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Autore: nefert70    16/02/2011    1 recensioni
Il racconto della vita di Anna d'Este, duchessa di Guisa e di Nemours, che ha ispirato il personaggio della principessa di Cleves di M.me de La Fayette.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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- Questa storia fa parte della serie 'Anna'
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Dalla partenza del fratello per il suo nuovo regno, la salute del nostro re Carlo peggiorò.  A Natale del 1573 prese a sputare sangue, i medici consigliavano riposo e tranquillità, ma la cosa era resa impossibile dalle continue cospirazioni.
Gli ugonotti cercarono nuovamente di impossessarsi della persona del re e alle due di una fredda mattina di febbraio la corte partì per rifugiarsi al castello di Vincennes, il re venne trasportato in lettiga.
Carlo IX appena raggiunse a Vincennes si mise a letto per non alzarsi più.
Tutte queste notizie mi scriveva la regina madre Caterina nelle sue lettere e mi informava che non si riusciva a fargli abbassare la febbre anche se i medici assicuravano che non ci fosse pericolo di vita.
Tra le righe leggevo l’illusione di una madre che non  vuole rassegnarsi alla morte di un figlio, comprendevo la sua ansia e il suo dolore ma il 30 maggio anche lei dovette arrendersi all’evidenza.
La regina Caterina era alla messa quando venne avvertita del peggioramento del re, lo raggiunse immediatamente e venne investita del titolo di reggente fino al rientro del re di Polonia, poi nel pomeriggio, a soli ventiquattro anni, moriva re Carlo IX.
Raggiunsi la regina Caterina non appena seppi la notizia e le rimasi accanto fino a quando non seppellimmo il re.
La regina subito dopo la morte del figlio fece prelevare il re di Navarra e il duca d’Alencon e li fece condurre a Parigi sotto la più stretta sorveglianza ed inviò immediatamente numerose staffette ad avvertire l’ultimo figlio rimastole, Enrico d’Angiò re di Polonia.
La bara di re Carlo IX fu trasferita da Saint-Antoine des Champs a Notre-Dame e da qui dopo un magnifico funerale, a Saint-Lazare  e poi a Saint-Denis per essere sepolto accanto ai suoi predecessori.
Durante tutto questo tempo, il fratello del re fuggiva dalla Polonia e raggiungeva l’Austria per poi attraversare le terre d’Italia ed infine giungere in Francia.
La regina Caterina andò incontro al figlio e lo incontrò a Bourgoin e da lì insieme raggiunsero Lione.
Io ero rientrata ad Annecy a metà agosto dove avevo ritrovato mio marito e i miei figli.
Giacomo erano anni che non frequentava più la corte, preferiva vivere nei suoi castelli, attorniato dai suoi libri e dai nostri figli, ma c’erano occasioni a cui non si poteva sottrarre e quindi raggiungemmo la corte e il nostro nuovo re  a settembre, per offrirgli il nostro dovuto omaggio.
Durante l’avvento, che Enrico III, come aveva voluto chiamarsi, volle festeggiare ad Avignone, il cardinale di Lorena cadde malato. I miei figli lo accudirono amorevolmente giorno e notte ma il 23 dicembre la regina mi avvertiva che i medici non davano più speranze, mi misi in viaggio e il 26 dicembre il cardinale spirava, ricordo che quel giorno ad Avignone si alzò un vento così forte che mai ne avevo visto uno simile.
La mia famiglia Guisa fu molto afflitta da questa perdita, per i miei figli fu come perdere nuovamente il padre, infatti, dalla morte di Francesco, il cardinale lo aveva sostituito in tutto ed era lui il capo supremo della famiglia, ora toccava all’altro mio cognato prendere le redini, il cardinale di Guisa.
Il 13 febbraio 1575 a Reims avvenne l’incoronazione del re, nei giorni precedenti ci furono un po’ di problemi per l’organizzazione del corteo, infatti, mio figlio Enrico, duca di Guisa non voleva cedere il passo al cognato, duca di Montpensier.
Alla fine mio genero dovette arrendersi anche  e soprattutto per volontà del re e credo che anche questo incidente abbia influenzato le future scelte del duca di Montpensier.
Questo incidente fece riflettere mio marito sulla precedenza tra i miei figli di primo letto ed i nostri.
Giacomo in quanto principe di Savoia aveva sempre avuto la precedenza su Francesco di Guisa ma non aveva mai permesso che il suo amico gli cedesse il passo ed ora i nostri figli avrebbero avuto la precedenza sui miei figli Guisa. Giacomo analizzò la questione e alla fine decise di regolarla per non creare attriti tra i miei figli e ordinò che per primo passasse sempre Enrico di Guisa, seguito da Carlo Emanuele futuro duca di Nemours, a sua volta seguito da Carlo di Mayenne ed infine da Enrico di Saint-Sorlin.
All’interno della bella cattedrale di Reims la corte scintillava di diamanti e abiti sontuosi e i cortigiani parlottavano della prossima cerimonia, il matrimonio del re. Tutti si aspettavano che a poco ci sarebbe stato l’annuncio e molti pronosticavano  la lista delle candidate, ma nessuno poteva aspettarsi quello che accadde.
La regina Caterina nei giorni precedenti mi aveva confidato che il figlio le aveva già annunciato l’intenzione di sposarsi e la cosa l’aveva resa felice fino al momento di conoscere il nome della sposa, Luisa di Lorena-Vaudemont.
La regina era sconvolta e arrabbiata per questa scelta così bassa per un re di Francia, quando me ne parlò cominciò ad alzare la voce arrivando quasi ad urlare “Una Lorena, il re di Francia che sposa una semplice duchessa. Può aspirare alla mano di una principessa delle più grandi faglie reali. Ma lui vuole sposare Luisa di Lorena”.
La bella Luisa era figlia di Nicola di Vaudemont che in seconde nozze aveva sposato la sorella di Giacomo, Giovanna di Savoia che era morta sei anni prima.
Il mio orgoglio prese il sopravvento, Luisa era la figliastra di mia cognata che l’aveva allevata come una figlia e una lontana cugina dei miei figli Guisa, come si permetteva la regina di umiliare così la mia famiglia?
Le risposi solamente “Voi eravate solo la figlia di mercanti fiorentini”, Caterina tacque, gli occhi brucianti di rabbia, poi quando cominciai a temere il peggio, la vidi acquietarsi “Spero solo che lo renda felice” fu la sua risposta e mi congedò.
Due giorni dopo la solenne incoronazione di re Enrico III avvenne il matrimonio. Il corteo era così lungo che arrivò alla cattedrale solo alla sera e mio cognato, il cardinale di Guisa, era in attesa di celebrare la cerimonia fin dal mattino.
Subito dopo le nozze ricevemmo l’ennesima brutta notizia, la figlia della regina, sorella del re, Claudia era morta. La regina madre ne fu naturalmente distrutta e io le fui accanto facendomi in qualche modo perdonare per l’avventatezza della mia risposta.
Ad inizio di giugno ricevetti la notizia che mia madre era molto malata, la raggiunsi immediatamente e le rimasi accanto fino al suo ultimo respiro, il 12 giugno 1575.
Nonostante comprendessi molto bene il  peso di ciò che stavo per compiere non potevo sottrarmi dal rispettare i desideri di mia madre e quindi feci approntare il funerale nel modo riformato, il corpo fu disposto su una semplice tavola di legno senza ceri ai lati, le tende aperte e nessun prete o acqua santa.
Poi comunicai la notizia ai miei fratelli, al re e alla regina Caterina ma grazie alla lentezza dei corrieri potei far seppellire mia madre secondo il suo desiderio, posso solo dire che è sepolta nel castello ma per evitare profanazioni neppure io so dove.
L’inviato di mio fratello giunse troppo tardi e poté solo usare un simulacro per la sontuosa camera funeraria che mio fratello aveva ordinato.
Il re fece celebrare una messa a Parigi il 18 di giugno e mi invio una lettera affettuosa ignorando totalmente il mio affronto alla religione cattolica.
La regina madre invece mi scriveva tutti i giorni e mi fu assai di conforto.
La mia vita era costellata di morti, ad ogni persona che perdevo il mio cuore si spezzava, ero convinta che non avrebbe più retto al dolore e invece ancora molti lutti dovevano colpirmi e far sanguinare il mio cuore.
Re Enrico non era il sovrano di cui la Francia aveva bisogno, questo lo capivo io e soprattutto mio marito Giacomo, anche se era lontano dagli intrighi della corte ne seguiva le vicende e il suo cuore soffriva nel vedere la Francia dilaniata dalle continue guerre fratricide.
L’ultimo complotto in ordine di tempo fu quello del duca d’Alencon, Francesco Ercole ultimo figlio maschio della regina Caterina e del defunto re Enrico II
Francesco Ercole, sia per il suo aspetto, sia per la scarsa intelligenza, era stato sempre tenuto in scarsa considerazione sia dai fratelli e soprattutto dalla madre.
Ciò aveva fatto nascere in lui la gelosia e il desiderio di rivalsa.
La madre, infatti, alla morte di re Carlo IX lo aveva fatto tenere sotto stretta sorveglianza insieme al cognato re di Navarra ma Francesco da parte sua nonostante l’atto di fedeltà proclamato nei confronti di suo fratello Enrico III continuava a complottare contro i suoi familiari.
L’ultimo atto fu quello di mettersi alla testa della rivolta dei malcontenti, nobili sia cattolici sia ugonotti scontenti della politica del nuovo re.
Tra questi era presente anche mio genero il duca di Montpensier, che non aveva perdonato al re l’umiliazione durante l’’incoronazione.
Re Enrico chiese il sostegno di mio marito e gli invio una lettera scritta di sua mano in cui gli chiedeva di sostenerlo nonostante i passati dissapori.
Giacomo confermò la sua fedeltà, il sostegno alla corona e al suo re.
Il suo cuore però lo conoscevo solo io e sapevo che il nuovo re non aveva la sua approvazione, dopotutto come poteva averla un re che si presentava alle feste in abiti da donna, il collo cinto da collane di perle e attorniato da “favoriti”?
Nonostante tutto era l’erede della valorosa casata dei Valois e Giacomo, gli restò fedele come lo era stato ai suoi predecessori.
La regina madre era disperata, mi scriveva “è il più grande dispiacere che abbia avuto dalla morte del re”. La comprendevo, oltre alla lotta tra cattolici e ugonotti ora si combattevano anche i suoi stessi figli.
Per fortuna il 21 novembre 1575 nel castello di Champigny fu conclusa una tregua.
Io continuavo il mio andirivieni tra la corte ed Annecy, Giacomo, quando la salute gli è lo permetteva, mi accompagnava  anche perché re Enrico lo aveva voluto nel suo consiglio privato ed ora, stranamente, ne ascoltava i consigli.
Dalla morte di mia madre era cominciata la disputa con i miei fratelli per la divisione dell’eredità. Renata di Francia aveva lasciato tutti i suoi domini in territorio francese a me e questo aveva scatenato le ire di mio fratello Alfonso poiché i beni erano molti e molto redditizi. Negli otto anni successivi, i tribunali di Francia e Ferrara si alterneranno in sentenze contraddittorie.
Il 24 ottobre 1575 ricevemmo una lettera dalla regina Caterina che ci annunciava la vittoria di mio figlio Enrico di Guisa a Dormans ma anche il suo ferimento: Enrico nella foga della battaglia aveva ricevuto una ferita che dalla bocca gli arrivava all’orecchio ed era stato trasportato immediatamente alla dimora dello zio insieme al fratello marchese di Mayenne.
Immediatamente cominciarono le mie angosce, ma la salute del mio sposo mi impediva nuovamente di correre al capezzale dei miei figli, per fortuna le lettere di mio cognato mi rassicurarono che la ferita stava guarendo bene e anzi questa nuova prova aveva rafforzato ancora di più il suo carattere.
A metà novembre comunque li raggiunsi e trascorsi un po’ di tempo con loro ritrovando l’antica armonia e complicità che negli ultimi anni avevamo perso, trascorremmo molto tempo in lunghe cavalcate e quando il tempo non lo permetteva facevamo musica.
Il tenore di vita dei Guisa era sempre stato molto dispendioso ma ultimamente Enrico stava facendo spese folli che impensierivano me e anche mia suocera Antonietta di Borbone, ricorremmo all’ascendente di Giacomo sul duca di Guisa e per un po’ le cose furono sistemate ma poi purtroppo peggiorarono divenendo la croce della mia vecchiaia.
Il 1576 portò un nuovo matrimonio nella mia famiglia, Carlo marchese di Mayenne il 6 agosto 1576 sposò Enrichetta di Savoia marchesa di Villars, vedova e con sei figli. Mia suocera era contraria a queste nozze ma la cospicua dote di 100.000 livree la misero a tacere.
Prima di fine anno un’altra prova terribile doveva colpirci, il duca di Savoia prese in ostaggio il nostro figlio maggiore Carlo Emanuele e lo portò con se a Torino quale garanzia di fedeltà da parte di Giacomo. Era, infatti, accaduto che la Svizzera aveva restituito dei territori al duca di Savoia su cui Giacomo riteneva avere dei diritti.
Per Giacomo fu un duro colpo la separazione dal suo figlio maggiore ma per me fu ancora peggio, ero già lontana dai miei figli Guisa, non potevo accettare di essere allontana anche dai miei figli minori.
Fino al luglio 1577, quando Carlo Emanuele fu lasciato tornare ad Annecy, io passavo il tempo tra Torino, Parigi ed Annecy affaticando il mio già scosso fisico.
A marzo del 1578 morì anche l’ultimo dei fratelli del mio defunto marito, il cardinale luigi di Guisa.
Per mio marito fu un colpo terribile, moriva anche l’ultimo dei suoi amici di gioventù con cui aveva trascorso molte serate brillanti e con cui aveva condiviso sogni e delusioni. Mio cognato aveva quarantotto anni, mio marito quarantasette e una salute pessima.
Giacomo per consolarsi della perdita, decise di costruire un palazzo sulle rive del lago di Annecy per il nostro figlio minore.
Il 1579 durante un viaggio nel sud della Francia Giacomo ebbe l’ennesima ricaduta di gotta, dovemmo trasportarlo d’urgenza a Verneuil e qui tememmo il peggio, per fortuna la sua volontà e il suo corpo risposero alle cure e si ristabilì.
Negli anni successivi Parigi lo vide poco, Giacomo aveva compreso che l’aria e la vita di corte non si confacevano più alla sua salute, trascorse i suoi ultimi anni tra Torino e Annecy.
Nel frattempo a Torino nell’agosto 1580  il duca di Savoia Emanuele Filiberto era morto e gli era succeduto il figlio, Carlo Emanuele.
Nel 1577 il figlio di Françoise de Rohan era stato catturato da mio figlio  Mayenne. La corte temette il peggio, pensavano che potessi approfittare dell’occasione per far sopprimere questo figlio scomodo, come mi conoscevano poco. Volevo risolvere la situazione, ma  sicuramente non macchiandomi di un delitto.  Agli inizi del 1579 avevo aperto  una trattativa con i Rohan e nel 1580 comprai i diritti degli aspiranti al gran priorato d'Alvernia dei Cavalieri di Malta e li cedetti al giovane ottenendo in cambio la sua rinuncia a portare il nome e le armi di Nemours.  All’inizio il piano sembrava difficilmente realizzabile perché il giovane era protestante ma trovai la soluzione anche a questo, appoggiata da A. Dandini, nunzio apostolico in Francia, riuscii ad ottenere nel 1581 le formule di assoluzione per il ragazzo.
Sperai che avendo risolto la delicata questione di questo figlio “illegittimo” avrei alleviato un po’ le sofferenze del mio sposo ma capii, in più di un’occasione che Giacomo viveva le sue sofferenze fisiche come la punizione alle follie di gioventù e che quel giovane avrebbe sempre avuto una parte importante nei suoi tristi pensieri.
Il 24 settembre 1581 a Parigi si sposò la nipote di mio marito, Margherita di Lorena-Vaudemont, sorellastra della regina. Le feste durarono un mese, fu lo stesso re che condusse la sposa all’altare e volle organizzare il corteo e disegnare gli abiti, proprio come aveva fatto per il suo matrimonio. Il re ordinò anche che tutti i principi dessero a turno una festa e che gli invitati dovessero sempre indossare un abito nuovo. In quei giorni a Parigi le spese furono folli.
Nello stesso periodo ricevetti la notizia che mia sorella Eleonora era morta. Forse per punirmi di aver fatto seppellire nostra madre da ugonotta o forse a causa  dell’eredità di nostra madre ma Eleonora lasciò tutta la sua fortuna a nostro fratello Luigi, cardinale d’Este.  Sul momento non detti peso alla cosa, ma quando, alla morte del cardinale, anche lui mi diseredò, allora intentai un processo contro l’erede, mio fratello Alfonso.
I lutti sembravano succedersi a cadenza annuale, esattamente un anno dopo il 23 settembre 1582 morì mio genero, Luigi di Montpensier.  Il 20 gennaio 1583 morì mia suocera  Antonietta di Guisa, fu un dolore immenso, era morta la mia seconda madre e per la mia famiglia Guisa un’altra perdita incolmabile.
Il 1585 portò un importante matrimonio, il duca di Savoia Carlo-Emanuele si sposò il 18 marzo a Saragozza con l’infanta Caterina Michaela, figlia del re Filippo II di Spagna e della sua terza moglie la principessa Elisabetta di Valois.
Il duca di Savoia nel suo viaggio per la Spagna raggiunse prima Chambery dove trovò ad attenderlo Giacomo e nostro figlio maggiore Enrico e da lì ad Annecy.
Il duca chiese quindi al mio sposo di accompagnarlo per il resto del lungo viaggio e Giacomo fu felicissimo di accettare, purtroppo non aveva fatto i conti con la sua salute che sembrava impedirgli le cose che amava di più.
Poco prima della partenza una ricaduta modificò il programma, Giacomo decise che nostro figlio Enrico lo avrebbe sostituito accanto al re ed io lo avrei accompagnato.
Devo ammettere che nonostante la preoccupazione per la salute del mio sposo fui molto felice di quel viaggio, avevo sempre desiderato vedere la Spagna e un matrimonio reale era sempre una bella occasione.
Quando vidi la sposa per la prima volta mi sembrò di rivedere la principessa Elisabetta, la stessa bellezza bruna e delicata, ma nel suo sguardo notai la stessa determinazione e forza di carattere della nonna, Caterina de Medici.
Finite le feste mio figlio ed io ritornammo ad Annecy.
La regina Caterina mi scriveva chiedendomi notizie sulla nipote e sul matrimonio e mi sollecitava a tornare a Parigi, ma io tergiversavo.
Dalla nostra partenza Giacomo non si era più alzato dal letto, lo ritrovai debole, stanco ma per fortuna con la mente sempre vivace.
I medici purtroppo non ci davano più molte speranze e Giacomo ne era consapevole, nei mesi successivi i miei figli ed io trascorremmo interi pomeriggi seduti accanto al suo letto, ascoltando le sue raccomandazioni.
Un pomeriggio, giugno era giunto e aveva portato il suo sole caldo che ci permetteva di aprire le finestre e far filtrare i suoi raggi fino al letto di Giacomo, il mio sposo ci chiese di sederci tutti e tre sul letto e poi prendendo le mani dei nostri figli cominciò: “Voi e la vostra amatissima madre siete state le gemme più preziose della mia vita. Il lasciare questo mondo mi è triste non per il perdere le cose terrene ma solo per il lasciare voi.
Avrei tanto voluto accompagnare ancora i vostri passi nel mondo, partecipare alle vostre conquiste militari, al vostro matrimonio, conoscere i miei nipoti. Purtroppo il destino ha deciso diversamente. Voi non dovrete piangere, questa è la vita, si nasce e si muore. Prima è toccato ai miei genitori, ora tocca a me e un domani toccherà a voi. Questa è la vita.
Vi raccomando solo di continuare a studiare e servire Dio. Siate sempre obbedienti e devoti a vostra madre, ascoltate i suoi consigli perché so che vi consiglierà sempre per il bene.
Siate sempre consapevoli delle vostre azioni e siate di esempio per gli altri.
Quando sarete in età di sposarvi, mi raccomando, scegliete una brava donna cattolica e siategli sempre fedeli e devoti come io lo sono stato a vostra madre.”.
Già dalle prime parole di Giacomo le lacrime avevano cominciato a scorrere sulle guance di tutti e quattro, quando lui tacque si sentivano solo i singhiozzi dei nostri figli.
“Figli miei ora andate, lasciatemi solo con vostra madre.” Continuò Giacomo dopo un lungo silenzio.
Quando i due fanciulli furono usciti mi prese la mano e se la portò alle labbra, io mi avvicinai ancora di più fino a sdraiarmi accanto a lui posando la testa sulla sua spalla, nella posizione in cui mi ero sempre addormentata negli ultimi diciannove anni insieme.
Giacomo con la voce rotta dalle lacrime cominciò a parlare “Amore della mia vita. Dal primo momento che vi ho vista ho capito che eravamo stati creati per stare insieme. Avrei atteso per l’eternità se fosse stato necessario ma il destino ha voluto che il caro Francesco fosse assassinato vilmente. Ho atteso ancora finché non siete stata pronta a risposarvi. Ed oggi siamo qua, abbiamo due splenditi figli e tra poco tempo anche io vi abbandonerò. E’ il vostro destino, rimanere vedova.
Ho predisposto tutto le carte per la divisione dei beni tra i nostri figli e vi ho nominato tutore di entrambi. Ho fiducia nelle vostre capacità e nella vostra intelligenza e perspicacia.
Vi amo Anna, vi ho sempre amato e vi amerò anche oltre la morte.”.
Io cosa potevo rispondere? Solo due parole uscirono dalle mie labbra “Vi amo” poi baciandolo continuai “Vi amo e vi amerò anche dopo la morte”.
Giacomo era pronto alla morte, era stanco e rassegnato, aveva rassegnato l’anima a Dio e attendeva con placida rassegnazione il suo momento.
Il momento arrivò il 18 giugno 1585. Mio marito, Giacomo di Savoia duca di Nemours e Genevois, si spense dolcemente nel tardo pomeriggio.
Giacomo era pronto, io no. Quando Giacomo smise di respirare mi sembrò che anche il mio respiro si fermasse, ero come svuotata, inebetita. I camerieri si affaccendarono subito per preparare il corpo di mio marito ma io li guardavo assente, quasi non mi rendevo conto di quello che era successo, più che altro non riuscivo ad accettarlo.
Quando Il dolore e la disperazione scoppiarono in tutta la loro vastità erano confusi con una punta di rimorso. Sì, rimorso per i pochi momenti trascorsi insieme negli ultimi tre anni, la corte e l’amministrazione delle mie eredità  mi avevano tenuto lontano da Giacomo ed ora lui era morto non avrei più potuto posare la mia testa sulla sua spalla, raccontagli le mie preoccupazioni, raccogliere i suoi consigli.
Cosa avrei fatto ora nuovamente vedova? Ero distrutta, stanca di lottare contro un destino avverso che mi toglieva tutte le persone a cui volevo bene, eppure avrei dovuto fare ricorso a tutte le mie risorse perché ancora molto doveva accadere nella mia vita e poche erano le cose piacevoli.
Ricevetti le lettere di condoglianze della regina madre, del re e di tutti i membri influenti della corte.
Il funerale fu tenuto in pompa magna e padre Cristin pronunciò una magnifica orazione funebre, poi il corpo del mio amato Giacomo fu rinchiuso in una doppia bara e inumato nella cappella dei Nemours ad Annecy. 
  
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