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Autore: Charlize_Rei    12/01/2006    5 recensioni
Bellatrix Lestrange... quasi tredici anni rinchiusa nella prigione di Azkaban... Una mente forse rifugiatasi nella follia. L'adorazione incondizionata per il Signore Oscuro, affamato di potere e, soprattutto, di anime... fino a quando l'incontro con colui che tutti i Mangiamorte considerano il Traditore cambierà radicalmente le vite di molte persone, innescando una serie imprevedibile di eventi che trascineranno il mondo magico in una Seconda Guerra, il cui esito dipenderà sia dalle scelte fatte sia, in eugual misura, da quelle non fatte. Le carte si mescoleranno, la parete che separa i nemici dagli amici si farà sempre più sottile. E mentre Voldemort si avvicina all'immortalità, c'è chi lotta senza sosta per impedire l'inizio della fine.
Genere: Dark, Drammatico, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Luna Lovegood, Remus Lupin, Severus Piton, Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Bellatrix Lestrange e gli altri personaggi che compaiono in questa fanfiction sono proprietà di J

Bellatrix Lestrange e gli altri personaggi che compaiono in questa fanfiction sono proprietà di J.K. Rowling e di editori come Bloomsbury, Bros, Salani. Nessuna violazione del copyright si ritiene pertanto intesa.

 

 

Guardali, anima mia, sono davvero atroci!

simili a manichini; vagamente ridicoli;

terribili, strambi come tanti sonnambuli;

dardeggiano non si sa dove i globi tenebrosi.

 

I loro occhi, da cui la divina scintilla è fuggita,

restano alzati al cielo come guardando lontano

e giù verso il selciato non se ne vede nessuno

chinare pensosamente la testa appesantita.

 

Così attraversano il nero sconfinato

Fratello del silenzio eterno. O città!

mentre intorno tu canti, ridi e muggisci, in cerca

 

del piacere, invaghita fino all’atrocità,

vedi! anch' io mi trascino! e più di loro ebete

dico: Ma questi ciechi, in Cielo, che cercano?”

 

Charles Baudelaire, I Ciechi, da Les Fleurs du Mal

 

 

Inter digitos

Tra le dita

 

- Non stiamo andando a Disneyland, Lovegood, né al Carnevale di Rio – sibilò Snape, appena la ragazzina fu a portata di voce. Luna gli sorrise, estatica.

- Ha visto davvero il Carnevale di Rio De Janeiro? Ho letto di quella bellissima festa babbana! C’è andato in gioventù, professore?… -

- Taci, Lovegood -

- … oppure la sua visita è recente? E’ vero che le ballerine danzano mezze nude? Io mi vergognerei a morte… -

- Ho detto taci, Lovegood! – ringhiò Snape, maledicendosi per averle rivolto la parola. Con quella specie di svitata poteva funzionare solo il silenzio. E un ferreo, rigidissimo autocontrollo.

Il sorriso della ragazzina si allargò ancora, scintillando nei suoi larghi occhi. – Secondo me lei dovrebbe cambiare il suo look, professor Snape. Insomma, andare in giro sempre vestito di nero metterebbe tristezza persino ad una pietra e~ -

- Lovegood – gracchiò Snape, la voce irriconoscibile – Ci tieni a restare viva per i prossimi cinque minuti? -

- Naturalmente, professor Snape, anzi, pure per i prossimi dieci, quindici, venti, ventici~ -

- Allora chiudi quella maledetta bocca! -

Snape si voltò, lanciando occhiate inceneritici un po’ ovunque. Non avrebbe finito di maledire la sua mala sorte per il resto dei suoi giorni.

- E’ ora. – sibilò alla ragazzina alle sue spalle – Muoviamoci. Ma prima… - Snape estrasse la bacchetta e la agitò distrattamente in direzione di Luna, senza neanche guardarla. Gli abiti stravaganti della Corvonero si mutarono in una sobria divisa con mantello e cappuccio orlato di pelliccia, il tutto di un lugubre nero uniforme. Luna spalancò gli occhi brumosi, poi si prese una ciocca di capelli e la appoggiò al velluto nero dei suoi nuovi abiti, valutando il contrasto, le sopracciglia contratte, mordicchiandosi il labbro inferiore.

- Devo dire che non fa troppo schifo così – disse allegra dopo una minuziosa valutazione del suo abbigliamento – Ad essere sinceri, professore, non le avrei dato più di una T in materia di vestiti, ma credo che mi toccherà alzare un pochino il giudizio… questo mantello non è troppo orripilante.-

Snape, che stava riflettendo su come avrebbe fatto a Smaterializzarsi insieme alla Corvonero scocciatrice, si voltò di scatto, afferrò rudemente la ragazzina per un braccio e prese a trascinarla di peso verso i cancelli di Hogwarts.

- Ma… ma… Professore! Non dovevamo aspettare una carrozza? – esclamò Luna, l’espressione più stralunata che mai.

- Cos’hai fumato, Lovegood? Pus di Mandragola? – sbottò esasperato Snape, continuando ad avanzare a passo marziale mentre la Corvonero arrancava  alle sue spalle, ancora trattenuta per il gomito – Non ci sarà nessuna carrozza! Non è una gita! Un’altra parola e ti ammutolisco! –

Luna lo guardò, o meglio fissò la sua schiena, poi sbatté lentamente le palpebre, con un’espressione talmente stupefatta negli occhi sgranati da fare concorrenza ad un elfo domestico. Dopo un silenzio che diede a Snape l’illusione di averla convinta, trotterellò più velocemente per portarsi di fianco all’uomo e, con una faccia assolutamente sincera, disse:

- Fumare la Mandragola? Ma Professore, non è pericoloso? Che effetto fa? Lei ha provato, vero? Altrimenti non le sarebbe venuta in mente una simile i~-

Snape aveva agitato la bacchetta con un colpo secco, imponendole il Silencio senza pronunciare una sola sillaba. Furibondo, continuò a camminare tenendo Luna con una mano e stringendo la sua bacchetta nell’altra. La ragazzina aveva cominciato a toccarsi la gola in continuazione, articolando mute parole di protesta che non scalfirono minimamente l’uomo nerovestito.

- Ti avevo avvisato, Lovegood – sussurrò questi, quasi sollevato – Riacquisterai la facoltà di tediarmi quando lo riterrò opportuno. Quindi smetti  di snocciolare frasi a vuoto. Finirai per slogarti la mandibola -

Luna gli lanciò un’occhiataccia e chiuse di colpo la bocca, corrucciata. I due oltrepassarono i cancelli della scuola, poi Snape imboccò la strada per Hogsmeade e sembrò arrestarsi in un punto preciso. Con sua sorpresa si accorse di star ancora tenendo la ragazzina per l’avambraccio e lasciò impulsivamente la presa. Le sopracciglia di Luna si alzarono in una domanda, ma la bocca restò caparbiamente sigillata.

Snape soppresse un ghigno.

- Immagino di doverti restituire la parola, Lovegood – disse caustico – ma sappi che lo faccio solo per questioni… di sicurezza, dato che dovrai Smaterializzarti con me e suppongo che tu non ne sia capace – Snape agitò lievemente la bacchetta – Sbaglio, Lovegood? -

La ragazzina alzò gli occhi argentei su di lui e l’uomo avvertì ancora una volta quel senso di disagio che lo sguardo color pioggia di Luna sapeva mettergli addosso. Era come se quegli occhi fossero condivisi da qualcun altro. Luna Lovegood lo stava fissando e non era la sola a farlo.

- Mi chiamo Luna – disse con voce insolitamente fredda.

- Prego?-

- Lu-na. Luna. Perché mi chiama sempre per cognome? – proseguì, quasi con stizza. – Chiama Draco Malfoy sempre per nome, e Malfoy ha un nome decisamente più brutto del mio. Perché con me non fa lo stesso? Perché dev’essere così tremendamente imparziale? Perché favorisce solo quelli di Serpeverde? Perché…-

Snape decise di respirare profondamente cinque, sei volte. Luna non lo notò neppure, impegnata com’era a sputacchiare un perché dopo l’altro.

- Come desideri, Luna – masticò Severus, a denti strettissimi, interrompendo quella mitragliata di parole.

Il viso della ragazzina parve accendersi come una stella quando questa lo gratificò di un sorriso così felice che Snape non poté non definire bellissimo.

- Cosa devo fare, Professore? – chiese lei, con aria leggera.

Il Professore di Pozioni si riscosse - Devo Smaterializzarti con me. All’inizio la sensazione è piuttosto spiacevole, ma ci si fa l’abitudine. Devi afferrarti alla mia mano e non lasciarla per nessun motivo. Sono stato chiaro, Lov… Luna? –

La giovane annuì. Timidamente, quasi temendo di arrecare qualche danno, appoggiò le sue piccole dita sul palmo della mano sinistra di Severus. Lui strinse la presa.

- Con maggior forza, Luna – sussurrò l’uomo, con una strana flessone del tono di voce. Luna eseguì, poi, per sicurezza, gli si avvicinò, portò l’altra mano sul braccio di Severus, stringendo, senza saperlo, proprio quella zona di carne su cui era impresso, indelebile, il Marchio Nero. Snape guardò quella testolina pallida a poca distanza da sé, sentì la pelle fredda, quasi gelida, della giovane Corvonero. Fece vuoto nella sua mente, pensando soltanto alla zona di Londra in cui si sarebbe materializzato. Appena un attimo prima di svanire con Luna, però, sentì qualcosa che premeva contro il suo torace.

Luna teneva gli occhi chiusi con forza, quasi temesse di perderli. La piccola mano era stretta alla sua, la testa poggiava sul suo petto, come se cercasse protezione, l’altro braccio, irrigidito dalla paura, gli cingeva la vita.

 

Bloody Hell

 

Luna gli si era incollata addosso, irradiando calore attorno a sé.

 

Tepore.

Contatto umano.

Aveva dimenticato quanto potesse essere caldo.

 

Sul volto di Snape affiorò lentamente un sorriso.

Poi, con un lieve schiocco, scomparvero.

 

………………………………………………………………

 

Era come respirare aria viva.

 

Bellatrix chiuse gli occhi, inspirando profondamente ancora una volta. Non avrebbe mai immaginato che potesse esistere qualcosa di così buono e piacevole come quell’aria, impregnata della fragranza della terra. Inalò a pieni polmoni, estasiata.

Non appena Snape era scomparso in un riverbero verdeoro, la donna si era messa ad esplorare la piccola e confortevole dimora all’interno della quercia, compito che non richiese più di qualche minuto. Lo spazio purtroppo era limitato e lei vi avrebbe dovuto passare qualcosa come… quattro mesi o giù di lì.

Sospirò. Non avrebbe potuto pretendere di più. In fondo in cella era riuscita a sopravvivere per quasi tredici anni con la costante e terribile presenza dei Dissennatori, mentre intorno a lei l’alito della morte imperversava ovunque, cogliendo nel sonno agitato o nel delirio quelli che un tempo erano stati potenti maghi e che ora non erano altro che cibo per topi, lerci e cenciosi, immersi nella loro disperazione.

Bellatrix scosse la testa, allontanando altri pensieri funesti. Non poteva certo paragonare la pace e il canto delle foglie mormoranti che riusciva ad udire con l’inferno che Azkaban era stato per lei e per tutti coloro che vi erano stati rinchiusi. Quell’albero maestoso, che rifulgeva di luce propria, pulsava di vita. La linfa perlacea fluiva rapida e impetuosa in una rinascita continua e incessante dall’alba dei tempi.

Si sedette sulla sponda del letto, cogitabonda, mentre un intenso sollievo percorse la sua schiena affaticata dal peso che era nel suo grembo. Agitò poi la bacchetta in direzione del piccolo armadio, lo aprì e fece galleggiare a mezz’aria un paio di piccoli parallelepipedi, che avevano tutte le sembianze di due libri rimpiccioliti così tanto che potevano stare entrambi sul palmo disteso della sua mano. La donna puntò la bacchetta contro uno di questi, mormorò “Engorgio” ed il libro centuplicò in un istante le sue dimensioni, diventando così pesante che Bellatrix dovette appoggiarlo sul materasso. Quel volume doveva almeno contenere tremila pagine.

Osservò la copertina, vecchia e sdrucita, ma tutto sommato in buone condizioni.

“ Non omnia possumus omnes”*, vi lesse, scritto a mano. Non c’era altro.

- Non tutti possiamo fare ogni cosa… - mormorò, traducendo l’espressione latina piuttosto insolita per un libro di magia.

Sollevò delicatamente la copertina di cuoio e cartone, rivelando un frontespizio altrettanto particolare. Questa volta la grafia di Severus saltò ai suoi occhi come se bruciasse sulla pagina.

“ Non è detto che per viaggiare si debba usare il corpo. La mente può farlo in modo più rapido, più silenzioso, più efficace.

Bellatrix comprese.

Snape l’aveva chiusa in una cella e le aveva dato le chiavi.

 

………………………………………………………………

 

Le porte scure erano immerse in una densa penombra venata di azzurro, creata dalle lingue fredde e guizzanti di candele dalla fiamma buia.

Severus si guardò attorno, inquieto e con un gran mal di testa. Erano nel bel mezzo della Stanza Circolare su cui si aprivano diverse porte che ogni tanto cominciavano a ruotare ad una velocità folle, mentre la vita negli altri reparti del Ministero della Magia scivolava con la consueta e indolente routine.

Erano entrati nel Dipartimento dei Misteri senza essere notati da anima viva.

Snape lanciò un’occhiata infastidita alla sua stramba compagna di viaggio che, con assoluta noncuranza per chi e cosa la circondasse, stava rimirando sul proprio petto la spilla scintillante che entrambi avevano ricevuto all’ingresso, nella sgangherata cabina telefonica che, con voce pacata, chiedeva nome, cognome e motivo della visita, qualsiasi esso potesse essere.

Era stata colpa sua, pensò Snape, sbuffando. Se non avesse risposto, con la sua solita acredine, che erano lì probabilmente per “Saltare oltre un dannato precipizio”, ora Luna non sarebbe stata a mangiarsi con gli occhi quello stupido e tondo pezzo di latta con su scritto “Aspirante suicida”.

La ragazzina alzò gli occhi su di lui, con un sorriso disarmante che mise a tacere tutti i borbottii del suo pessimo carattere.

- Ooh, è tutto come quest’estate… non è cambiato niente! Solo che non riesco a ricordare quale fosse la porta che si apre sulla stanza con l’Arco… -

- Certo che non ci riesci, sciocca: le porte sono tutte identiche! – sibilò Snape, la voce leggermente stridula dalla tensione. – Non potresti chiedere al tuo amico sfavillante alle tue spalle di darci una dritta? – ventilò l’uomo, irritato.

Gli occhi di Luna brillarono, deliziati: - Ma certo! – esclamò contentissima, poi, incredibilmente e senza nessuna logica, saltellò verso la sua Morte su un piede solo come in certi giochi babbani, mentre le porte ripresero a girare vorticosamente procurando a Snape un ulteriore e feroce attacco di emicrania. La Corvonero raggiunse la figura argentata che, come suo solito, se ne stava a braccia conserte a poca distanza da lei, si sollevò sulla punta delle solite scarpette basse, gli mise una mano vicino a quello che poteva definirsi un orecchio e allungò il collo, parlottando sottovoce come se dovesse confidargli un importante e riservatissimo segreto, dimentica del fatto che il frastuono intorno a lei avrebbe coperto anche l’esplosione di una mina, talmente intenso che aveva aggiunto all’emicrania di Snape un insopportabile senso di nausea.

La Morte annuì con un cenno, poi sollevò il braccio indicando qualcosa alla sua destra, immediatamente le porte si fermarono e la Stanza Circolare ripiombò nel silenzio. L’indice ancora alzato del Custode di Luna puntava verso una porta precisa.

Snape si passò una mano sulle tempie martellanti, stringendole tra indice e pollice, nel vano tentativo di mettere un freno al suo malessere. Vedendolo lì immobile e con la testa china, la ragazza trotterellò verso di lui, con un biondo sopracciglio alzato in una muta domanda. Poi, senza preavviso, gli afferrò l’altra mano, quella che stringeva la bacchetta in una presa d’acciaio, e lo tirò in avanti, verso la porta.

- Avanti, Professore, o faremo tardi! – disse, letteralmente trascinandosi dietro uno Snape incredulo.

- Cosa diavolo credi di fare, Lovegood! – berciò, gli occhi di nuovo lampeggianti d’ira, senza però essere in grado di strattonare il braccio per liberarsi dalla presa leggera eppur salda della ragazza.

La troppa tensione lo stava rimbecillendo del tutto, pensò, completamente spiazzato dal suo stesso comportamento. Si sentiva paralizzato, come se il suo corpo gli segnalasse beffardo la sua presenza senza ubbidire ai suoi ordini.

Era forse impazzito?

Beh, certo che con la vicinanza di quel pagliaccio biondo tenersi fuori dalla follia sarebbe stato quantomeno arduo.

Luna intanto aveva aperto la porta e, ancora con la sua mano chiusa a pugno tra le piccole dita fredde, stava inoltrandosi all’interno della grande sala quadrangolare a gradinate dove, meno di un anno prima, Sirius Black era sparito per sempre.

L’Arco era ancora lì, saldo e vecchissimo, con il suo Velo nero che ondeggiava nella solita danza ipnotica, intrappolando i pensieri di entrambi i visitatori in un frammento congelato di tempo.

Severus e Luna stettero immobili a guardare il Varco per il Regno delle Ombre che sembrava chiamarli a sé con un mormorio cantilenante di voci sussurrate.

Qualcosa riscosse Snape dalla trance in cui sembrava essere scivolato inconsapevolmente.

Una mano poggiata appena sulla spalla, poco più che inconsistente. L’uomo seppe cosa avrebbe visto prima ancora di voltarsi.

La propria Morte lo guardava, senza che nessuna particolare emozione increspasse quell’espressione eterna e imperturbabile.

- Sei pronto? – chiese, con voce calma.

- Si

Lo disse con una sicurezza che qualche minuto prima non pensava lontanamente di avere.

Luna si voltò verso di loro, distratta dalla voce della Morte di Severus. Sul suo viso pallido si dipinse uno stupore esagerato.

- E’… il suo… Angelo? – sussurrò, appena percettibile.

Snape abbassò lo sguardo su di lei – E’ lui – mormorò, chiedendosi cosa potesse averla sorpresa.

- E’… èbellissimo! – esclamò la ragazzina tutto d’un fiato, facendolo sobbalzare.

Snape non capiva. Guardò alternativamente la propria Morte e quella della ragazza: entrambe eteree, argentee, immutabili, senza tempo. Qualcuno, a prima vista, avrebbe potuto facilmente confonderle. Allora qual era la differenza che aveva fatto brillare gli occhi della Corvonero tanto da renderli ancora più grandi?

- Perché, il tuo non lo è? – disse, incerto, tentando di stare dietro alla mente stravagante di quella rompiscatole.

- Ooh, certo che lo è. Ma il suo angelo è così… così… fulgido e… forte. E ha il suo stesso, identico sguardo… -

Snape la fissò, ammutolito. Non poteva crederlo, eppure sembrava che lui e quella ragazzina vedessero le stesse, identiche cose, ma da prospettive poste completamente agli antipodi.

-… nel senso – continuò Luna, ignara di quello che stava turbinando nella testa di Snape – che il suo Angelo ha, come lei, lo sguardo che vede

Snape la guardò stranito, ma prima che potesse replicare alcunché, il Velo nero si sollevò con un’insolita forza e l’aria fu percorsa da mormorii sinistri. Alzò lo sguardo, improvvisamente in allerta. Una sensazione di paura indicibile gli ghermì l’anima, ma la mano della sua Morte lo afferrò per il polso, tenendolo ben saldo. Gli occhi dell’uomo dardeggiarono in direzione di Luna e della sua Morte. La giovane Corvonero se ne stava dritta accanto a lui, le dita intrecciate con quelle del proprio Custode. Il suo viso sembrava aver perso d’un colpo i tratti infantili, per diventare così improvvisamente adulto. Sembrava quasi che la ragazzina rompiscatole fosse stata inghiottita dalla terra e sostituita con una sconosciuta. Gli occhi d’argento della quindicenne si sollevarono su di lui.

Snape boccheggiò.

Non credette a quello che stava vedendo. Le iridi di Luna, già naturalmente chiare, erano diventate quasi bianche, con la sola pupilla a testimoniare la direzione del suo sguardo.

La ragazza era diventata cieca.

- Luna… - mormorò l’uomo, con voce incredula.

- Non si preoccupi per me, Professor Snape – gli rispose questa, la voce pacata e molto, molto più profonda. Molto più matura – Il mio Angelo ha detto che a me spetta il compito di vedere altre cose, e per farlo non posso usare gli occhi in modo… normale. –

- Vuoi dire che ti ha resa cieca? –

- Oh, no, non è stato lui. Penso di essere stata io, anche se non so proprio come – Severus guardò le labbra della piccola distendersi in uno di quei sorrisi sognanti che ad Hogwarts l’accompagnavano sempre. La fitta di nostalgia che provò subito dopo lo sconvolse più di quanto gli avvenimenti di quel giorno stavano facendo. – Comunque si, sono diventata cieca, da un certo punto di vista. E no, non sono cieca, da un altro punto di vista –

Severus non replicò, frastornato.

Lentamente, quasi temesse di perdere da un momento all’altro l’uso del braccio, l’uomo allungò la mano libera verso la ragazza. Luna non diede segno di aver visto nulla, ma il sorriso sognante scintillò più intenso. Snape si chinò un poco per raggiungere il braccio libero della ragazzina e prese delicatamente il suo polso. La mano di Luna si ritrasse un poco, ma solo per sostituire il polso alle dita, e strinse il palmo di Snape con fiducia illimitata.

- E’ il momento – esordirono insieme entrambe le Morti. Avanzarono insieme verso la conca al centro della quale si ergeva la piattaforma con il suo Arco, una catena di due persone e quattro anime.

L’Arco sembrò allargarsi e distendersi, raggiungendo una dimensione che avrebbe permesso il contemporaneo passaggio di tutti. Il Velo si mosse, inquieto, strappando riflessi blu alla penombra circostante.

Severus, Luna e le Morti mossero un passo, mentre il drappo sfiorava i loro volti.

Sparirono, lasciando dietro di sé solo il persistente e incorporeo mormorio.

 

………………………………………………………………………

 

- Non… capisco – balbettò Remus, incredulo.

- E non mi piace – aggiunse Karkaroff in un soffio, pallido sotto un colorito tendente al giallastro.

- Eppure mi sembra di essermi espresso con sufficiente chiarezza – replicò Dumbledore, sereno.

Lupin guardò alternativamente il preside, poi quello che sarebbe diventato suo compagno di viaggio.

- Lei vuole veramente mandarci a… racimolare Lupi Mannari e Vampiri per mezza Europa? – sibilò l’ex Preside di Durmstrang, attonito.

- Si, Igor – rispose con calma Dumbledore. – Sarai a conoscenza del fatto che Remus, qui, è essenziale per contattare i maghi contagiati dal suo stesso… problema.- aggiunse con naturalezza.

- Si – sillabò Karkaroff.

Lupin si mosse a disagio sulla sedia. Se Dumbledore aveva deciso di mandarlo in missione per convincere i Lupi Mannari a non lasciarsi sedurre dalle proposte di Voldemort (cosa assai improbabile) lo avrebbe fatto senza esitazioni. Ma per i Vampiri? Non sapeva quasi nulla a riguardo e dubitava fortemente che l’arcigno collega possedesse informazioni più precise. E poi perché aveva scelto lui?

- Remus – lo chiamò Dumbledore, strappandolo dai suoi pensieri – Immagino ti stia chiedendo come affrontare la comunità dei Vampiri…-

Lupin fissò i suoi occhi dorati sulla cattedra al centro dello studio, evitando di guardare Dumbledore.

- Si, Preside. -

Dumbledore si lasciò scappare un mezzo sorriso: - Credo che Igor sia più adatto di me a spiegarti…-

- Si, si Dumbledore – lo interruppe quest ultimo con un ringhio frustrato – Ho ricevuto il messaggio. Sarò breve, Lupin – aggiunse poi, rivolgendo i suoi occhi freddi verso l’altro – Sono un mezzosangue, metà umano e metà vampiro. Comprendi? -

Lupin lo guardò sconvolto: - Come? Metà Vampiro? –

- O metà Umano, come preferisci. Per me è indifferente. – sbottò. Ciò detto si alzò e, senza una parola, si avvio verso l’uscita dello studio del Preside, a passi pesanti.

- Karkaroff… dove… dove diamine stai andando! – sbottò Remus, ancora frastornato per la notizia. Un ex-Mangiamorte metà Vampiro come compagno di viaggio. Che splendide prospettive, pensò sarcastico.

- Vado verso le cucine, Lupin. Non mangio da tre giorni. Per mia disgrazia non posso sgozzare la gola a nessuno per riempirmi lo stomaco o avrei risolto il problema già da un bel pezzo. Con permesso, Dumbledore –

Ciò detto sparì dalla loro vista.

 

…………………………………………………………………

 

Era buio, ma non freddo.

C’era qualcosa di caldo vicino a lui. Qualcosa di vivo.

Luna

Snape aprì gli occhi, a fatica, sentendo le palpebre pesanti. Percepì la ragazzina accanto a sé ancor prima di metterla a fuoco. La sua presenza familiare lo rassicurava in qualche strano modo.

Sollevò la testa e poi il busto, accorgendosi solo in quel momento di essere sdraiato a terra, dall’altro lato della piattaforma, nella stessa stanza quadrangolare con la gradinata di un anfiteatro. La stanza che custodiva il Varco.

Si guardò intorno, spaesato.

Luna era lì, ancora incosciente, a pochi centimetri da lui. Spaziò con lo sguardo, alla ricerca di un qualsiasi particolare che gli segnalasse di essere in un altro mondo, così come era successo quando era piombato nella Dimensione in cui l’aveva spedito Voldemort.

Non trovò nulla.

Eppure era sicurissimo di essere transitato attraverso il Varco, si disse, sollevandosi con un leggero fruscio delle sue vesti nere. Non sembrava cambiato niente…

- Invece ogni cosa è diversa, giovane mago – mormorò una voce alle sue spalle. La sua Morte era lì, insieme a quella di Luna, in paziente attesa.

Severus si guardò ancora una volta intorno – Non riesco a comprendere – sussurrò, cercando di tenere a bada la confusione. Guardò la Corvonero ancora svenuta, si inginocchiò e le passò una mano dietro la schiena.

- Enervatemormorò, poi l’aiutò a tirarsi su. Luna sbatté le palpebre due, tre volte. Severus vide che i suoi occhi non erano tornati normali.

- Siamo arrivati… - mormorò la quindicenne, con un filo di voce.

- Tu… tu vedi qualcosa? – le chiese Snape, attonito.

- Si, ma… non so… non so come spiegarlo. E’ così strano… -

- Siete su un altro piano dell’Esistenza. – intervenne allora una delle due Morti –  Il mondo intorno a voi non è mutato, è cambiato invece lo spazio in cui vi muovete, camminate, respirate.

Lo spazio in cui esistete. –

Snape la guardò, senza dire una parola.

- Te ne accorgerai da solo, giovane mago, - proseguì il Custode - non appena vedrai te stesso camminare in mezzo all’umanità senza che nessuno sia in grado di vederti o sentirti e senza che tu possa sfiorare nessuno. Condividerete il mondo con gli uomini ma non ne farete parte. Sarete come ombre –

Snape annuì, incerto. – Cosa vede la ragazza? – chiese poi alle due figure scintillanti dinanzi a sé.

- La bambina vede l’essenza delle cose, ma per muovere i suoi passi in questa dimensione avrà bisogno di chi ne vede la forma. Avrà bisogno di te, Severus, come tu necessiterai lei. Senza l’una non può esserci l’altro. -

Snape restò in silenzio, il viso imperscrutabile. Luna rivolse i suoi occhi ciechi su di lui.

E vide.

E comprese.

- Cercherete il Signore Oscuro attraversando questa dimensione – soggiunse l’altra Morte – Solo qui potrete liberare il suo Custode e restituirgli la mortalità. Noi saremo con voi in tempo di bisogno-

Ciò detto, i due custodi svanirono lentamente, mentre l’argento si stemperava nel grigio della luce soffusa.

Snape guidò delicatamente Luna per le alte gradinate, evitando di farla incespicare. Uscirono dalla Stanza del Velo, sbucando nella Camera Circolare, silenziosa e immobile. Imboccarono subito la porta che dava sul corridoio verso l’ascensore, mentre i suoni provenienti dai piani superiori del Ministero giungevano ovattati, un mormorio confuso e incorporeo.

Quello stesso mormorio incorporeo.

Snape si fermò davanti all’ascensore, in attesa. Guardò Luna e scoprì che lo stava fissando con gli occhi bianchi e luminosi.

 

Sulle sue labbra dell’uomo si distese il solito sorriso di sbieco. Forse aveva capito cosa l’ “Angelo d’Argento” avesse voluto dire.

 

L’essenza delle cose.

 

Continua….

 

Et voilà, un altro capitolo è andato!

Probabilmente molti resteranno delusi una volta scoperta qual è la vera natura del Regno delle Ombre. A dire la verità ho riflettuto molto e molto a lungo su come avrei potuto renderlo al meglio… e in un lampo di comprensione ho capito che non mi serviva nessun luogo immaginario e sconosciuto (che comunque ho già inserito nei capitoli precedenti, ricordate La Cattedrale di Ossa e la Terra del Non Realizzato?). Avevo solo bisogno di un piano esistenziale diverso, ma non scollegato e alieno dal mondo stesso… ed eccolo qui. Ma non crediate che il Regno delle Ombre sia una semplice scarpinata fino allo Zio Voldie. Attendetevi molte sorprese!

Vi ringrazio per tutte le recensioni, per le vostre parole che mi regalano quantità industriali di coraggio ed entusiasmo: siete speciali, davvero.

Un bacione, Charlie.

 

* La citazione è di Virgilio

  
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