Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: ThisIsLeisure    26/01/2011    3 recensioni
Caterina è una giovane ragazza nobile di Milano, non compresa dal padre e dalla matrigna, si sente sola come non mai nella sua vita. Finche non conosce Alexandre, un vampiro bello,tenebroso, e nobile Spagnolo. La vita di Caterina sta per cambiare drasticamente.
Angeli, vampiri, amore, morte, famiglia e il senso della vita, sono parti fondamentali di questa storia. Siete pronti ad iniziare il viaggio?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Troppo Tempo Per Pensare
 
Quando la mattina dopo mi svegliai, ero da sola. Girovagai per le stanze, ma Alex non c’era. Mi vennero i brividi, non so se erano dovuti a causa del freddo, o perché mi ritrovavo sola in quella stanza che improvvisamente mi sembrava vuota e buia. Corsi velocemente in camera da letto, e afferrai una felpa di Alex. Quando la infilai, potei chiaramente sentire il suo profumo. Sorrisi stringendomi le mani al petto.  Mi sdraiai sul divano del salotto, e guardai un po’ di tv. C’era una donna a un talk show, che raccontava che lo spirito di suo marito defunto le parlava. Diceva che ogni 7 del mese, lui appariva nella loro stanza da letto, e le parlava. Alla donna fù subito chiesto di che cosa parlavano, lei rispose che non era importante ciò che diceva, l’importante era che lui era tornato per lei, e che lui l’avrebbe protetta. Osservai la donna piangere, non sapendo se crederla o no. Certa gente dal pubblico disse che si stava inventando tutto, e che gli spiriti non esistono, la donna, Kylie, ebbe il coraggio di rispondere all’uomo incredulo. Dicendo: «Signore, forse mio marito non è uno spirito, forse è un angelo. Ci sono milioni di anime dolci che ci seguono indiscreti, mentre mangiamo, mentre dormiamo e mentre preghiamo. Noi non li vediamo, perché l’occhio umano vede solo ciò che davvero vuole vedere, è limitato, ma se uno ci mette impegno e volere, loro sono là.»  non ci fù nemmeno una pausa nel suo discorso, nemmeno un sussulto nella sua voce, nemmeno un briciolo di emozione. Era come se l’angelo parlasse per lei, come se non fosse più se stessa. Altri brividi mi salirono sulla schiena. Esistevano gli angeli? O gli spiriti? Mi venne un senso di paura. Il mio cellulare squillò facendomi sussultare. Lo afferrai velocemente dalla tasca dei miei pantaloncini, e senza guardare chi era, risposi.
«Caterina.» non riconobbi subito la voce, ma poi capii.
«Caterina?» ero letteralmente paralizzata, non riuscivo ne a parlare ne a riattaccare. 
«Cate? Vieni a casa, ti prego.» era la voce di mio padre che mi supplicava. Ero ancora li, ferma, sdraiata sul divano, fissando la televisione. 
«Almeno fammi sapere se stai bene.» penso che non respirai nemmeno. 
Dopo qualche secondo di silenzio, presi il coraggio di riattaccare. 
La stanza, che prima mi sembrava buia e silenziosa, ora lo sembrava ancora di più. Osservai il telefono, forse in attesa di una seconda chiamata. Niente. Di colpo lo buttai sul tavolo. La stanza era così vuota, buia e silenziosa. Alzai il volume della tv, e cambiai canale, mettendo su dei cartoni animati. Mi sentii un pochino meglio.  Osservai l’orologio che era appeso sul muro. Segnalava le 12:30. Ma dov’era finito Alexandre? Strinsi un cuscino al petto, mentre una piccola lacrima mi rigava il viso. Cosa avrei dovuto fare? Di sicuro non sarei ritornata a casa, ma non potevo approfittare troppo della benevolenza di Alex, era così dolce e gentile con me, ma non potevo stare in questa lussuosissima camera di albergo per sempre, e poi lui sarebbe ritornato in Spagna prima o poi. F-forse avrei dovuto chiamare a casa… casa mia, intendo. Oppure ci sarei dovuta tornare a casa… f-forse a mio padre dispiaceva, e forse facevo ancora in tempo a rimediare con Luca. Ci ripensai su due volte, e arrivai alla conclusione che non era ciò che veramente volevo. Altre lacrime mi colarono dagli occhi, non cercai nemmeno di asciugarmele. Me stavo li, immobile, abbracciata al cuscino. Pensavo, e aspettavo, non so esattamente per cosa, ma aspettavo.
Osservavo il cartone animato, Willy il Coyote, e Bip Bip. Pensai che fosse un po’ sadico per essere un cartone animato per bambini. L’eterna caccia, e a quale scopo? Uccidere un povero animale…incitava alla violenza, mi feci un promemoria mentale: Non far vedere ai miei figli Willy il Coyote. Mai; ma poi quale genitore lascerebbe guardare ai propri figli un cartone dove il personaggio principale prova tutti modi possibili immaginabili per uccidere il suo alterego? Di certo non era una cosa adatta ai bambini. 
Liberai la mente, ma fui comunque felice quando Alexandre tornò. Mi alzai dal divano, e mi girò fortemente la testa; avevo sempre sofferto di pressione bassa, mi dovetti appoggiare al tavolino per non cadere.  Alex mi corse in contro, e mi sorresse per la vita. 
«Ehi, tutto bene?» mi chiese allarmato. Quando non risposi, mi scosse leggermente.
«Scusa, si tutto bene. Solo un giramento di testa.» 
«Vuoi sdraiarti un po’?» Altro tempo per pensare? No grazie. 
«Eh, no grazie, ora sto meglio.» evitai di incrociare il suo sguardo, come se potesse capire tutto.
«Scusa se non c’ero questa mattina, sono andato a vedere Carlos.»  disse spostandomi una ciocca di capelli che mi attraversava il viso. 
«Non ti preoccupare.» mi staccai dall’abbraccio gelido. Afferrai il cellulare dal tavolino, e lo spensi. Non mi aveva più chiamata, forse aveva sbagliato e non sapendo cosa dirmi ha inventato che voleva che io tornassi a casa. Lo chiusi e lo gettai sul divano. Spensi anche la tv, proprio mentre Willy stava posizionando le bombe. 
«Che stavi guardando?» 
«Niente.» dissi fredda. 
«Che c’è che non va?» chiese di nuovo. Non ce l’avevo con lui, solo che ora non volevo parlare.
«Niente.» dissi. 
Mi afferrò per il polso, e mi fece girare verso di lui.
«Non mentirmi, non lo sopporto.» disse con voce bassa e dura, senza mollarmi il polso. 
«Sto. Bene.» scandii bene le parole. Alzai lo sguardo verso di lui, sperando che non notasse che avevo gli occhi leggermente arrossiti. Mi osservo per una decina di secondi interminabili, quegli occhi verdi si mescolarono con i miei, mi ci perdevo dentro. Fu lui il primo a cedere. 
«Mi dispiace», disse con voce malinconica, appoggiando la testa sulla mia spalla. «ho avuto una brutta mattinata.» Gli passai la mano libera tra i capelli mori, notai che quando feci passare le dita sul suo collo, si rilassò, mollando il mio polso. Non avevo mai visto Alexandre comportarsi così, di solito era lui quello che mi consolava, quindi non sapevo esattamente cosa fare. Mi diede un leggero bacio sul collo, e poi disse: «Penso che andrò a sdraiarmi un po’ a letto, ti dispiace?» E come facevo a dirgli che mi dispiaceva? Mi osservava con quegli occhi da cagnolino bastonato. 
«Certo che no, ti raggiungo subito.» dissi infilando le mani nelle tasche della felpa. Appena fù nell’altra stanza, sentii il dovere di controllare se mi aveva richiamata. Corsi al divano e accesi il telefono. Niente. Nessuna chiamata. Controllai anche la segreteria telefonica, ma non mi aveva lasciato nemmeno un messaggio. In quel momento provai delle emozioni forti, ma non so descriverle con chiarezza. E sinceramente, non sapevo se piangere o ridere. Scagliai il telefono per terra, arrabbiata e frustrata. E camminai lentamente verso l camera da letto. Vi trovai Alexandre, seduto sul bordo del letto, con le mani trai capelli, appoggiato alle ginocchia. Mi sedetti di fianco a lui, passandogli una mano sulla schiena. Pensai di chiedergli cosa era andato storto,  ma sapevo che non me lo avrebbe detto, e poi lui non lo aveva chiesto a me, e mi sembrò un colpo basso. Gli presi una mano, e sbottonai i bottoni dei polsini, feci lo stesso per l’altro polsino. Mi sedetti poi su una sua gamba, e iniziai a sbottonargli anche la camicia. Potevo sentire il suo sguardo confuso posarsi su di me.  Gli sfilai la camicia, e lo feci sdraiare spinge dolo delicatamente per le spalle. Sospirò leggermente quando la sua testa toccò il cuscino di piume. 
«Vuoi che ti porto qualcosa?» chiesi dolcemente, accarezzandogli i capelli. 
«No, grazie tesoro, sei un angelo.» quella frase mi fece tornare in mente gli angeli, ma questo non mi sembrava un buon momento per chiedergli della loro esistenza. Alex chiuse gli occhi. Feci per andarmene, anche se non volevo starmene di la da sola. Per fortuna Alex mi afferrò un braccio.
«Che fai?» chiese con gli occhi ancora chiusi.
«Ti lascio dormire.» risposi un po scioccata.
«No, vieni qua. Non voglio starmene da solo.» beh su una cosa eravamo d’accordo. Obbedii, visto che nemmeno io volevo starmene da sola.  Girai intorno al letto, e mi infilai nelle coperte.  Mi misi su un lato., rannicchiata.  Sentii la mano fredda di Alex passare sotto la felpa, e posarsi sulla mia pancia. Mille brividi mi attraversarono la schiena. Con la mano mi spinse verso di lui, aderendomi al suo corpo.  Potevo sentire il suo respiro sui miei capelli, non mi mossi nemmeno di un millimetro. La sua mano se ne stava li, ferma sul mio stomaco, era presto diventata calda, visto la mia temperatura corporea. 
«Ti amo.» fu un sussurro il suo. 
«Anche io.» la mia voce suonò come un bisbiglio, ma sapevo che lui lo aveva sentito forte e chiaro. Penso che il mio cuore smise di battere per qualche secondo. Solo dopo averle dette capii il significato di quelle parole. Lo amavo.  Non mi era mai successo prima, ma sentivo che avrei anche potuto passare il resto della mia vita con lui. Lo amavo, di sicuro. Mi diede un leggero bacio sulla spalla, facendomi venire i brividi.
«Sei bellissima.» disse con la voce un po' più alta.
Sorrisi nell'oscurità della stanza.
«E lo sei ancora di più quando arrossisci.» Ovviamente lui lo aveva notato. Questa cosa, di essere super sensibili a tutto, iniziava a darmi sui nervi.
Sorrisi. Strofinò dolcemente il suo naso contro la mia guancia, facendola tornare fredda. 
«Hai un odore buonissimo.» cercò di farlo suonare romantico, ma sapevo cosa intendeva veramente, per quanto quella frase potesse mettermi paura, non riuscivo a togliermi il sorriso dalle labbra. Mi amava. Posai una mano sulla sua, che era ancora pogiata sul mio stomaco. Iniziai a disegnare dei piccoli circoli sul dorso. 
«Come fai a...» non finii la frase, incerta.
«A...» continuò lui incoraggiandomi. 
Non continuai... non sapevo come furmulare la frase.
«A resisterti?» lo fece suonare come se intendessi che sono troppo bella per resistermi. Ovviamente non intendevo quello. Mi venne in mente quella ragazza, Rebecca, quella che avevo incontrato in bagno alla festa di Adda. 
«Non bevo sangue da molto tempo.» 
«Quindi non ne sei più attratto.»
«Hmm non è che non ne sono più attratto... solo di meno degli altri.»
«Altri tipo Carlos?» 
«Si.» la voce gli si abbassò mentre pronunciava quelle due lettere. 
«Ma vedi lui... con lui è un po' piu complessa la cosa.»
«Cioè?» chiesi io curiosa.
«Vedi di solito all inizio della trasformazione poi tutti anche se solo per un periodo di tempo stanno senza bere sangue, per poi decidere se smettere o no.»
«E quindi cosa centra con Carlos?»
«Lui non ha mai provato a smettere, quindi per lui è quasi come una droga, beve quasi ogni giorno.»
«M-ma non uccide vero?»
«Non sempre.» disse lui freddo.
Mi voltai verso di lui, sciogliendo il nostro abbraccio.
«Cosa vuol dire "non sempre"?» 
Alex distolse lo sguardo.
«Che il suangue che prendiamo dall'ospedale probabilmente è li gia da qualche giorno, e perde il gusto. E lui è incosciente di ciò che fa, quindi a volte se una bella cameriera gli fa gli occhioni dolci, allora lui...» non finì la frase. Mi venne in mente la cameriera che ci aveva servito a pranzo. Francesca, se non sbaglio. Anche lei era caduta nella trappola di Carlos? Mi vennero i brividi solo a pensare a quello che poteva fare a quella povera, innocente ragazza. Fui grata di sapere così tante cose su questo mondo, sapevo da chi dovevo starmene lontana ora.
«Io ti dico queste cose perchè il nostro mondo non è come te lo immagini. È oscuro, ed è pieno di gente...cose, che non vorresti mai incontrare.» 
Notai che aveva cambiato la parola "gente" con la parola "cose".
Continuava a on guardarmi. 
«Non avrei MAI dovuto dirti la verità.»
«Non dire così. Se non mi avessi mai detto al verità, probabilmente avrei pensato che eri un serial killer intento ad uccidermi.» dissi ridendo.
Ma lui non rise, anzi. 
Gli accarezzai la mascella.
«Non c'è da scherzarci, è per questo che me ne sono andato da Barcellona.»
«Non capisco.» dissi sinceramente.
«Sono partito perchè non volevo più vivere in quel mondo.» 
Non sapevo che dire, in parte perchè non capivo cosa intendessi, e in parte perchè non lo potevo comprendere.
Distolse lo sguardo dal soffitto, e mi guardò negli occhi.
«C'è la guerra, Caterina. E non è una guerra in cui ti vuoi ritrovare.» 
«Quindi scappi?» dissi un po' arrabbiata.
«Come?» disse lui con tono sorpreso.
«Non ti credevo uno che si tirava via dai problemi. Hai abbandonato la tua famiglia in tempo di guerra.»
«Non è così.» 
«E com'è allora? Cosa intendi fare? Non tornare mai piu a Barcellona? Se questa guerra è brutta come la fai sembrare, non ti pesa sapere che non sei li con i tuoi amici e con i tuoi familiari a combatterla?»
«Ovvio che mi pesa. Ogni giorno mi alzo da questo letto e vorrei essere li con loro, a combattere, a escogitare, e a salvarli.»
«E cosa ti trattiene qua allora?» appena finii di dire quella domanda, mi venne in mente una risposta.
«Tu.» 
«Vai a barcellona Alexandre. Aiutali.»
«Non posso lasciarti qua, mi si spezzerebbe il cuore in mille pezzi, e non sarei molto d'aiuto con un cuore spezzato.»
«E quindi cosa intendi fare?»
«Proporti di venire con me.»
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: ThisIsLeisure