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Autore: SummerRestlessness    10/02/2011    2 recensioni
Cinque brevi storie di abbandoni e in un certo senso sul potere delle parole, dette e non dette, ispirate dalla canzone Stay degli Hurts.
E un accenno di What If? vagamente (più che vagamente) Dramionesca nel finale.
“’Cause all my life I felt this way, but I could never find the words to say STAY”.
Le lettere iniziali di ogni capitolo, in ordine, formano una specie di sottotitolo della storia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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4.

Improvvisamente, era davvero tutto finito.

Riprese a respirare normalmente solo quando ne fu certo.

Il peso che sentiva premergli sul petto e sullo stomaco da troppo tempo era però rimasto esattamente lì dov’era, testardo e persistente, senza alleviarsi di un grammo. Pensava che, alla fine di tutto, il rimorso, il dolore, la paura, l’incertezza e la tensione lo avrebbero finalmente abbandonato ed invece non era stato così, affatto.

Ad un certo punto, quel giorno stesso, non gli era più interessato che finisse bene o male, di sopravvivere o di non farcela; voleva solo che, in un modo o nell’altro, finisse tutto. Non importava altro.

In fondo, tutti pensavano che non gli fosse mai interessato troppo stare da una parte o dall’altra, quanto piuttosto stare dalla parte che alla fine avrebbe prevalso. In fondo, se c’era una cosa che suo padre gli aveva insegnato, al di là di tutte quelle stupidaggini sul sangue puro inculcategli in realtà da quello che si era scoperto essere un mezzosangue, era proprio questa: ricavare sempre il massimo per se stessi da ogni circostanza, piegarsi sempre al miglior offerente. Questo, unito al congenito e spiccato egocentrismo che lo contraddistingueva, lo aveva sempre fatto passare agli occhi degli altri come un voltagabbana, una persona inaffidabile e meschina, calcolatrice e subdola, indegna di fiducia.

Insomma, come un Serpeverde in piena regola.

 

C’era però stato un momento, un preciso istante di quel giorno, in cui niente di tutto questo aveva più avuto importanza e da allora lui sentiva di essere improvvisamente cambiato, di non essere più quella persona che del mettere se stesso davanti a qualunque altra cosa aveva fatto la sua missione di vita.

 

Perciò non sopportava più di stare nella stessa stanza e nemmeno nello stesso edificio con le persone che lo avrebbero guardato con sdegno, che lo avrebbero visto ancora e per sempre come quella persona che sentiva di non essere più. E, per quanto fosse lieto che fossero lì con lui sani e salvi, non voleva neanche condividere quel momento con i suoi genitori, coloro che l’avevano fatto diventare ciò che fino a quel giorno era stato.

Voleva stare da solo, come in fondo era sempre stato per scelta, per quella spocchiosa abitudine di ritenersi superiore a chiunque altro; stavolta però voleva farlo per motivi diametralmente opposti ed in particolare per conoscere meglio quel nuovo se stesso che era emerso prepotentemente durante gli ultimi avvenimenti.

 

Ultimamente aveva spesso immaginato come sarebbe stato avere un passato irreprensibile e senza macchia e si era accorto di desiderare una coscienza pulita ed intatta come un campo ricoperto di neve fresca sul quale solo lui potesse lasciare le sue impronte. Ci pensava anche in quel momento ed improvvisamente si accorse che probabilmente continuare a fuggire e a cambiare bandiera non era alla lunga una tattica soddisfacente quanto invece lo era “restare”, mantenere la testa alta e affrontare i problemi di petto, mantenendo le proprie posizioni.

Lui che si era sempre nascosto dietro altri, che aveva sempre tramato nell’ombra, che si era lasciato traviare da troppe persone, si accorse di voler semplicemente, per una volta, restare in piedi da solo. Si accorse di invidiare coloro che, in quella circostanza, non avrebbero avuto niente che potesse essergli rimproverato, niente che potessero rimproverarsi e si rese conto che quello era l’unico modo per non far torto a se stessi: avere solide convinzioni e non abbandonarle, seguirle fino in fondo, metteva l’anima al riparo dai dolori più intensi e duraturi, quelli che minavano alla base la sicurezza di sé.

Quella solidità interiore si frapponeva tra la persona ed i diversi casi della vita che si presentavano di volta in volta ed in un certo senso la proteggeva.

 

All’improvviso, mentre questi pensieri gli vorticavano nella mente con una chiarezza sconvolgente, gli venne in mente, come esempio di quell’integrità morale, una figura in particolare, che lui aveva ovviamente sempre disprezzato.

 

Fu quindi più che sorpreso quando, uscito all’aperto con una scusa ed il preciso intento di rimanere solo, si trovò davanti proprio quella persona che, secondo lui, sarebbe stata la prima ad avere il diritto di stare con i suoi amici all’interno, a festeggiare per quella vittoria per la quale aveva dato tutta se stessa.

 

 

 

 

 

 

 

700 parole. Ci avviciniamo alla conclusione. Non ho specificato né il contesto, né chi sia il protagonista di questa shot (né di chi parla alla fine), ma credo si capisca abbastanza bene. In ogni caso, è una mancanza intenzionale, perché nel prossimo capitolo, quello conclusivo, diventerà tutto esplicito. Ho visto questo capitolo come un abbandono perché il protagonista in un certo senso ha sempre abbandonato tutto, non è mai stato capace di rimanere, per niente e per nessuno. Su un altro livello, qui decide di dire addio proprio a quella parte di se stesso che non gli ha permesso di “avere una coscienza pulita”, appunto di scegliere un cammino e di seguirlo fino in fondo.

 

   
 
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