con la vostra stupidità!» fissai i tre uomini confusi davanti a me. Il mio sguardo si fece intenso mentre proiettavo la magia al di fuori del mio corpo. Aveva la forma di un drappo, che solo io vedevo avvolgere quei boriosi e aderire perfettamente ai loro corpi. Restò sulle loro pelli per meno di un istante prima di fondersi con loro. Adesso i loro ricordi erano coperti da una coltre magica. Per loro tornammo ad essere un contadinello che non sa stare al suo posto e la sua ragazzina.

Afferrai per una mano il principe e feci quello che avrei dovuto fare prima: lo trascinai fuori.

Mi sentivo vuota. Fisicamente ed emotivamente. La priorità era non svenire. Ogni svenimento era un assaggio di morte e mi faceva sentire sempre peggio: odiavo il modo in cui risucchiava il mio tempo. Non come se stessi dormendo, ma semplicemente come se quella parentesi di morte non fosse mai esistita. Come se io non fossi mai esistita.

Nel mio sguardo si materializzò una panchina e mi ci diressi. La realtà girava vorticosamente. Mi accasciai senza rendermene conto, stringendomi la testa, come se potesse servire a frenare questa giostra di sensi.

Quando il mondo mi diede tregua, con l’energia tornò la delusione. «Nel caso in cui ve lo stiate chiedendo, stupido Principe presuntuoso, ho dovuto cancellare le loro memorie. Non vi servono certo altri nemici, e l’alleanza di un armaiolo può essere più utile del suo livore». Tremavo all’idea che quell’insulto umano troppo abile boicottasse le armi del principe o smettesse di rifornirlo. Dalla sua boria traspariva la certezza di essere il migliore e purtroppo l’abilità metteva in secondo piano il carattere.

«Livore per cosa?» Ingenuità tipica di chi agisce senza pensare alle conseguenze. Il principe aveva il viziaccio maledetto di prendere tutto di petto, spegnendo il cervello: il modo migliore per farsi ammazzare!

«Per il vostro discorsetto arrogante e retoricamente concettoso». Quanto mi aveva disgustato! Quell’inutile sfoggio di vanità e retorica, privato di ciò che più stimavo: la verità! Non mi avevano mai disgustato a tal punto le parole, di norma non disapprovavo il piegare la realtà con la violenza delle proprie argomentazioni, ma la sua retorica era stata così sterile! «E poi ‘la vera nobiltà è nell’animo’? Ma vi prego! Ci sarà un motivo per cui il popolo vi definisce ‘gonfio, tronfio e presuntuoso’». La delusione mi bruciava. Pregavo mi mentisse.

«Forse sto cambiando!» Cambiarlo non era mai stato nelle mie intenzioni: io volevo che emergesse quanto di lui era nascosto sotto quell’elegante presunzione, sotto quella fredda vanità che non stava mai zitta e lo faceva sembrare così vuoto.

Puntai i miei occhi nei suoi e pronunciai le parole che mi bruciavano in gola. «Forse dovreste imparare a frenare i vostri impulsi di vanità. Non è perché vi dispiaceva che Wald trattasse male un comune cittadino, vi ha infastidito il fatto che abbia trattato male voi! Ammettetelo!»

Taceva ed io fremevo. Il tempo che gli concessi per replicare, per contraddirmi, per mostrarmi Filippo sotto il principe, mi sembrò eterno. Esplosi di nuovo. «Aha! Proprio come pensavo. Ma dovevo immaginarmelo! Voi dite sempre che in voi c’è molto più che una corona, ma sinceramente guardandovi in quell’armeria non sono riuscita a scorgere altro». Io non avrei servito per nulla al mondo un glaciale pezzo di metallo luccicante. Mi sarei inchinata davanti ad un uomo, ma non ad un titolo! «Avete celato dietro una sorta di perbenismo una freddezza regale pari soltanto a quella di vostro padre, comportandovi come un principino assurdamente viziato». E l’immagine di quel re languido e perverso si sovrappose a quella del giovane principe che consideravo troppo importante. «Ricordate la promessa di inizio serata? Quella di non essere noi per qualche ora? Voi l’avete infranta!» Penelope e Filippo non sarebbero mai stati davvero insieme. Tra noi giaceva una corona, per quanto lui incolpasse il mio anello di frapporsi tra noi.

«Non è colpa mia! Mi hanno riconosciuto!» non aveva capito. Non poteva! Faceva assurdamente male.

«Perché l’avete voluto voi! Sapete come si sarebbe comportato un ragazzo normale? Lo sapete? Avrebbe chinato la testa e se ne sarebbe andato. Avrebbe fatto come me. Ma voi no! Avete sfoggiato quell’aria di dignità offesa, quell’espressione glaciale da ‘sono padrone della vita e della morte’».

«Volevate che mi comportassi da vigliacco?»

Era inutile che si arrabbiasse, che cedesse all’orgoglio e perdesse il controllo. Peggiorava tutto e basta: il principe stava riuscendo nello sfoggiare la perfetta capacità di dire la cosa sbagliata. La parola ‘vigliacco’ mi risuonava in testa. Perché non capiva? Mi alzai furiosa. Non mi aveva mai fatto sentire così. Volevo urlargli il mio disgusto per la sua incomprensione. «Vedete? È proprio questo che non sopporto di voi! Per voi uno che non reagisce è un vigliacco. Ma non capite che nessuno al mondo ha i vostri privilegi? A voi basta schioccare le dita e avete stuoli di gente pronti ad aiutarvi a difendere il vostro ‘onore’». Dissi quella parola come se avesse un sapore sgradevole e volessi liberarmene. Doveva capire che il mondo non viveva dei suoi privilegi, che persino le cose che lui dava per scontate per gli altri erano una conquista sofferta. Che le sue ‘comodità’ gli altri se le sognavano. Vivere era un’esperienza pessima per il popolo, inframmezzata da piccole felicità. Che fatica faceva lui per conquistarsi il suo posto nel mondo? Che ne sapeva dell’annullare la propria dignità, dei compromessi obbligati, dell’orgoglio represso? Lui che disprezzava i piccoli sacrifici quotidiani non sapeva che la cosa più semplice poteva essere l’ostacolo più insormontabile! E peggio… non voleva saperlo.

Glielo dissi. «Ma il resto del mondo è costretto ad ingoiarlo, l’onore, per evitare di essere picchiato o peggio. Era questa la lezione che dovevate imparare, questa la prova che dovevate superare per dimostrare di essere veramente cambiato. È per questa ragione che non sono intervenuta. E avete fallito, su tutta la linea. Voi siete…»

Non riuscii a dirgli che era la mia più cocente delusione, il mio fallimento, che era un tradimento a ciò in cui credevo, dal momento che stava premendo con violenza la mano sulla mia bocca, costringendomi ad ingoiare parole bollenti. Era una forza che non mi aveva mai mostrato e che faceva eco alla mia rabbia. «Ora basta! State zitta e lasciatemi parlare, e poi mi giudicherete. Per ora state soltanto lanciando pareri sommari senza neppure chiedermi come la penso».

Non volevo ascoltare, non volevo tacere. Io esplodevo e lui mi costringeva al silenzio. Mi divincolai e abbandonò la stretta. Sibilai: «Non giustificatevi!»

«Non intendo giustificarmi, voglio solo offrirvi la mia versione dei fatti, e voi mi ascolterete, che vi piaccia o no. È vero, mi sono arrabbiato con quei due, perché mi stavano trattando male, ma non perché avevano trattato male me in quanto principe, ma come persona. Mi sembra legittimo, chiunque si sarebbe offeso. Certo, dite voi, probabilmente se fossi stato un ragazzo comune mi sarei spaventato e avrei agito con timidezza… oppure avrei usato la violenza! Avete considerato questa ipotesi? Le reazioni sono emotive, dipendono dal temperamento. A me è venuta fuori l’espressione sprezzante e oltraggiata che vi ha tanto infastidito perché io, Filippo, sono così, e sarei così anche se fossi l’ultimo dei servi. E quanto alla sensazione di umiliazione che volevate che io provassi, so molto bene come ci si sente. Mi è già capitato moltissime volte di sentirmi giudicato, guardato con supponenza e deriso, non era necessario che un artigiano mi insultasse apertamente per conoscere quell’impressione. Ma se un ragazzo del popolo non può fare nulla contro la prepotenza, ebbene, io posso. Ho questo potere, e se posso cambiare le cose riducendo le ingiustizie, per me o per chiunque altro, allora lo farò. E se la cosa non vi aggrada, trasferitevi!»

Non sapevo cosa pensare. La veemenza del discorso lo aveva lasciato senza fiato, ma era nulla rispetto a ciò che aveva fatto a me. Per un istante avevo intravisto il re che sarà. Un re forte, non piegato a se stesso, pronto ad impiegare tutto ciò che è, tutto ciò che aspira ad essere per perseguire ciò in cui crede. Non era vuoto: lui c’era! E allora compresi che avevo sbagliato: volevo Filippo senza la corona perché avevo paura che si tramutasse nel suo rango e fosse una carica a dominare la sua essenza. Ma Filippo avrebbe piegato la corona. Era una sensazione che non potevo esprimere a parole, ma che avrei trasmesso con la mia dedizione. Lo applaudii un paio di volte e mentre gli dicevo che era stato bravo feci il mio primo inchino al Re Filippo. Il futuro si stava ridisegnando nella mia mente e mentre chinavo la testa esplorai nuove infinite possibilità.

«Vi ho offesa?»

«Ha importanza?»

«Sapete che ne ha». Ero importante per quella creatura così straordinario da confondere una maga. Mi rese felice.

«Non mi avete offesa, mi avete spiazzata. Non conoscevo questo lato di voi».

«Quale lato, Maga?» Non lo sapevo, non ero ancora in grado di mettere ordine tra le mie intuizioni. Era stata un’esperienza strana, quasi intrisa di magia nella sua forma più pura: quella contenuta in ogni umano.

Scossi la testa per allontanare considerazioni troppo difficili nel mio stato di confusione. «Non lo so definire. Il lato adulto, presumibilmente. Ero abituata a pensare a voi come a un ragazzino annoiato e inquieto, frivolo e mondano».

Lo sentii sospirare e interpretai quel sospiro come puerile sollievo. Divertente! «E non sono così».

«E non siete solo così», lo ridimensionai. Quella parte di lui era innegabile, ma andava bene così! Feci un sorriso divertito: era eccitante quel mescolarsi di due aspetti. «Mi sono sbagliata. Forse -forse- siete recuperabile». Era un mezzo rimprovero del tutto bonario. «Ma non cambiate troppo, o diventerete noioso». Sottolineai quelle parole alzandomi per scompigliare i suoi capelli, come avrei fatto con un bambino. Ora che sapevo che un cambiamento non era poi così necessario era importante che non perdesse quel lato ingenuo così grazioso.

«Ho fame, Principe. Vi avevo avvertito. Raggiungiamo la piazza?», dissi tornando al mio solito tono: un misto di praticità e comando.

«Ce la fate?» Mi offrì il braccio. Il solito vizio di considerarmi troppo vulnerabile. Si meritava un’occhiataccia: nessuna dimostrazione di intelligenza poteva risparmiargliela.

«Non sono un’invalida, sono una Maga! Come posso farvi entrare in quella testa dura che le due cose non coincidono?» Accettai comunque il braccio, non perché ne avessi realmente bisogno, ma perché mi andava. Mentre camminavo mi osservava. Sentivo il suo sguardo su di me. Mi dava un brivido, ma non poteva capire solo guardandomi qualcosa che neanche io afferravo del tutto. Dovevamo entrambi arrivare a definire. Ma non insieme, dovevamo farlo da soli, perché attraverso quella lite avevamo vissuto due esperienze del tutto diverse.

L’atmosfera sottolineava perfettamente quel momento: la calma di una notte stellata era fin troppo adatta all’introspezione. Le stelle mi davano alla testa ed ero quasi del tutto certa che anche lui avesse notato che quella notte era fuori dal comune per la sua bellezza. E davanti al bello non si può che tacere, ogni parola è superflua di fronte alla perfezione dell’eterno.

Ritornammo alla vita, a Penelope la maga, a Filippo il principe, non appena ci investì la briosa confusione della piazza dove ogni cosa era intenta a brillare di una normale esistenza, priva di responsabilità cruciali.

Quella parentesi durò poco. Ci fu appena il tempo di mangiare deliziose focacce al miele prima di essere trascinati in un’altra cruciale esperienza.

Eravamo seduti su una deliziosa fontana: l’acqua zampillava delicata, facendo da allegro sottofondo e unendosi alla musica. C’erano coppie che ballavano e mi sorpresi a pensare che nonmi sarebbe dispiaciuto un giro di danze con il principe: una differenza assurda con l’ansia che mi aveva sopraffatto al solo pensiero del “ballo della gardenia”.

Un vociare di marmocchi catturò l’attenzione di entrambi. Duellavano. Con un’occhiata divertita notai le spade di legno, gemelle di quella del principe. Anche i colpi si somigliavano! Ovviamente non persi la divertente occasione di farglielo notare con un commentino sarcastico. «Non siete tanto meglio di loro, sapete?»

Scattò sulla difensiva. «Non è vero. Maga, non mi avete mai visto combattere!»

Il mio divertimento aumentava: mi ricordavo PERFETTAMENTE di quella disastrosa, umiliante giostra in cui Filippo aveva davvero dato il meglio di sé. «Una volta sì», cantilenai.

E ovviamente quel permaloso tentò una difesa. «Quello non era un duello, era una giostra. Si, lo so, sono inciampato sulla lancia, ah ah che ridere! Mi avete già preso in giro mille volte per questo. Siete monotematica!»

Venni privata del piacere di prenderlo malignamente in giro da una conversazione che non poteva essere ignorata. I bambini ci stavano offrendo uno spaccato di un futuro pessimo.

«Ah! Prendi questo! E questo! Sono il Cavaliere Nero e sono imbattibile!» Continuai a prestare attenzione alle loro parole, ma ancora di più alla reazione del principe. Freddo, assente e allo stesso tempo troppo presente. In quella tiepida serata andavano in scena la sua vita e le sue paure.

«Ah si? E io sono il Principe Filippo! Sarò il re e ti farò esiliare!», proclamò una vocetta debole e sottile, che si guadagnò dalla prima sillaba la mia attenzione e non perché stesse difendendo il principe! Mi aveva dato un brivido: aveva la doppia voce di chi è particolarmente vicino alla magia. Dovevo indagare. Di tutto il resto colsi soltanto i dettagli cruciali. Risate di scherno che facevano male. Sfigato. Moccioso malaticcio. Il Cavaliere Nero è il futuro di questo paese. Appoggiai una nano sulla spalla del principe: forse quell’esperienza gli avrebbe fatto capire la gravità della situazione del regno, ma questa gliela avrei volentieri risparmiata. Il suo corpo rigido mi diede una misura di quanto tutto ciò lo stesse colpendo. Non potevo più preservarlo da quel male.

«Il Principe Filippo è un uomo morto. Come dice mio padre, il tempo della rivoluzione è vicino». Queste parole calarono su di noi come il colpo di una lama. Colsi lo sguardo freddo del principe. Sembrava estraniato e colpito allo stesso tempo.

Sentii di nuovo la magia cantare: «Mia madre invece dice il contrario. Dice che se il Cavaliere Nero prenderà il potere, il regno sarà governato da violenze e prepotenze. Non ci sarà alcuna speranza per i più deboli». E, come a conferma di quella violenza che già investiva il presente, quella creatura speciale venne malamente messa a tacere, insultata pesantemente, umiliata e ferita. E a coronare quell’aberrante, macabro spettacolino, venne malmenato. Non potevo sopportare che quella mostruosa cattiveria soffocasse quello che riconoscevo come un mio simile. E ancora di più era inammissibile che la violenza schiacciasse un bambino ancora non contaminato da questa vita.

«Se non vi fermate subito chiamerò una guardia», dissi con calma irreale. Bastò perché si fermassero, riconoscendo l’autorità di chi era più grande di loro, ma non perché la becera stupidità evitasse di parlare ancora.

«Ma chi ti credi di essere, donna? Le donne non hanno il diritto di parlare. Con quel cappello, poi…»

Sul mio volto si disegnò un sorriso malefico. Lo fissai intensa e un filo di magia lasciò il mio corpo per insinuarsi nella gola di quell’aberrazione e trovarvi temporaneamente dimora. «Ha il diritto di parlare chiunque abbia qualcosa di intelligente da dire, altrimenti è meglio tacere». Ragliò come l’asino che era. «Visto? Non hai nulla di interessante da comunicare. Meglio che tu chiuda la bocca e sparisca», mi divertii malignamente e questo pose fine alla loro spavalderia e ci liberò della loro molesta presenza.

Ora potevo dedicarmi alle due cose che mi premevano di più: Filippo e un bambino con un livido e un ginocchio sbucciato. Il principe era chino su di lui con delicata e addolorata preoccupazione. «Va tutto bene?», gli chiese con premura. Sembrava si sentisse in colpa non solo per il bambino ma anche per aver ignorato per troppo tempo lo scempio del regno. Ed era totalmente sincero.

La creaturina però guardava me con occhi sgranati. «Ma gli hai fatto un incantesimo… vero?» Era la fantasia di un bimbo pronto a credere a tutto o anche lui mi sentiva come io lo percepivo? «Durerà poco, ma la prossima volta ci penserà due volte prima di dire a qualcuno che non ha il diritto di esprimere la propria opinione. Tu però non lo racconterai a nessuno, vero? Altrimenti dovrò cancellarti la memoria!»

Si affrettò a scuotere la testa. Ma in ogni caso io non avrei mai rimosso dalla sua mente quel prezioso incontro. «Non lo dirò a nessuno… ma quei bambini lo faranno! Loro fanno sempre la spia, trattano male quelli più piccoli e si sentono i padroni della città. E i loro genitori sono cattivi, non li puniscono mai e gli insegnano ad essere violenti!»

La questione non mi preoccupava e mossi la mano con noncuranza. «Nessuno gli crederà. E comunque noi saremo già lontani».

I suoi occhi luccicavano di un misto di curiosità e speranza: due doni molto preziosi. «Ma chi siete? E perché ve ne andate?»

«Siamo viaggiatori, siamo venuti solo per la festa…», si intromise il principe. Ma io volevo fare dono a quel bambino della verità, doveva restargli impressa perché la ricordasse sempre. «Lui è il Principe Filippo».

«Davvero?»

Ora toccava al principe, avvertivo la sua perplessità, ma avrei spiegato tutto dopo.

«Ehm… sì. E volevo dirti che…sei stato molto molto gentile a difendermi».

«Lo faccio sempre, anche se poi mi picchiano, e anche la mia mamma. Noi siamo dalla tua parte. Anche se la maggior parte delle persone dice che tu morirai presto…». La verità suonava sempre brutale pronunciata dal candore di un bimbo.

«Devi disinfettarti quella ferita. Andiamo a casa. Ti accompagneremo». Dovevo conoscere la madre del bambino: dove c’era una creatura magica così piccola ce n’era sempre un’altra più grande a fare da guida. Se così non fosse stato me ne sarei dovuta occupare.

Il bambino ci condusse per stradine intricate e approfittai di quel momento per dissipare le perplessità del principe, esponendogli le ragioni più ovvie e sensate per approfondire quella conoscenza. «Risparmiatemi quell’aria perplessa, Altezza. Mi pare evidente che il paese è diviso in due fazioni. Dobbiamo saperne di più, perché probabilmente la situazione di Brenn è simile a quella degli altri centri del regno. Dobbiamo scoprire su chi possiamo fare affidamento, quali sono le nostre forze».

Giungemmo in una via isolata, silente. Ad occhi ciechi poteva sembrare oscura, ma per me brillava intensamente. Il bimbo indicò la fonte di quella luce. Un mulino a pezzi. L’edera si arrampicava su di esso. Le pietre erano crepate. Un perfetto scenario.

«Io vivo qui». Non avevo sbagliato: mi sfuggì un sorriso di trionfo e sentii aspettativa per il prossimo incontro.

Il bambino bussò alla porta e la donna che venne ad aprire la identificai immediatamente come una strega. Si ammantava della magia e questo traspariva da ogni suo singolo movimento. Aveva la sinuosità della magia elementare su di sé, la stessa eleganza e lo stesso fascino del potere di cui si serviva. Come tutte le streghe l’energia che assorbiva dal suo elemento si rifletteva sull’aspetto. Non avevo bisogno di analizzarla o di toccare la sua magia, che percepivo con l’insistenza fastidiosa tipica di quella specie, per capire che si serviva dei metalli ed in particolare dell’argento. I suoi capelli apparivano bianchi, ma io sapevo che erano fili di quel materiale. Era sottile come lamine di metallo e una luce argentata le brillava nel fondo degli chiari. La leggera aura che emanavano i numerosi gioielli che indossava la ricopriva interamente, creando uno scudo anch’esso argentato tra lei e il mondo.

Ogni suo gesto era fluido come metallo liquido. Mentre stringeva a sé il bambino quasi mi sembrava di vedere dipanarsi davanti a me l’equilibrio, reso instabile dalla magia, che regolamentava il passaggio da uno stato all’altro di quella materia. Erano i troppi ciondoli a darmi quell’impressione, sospesi tra due stati di aggregazione, intenti a cedere e sottrarre energia allo stesso tempo. Quella vibrazione di incertezza conferiva all’insieme della sua figura un languore morbido. A occhi del tutto umani era un fascino irresistibile, per me era uno squallido trucchetto per non pagare il proprio tributo di energia all’universo. Lo sguardo ammirato con cui Filippo fissava quella creatura era la superflua conferma che quella donna era troppo attraente. Anche lei seppe tutto di me sin dal primo sguardo, sebbene fossimo diverse per scelte e natura.

«Voglio ringraziarvi per aver aiutato mio figlio, Altezza. E anche te, sorella».

Un trillo d’argento invase la mia mente. “Permetti che ti chiami così, vero?”

Come risposta le sorrisi complice. In altri tempi avrei respinto con disgusto quel termine.

«Siete una Maga?» Comprensibile incapacità umana di distinguere. Lei ne rise.

«No, Principe Filippo. Sono una Strega. Ma in tempi come questi non badiamo a simili sottigliezze, quindi posso considerare consorella una Maga, specialmente se questa ha appena fatto una cosa gentile nei miei confronti».

“Lo hai aiutato perché hai percepito il suo potere? È utile per i tuoi scopi?”, continuò la nostra conversazione mentale.

Stavolta le risposi. “L’ho riconosciuto, ma non l’ho aiutato solo per questo”.

“un animo nobile! Nemmeno un briciolo di interesse per le sue potenzialità?” Mi irrigidii. Non c’era ostilità nelle sue parole, non ce n’era mai nelle streghe quando parlavano di utilità. Era loro natura sfruttare, ma di certo non era lo stesso per me.

“Fanne un mago, non uno stregone!”, le diressi questo pensiero, che era ben lontano dall’essere neutrale. Sul suo volto si disegnò un sorriso ambiguo che odiai.

«Principe, vi ho già spiegato la differenza tra Maghi e Stregoni!», dissi contemporaneamente ad alta voce e nel timbro si riflesse l’ostilità che, mio malgrado, non potevo reprimere.

«Temo di non ricordarla…»

Lei abbandonò me per concentrare la sua attenzione sul principe. E se su di me usava la mente, su di lui si serviva delle sue capacità di ammaliatrice. «A questo possiamo facilmente porre rimedio. I Maghi si avvalgono della magia pura, per così definirla, del suo aspetto energetico. Il Mago dedica la sua vita più allo studio della magia che al suo utilizzo pratico, tant’è che la forma di potere di un Mago è molto più elevata e in un certo qual modo inaccessibile di quella di uno Stregone. È un po’ come guardare una luce molto forte senza schermarsi gli occhi. Ne apprezzi la bellezza, ma puoi perdere la vista nel tentativo. Tanto più che per interagire con la magia, un Mago compie un rituale mentale Entrare in contatto con la magia pura, senza elementi che potremmo definire ‘intermediari’ richiede un alto tributo di energia. Mi seguite fin qui?» Più continuava nella sua spiegazione palesemente di parte, più io mi spazientivo. Tutto quello che la strega stava dicendo poteva essere sintetizzato in una frase: il nostro era uno scambio equo, il loro un mero sfruttamento. «Bene. Noi Streghe invece accediamo alla pratica magica attraverso gli elementi naturali. Creiamo pozioni e facciamo incantesimi utilizzando quel po’ di magia che è contenuta in tutto ciò che è in natura. Ovviamente l’energia che cediamo non è la nostra, ma quella dell’elemento che stiamo sfruttando».

«Sembra molto più ragionevole!»

Storsi il naso disgustata da entrambi, anche se la mia naturale avversione per il modo di agire delle streghe era nulla paragonata al modo in cui stavo odiando il principe per la certezza che le ore che avevo sprecato per spiegargli i principi della magia fossero state una perdita di tempo. Purtroppo, ad essere del tutto sinceri, lo odiavo anche per il modo irretito con cui la guardava, ammirato dal trucco da baraccone della su bellezza.

«Per certi versi lo è, ma il nostro potere è molto più contenuto, poiché l’energia di un fiore non è neanche paragonabile a quella di un essere umano. Poi, ogni Strega si specializza nella manipolazione di un particolare elemento a lei più congeniale. Io, per esempio, uso metalli e minerali, soprattutto l’argento. Anche noi Stregoni dobbiamo studiare a lungo, ma molto meno di un Mago. Per concludere, la nostra attività non richiede isolamento e estraniazione continui, cose che sinceramente non sopporterei. Per questa ragione gli Stregoni sono molto più numerosi dei Maghi. Le rinunce sono di gran lunga inferiori».

“Non è così, cara? A quanto della tua vita stai rinunciando per le sensazioni che ricerchi con tanta ostinazione? Quanto sprecheresti per il brivido che ti dà possedere l’infinito?”

Esplosi. «Anche il grado di estasi che solo l’uso della magia pura concede, però!» Cosa ne poteva sapere una strega dell’abbandono totale? Del sentirsi parte di qualcosa di immensamente più grande?

«Grado di estasi che può facilmente condurre il Mago alla morte».

Il mio disgusto aumentò. «È una questione di scelte». E la mia era chiara: non avrei sfruttato l’universo.

«Questo è certo. si tratta solo di decidere se il gioco vale la candela. Io, per esempio, non gradirei ridurmi ad uno straccio con un amante come il Principe Filippo».

Mi sentii offesa. Piantai il mio sguardo sul principe. Era incerto, in difficoltà. Si vedeva chiaramente che gli era impossibile opporsi al richiamo di quell’oltraggiosa creatura. Non ne aveva la forza.

«Quanto vorrei che la mia Maga la pensasse come voi!», rispose in modo idiota.

“È in mio potere. Potresti fare lo stesso! Perché non te ne servi, sorella?”

Lei poteva accontentarsi di possedere chiunque con il semplice suono della voce. Io no.

«Vi parlerò un’altra volta di etica magica, Principe. Non è per questo che siamo qui», dissi lasciando trapelare il mio disgusto: un principe doveva avere un po’ più di piglio. Per distrarmi diressi la mia attenzione a questioni più pratiche. «Vorremmo porvi qualche domanda». Con la coda dell’occhio notai Filippo che osservava la strega come un topolino ipnotizzato. Del tutto inutile! Scossi la testa. «Io vorrei porvi qualche domanda. Dai discorsi di alcuni cittadini, compresi vostro figlio e i suoi compagni, mi è sembrato di capire che la divisione tra sostenitori del Principe Filippo e sostenitori del Cavaliere Nero sia piuttosto netta!»

“Ti occupi tu degli affari del principe? Sarai tu a regnare per lui?” Mi sentii provocata malgrado il suono neutro del suo pensiero. Diedi una gomitata al principe.

«Netta è un eufemismo. Tutti sono convinti che la rivolta giungerà presto. La situazione è ormai agli sgoccioli». Esattamente come temevo. Bello constatare che nulla era a nostro favore! «Mi stupisce che non ne siate a conoscenza, Principe!»

“Non è che più che aiutarlo lo state distraendo? Che gioco fate, maga?” La nenia nella mia mente ora assunse una sfumatura lievemente minacciosa.

“Lo sto istruendo”, le diressi il pensiero in automatico anche se poteva suonare come una giustificazione. La verità era che io effettivamente temevo che il principe si stesse distraendo, prima che potesse sire altre stupidità che confermassero i dubbi di entrambe, lo anticipai. «Mi sembra di capire che voi siete dalla nostra parte».

Rise e quella stessa risata ammaliante per me suonò come il fragore rabbioso e disperato di oggetti d’argento che cadono l’uno sull’altro, distruggendosi. «Tutti i deboli, gli oppressi e i diversi sono dalla parte del Principe Filippo. Sappiamo molto bene come diventerebbe la nostra vita se il Cavaliere Nero e la Dama Velata prendessero il potere. Non vi sarebbe più spazio per nessuno che non fosse utile e produttivo. Se l’attuale Re si disinteressa totalmente dei suoi sudditi, il Cavaliere sarebbe uno spietato e sanguinoso tiranno, perennemente in guerra per allargare i suoi domini. Noi chiediamo giustizia! Quanto a me poi, parlo come ‘creatura magica’. La Dama Velata al potere significherebbe la fine per noi. Saremmo tutti soggiogati al suo dominio».

Non avevo dubbi sulla Dama Velata. Ed ero convinta di non averne neanche sul Cavaliere Nero. Ma la strega invase la mia memoria e immagini della mia infanzia mi colpirono. Io ragazzina nella casa della Dama Velata che spio l’arrivo di un ragazzo dall’aria indifferente, mai chiamato per nome. Mai trattato con qualcosa di diverso dal comando. Io che spero si volti, veda il mio sorriso, si rivolga a me. Non mi guarda. Sono triste. Non mi vorrà mai. Se ne va, ma torna presto. Sa che esisto? Sa che c’è un altro oggetto vivente della Dama in questa casa? Perché non ti volti? Lo sguardo che spio è sempre più duro. Sei cavaliere. Hai rinunciato al nome? Lo hai mai avuto? Vorrei parlarti… Sono più grande, presto me ne andrò. Ora ti guardo dubbiosa. Ti voglio.

«Non capisco. Il popolo mi odia! Come possono volermi sul trono?» La voce di Filippo mi riportò a galla dall’abisso in cui stavo sprofondando. Il sorriso franco del principe sostituì quello beffardo del cavaliere.

“Confusa?” Stava tentando di distrarmi, di usare le sue armi su di me. Mi oincentrai sulle sue parole corporee, ignorando le provocazioni mentali.

«Il popolo non vi conosce, Altezza. Siete sempre rimasto chiuso nel vostro castello, circondato di dame, ricchezza, spreco! Per forza si è diffusa la leggenda che voi foste un depravato viziato. Ma, mentre i prepotenti e gli aggressivi sono disposti a tutto pur di vedere sul trono un Re del loro stampo, i cittadini in cerca di giustizia sperano nell’ignoto. Voi siete il loro salto nel buio, Principe. Potrebbero trovarsi a cadere da un dirupo e precipitare nell’inferno, come potrebbero trovare un paese idilliaco. Non hanno nulla da perdere. L’unica, fioca luce di speranza è vostra madre».

«Mia… mia madre?»

La donna annuì con un sorriso scintillante. «La Regina. Lei è stata la cosa più bella che potesse capitare a questo regno. Il tempo in cui lei era viva veniva considerato ‘l’età dell’oro’. E voi siete suo figlio. Se avete preso almeno qualcosa da lei, sarete un buon Re».

Ci fu un momento di silenzio, sia fisico che mentale. Differenze ideologiche a parte, mi resi conto che io e la strega condividevamo le stesse speranze e gli stessi obiettivi. Il silenzio aveva il peso della responsabilità che gravava sul principe. Era un momento sospeso, in cui tutti e tre stavamo pensando al sorriso di una grande donna. Che aveva amato con tutta se stessa senza essere riamata. Che era stata fedele pur vivendo nel tradimento. Che aveva perso la vita per un giochetto di potere.

Spostai l’attenzione du questioni pratiche: «Numericamente, quali sono i sostenitori più forti?»

«Il numero più elevato sostiene il Cavaliere. Ma voi potete contare su tutti gli Stregoni, forse sui Maghi…»

Pensai all’isolamento in cui vivevano tutti i maghi, in cui io stessa vivevo. «Ne dubito», annunciai lapidaria.

«In ogni caso, non c’è scelta. Voi dovete regnare, Principe Filippo». Ero d’accordo. Su questo davvero non avevo dubbi.

Gli occhi della strega passarono su entrambi. Indagatori su di me, lascivi sul principe. Con un movimento lento e controllato staccò due ciondoli dalla moltitudine della collana. L’equilibrio instabile di quegli oggetti si arrestò, assestandosi sullo stato fuso. Stavano assorbendo magia. Porse il primo, un’orchidea, un fiore di morte, a Filippo. Non appena lo toccò la fusione si arrestò e il flusso di magia passò al principe. C’era stato un contatto magico, mi chiesi cosa implicasse. Doveva essersi trattato di un contatto piuttosto forte, visto che non era rimasto altro che una leggerissima vibrazione nel ciondolo. Necessitavo un chiarimento.

«Voi siete questo fiore, Altezza. Un fiore maledetto, segnato dalla sorte, da stelle contrarie, con nemici ad ogni angolo. Ma saprete ergervi al di sopra di tutto questo, poiché un vero Re può ridere in faccia al destino, far fronte alle maledizioni, sfuggire alla mano della sorte avversa». Provai esasperazione: era un’abile lettrice di anime e aveva appena dato sfoggio dell’arte della divinazione. Che disprezzavo!

Mi porse l’altro ciondolo. Una rosa. Ero incerta se accettarlo, non mi piaceva l’idea di sottopormi alla divinazione: un’arte che dava più incertezze che chiarezza. Ma non sembrava saggio rifiutare il dono di una creatura magica. Lo presi. Al contatto assorbii la magia che conteneva e davanti a me si dipanò il futuro che la strega aveva visto per me, in singole visioni, come i petali di una rosa.

Ero in una stanza: la camera di Filippo. Ma non era come la ricordavo. La raffinata eleganza del principe era stata sostituita da un arredamento più spartano, forte ed essenziale. Ero stesa su un letto, vestita solo di una sottile corona d’argento. Su di essa era incisa una rosa matura, completamente sbocciata. Sentii un tocco estraneo a cui il mio corpo reagiva con desiderio. Mani grandi e forti scorrevano su di esso, indugiando all’interno delle cosce, bruciando ogni centimetro della mia pelle con una lentezza lasciva e voluttuosa. Labbra prepotenti si avventarono sulle mie, spalancandole con una veemenza che avevo fretta di accogliere. Giocavano ad interrompere il bacio, mentre io ancora fremevo. Quella bocca scese sul mio collo, lo morse senza delicatezza. Gemetti e sussultai. Le mie mani sulla sua pelle, sul suo viso. Su quelle spalle larghe, forti, robuste, dalla muscolatura sviluppata. La me stessa della visione spalancò gli occhi e sorrise ad uno sguardo scuro e profondo: un abisso. Su di me c’era il cavaliere Nero.

Fui improvvisamente consapevole di un’altra presenza, poche stanze più in là. Un bambino con quegli stessi occhi e il mio viso e una precoce indifferenza al mondo. Nostro figlio, una progenie che mai sarebbe dovuta nascere. Un bambino di sangue reale rafforzato da geni magici. Un futuro re mago. Il destino che si ripeteva, la tirannia dei maghi che tornava sul trono.

“Ti piace questo futuro?” Distrussi quella visione, quel petalo, aprendomi ad altre possibilità.

L’immagine vibrò mentre si trasformava. La stanza era tornata ad essere quella che conoscevo. La rosa matura della mia corona mutò in un bocciolo e un’orchidea dai gambi intrecciati. Ora riconoscevo il tocco dell’uomo che era con me. Tante volte avevo baciato quelle labbra umide e morbide. Mille volte avevo stretto e desiderato quel corpo sottile. Amavo quelle mani che mi toccavano con delicatezza come se custodissero qualcosa di prezioso. Ma la visione stonava ancora. Il bambino c’era comunque. I capelli erano più chiari. Gli occhi erano quelli grandi e sgranati del principe, animati dalla mia sete di conoscenza. Ma sarebbe stato un mago, anche quello era un grosso errore.

“No”.

“Se tu non intervenissi queste sarebbero le possibilità”.

“Ma io interverrò”. Con quest’affermazione decisa feci a pezzi il petalo e passai al successivo.

Un campo di battaglia. Due spade. Una lama scura. Un’elsa di ossidiana nera. Una spada leggera e sottile. Due corpi che si scontrano. Il principe e il Cavaliere. Una ferita in pieno petto. Quello di Filippo. Sangue che sgorga. La terra è rossa. Morte.

“Fallirai”, riecheggiò sepolcrale la voce della strega nella mia testa.

“mai”.

Stesso colpo. Stessa direzione. Stessa lama che si conficca nello stesso petto. Ma stavolta il mio piano funziona. Non c’è sangue su Filippo, né ferite. Il mio corpo si contorce dal dolore, si apre uno squarcio sul mio cuore. Grondo sangue. Il mondo si annebbia. Scompare. Muoio. Ma Filippo avrà una seconda possibilità. Sarà re.

La rosa non era completa. Avevo toccato solo pochi petali, ma non avevo intenzione di esplorare tutta la casistica che la strega aveva in programma per me.

«Consentimi di omaggiare di un piccolo dono una consorella che presto dovrò chiamare Regina». Ovviamente quella donna considerava solo i due futuri in cui su di me gravava una corona. Mi ritrassi, non volevo accettarlo!

«Mai!», dissi categorica. Il frutto di quella scelta sarebbe stato un figlio. Non doveva esistere l’eventualità che un mago di sangue reale sedesse su un trono destinato ad umani. Un mago è troppo preso dalla sete di conoscenza per non lasciarsi corrompere dalle possibilità che il potere offre. E poi un re eterno sarebbe stato un castigo per questa terra. La strega si limitava a sorridere distaccata, era sicura delle proprie predizioni. «Non sarò mai Regina -fece una pausa- ma consigliere e primo ministro assolutamente sì». Finchè non mi sarei sacrificata, almeno. Avevo preso quella decisione solo quella sera, vedendo Filippo così determinato.

«Sorella mia, hai accettato la rosa…»

“Ma non i destini che vorresti per me”

“Non li voglio, ma so che sono i più probabili. Tu regnerai, sorella”.

«E allora?»

«La rosa indica passione e riservatezza. Tu non lo tradirai mai, ma soffrirai molto». Non lo tradirai? E allora come chiamava, se non traditrice, la me stessa tra le braccia del cavaliere Nero? O anche solo la madre del principe mago? Avrei tradito ciò in cui credevo.

«Non credo nella divinazione», dissi per scacciare il fantasma di quelle visioni.

«Come vuoi, mia povera sorella…». La strega cominciò a cantare con la doppia voce. Nella mia testa parlava di scelte cruciali. Di amore eccessivo. Di un futuro incontro con ciò che più temevo. Non volevo sentire.

Afferrai il principe. «Venite, Filippo. Qui abbiamo finito». Ma la strega lo richiamò a sé. Lui era paralizzato dal magnetismo di quella donna. Con orrore mi resi conto che lo sguardo della strega indugiava sulla catenella argentata che spuntava dal colletto del principe. Lei lo sfiorò ed io sentii rabbia, gelosia e preoccupazione. Quel tocco lento, ritmico, che indugiava sul volto per scivolare verso il collo era diverso dal modo in cui io lo toccavo. C’era volontà di soggiogare che io non avrei mai infuso in una carezza, ma che risultava terribilmente seducente. Il principe non fece neanche il gesto di provare a sottrarsi. Sbuffai esasperata. Non lo sopportavo. Perché non provava ad opporsi? Non ci sarebbe riuscito, ma almeno un tentativo mi avrebbe dato un po’ di sollievo.

La strega proruppe in una risata, mentre prendeva il ciondolo. Mi allarmai.

«Mi sembrava ci fosse qualcosa di simile… sorella mia, credi che per questo sia sufficiente una goccia di infinito intrappolata in una rete d’argento?»

“È dunque questo che si oppone al fato? È qui che celi il tuo desiderio di morire per lui?”

“con quello io cambierò una sorte avversa”

“Non funzionerà. Ma se fosse, moriresti!”

“Il mio tributo all’infinito per il suo aiuto”.

“Non hai speranze”.

È il più potente che sia riuscita a creare. Avresti saputo fare di meglio?»

«Certo che no. Rubare stille all’infinito è decisamente al di là delle mie possibilità. A ben pensarci, è un incantesimo davvero notevole, ma comunque non abbastanza potente per il tuo obiettivo».

Quei ciondoli avevano un obiettivo preciso, e la strega lo aveva intuito subito. Contenevano una forte energia. La mia. Periodicamente, attraverso il mio ciondolo, la trasferivo dal mio corpo a quello di Filippo. In questo modo, se mai il Cavaliere Nero l’avesse ferito a morte, quell’energia avrebbe trasferito il colpo su di me. Ma mille cose potevano andare storte. Niente di più facile che morire entrambi.

«Chiedo scusa, ma quale sarebbe questo obiettivo? A me sembra che questi ciondoli funzionino!» Era fondamentale che il principe non sapesse, altrimenti avrebbe fatto di tutto per boicottare il mio piano.

«Voi sapete cosa sono questi oggetti, Altezza?» “sentiamo cosa confonde la mente di questo ingenuo. Di certo non gli avrai detto la verità…

«Si! Servono alla Maga per sapere sempre dove sono… e il mio si illumina e mi dà la scossa quando lei fa una magia».

La strega lo guardò come se compatisse la sua ignoranza. Poi fissò me. “Perché tu avresti il diritto di sconvolgere il suo destino senza che ne sia minimamente consapevole? E se glielo rivelassi?” Contemporaneamente disse: «Graziosa storiella. Non ne conosce il seguito?»

Sussultai. Era quasi una minaccia. “È fondamentale che non lo sappia!” «Ti prego… sorella…»

“Anima affranta,calmati! Io creo segreti, non ne svelo”. «Non rivelerò ciò che tu non vuoi, ma almeno spiegami: cosa speri di ottenere con questo?»

Come se non lo sapesse! Neanche se avesse affermato di ignorare la natura di quei ciondoli le avrebbe creduto. «Immagino che tu lo sappia già…»

“Ovviamente”. «Oh, tesoro, è così ingenuo sperare che funzioni!» “Potrebbe persino mancarti la determinazione. Se proprio vuoi intervenire dovresti elaborare un piano con meno incognite”.

«È l’unico modo che ho».

Il principe si intromise. «Ma insomma, di cosa state parlando? Cioè… -ritrovai le buone maniere che la confusione mi aveva fatto accantonare per un attimo- vorrei capire… perdonatemi, ma…»

Quella malefica strega lo interruppe, mortificando ancora una volta il mio piano. «Non vi crucciate, Principe. È destinato al fallimento e riguarda più lei che voi, questo incantesimo. E non sta a me rivelarvi i piani di una consorella. Ma voglio dirvi una cosa…voglio dirla a tutti e due…» Si fermò per un attimo. Quella pausa non mi piacque, fu un momento d’ansia. «qualunque cosa accada…un’amante sarà sempre un’amante…».

Cosa intendeva dire? Non sapevo come interpretare quella frase. Quella donna si credeva un oracolo, era terribilmente fastidioso. Neanche il principe aveva capito e lo ammise. Lo fulminai con lo sguardo, non era il caso che quella ci credesse due sprovveduti. Optai per portarlo via prima che dicesse altre sciocchezze o prima che la risata che mi risuonava in testa mi facesse impazzire.

Non appena usciti misi subito in chiaro un particolare. «Non provate a chiedermi nulla sull’ultima parte del discorso, perché non risponderò».

Ovviamente lui insistette. Mai che smentisse l’alta opinione che avevo dei suoi troppi difetti! «Se mi riguarda, ho il diritto di saperlo!»

«E io ho tutti i diritti di conservare qualche segreto. Quella Strega mi ha aperto la testa e ci ha frugato dentro senza ritegno… non lo lascerò fare anche a voi!», urlai cercando frenare lacrime di rabbia. Quell’invasione non era stata facile da sopportare. Mantenere il controllo. Sorridere a una creatura che disprezzavo. Affrontare ciò che temevo. E tenere a freno Filippo… che la guardava come se…

Mi sentivo provata. D’impulso presi il ciondolo a rosa e feci per gettarlo lontano sibilando «Stupida fattucchiera!» Ma non potevo, per quanto avesse eseguito il suo spiacevole compito, quel gioiello racchiudeva ancora della magia..

«Che succede?»

«È una strega potente, Altezza. È una fortuna che non sia nostra nemica. Credo che voi le piacciate». Una fortuna che mi stava rendendo folle di gelosia.

«Non è una buona cosa». Non del tutto perlomeno. Si sarebbero rivisti. Era inevitabile: quelle creature quando puntavano qualcosa di loro gradimento difficilmente lo lasciavano libero. E quell’orchidea era un vincolo!

«Gelosa?»

Sobbalzai. Se n’era accorto. «Non siate ridicolo!» Ma che senso aveva negare? Ero patetica. «Un po’. La guardavate come se la trovaste… molto bella».

Lui annuì. Ovviamente apprezzava la bellezza e sarebbe stato stupido negare quella della strega. «È molto bella. Ma non quanto voi».

Questa era stata la frase più sbagliata di tutta la giornata. Odiavo queste galanterie retoriche prive di contenuto. «Questi complimenti scadenti risparmiateli per qualcuna delle vostre stupide damine, Altezza. Quella Strega è molto più bella e affascinante di me, non mi faccio illusioni al riguardo».

«Non vi scambierei mai con lei».

Volsi la testa perché non potesse vedermi sorridere. Filippo era la mia più grande debolezza.

Tornai a concentrarmi sui regali della strega. «Dannati ciondoli…»

«Sono maligni?»

Fortunatamente non lo erano: noi e la strega eravamo dalla stessa parte quindi non correvamo il rischio di incappare in malefici. Spiegai brevemente al principe il potere divinatorio di quei ciondoli.

Mi stupii. «Io non ho visto nessuna immagine!»

«Non siete un mago né uno stregone, perciò non è strano. È probabile che a voi appaiano in sogno».

Fece la domanda che temevo. «E voi cosa avete visto?»

Ovviamente non gli risposi. Quanti guai che mi stavano portando due pezzi d’argento! «Non è detto che siano accurate, in ogni caso non ho intenzione di dirvelo».

«Neanche questo? Perché no?»

«Basta».

«Maga…»

«Filippo, non insistete!» Mi servii del suo nome per farlo tacere. Sapevo l’effetto che ero in grado di fargli con la semplice inflessione della voce. Ed infatti riuscii a farlo tacere. Non era mia intenzione ferirlo o farlo sentire escluso dalla mia vita, ma era proprio perché ormai le nostre esistenze erano troppo intrecciate che questo segreto non poteva essere svelato.

Quando riprese a parlare dimostrò di aver capito la mia necessità di tacere. «Non vi chiederò più cosa avete visto. Ma se vi fa stare male, perché non gettiamo via i ciondoli?»

«Oh, Principe, siete così ingenuo! Non funziona così. Accettare un regalo magico è un po’ come stringere un minuscolo patto con la magia. Una volta che lo si possiede, è per sempre. Per poterli gettare via senza conseguenze, andrebbero disincantati. Sarebbe lungo, piuttosto inutile e offenderebbe la Strega,cosa che proprio non ci conviene».

Mi chiese che conseguenze ci sarebbero state se lo avessimo fatto. Dissi che non lo sapevo ed in effetti non avevo idea di fino a che punto potesse spingersi l’eventuale rancore di una strega.

Sospirò ed io subito gli chiesi cosa avesse.

«Volevo che fosse una bella serata serena. Volevo rendervi felice!»

Ma io ero felice, felice di averla trascorsa con lui. Di averlo al mio fianco. Di essere lì insieme finchè ci era concesso. Felice anche solo della sua attenzione.

«Ma io pensavo che dimenticando per un po’ i nostri destini ci saremmo divertiti!»

Risi. Era una speranza troppo ottimistica. Dimenticare i nostri destini era impossibile. Ci sono persone a cui semplicemente non è consentito, perché da loro dipende il fato di molte altre. E per questo una tregua dallo scorrere degli eventi non l’avranno mai. «Evidentemente, Filippo, non si sfugge al proprio destino!»

«Pare proprio di no».

Quelle parole sembravano dette dal destino, mi misero addosso una strana tristezza. Mi appoggiai a lui. Finchè potevo, finchè lui voleva, avrei cercato il calore del suo corpo, del suo spirito, della sua anima. Mi sarei riscaldata con i raggi del mio sole personale. Ma quella era una notte scura e fredda. Il mio sole era pallido di incertezza e come me cercava ristoro nello Luna, bella e alta in quel cielo stellato così distante, che ci osservava ammiccando senza portarci aiuto.

«Fa piuttosto freddo, ora. Volete rientrare?»

No, non volevo. Non mi importava nulla del freddo finchè avevo le sue braccia strette intorno a me. Prima di rispondergli lanciai un’occhiata alla luna e alla sua bellezza irreale «Questa luna ci ha offerto un bellissimo spettacolo… forse dovremmo ricambiare il favore».

Mi voltai con un sorriso malizioso e lo baciai. Lentamente assaporai il suo respiro, assaggiai le sue labbra, lo strinsi più forte. Era tutto il giorno che desideravo un bacio ed ero stata una sciocca a rimandare questo piacere. Mi sembrava ipnotizzato, lento a reagire a quel contatto inaspettato. Curvai leggermente la bocca in un sorriso a cui lui rispose con la foga, l’urgenza di avermi, come se potessi scappare. Come se potessi davvero volere qualcosa del genere. Teneva gli occhi chiusi. I miei erano spalancati. Adoravo vederlo!

Mi staccai all’improvviso da lui, interrompendo il bacio, lasciando il sapore di incompiuto, una promessa a continuare. «Sembrate un topolino ipnotizzato, Principe».

Mi guardava in un modo strano, che non sapevo interpretare. Come se guardasse tutto il suo mondo.

«No, è che… mi imbarazza sempre baciarvi sotto le stelle».

E questo cosa significava? «Perché?»

«Bè… non mi avete detto che tutti i reali quando muoiono diventano stelle? È come se vi baciassi davanti a mia madre e a tutti i miei antenati!»

Meritava uno schiaffo di protesta! Quando voleva riusciva davvero a lasciarmi allibita. «Ma quanto siete stupido!- abbassai la voce e aggiunsi-…Filippo…» Dissi il suo nome come una promessa preziosa e un invito che speravo cogliesse.

Tornammo al cavallo. Stavamo lasciando Brenn e una giornata fin troppo intensa.

«Maga, il mio precettore ha detto che posso tornare al castello anche domattina, ma non so se voi…» Se lo chiedeva pure? Non sapevo decidermi se essere indulgente o spazientirmi. Ma mi tornò improvvisamente la sera in cui avevo coperto la sua assenza da palazzo, trascinandolo su una diligenza e portandolo a casa mia. La prima volta in cui avevo visto in lui qualcosa di più, qualcosa che non avevo la forza di ammettere.

Presa dal ricordo ripetei le stesse identiche parole di quella sera.

«Principe… dormite da me stanotte, vero?»

 

Ovviamente era un sì…

 

 

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