<<Buongiorno>> sussurrò con voce ragnatelosa, stropicciandosi gli occhi; lo sguardo fisso, rivolto al cielo
fratturato dagli immensi palazzi.
Era sempre così. Da quando aveva deciso di intraprendere il viaggio, da quando si era sistemata lì.
La sveglia suonava quella sua melodia melensa provocando in lei un’ansia momentanea, placata solo
dalla visione dei cieli dipinti con tanta maestria da chissà quale artista celeste. Ogni giorno un colore
diverso, a volte con pennellate violente tanto da spezzarle il fiato.
Astra allungava la mano, come per dare la sua personale sfumatura a quella tela.
E puntuale, prima che potesse dare il via alla colonna sonora della sua giornata, un fruscio sommesso
carezzava la sua finestra e puntuale, come ormai accadeva da tre mesi, Astra apriva una scatoletta di
tonno, la poggiava sul tavolo e ...<<Buongiorno Oro>>.
La scatoletta grattava decisa sul legno plasticato del tavolo. Oroboro era color perla, con righe di un
grigio scuro che delineavano la muscolatura. Da quando Astra si era stabilita in quella casa non mancava
mai la colazione delle sei.
E dopo aver mangiato, la sua coda di cotone si appoggiava alla mano della ragazza pronta per le
carezze, solo allora poteva voltarsi a guardarlo e il suo miagolio era un ringraziamento dolcissimo.
Thé ai lychees.
Quella mattina sorrideva Astra. Quella mattina sarebbe arrivato Kazuo. Quella mattina, tutto, avrebbe
dovuto essere perfetto.
Play.
Un violino deciso faceva irruzione nella stanza. Traccia numero tre. La toccata e fuga. Il suo pezzo
preferito.
Danzando per la stanza si preparava ad uscire, ad andare a prendere quel ragazzo che le era amico e
fratello allo stesso tempo.
Erano mesi che non si vedevano, da quando aveva deciso che la sua piccola cittadina le stava troppo
stretta.
Tre mesi che non si faceva stringere dalle sue braccia di roccia, che non sentiva quella risata vigorosa
mentre le raccontava le ultime peripezie affrontate.
Skype non era abbastanza a volte.
La voce non era così meccanica, così lontana e fredda se ascoltata dal vivo e i suoi occhi verdi,
profondi, attraverso una piccola webcam, per quanto all’avanguardia potesse essere, non rendevano il loro
splendore.
Il violino si fece irruento, veloce, come a volerle dare un incentivo a muoversi.
Passò il suono dalle casse alle cuffie del suo ipod.
Salutò Oroboro sorridendo e chiuse la porta dietro di se, certa che al suo ritorno lo avrebbe ritrovato
acciambellato sul suo pouf zebrato.
New York si sveglia presto, troppo presto, ma questo Astra lo aveva previsto, aveva ancora un’ora per
arrivare in stazione e non era poi così lontana.
Appena messo piede fuori dal portone di legno massello, modello anticato numero 09, - quelli che
costano tanto e durano poco - avrebbe detto suo padre, respirò profondamente l’aria frizzantina e già
frenetica della grande mela, certa che nulla avrebbe potuto intaccare il suo magico giorno.
Aveva preparato tutto, in ogni minimo dettaglio, proprio come piaceva a Kazuo, meno malleabile di lei
ai programmi last minute.
Prese il taccuino degli appunti, la toccata era quasi al suo termine mentre camminando ripassava metodicamente ogni sua parola.
Ore 07.00, arrivo alla stazione, binario 23.
Ore 07.15, dopo vari convenevoli SICURAMENTE caffè. Starbucks.
Ore 08.00 arrivo a casa, valigie a terra, Oro é sul pouf che ronfa beato, Kazuo bofonchierà la poca
igiene di tale gesto per poi addolcirsi e avvicinarsi al micio.
Ore 09.00 dopo la doccia di Kazuo, finita RIGOROSAMENTE 5 minuti prima dell’ora x, usciamo per
andare ai parchi.
Portare: cestino da pic-nic, ipod, libro, macchina fotografica...
<<La macchina fotografica!!!>> urlò a piena voce Astra, arrestandosi, per subito portarsi la mano alla bocca,
certa di aver fatto una figuraccia di dimensioni epiche.
Nel leggere quella parola si ricordò di non aver caricato la batteria della sua reflex digitale, avrebbe
potuto caricarla durante l’arco di tempo tra l’entrata in casa e l’uscita, ricontrollò gli orari, un’ora, potrebbe
bastare per un buon 30% di carica, se l’avesse amministrata con ingegno le sarebbe durata l’intera
giornata.
Un sospiro profondo e riprese a camminare a passo sostenuto, per non tardare, Kazuo si sarebbe
irritato di questo altrimenti e litigare con il proprio migliore amico prima ancora di salutarsi non é il
migliore modo per iniziare la giornata.
Da casa la stazione distava poco più di 30 minuti a piedi, adorava percorrerli tutti in religiosa
osservazione della miscellanea di colori e profumi che riempivano le strade.
Guardò l’orologio, orario perfetto, attraversando la strada notò dal riflesso di un palazzo a specchio che
il cielo prendeva il suo tipico colore azzurro lasciando all’artista del giorno dopo una nuova tela da
dipingere.
Lasciò che la musica scorresse nelle sue vene per gli ultimi quindici minuti seguendola con passi
cadenzati, serrati sul ritmo in continuo cambiamento.
Ed eccola, la stazione, l’orologio segnava le 06.57, prese a correre, binario 23, appena Kazuo lo avesse
letto avrebbe sicuramente avuto da ridire. Lui detestava quel numero.