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Autore: miss dark    14/02/2011    2 recensioni
Una storia senza cuore, l’aveva definita. Quelle, le ultime ventotto ore della sua vita, erano senza cuore? Rimase qualche minuto in silenzio a riflettere. I suoi pensieri spaziavano dall’odio verso la situazione nella propria casa, alla paura di essere sola in mezzo al nulla e senza nessuna meta. Dalla felicità che le avevano dato le parole del libro di Hans, alla stanchezza che sentiva pervaderle il corpo. Dalla strana conversazione avuta con Danny a quelle inutili e lacunose con Rosalyn. Dalle poche ma importanti risate con Lucy all’assurda voglia di parlare con quell’uomo che ora sedeva davanti a lei osservandola.
Assurdo ed improvviso viaggio di una diciannovenne dalla sperduta Rawlins alla grande ed affascinante San Francisco.
[Prima classificata al concorso "All around the world" di Fe85]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II

Dove Annie parla con la vecchia col gatto e

dove incontra Rosalyn e Tedd, che non sanno bene perché viaggiano.

 

 

Scesa dal bus, Annie sentì il vento gelido della notte di dicembre soffiarle sul viso. Si strinse nel grosso maglione di lana che le avvolgeva il corpo e respirò profondamente l'aria delle quattro del mattino. Sapeva di libertà e di promesse.
Appoggiò il grosso borsone su una sedia vicino alla pompa da benzina; ne estrasse un berretto colorato e malconcio e se lo mise in testa. Richiuse il borsone e si guardò attorno. L'autista del bus si era appena riseduto al posto di guida e stava accendendo il motore. Pochi secondi ed Annie fu sola.
Si guardò attorno: le finestre del piccolo motel erano contornate da luci colorate e sulla porta d'entrata era stata appesa una grande ghirlanda natalizia.
- Già...Natale - sospirò rimettendosi il sacco in spalla e dirigendosi verso l'ufficio del motel.
Aprendo la porta, lo scacciapensieri attaccato al soffitto produsse un leggero tintinnio metallico che attirò l'attenzione della vecchia donna seduta dietro al bancone ed intenta a guardare un film in bianco e nero alla televisione.
- Buonasera! - urlò la donna, per sovrastare il forte volume proveniente dal piccolo televisore. - Dove ho messo il telecomando?! Oh... - Si alzò dalla propria sedia di legno e si guardò attorno, alla disperata ricerca del telecomando per abbassare il volume.
Annie distolse il proprio sguardo dalla vecchia in camicia da notte e notò un grosso e peloso gatto nero beatamente sdraiato sul bancone: sembrava che il volume non lo disturbasse affatto e che, anzi, conciliasse il suo sonno, tanto che, quando la donna ebbe trovato il telecomando ed abbassato il volume, il grosso micio si svegliò e spalancò la bocca in un enorme sbadiglio infastidito.
- Finalmente! - esclamò la donna voltandosi verso Annie. - Mi scusi, ma è così noioso qui, la notte, che non posso fare a meno della televisione. E poi, sa, sono così belli questi film di una volta, sembrano fatti apposta per noi che stiamo svegli di notte. Ah, era così bello Fred Astaire, e bravo, tanto bravo! - disse sognante, sbirciando le immagini che scorrevano sullo schermo. - Ma beh, lei sarà molto stanca, signorina! - esclamò puntando i propri occhi azzurri sulla figura della ragazzina che le stava davanti. Si sistemò i grossi occhiali sul naso ed osservò meglio Annie; notando la sua giovane età cambiò la propria espressione e le chiese: - Quanti anni hai, piccina? Perchè sei in giro alle quattro e mezzo della notte? Non lo sai che... -
- Si lo so - la interruppe Annie scocciata dalle domande della donna. - Voglio una camera solo per qualche ora, diciamo tre. Domattina mi alzerò molto presto e toglierò il disturbo... -
- Nessun disturbo cara, anzi, non è che vorresti chiamare qualcuno? Avvisare che sei qui, magari... - disse la donna, seriamente preoccupata per la ragazza.
- No, non voglio chiamare nessuno. Sono maggiorenne, ho diciannove anni - rispose Annie tirando fuori i documenti dalla tasca. Si avvicinò al bancone per mostrarglieli. - Bene - disse la vecchina. Si girò e prese una chiave dalla grossa vetrina che occupava gran parte della parete. Il resto del muro era riempito da altri addobbi natalizi di cattivo gusto.
- Grazie - disse Annie seccata quando la donna le diede la chiave. Stava per tirare fuori i soldi dal portafoglio, quando la proprietaria del motel la interruppe dicendo che avrebbe potuto tranquillamente pagare la mattina seguente, così, nel caso avesse voluto dormire un po' di più, non ci sarebbero stati problemi. Annie la ringraziò, visibilmente infastidita dalle premure di quella donna.
- La prima a sinistra, appena salite le scale! Buonanotte cara! - urlò la vecchia, mentre Annie saliva le scale.
- Che seccatura - sussurrò la ragazza avvicinandosi alla stanza numero 5. Infilò la chiave nella toppa ed entrò nella camera. Metà di essa era occupata da un letto con una grossa coperta marrone, dall'aspetto molto vecchio e polveroso. Di fronte al letto, sulla destra, un piccolo mobiletto, sormontato da un bruttissimo quadro dal tema marinaresco, completava il povero arredamento. Sul comodino affianco al letto, un orribile Babbo Natale luminoso salutava con la mano e sorrideva allegramente.
- Ma fottetevi tutti quanti - disse Annie lasciando cadere il borsone accanto alla porta. - Che supplizio il Natale - continuò avvicinandosi al letto e sedendosi; le molle del materasso scricchiolarono, nonostante l'estrema leggerezza del suo corpo, - inutile come poche cose al mondo - concluse sfilandosi uno degli stivali neri. Si tolse anche l'altro e si infilò sotto le coperte, schifata dall'idea di entrare in contatto con chissà quanti germi, ma obbligata dal gelo che regnava in quella stanza.
Tastò la tasca dei jeans e ne estrasse un vecchio cellulare. Dodici messaggi e ventisei chiamate perse: mamma, mamma, mamma, mamma, Gina: Dove cazzo sei? Ti cerca mezzo mondo!, mamma, mamma, Anthony: Dove sei andata a finire? Gina dice che te la sei filata, mamma, mamma, mamma, Gina: Sei la solita stronza, te la batti senza di me e mi lasci nella merda. Vaffanculo.
- Che coglioni - disse posando il cellulare sul comodino, affianco alla lampada-Babbo Natale. - E tu che cazzo ti ridi?! - gli chiese, innervosita dalla sua luce arancione. Si voltò dall'altra parte e ripeté tra sé e sé: - Che cazzo ridi... - Strinse i pugni attorno alla coperta e chiuse gli occhi, cercando di eliminare dalla propria mente le immagini di quel pomeriggio.
Le urla di suo padre rimbombavano nella sua mente stanca e le grida di sua madre le perforavano i timpani, nonostante nella camera vi fosse un silenzio perfetto.
Lei che faceva le valigie e che subiva gli insulti di sua sorella, la quale, piangente, la pregava di non andarsene. Non ne posso più!, aveva gridato lei, sbattendosi la porta d'ingresso alle spalle e lasciandosi dietro una famiglia in pezzi e sull'orlo del crollo, incapace di attendere un minuto di più il momento giusto per andarsene, noncurante della disperazione di sua madre e della situazione in cui lasciava sua sorella Gina.
- La vita è mia, non posso rovinarmela per lei - si disse, cercando di convincersi che aveva fatto la cosa giusta.
Si sdraiò sulla schiena e riaprì gli occhi, concentrandosi a contare le crepe sul soffitto, pur di non ripensare alla scelta che aveva fatto.
Di cosa hai paura, Annie?, le aveva chiesto il ragazzo sul bus, Danny.
- Di cosa hai paura, Annie? - si ripeté. - Di cosa hai paura? Di cosa hai paura? - sussurrò a fil di labbra, riflettendo. - Di loro - si rispose, pensando a sua madre, sempre così distante ed occupata a prendere dalla vita tutto ciò che poteva, senza preoccuparsi più di tanto del futuro delle sue figlie; e al suo nuovo padre, così perfetto e montato, così splendido e forte da sentirsi in grado di sostituire un padre fuggito via ed una madre assente.
Secondo me stai scappando dal tuo futuro. - Io il futuro me lo costruisco da sola. Io il futuro me lo creo, non voglio quello che loro hanno pensato per me - sussurrò ripensando a tutte le domande che aveva fatto alle varie università dello stato e a tutte le risposte negative che aveva ricevuto; a tutte le sbornie per dimenticare la tristezza e a tutte le serate squallide passate con Anthony, quel ragazzo così poco affidabile e irresponsabile, da poter essere il ragazzo perfetto con cui distruggersi il futuro e corrompersi l'animo.
Il cellulare vibrò sul comodino. Annie lo afferrò e lesse il messaggio. Gina: Io non l'avrei mai fatto. Sei un'egoista.
Annie spense il cellulare e si rannicchiò sotto le coperte, allontanando dalla mente voci, visi e parole.

 
La mattina dopo, quando aprì gli occhi, non era ancora sorto il sole. Si era svegliata perchè doveva andare in bagno e decise di partire subito, nonostante fosse molto stanca ed infreddolita. Si alzò dal letto ed infilò gli stivali. Si sciolse i capelli e li ravvivò velocemente, passandosi le mani tra le corte ciocche nere. Riprese il borsone ed uscì dalla stanza, lasciando volontariamente il cellulare sul comodino. Richiuse la porta con due mandate e si diresse verso il bagno del motel, situato al fondo del corridoio.
Il pavimento era sporco e le pareti, piastrellate di azzurro, erano piene di scritte volgari. Entrò in uno dei tre bagni e, uscendone, si scontrò con un'altra ragazza che si stava dirigendo verso i lavandini.
- Scusa, non ti ho vista - disse Annie aggiustandosi la sciarpa attorno al collo.
- Tranquilla - rispose quella con un tono di voce calmo e profondo.
Annie sollevò lo sguardo sul suo viso e notò che era bellissima. Aveva i capelli castani cortissimi e gli occhi blu; le labbra erano carnose e pronunciate, grazie al rossetto rosso e luminoso.
- Tutto a posto? - chiese quella, sentendosi osservata.
- Sì, scusa - rispose Annie distogliendo lo sguardo da lei ed avvicinandosi alla porta.
- Convinta tu - concluse l'altra, guardandosi allo specchio e sistemandosi il trucco.
Annie uscì ed andò al piano di sotto, dove la vecchina di poche ore prima si era assopita sulla sedia, con il gattone sulle ginocchia. Sentendo le scale scricchiolare, la donna si svegliò di soprassalto, spaventando il gatto, che, impaurito dal movimento improvviso della donna, sgattaiolò via dalla stanza, andando nel retro dell'ufficio.
- Oh, buongiorno signorina! - esclamò, sistemandosi gli occhiali sul naso, con lo stesso gesto che, già la sera prima, aveva infastidito Annie. - Hai dormito bene? - chiese.
- Certo, certo. Sono tre ore e mezzo, giusto? - chiese, guardando il piccolo orologio da tavolino sul bancone. Indicava le otto del mattino.
- Già - confermò la signora, capendo che la ragazza non era un tipo di molte parole. - Sono quindici dollari e sessanta.-
Annie le diede una banconota da venti dollari e, preso il resto, salutò la signora ed uscì dal motel, prima che questa potesse farle altre fastidiose domande per impicciarsi nella sua vita privata.
Fuori, il cielo si stava rischiarando e il vento aveva cessato di soffiare.
La ragazza fece qualche passo verso il bordo della strada desolata. Diede un'occhiata all'orizzonte e scoprì che il sole stava lentamente sorgendo. La luce era di un colore meraviglioso, arancione e viola allo stesso tempo, così forte da far sembrare le montagne semplici ritagli di cartone incollati al cielo. Annie spostò la testa verso l'altro capo della strada, dove il blu della notte era ancora profondo e sospirò pensando che quella era l'alba del primo giorno d'indipendenza. Allargò le braccia e lasciò cadere il suo sacco per poter respirare a pieni polmoni quell'aria densa di energia e di emozioni pronte a schiudersi nel suo cuore eccitato e, allo stesso tempo, spaventato da ciò che di più imprevisto la aspettava. Si lasciò avvolgere dalla luce del sole nascente, ancora pallida e tiepida, ma ricca di forza. Non aveva pensieri, in quel momento; la sua mente era libera da ogni ricordo, da ogni sensazione negativa. Sentiva solo il suo corpo respirare.
Riaprì gli occhi e si spaventò vedendo al suo fianco due alte figure.
- Che ti sei calata? - chiese la più magra delle due.
- Come? - chiese Annie stupita.
- Che cazzo stai facendo, non lo vedi che sei in mezzo alla strada! A momenti ti ammazzano - rispose sempre la stessa persona.
- Ah...già. Grazie - replicò, incapace di trovare altre parole.
- Ma tu sei quella del bagno, giusto? - chiese l'alta figura.
Annie, allora, riconobbe la ragazza con cui si era scontrata pochi minuti prima.
- Si, sono io. -
- Ma sei sicura di star bene? Anche prima sembravi strana. Ti sei fatta? -
- Eh? No, no. Io non... -
- Senti, Rosy, chi cazzo è 'sta tipa? Ce la dobbiamo portare dietro o cosa? - chiese la persona affianco alla ragazza, un uomo estremamente magro e stretto in un giaccone molto più grande di lui.
- Non so - gli rispose lei. Poi, rivolgendosi ad Annie, le chiese se avesse bisogno di un passaggio.
- Non ho un posto preciso in cui andare... - rispose la ragazza, stranita dalla situazione e dalla confidenza di quei due sconosciuti.
- Beh, noi andiamo a Los Angeles. Puoi scendere quando vuoi, ma ti consiglio di venire con noi, perchè non so quanta gente passi di qui e non so per quanto tempo tu sia disposta a stare ad aspettare sul ciglio della strada. -
Annie rifletté un attimo sulle alternative che aveva e si rese conto che quella era l'unica possibilità di continuare il suo viaggio.
- Ok, grazie - disse, infine.
- Perfetto, allora andiamo - disse la bellissima ragazza, indicando un'auto dalla vernice blu mezzo scrostata. - Non è il massimo, ma funziona - assicurò avviandosi verso la macchina. - Siamo partiti da Chicago due giorni fa. Io sono Rosalyn e lui è Tedd. -
- Io sono Annie - disse Annie, salendo sul sedile posteriore.
- E da dove vieni? - chiese Rosalyn, voltandosi verso la ragazza ed osservandola con curiosità.
- Rawlins. -
In quel momento Tedd mise in moto la macchina e, con una manovra poco delicata, si rimise sulla strada, obbligando la sua ragazza a sedersi compostamente.
- Cazzo Tedd, fai occhio. Non voglio morire perchè tu sei un incapace - gridò lei con un tono piuttosto alterato.
- Oh, se vuoi guidare tu, liberissima. E' da ieri che sto io al volante e mi sono anche stancato. -
Lei lo liquidò con un gesto stizzito della mano e si rigirò verso Annie, un po' preoccupata a causa della retromarcia del ragazzo.
- Non ti preoccupare, in realtà guida benissimo. E' solo un po' stronzo, ma poi gli passa. Dicevi che vieni da... -
- Rawlins, nel Wyoming. -
- Dev'essere estremamente piccola, perchè io e Tedd giriamo l'America da un sacco di tempo e non ci siamo mai passati, o sbaglio? - chiese al ragazzo al volante.
- No, non ci siamo mai stati, però io avevo una qualche zia del Wyoming... - rispose lui, già dimentico del piccolo battibecco di prima.
- Beh, è perchè sei andata via? - chiese Rosalyn.
Annie le lanciò uno sguardo torvo ed eloquente.
- Scusa, dimentico sempre che dovrei contenere la mia curiosità quando si tratta di autostoppisti. Non vogliono mai farti sapere perchè sono in viaggio - osservò lei sorridendo.
- Voi perchè siete in viaggio?- chiese Annie dopo qualche minuto di silenzio.
- Beh, noi ci siamo conosciuti...tre anni fa, giusto?- chiese Rosalyn a Tedd.
Lui annuì e lei proseguì: - Una sera eravamo fuori da un locale che fumavamo e ci siamo resi conto che la nostra vita non faceva per noi. Così abbiamo fatto i bagagli e abbiamo iniziato a viaggiare. Così, senza una meta ben precisa. Abbiamo un solo punto fissò: a Natale, si torna a casa. Giusto per far sapere che siamo vivi, sai, per passare le feste con gli amici e la famiglia. -
- Già...il Natale - sussurrò Annie.
Rosalyn notò la sua espressione triste e pensierosa e tenne a precisare che nemmeno lei amava più di tanto quella festa, ma che si trattava di una promessa che aveva fatto a sua madre molto tempo prima, riguardo al fatto che sarebbe sempre tornata a casa a festeggiare il Natale, qualunque cosa fosse successa.
- Quindi voi non avete un vero motivo per viaggiare - osservò Annie.
Tedd rise sommessamente e Rosalyn lo guardò, ridendo anche lei.
- Certo che lo abbiamo! - esclamò - Viaggiamo perchè vogliamo viaggiare. Stiamo aspettando di trovare il posto giusto e il momento giusto per fermarci. Una volta c'eravamo quasi. Eravamo al confine col Messico e sentivamo che era il posto giusto per fermarsi e sistemarsi, mettere su famiglia, sai, quelle cose tipiche del sogno americano. Ma poi abbiamo incontrato una ragazza come te, forse un po' più giovane, che ci ha chiesto un passaggio. E così, boh, non sappiamo bene nemmeno noi perchè le abbiamo detto di sì. Forse perchè non era davvero il posto giusto o forse perchè il nostro ruolo... -
- Non ricominciare con le cazzate del nostro ruolo nel mondo e tutto il resto, per favore! - la interruppe Tedd.
- E invece sì! Perchè dev’esserci un motivo per cui, quella sera tu mi hai detto "Dobbiamo viaggiare!". Deve esserci, Tedd, ammettilo. Devi aver sentito qualcosa! - disse lei, infervorata dalla discussione.
- No, Rosy, non c'era! Questo è il bello, non c'era! Se avessi dovuto pensarci su, non l'avrei mai detto. E poi che cazzo di destino è girare per le strade d'America e caricare su le persone?! Non voglio farlo per tutta la vita! - disse lui, guardando alternativamente la strada e Rosalyn.
- Non per tutta la vita, ma per tre anni sì. E magari anche per altri tre e poi altri tre e poi altri tre. Che ne sai? - chiese lei, sfidandolo.
- Lo so, Rosy, lo so. Lo so perchè io sono stanco di gironzolare. Voglio qualcosa di più - rispose lui, spiazzando Rosalyn, che evidentemente non si aspettava una risposta così seria.
Piombò il silenzio all'interno della macchina. Gli unici suoni erano quelli del motore e delle ruote che continuavano a girare sull'asfalto. Annie spostava il suo sguardo dal ragazzo alla ragazza, che aveva assunto un'espressione seria e pensierosa.
- Non è grave, Rosy. E' solo ora di cambiare - disse lui premurosamente, mettendole una mano sulla gamba.
- No, non è grave, hai ragione. Ma non a Los Angeles. -
- Cosa? - chiese lui.
- Non voglio fermarmi a Los Angeles. Dobbiamo trovare il posto giusto - rispose lei. La sua voce era incrinata e non più tanto calda e profonda, come Annie l'aveva sentita mezz'ora prima.
- Non esiste il posto giusto, Rosy, esiste un posto. Se decidiamo che è quello giusto, lo sarà. -
- Va bene, ma non a Los Angeles - insistette lei, alzando la voce.
- Cazzo, Rosy, ok, non a Los Angeles, ma non fare la psicotica con me! -
- Non faccio la psicotica, Tedd, sai quanto odio quella città! -
Annie si chiese che tipo di città fosse Los Angeles. Non aveva ancora deciso dove era diretta e doveva trovare la sua città, come le aveva detto Danny. Doveva sentire qual era la sua città, ma non poteva sapere se Los Angeles lo era o meno, se non ne conosceva nemmeno le caratteristiche. Per cui interruppe la discussione dei due ragazzi e chiese: - Che città è, Los Angeles?-
I due smisero di gridare e Tedd guardò Annie attraverso lo specchietto retrovisore. - Los Angeles è grande. Enorme - disse.
- Ti inghiotte, ti invischia nel suo turbinio e non ti molla più - aggiunse Rosalyn.
- Esatto. Forse è anche per questo che siamo partiti - concluse Tedd.
- Perchè lo chiedi?- chiese la ragazza, voltandosi verso Annie.
- Perchè sto cercando di scoprire dove voglio andare. -
- Non a LA. Fidati. Puoi visitarla, ma non viverci. Io te lo sconsiglio. -
- Anche io - disse il ragazzo, come se avesse voluto rassicurare Rosalyn sulle sue scarse intenzioni di tornare a viverci.
- Grazie - disse lei, sporgendosi verso di lui per baciarlo. Poi si risedette al suo posto ed accese la radio.
- Spero che ti piacciano i Nirvana, perchè Tedd ascolta solo quelli - disse ad Annie inserendo un cd nel lettore e sorridendo.
La ragazza non si curò di rispondere e appoggiò la testa al finestrino. Lasciò che il suo sguardo vagasse all'esterno della macchina, esplorando il paesaggio, ormai del tutto illuminato dalla luce stranamente forte di un tiepido sole di dicembre.
Distolse lo sguardo dal finestrino, annoiata dalla monotonia del paesaggio e decise che quello era il momento giusto per leggere poesie. Estrasse dal proprio borsone il libro che il vecchio Hans le aveva regalato e lo aprì a caso. I wander all night in my vision, lesse; pensò che non poteva esservi inizio migliore per una poesia letta durante un viaggio.





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Davvero grazie a tutti coloro che hanno commentato o inserito in liste varie o anche solo letto.
Rinvio i ringraziamente più approfonditi ai prossimi capitoli, perchè non mi sembra il caso di infarcire la storia di "grazie, mille!" o cose del genere.
Al prossimo capitolo,
Miss Dark
  
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