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Autore: psychoKath    10/02/2011    0 recensioni
DEMONI,ANGELI E PREDATORI. IL BENE COMBATTERA' SEMPRE CONTRO IL MALE.
Annely era rimasta sola e il vuoto la stava pian piano risucchiando.
Gocce di rugiada scandivano i lineamenti del suo viso. Troppo duro per una bambina, troppo cresciuto per una piccola creatura. Troppo dolore nel suoi occhi ferini. La sua gola era bloccata da gemiti e parole di rabbia.
“Ti vendicherò, Mama.”
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo capitolo
 
L’aria era ancora un po’ troppo fresca per essere in piena primavera. Un venticello quasi gelido sfregava le sue mani sulle foglie degli alberi e sui petali dei fiorellini sparsi per il parco. La luce della luna rendeva tutti i colori più cupi e grigi, dandogli un riflesso quasi metallico. La natura intorno a Annely era tesa e circospetta. Tutto sembrava gridare in un sordo lamento parole d’angoscia. La notte scura galleggiava sulle teste dei guerrieri. La spedizione non stava andando nel modo migliore, mancavano poche ore all’alba e non avevano ancora catturato la testimone.
Annely, Nathan, Ren e Kerian sorvolavano il parco dalle cime degli alberi. Le loro ali scintillavano alla luna, creando giochi di luce sulle foglie degli alberi.
Tutto ad un tratto Annely scese in picchiata vicino a un cespuglio in movimento. Puntò la balestra in faccia a una demone anziana, con i capelli color cenere. I suoi occhi neri gridavano pietà, speravano nella propria salvezza.
Annely d’altro canto era intenta a non ucciderla all’istante. I suoi occhi ferini non tradivano alcun cedimento, erano freddi e circospetti, tipici dei predatori.
“Qual è il tuo nome, demone?” chiese con voce forte e decisa.
‘Io.. mi pare di aver già visto questo viso. Mi pare.. di conoscerla.’ meditò.
La vecchietta titubante non osò aprire bocca, ma non appena vide uno strano scintillio negli occhi della guerriera cambiò idea.
“Sono Octavia De la Crois.” sussurò.
Il gruppo dei Guerrieri si avvicinò ad Annely non appena gli fece segno che avevano imprigionato la persona giusta.
“No! La prego, no! La prego, signorina. Annely Aleksandrovna Romanov, le chiedo in nome di Leksandr di lasciarmi andare. La supplico..” disse la demone contorcendosi sotto la freccia della balestra.
“Come fai a sapere il mio nome, demone?” sputò Annely.
Gli occhi supplicanti di Octavia incontrarono quelli dubbiosi di Annely, di nuovo.
“Perché ero al fianco di Vostro padre quando scoppiò la rivolta. Ho combattuto per la Vostra famiglia.. per salvarLa. La prego, mi lasci andare..” piagnucolò la demone quasi fosse una bambina.
Il cuore le si fermò non appena udì tale rivelazione. Annely era sconvolta, ora ricordava perché quel viso le fosse così famigliare. L’aveva già vista.
 
Era seduta non poco distante dal posto occupato dal padre nella tavola dei banchetti. I suoi capelli erano più biondi che grigi, ma aveva gli stessi occhi neri come la pece. Suo padre parlava tranquillamente ai suoi consiglieri e cortigiani, mentre sua mamma le stava facendo le trecce. Quei suoi lunghi capelli biondi dai riflessi rossi come il sangue erano intrecciati accuratamente dalle mani flebili della madre. Era una giornata quieta e perfetta per stare con i propri sudditi. A lei piacevano molto le feste che erano soliti organizzare, per qualsiasi ricorrenza.
Papa, voglio fare una festa!”
Il padre si girò allegramente verso la figlia e le sorrise. “Certamente, tutte le feste che vuoi, principessa.”
“Sìììììì, voglio tante rose nere e un vestitino con le balze! E un paio di scarpette nuove!” rispose entusiasta la piccola Annely.
“E vuoi anche un rossetto?” chiese scherzando la madre.
“No, schifo. Se lo mettono i grandi quello, io sono giovane.”
La conversazione dell’intera famiglia portava allegria e risate in tutta la stanza.
 
Le immagini le scomparvero così come improvvisamente furono apparse. Però, il suono di quelle risate le echeggiava ancora nella mente. Gli occhi ferini erano inumiditi dalle lacrime che non voleva versare. Questi ricordi le aprirono un varco in mezzo al corpo, una voragine che non si sarebbe placata né lì né tra qualche secolo. Un pozzo enorme di solitudine e rabbia, di tristezza e vendetta era stato nuovamente scavato; nuovamente rimembrato. Aveva perso tutta la sua famiglia nel giro di una notte, non poteva perdonare nessuno. Avrebbe steso chiunque fosse stato colpevole. Ma Octavia non lo era, anzi l’aveva aiutata. L’aveva salvata. Non poteva portarla al cospetto del Triumvirato e dell’Assemblea.
‘Che Gabriel possa perdonarmi..’ pensò.
Abbassò la guardia e fece scivolare su un fianco la balestra, così da permettere alla demone la fuga.
Appena videro la demone fuggire, il gruppo di Guerrieri corse verso Annely. Le loro ali si sfioravano per quanto fossero vicini.
“Che cazzo stai facendo Ann?” le urlò contro Ren.
Gli altri cercarono di raggiungere la demone ma furono bloccati dalle ali della ragazza. Impedendo ai suoi amici di raggiungere la demone, Octavia riuscì a scomparire dal campo visivo e a salvarsi.
“Le dovevo la vita. Ora siamo pari.” disse col tono di voce più freddo di un cubetto di ghiaccio.
 
“Stupida mezzademone! Cos’hai combinato?! Hai lasciato andare una testimone importante! Il sangue non mente, non potrai mai servire l’Angelo se prima eri a comando delle tenebre!” le gridò contro un membro dell’Assemblea.
L’Assemblea era accorsa per la cattura di De la Crois, ma non si aspettavano di dover annunciare una sentenza immediata per la Guerriera del clan Koshka.
Gli occhi di Annely erano rabbiosi e brillavano peggio che le stelle. Si specchiarono in quelli del capo dell’Assemblea.
“Vada all’inferno, Audrien.” sospirò Ann, con aria quasi demoniaca. La sua voce seppure fosse un flebile sussurro era carica di potere e astio.
L’Assemblea dopo quella sfacciataggine circondò Annely e la trasportarono al Centro, in modo da poterla punire.
Il suo gruppo rimase in disparte e quasi immobile. Erano rimasti delusi dalla loro “guida”. Erano sempre sicuri di poter combattere ogni sorta di male, erano totalmente assicurati dalla sua presenza. Avevano fiducia in lei, e ora la vedevano portare via dall’Assemblea. Colpevole di non si sa quale reato così grave, se non la sua stupida insolenza e la follia creata dalla mancanza della sua famiglia.
Le guance della ragazza erano bagnate dalle lacrime silenziose che le rigavano il volto. Era talmente nervosa da lasciare ai suoi occhi ferini bagnarsi di vergogna. Trascinata dai suoi superiori, costretta a volare nello spazio temporale, Annely era consapevole dalla sua prossima fine.
‘Qual è il reato per aver lasciato libero un demone? La morte, forse? L’abbandono in una dimensione demoniaca o.. che altro!?’
Le parole nella mente della Guerriera volavano più forte delle ali di tutti i Guerrieri presenti. ‘Non ho più speranze, ma non morirò da perdente. Non perderò mai la mia dignità.’
 
Nella frazione di pochi minuti si ritrovò al centro di un’immensa stanza bianca, con luci accecanti intorno alle pareti.
Al tavolo davanti a lei giacevano seduti composti 12 Guerrieri superiori, i membri dell’Assemblea. Erano tutti vestiti di bianco, con cappucci a coprirgli il volto.
Annely era inginocchiata a terra, in segno di rispetto. I suoi capelli biondi ricadevano sul pavimento e riflettevano i riflessi rossi.
Era l’ora del giudizio, tutto taceva e i minuti scorrevano inesorabilmente lenti. Lentissimi scocchi di lancette segnavano la fine.
Tic, toc, tic, toc.
 
“Annely Aleksandrovna Romanov, capo del clan Koshka, alzati.” enunciò una voce profonda e ferma.
La ragazza pian piano alzò la testa scrutando ogni membro, poi agilmente si alzò in piedi ed aprì le sue immense ali candide.
“Ora ti faremo delle domande e dovrai rispondere solamente sì o no, a meno che non venga richiesta ulteriore spiegazione.”
Annuì.
“Bene, l’udienza è aperta. Hai fatto scappare volontariamente una testimone condannata per giunta a morte?” chiese la stessa persona.
“Sì.” Rispose freddamente.
Nella stanza si alzò un brusio di sottofondo dopo l’ammissione della colpa.
“Hai qualcosa da aggiungere a tua discolpa?”
“Mi ha salvato la vita quando ero piccola. Ero in debito con lei e non potevo non salvarle la vita. Il mio debito è stato saldato. La prossima volta, giuro, la porterò a Voi.” disse sommessamente.
“No, non ci sarà nessuna prossima volta, stupida!” le urlò contro una voce. Era la stessa persona che l’aveva catturata nel parco.
L’Assemblea era in subbuglio, quest’odio aperto nei confronti della Guerriera era palese perfino ai membri stessi della giuria.
“No, Audrien. Non ci sarà nessuna morte.” Prese le sue difese il capo dell’Assemblea, Marie. “Dopotutto Annely è una dei più bravi Guerrieri e non possiamo perderla. Io credo che la punizione più equa sia l’esilio temporaneo.”
Passò lo sguardo dall’odiosa Audrien alla delicata figura di Annely. I suoi occhi azzurri quasi come il cielo d’estate erano incastonati in un viso a forma di cuore, con la solita espressione di gioia e felicità. Marie era perennemente tranquilla e.. buona. Aveva un cuore così puro da essere a capo della prodigiosa Assemblea di tutti i Guerrieri.
“Sei assolta dal compito di Guerriera, e dovrai frequentare una normale scuola per umani nella cittadina di Aberdeen. Così è deciso, l’udienza è conclusa. Possa l’Angelo portarti una buona redenzione.” Finì il suo discorso e lasciò la stanza in men che non si dica.
‘Redenzione? Mandarmi in una scuola piena di urlanti gallinelle e supermachi con cervello pari a zero? Questa è una tortura, altroché.’ pensò.
Un uomo vestito di bianco con un cappuccio sulla testa si avvicinò alla ragazza ed appoggiò una spada sulla sua spalla.
La spada appena sfiorò la pelle nuda di Annely incominciò a luccicare e a sprigionare un enorme potere. La luce che emanava colpiva ferocemente gli occhi della ragazza che utilizzò tutta la buona forza di volontà per non coprirsi gli occhi.
“In nome di Gabriel, io ti ritiro temporaneamente i poteri che l’Angelo ti ha donato.”
Detto ciò le grandi ali di Ann scomparirono in una tiepida luce rossa, lasciando due cicatrici rosee sulle scapole. Il dolore era così fulminante che riuscì a malapena a soffocare un urlo.
Così fu lasciata sola in quella stanza bianca al punto tale da sembrare buia.
Sola con il suo dolore. Sola con la sua sconfitta. Sola e senza più la possibilità di compiere il suo scopo.
   
 
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