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Autore: Beatrix Bonnie    11/02/2011    5 recensioni
Che cosa convinse Albus Dumbledore ad affrontare in un duello il suo eterno nemico, Gellert Grindelwald? Perché improvvisamente il grande mago cambiò idea e decise di andare incontro al suo destino?
Storia prima classificata al contest "Free Contest" indetto da AliH e vincitrice del premio "Miglior personaggio originale".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Für der Obergute'
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II



Il ragazzo appoggiò le spalle al muro e si concesse un sospiro di sollievo: li aveva seminati. O almeno sperava. Rimase immobile per parecchi minuti, nell'attesa che il suo cuore tornasse a battere a velocità normale, mentre il freddo vento invernale gli sputava in faccia i fiocchi di neve che cadevano dal cielo plumbeo e scuro. Il vicolo dove si era riparato era deserto, forse a causa del gelo di quella notte, forse per la paura degli aerei Alleati che attraversavano l'aria di Berlino, sganciando le loro bombe sugli scheletri delle case ormai ridotte a cumuli di macerie.
Finalmente si decise a muoversi da quel vicolo buio, ma delle voci concitate lo fecero trasalire. Senza rendersene conto, aveva già rincominciato a correre.
«Là, là!» gridò qualcuno.
Merda. L'avevano beccato.
Corse a perdifiato lungo i dedali intricati del ghetto ebraico, senza sapere bene dove stesse andando. Si voltò per controllare che non lo stessero inseguendo, quando andò violentemente a sbattere contro un muro: aveva preso un vicolo cieco. Si portò le mani alla fronte, dove aveva ricevuto la botta e per il dolore fu incapace di muoversi o anche solo di pensare per parecchi secondi. Secondi che gli furono fatali.
«Fermo, lurido bastardo!» sbraitò una voce roca, puntandogli qualcosa alle spalle.
Il ragazzo si mise velocemente una mano in tasca, ma non riuscì ad estrarre la sua arma, che qualcuno lo aveva già afferrato per la spalla e costretto a voltarsi.
Un mitra gli era puntato al petto. Le facce sudate per la corsa e contratte dal disgusto di tre SS riempirono il suo campo visivo.
«Babbani...» si lasciò sfuggire con un sospiro di sollievo. Era vero che gli stavano puntando addosso dei mitra, ma erano solo Babbani: sempre meglio degli Obermenschen di Grindelwald che lo stavano inseguendo prima.
Una delle SS lo afferrò per la collottola e lo scosse con violenza. «Come ci hai chiamato, lurido ebreo bastardo?» latrò ad un centimetro dal suo volto.
Già, ebreo: la stella a sei punte di David si intravedeva sulla fascia del suo braccio sinistro, nonostante il buio. Le SS erano scioccate dal fatto che quello sporco ebreo fosse ancora vivo, visto che tutti i suoi compagni erano già stati deportati da anni nel Campi di Lavoro. Certo, non potevano sapere che lui era un mago.
«Vi ho chiamati Babbani» rispose, senza lasciarsi troppo intimidire. E poi estrasse la bacchetta magica di tasca e gridò: «Stupeficium!»
Prima ancora che potesse accorgersi, il soldato delle SS venne sbalzato parecchi metri indietro e ruzzolò a terra in stato di incoscienza. «Cosa diavolo...?» cominciò a dire la seconda guardia, ma il ragazzo non perse tempo e schiantò anche quella.
Il terzo uomo reagì più velocemente: sparò una scarica di mitra verso quel pezzo di merda di un ebreo.
«Muori!»
Quando ebbe finito i proiettili, tornò il silenzio nel vicolo buio e cieco. Un silenzio innaturale. Il soldato si avvicinò alla densa nube di polvere e calcinacci che aveva provocato con il suo sparo, certo che presto avrebbe scorto il cadavere insanguinato del ragazzo, ma il sorriso gli si gelò sulle labbra: l'ebreo era scomparso.

«Merda» sussurrò il ragazzo, barcollando. Controllò di essere tutto intero e si concesse un sospiro: si era smaterializzato appena in tempo, certo che i soldati delle SS, essendo Babbani, non potessero inseguirlo. Si guardò intorno, non del tutto sicuro di essere arrivato al posto giusto: era in una landa desolata e fredda, completamente avvolta dal bianco e dal silenzio della notte. Poco distante da lui si erigeva un pino solitario, affaticato dalla neve che gli incurvava i rami, come un eremita piegato dalla vecchiaia e dal digiuno. Sì, era il posto giusto, il luogo dove avrebbe dovuto incontrare Gerwine.
Si avvicinò al pino, scrutando in ogni direzione per scorgere la ragazza. Nessuno, non c'era nessuno. Strano, era lui ad essere in ritardo rispetto all'orario dell'appuntamento. Tentennò per qualche minuto, battendo i piedi a terra per evitare che si congelassero. Il suo alito caldo si condensava in piccole nuvolette di vapore che gli annebbiavano la vista per qualche secondo, prima di sparire nell'aria. “Gerwine, dove sei?” si domandò, sempre più preoccupato.
Guardandosi intorno, gli occhi gli caddero su uno strano scintillio ai suoi piedi. Si chinò per osservare meglio: un piccolo ciondolo a forma di fiocco di neve giaceva a terra abbandonato.
Nonostante il freddo, il ragazzo si sentì improvvisamente ardere come se un fuoco gli fosse esploso nel petto. Afferrò il piccolo ciondolo, incapace di realizzare che cosa realmente significasse. Era di Gerwine, glielo aveva regalato lui. Era fatto di ghiaccio.
Il piccolo fiocco di neve si sciolse in un istante al primo contatto con la sua mano calda e riapparve magicamente al suo collo. Era così che funzionava: chiunque l'avesse afferrato, l'avrebbe indossato per sempre. Nessuno avrebbe potuto toglierlo. Nemmeno con la violenza. A meno che, ovviamente, non fosse il portatore stesso a volerselo levare.
Fu un urlo lacerante a turbare la tranquillità di quella landa silenziosa. Il giovane crollò a terra, con la testa tra le mani, disperato.
Gerwine era stata catturata, l'avevano presa gli scagnozzi di Grindelwald. Ne era certo.
Il Cristallo di Ghiaccio era stato il suo ultimo avvertimento: se l'era levato e l'aveva lasciato cadere a terra apposta, perché lui potesse trovarlo. Ma anche ora che sapeva che era stata catturata, che cosa avrebbe potuto fare? Come avrebbe fatto a salvarla, ad affrontare Grindelwald, il più potente Mago Oscuro di tutti i tempi?

A Londra pioveva.
Il giovane si strinse nel logoro cappotto e procedette a capo chino contro il muro di pioggia. Non sapeva bene dove cercare, ma era certo che la determinazione l'avrebbe spinto ad andare avanti anche di fronte a qualsiasi ostacolo. Ne aveva sentito parlare da Cyrillus, il padre di Gerwine. Era la sua unica speranza.
Girovagò per le strade deserte di Londra per un tempo che gli parve infinito, poi finalmente vide qualcosa che gli diede maggiore speranza: una triste insegna con scritto “Il paiolo magico” cigolava lentamente sotto la pioggia. Spinse il portone del pub e si ritrovò dentro un locale semibuio in cui ben pochi avventori stavano consumando in silenzio le proprie ordinazioni.
Il giovane non si soffermò su nessuno di loro, perché le occhiate torve di una strega in un angolo gli fecero capire che era meglio cercare subito ciò per cui era venuto. Si avvicinò al bancone titubante. Il barista lo squadrò con occhio critico, poi gli chiese qualcosa, probabilmente cosa voleva ordinare. Ma lui non sapeva una parola di inglese.
«Ich müsse Dumbledore sehen» provò a dire, senza sapere se l'uomo l'avrebbe capito. Il barista lo guardò stranito, poi gli rispose qualcosa. «Dumbledore, ich müsse Dumbledore sehen» ripeté il ragazzo, con una nota disparata nella voce.
«Che ci fa qui un crucco di merda?» domandò un uomo calvo con un occhio di vetro, avvicinandosi al giovane straniero.
Gli riservò un ghigno malefico, ma il ragazzo era troppo disperato per lasciarsi intimorire da quella dimostrazione diretta di ostilità. «Ich müsse Dumbledore sehen. Dumbledore, hast du verstanden?»
Il mago allora lo afferrò per la giacca fradicia e lo avvicinò a sé. «Perché parli nella tua lingua di merda? Non ci piacciono i crucchi, qui. Tutti pazzi come il loro capo, quel Grindelwald» gli alitò in faccia. Puzzava di alcol e pesce marcio.
«Ehi, lascialo andare» latrò una vociona possente alle sue spalle.
Il mago si voltò con un ghigno, ma quando si trovò di fronte un omone enorme, lasciò immediatamente andare la presa e se ne scappò con la coda tra le gambe. Il ragazzo straniero si sistemò la giacca, poi si voltò verso il suo salvatore.
«Ehi, tu, devi andare da Dumbledore?» gli disse con voce cavernosa la montagna che aveva davanti.
Il povero ragazzo non aveva capito nulla, ma almeno aveva riconosciuto il nome del mago che stava cercando. «Ya, Dumbledore».
«Ah, grad'uomo, sì. Vieni, ti ci porto io» annuì l'omone.
Il ragazzo deglutì, non del tutto sicuro di potersi fidare, ma non aveva altra scelta: almeno quel tipo sembrava conoscere il mago che doveva incontrare. Tentennò un attimo, ma alla fine fece un breve segno d'assenso.
L'omone lo condusse fuori, noncurante della pioggia. Alla luce di un lampione, il giovane straniero notò che il suo accompagnatore, nonostante le dimensioni, non sembrava essere molto più vecchio di lui.
«Ehi, senti, non dire a nessuno di sta cosa, va bene? Non potrei farla» gli disse, estraendo un ombrellino rosa dalla giacca.
«Ich sprache nicht English» provò a dirgli, con aria ingenua.
«Oh, che dici? Io non la capisco la tua lingua. Va be', dai, afferrami il braccio» gli rispose l'omone gioviale, porgendogli il suo enorme avambraccio.
Il giovane lo guardò un po' incerto, poi fece un mezzo sorriso e poggiò la sua mano sul cappotto bagnato.
Il ragazzone batté a terra la punta dell'ombrello un paio di volte e poi si smaterializzarono insieme.
Arrivarono in una strada buia e deserta: l'unico segno di vita erano le finestre illuminate di un pub lungo la via. L'insegna che cigolava al vento freddo della notte recitava le parole: “Testa di Porco”.
«Tu aspetti al pub, ok?» gli disse l'omone, indicando la locanda.
In realtà il ragazzo non capì le sue parole, ma riuscì ad intuirle grazie ai gesti. Fece un beve segno d'assenso con il capo, facendo intendere che aveva capito, poi si diresse a testa china e con le mani in tasca verso il pub, sperando che quel ragazzone fosse in grado di portargli Dumbledore.
Il locale era caldo e fumoso; i pochi avventori se ne stavano chini sui loro boccali di Burrobirra e nessuno sembrò accorgersi dell'arrivo del ragazzo straniero. Dal canto suo, il giovane tedesco andò a sedersi in un tavolino all'angolo, lanciando occhiate in giro. Lo sguardo gli cadde su una capretta che zampettava beatamente in giro per il pub, poi sull'uomo dietro il bancone: una massa di capelli rossi arruffati e una barba piuttosto lunga erano completati da un grembiule lercio. L'uomo sfregava con insistenza un boccale con uno straccio ben più lurido del bicchiere che avrebbe dovuto pulire.
Il giovane decise di non ordinare nulla e sperò che il suo grosso amico arrivasse alla svelta insieme a Dumbledore: non gli piaceva per niente quel posto, né tanto meno i pochi avventori che lo frequentavano.
Finalmente, dopo quella che gli era sembrata un'eternità, l'omone fece il suo ingresso nel pub, seguito da un mago abbastanza alto, asciutto, con indosso una semplice veste turchese. Sul capo aveva un buffo cappello a punta, anch'esso azzurro, che cozzava con i lunghi capelli rossi.
Prima ancora di rivolgersi a lui, il mago lanciò uno sguardo indefinito verso l'uomo dietro il bancone.
«Al» commentò quello in tono piatto.
«Ab» rispose il mago dalla veste turchese.
Il giovane non sapeva se quello fosse una specie di saluto inglese, ma non gli sembrava affatto che tra i due corresse buon sangue.
Dopo una lotta interminabile di sguardi, finalmente il mago si rivolse verso di lui.
«Herr Dumbledore» esclamò il ragazzo, sollevato.
Gli occhi azzurri dell'uomo lo penetrarono a fondo, come se volessero sondare il suo animo. «Hagrid mi ha riferito che lei è qui per parlarmi» disse poco dopo, ma ancora una volta il giovane tedesco non capì nemmeno una parola.
«Ich sprache nür Deutsch» piagnucolò, disperato. Come avrebbe fatto a chiedere a Dumbledore il suo aiuto, se nemmeno potevano capirsi?
Invece il mago sorrise. «Non si preoccupi, io parlo un po' di tedesco» rispose, nell'idioma del giovane straniero.
Il ragazzo parve veramente sollevato nell'udire quelle parole in una lingua che poteva finalmente capire. «Herr Dumbledore, mi chiamo Dankrad Lewish. Sono un ebreo tedesco, un Nato Babbano. Ho bisogno del suo aiuto».






Ecco la seconda parte del racconto! Secondo i miei calcoli, dovrei dividere il tutto in ancora 4 parti, più o meno lunghe come queste... spero che il nuovo personaggio vi sia piaciuto! Vi lascio anche QUI il link di un'immagine che lo rappresenta, disegnata e colorata da me medesima.
Ah, non so quanti di voi apprezzino le frasi in tedesco... le ho inserite per dare un tocco esotico al tutto. Per chi non fosse riuscito a capirle, non temete, non dicono niente di particolare: “Ich müsse Dumbledore sehen” significa “Devo vedere Silente” e “Ich sprache nicht English/ich sprache nür Deutsch” significano rispettivamente “Io non parlo inglese, parlo solo tedesco”.
Un ultima cosa: ho deciso di usare i nomi in versione originale, non per qualche strana velleità, ma semplicemente perché non aveva senso che Dankrad parlasse in tedesco a degli inglesi e chiedesse di vedere “Silente”, quando sia nella versione inglese che in quella tedesca, il nome del preside è Dumbredore.
Prossimo aggiornamento: mercoledì pomeriggio.
A presto e grazie a tutti!
Beatrix



EDIT: continua l'opera di risistemazione dei dialoghi!

   
 
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