CAPITOLO REVISIONATO IL 28 OTTOBRE 2012
3.Facile come camminare.
Era
in ritardo, in un maledettissimo ritardo, perché era
così stanca da
non aver sentito la sveglia.
Le dieci e trenta e lei stava ancora
sull’autobus, peccato che la lezione iniziava alle nove.
Aveva
provato a chiamare Alessandra al telefono più volte ma non
le aveva
risposto.
Eddai Ale. Pensò
mentre teneva d'occhio le fermate. Fai un attimo
di pausa:
bevi, controlla questo stupido telefono e RISPONDI.
La
sua litania sembrò funzionare perché al
milionesimo squillo l'amica
le rispose.
– Pronto?
– Oddio Ale, finalmente.
–
Marta, perché mi chiami? Sono a lezione!
– Lo so ma io no. Puoi
andare da... Pronto?? – Guardò il telefono spento
e scarico ed
ebbe l'istinto di scagliarlo contro il vetro – MA NOOOO!
Ma perché tutte a me? Se proprio mi odi, dimmelo, almeno cercherò un rimedio per farmi perdonare.
Pensò
guardando in alto, verso il tetto dell’autobus; ovviamente
non
ottenne nessuna risposta ma l'autobus si fermò e lei dovette
scendere di corsa, l'accademia distava circa dieci minuti a piedi
rispetto alla fermata, perciò Marta dovette correre
più veloce del
solito per non fare ancora più tardi.
Arrivò in sala alle dieci
e quarantacinque e Micheal Trifone la guardò incenerendola;
si
poggiò la mano sul suo cuore per cercare di calmarlo e con
l’altra
teneva il borsone, tutti i suoi colleghi la guardavano: si sentiva in
imbarazzo per l'attenzione e per poco non svenne per la corsa che
aveva fatto.
– Mi... scu... Scusi. – La voce fu un sussurro ma
Micheal riuscì a sentirla lo stesso.
– Non mi piace la gente
che arriva in ritardo; per tua fortuna è solo il terzo
giorno e
stavo spiegando una variazione importante, cambiati velocemente e
mettiti in fila con gli altri.
Fece come aveva detto il suo
maestro e in meno di due minuti, sebbene avesse ancora il fiatone,
era in sala a provare; conosceva la variazione: Grand Pas
Classique. Iniziò a danzare come solo lei sapeva
fare, con amore
e passione; era felice quando indossava scarpette e tutù,
quando
volteggiava sulle punte e volava leggiadra come una
gazzella
perché era quello che faceva da quando aveva quattro anni:
era il
suo sogno e nessuno avrebbe potuto rovinarglielo.
A fine lezione
Micheal le si avvicinò, proprio quando gli altri raccattavo
le
proprie cose dirigendosi verso gli spogliatoi.
– Devo dire che
nonostante il tuo ritardo hai recuperato piuttosto bene ma prima di
fare la piroette devi tenderti un po’ indietro e poi eseguire
il
movimento in modo più fluido, prova. – Con la mano
le indicò il
centro della sala, invitandola a provare eseguendo il consiglio.
–Ecco così, brava; fai tutta la sequenza. Cinque
sei sette
otto.
Marta fece come le aveva detto il suo coreografo preferito
ed eseguì tutto correttamente tanto che ricevette i suoi
complimenti; prima di uscire dalla sala si diede una rinfrescata nei
bagni, camminando a testa bassa per non guardare i suoi colleghi
mezzi nudi che, senza problemi, si cambiavano davanti a tutti: non
c'era pudore né privacy e questo la imbarazzava un bel po'.
Perse
più tempo del previsto perché il pensiero di
avere appuntamento con
Giorgio, in un locale adiacente all’accademia, invece della
normale
lezione di danza moderna insieme agli altri, la innervosiva
parecchio.
– Martuz,
dove vai? – Alessandra la raggiunse prima che potesse uscire
dall'edificio.
– Nel locale qui accanto, ho una lezione privata
con Giorgio, non so se lo conosci.– Nel dirlo
roteò gli occhi
disperata, proprio non digeriva quella situazione.
– Sì che lo
conosco: è quel figo del primo giorno, quello che si
è spogliato in
sala; ballerai con lui?
Mancò poco che Alessandra si mettesse a
saltare per l'atrio felice come una Pasqua; Marta non riusciva a
capire cosa ci trovassero in quello là tutte le ragazze, pur
avendo
un bel fisico il carattere orrendo che si ritrovava lo faceva passare
in secondo piano imbruttendolo. Non le andava di spiegare cosa era
successo in sala, nonostante la bionda fosse sua amica, l'unica,
perciò si limitò a fare un riassunto del
riassunto, sperando che
l'altra capisse.
– Più o meno: ho un mese di tempo per
migliorare nel moderno o mi cacciano.
– Bella merda.– Già,
bella merda. Pensò
Marta
guardando l'amica che continuava a sorriderle cercando di
rincuorarla. – Impegnati allora e fai vedere a tutti quello
che
vali. – Le diede una pacca sulla spalla e
mentre andava
verso la sua aula le urlò un’ultima cosa.
– Mi raccomando dacci
dentro anche con lui.
Per fortuna nessuno l'aveva sentita, Marta
era una ragazza molto timida: per la vergogna avrebbe volentieri
scavato una fosse e ci si sarebbe messa dentro, nascondendosi per
sempre.
Arrivò all’appuntamento con cinque minuti di
anticipo
e indossava ancora body e tutù, ricordava benissimo le
parole di
Giorgio del giorno prima, così ne approfittò per
cambiarsi, dato
che in bagno aveva fatto di tutto tranne che quello; si nascose
dietro un albero, doveva essere abbastanza veloce nel togliersi i
vestiti o sarebbe morta per assideramento: sfilò il
giubbotto, tolse
il resto restando in intimo, indossò dei leggins bianchi e
una
maglietta larga nera che le copriva il sedere; quando rimise il
giubbotto dei passi alle sue spalle la sorpresero e si voltò
di
scatto: era solo Giorgio che, ancora una volta, la guardava
divertito.
– No dai, potevi restare in mutande: eri molto
attraente.
Di tutta risposta gli tirò una delle sue punte ma se
ne pentì all’istante: sapeva che lui non
gliel'avrebbe ridata
tanto facilmente; aspettò impaziente che quello aprisse
il portone sgangherato permettendole di entrare e iniziare le
maledette prove.
– Ma cosa! – Si guardò intorno
inorridita e storse il naso più volte. –
Dov'è la sbarra? E cosa
diavolo è questa puzza? – Sbottò
definitivamente tappandosi il
naso, cercava di toccare meno cose possibili perché quel
posto non
era adatto a lei ed era convinta che se avesse passato un secondo
più
lì dentro si sarebbe ammalata di qualche grave malattia.
Giorgio,
dal canto suo, avrebbe voluto strozzarla, si chiedeva che cosa avesse
fatto di male per finire in quella situazione: non voleva insegnarle
nulla, non voleva ballare con lei soprattutto se continuava a fare la
schizzinosa.
– Non ci servono le sbarre.– Le rispose dandole
le spalle e iniziando a togliere le tende dalle finestre –
Quello
di cui abbiamo bisogno sono solo gli specchi, la musica e i nostri
corpi.
Lo sguardo che le riservò la fece tremare ma fece finta di
nulla, doveva dimostrarsi sicura e determinata, come sempre,
perciò
posò le sue cose su una sedia e mise da parte il disprezzo
per il
suo maestro, per Giorgio e infine per quel posto.
– Parli come
se dovessimo fare un film porno con la musica. – Si tolse il
giubbotto e preferì non averlo fatto, là dentro
si gelava data
l'assenza dei riscaldamenti, Giorgio intanto era intanto a fare
qualcosa. – Ma che stai facendo?
Gli chiese curiosa e
spazientita mentre lo vedeva poggiare per terra strani oggetti, come
i coni del traffico e roba simile, sembrava stesse costruendo un
percorso come quelli che faceva il suo professore di educazione
fisica alle scuole medie.
– Oggi impariamo a camminare. – Le
rispose con ovvietà, togliendosi anche lui la giacca e
saltando sul
posto per riscaldare le gambe.
L'occhiata che gli riservò Marta
diceva tutto: lo stava fulminando. – Ho imparato a camminare
quando
avevo un anno.
Le prese la mano e la portò all’inizio di quel
percorso improvvisato: gli ostacoli erano troppo vicini e, per non
prenderli, avrebbe dovuto tenere le gambe molto strette tra di loro
oppure molto larghe; le passò una borsa un paio di scarpe
con il
tacco molto alto.
– Adesso stiamo esagerando. – Gli
disse mentre stringeva alla caviglia il cinturino della scarpa
sinistra; dovette aggrapparsi a lui per non perdere l'equilibrio
quando si alzò in piedi: quei tacchi erano troppo alti e
lei, pur
ballando su delle punte di gesso, non era abituata a camminare su
delle trappole infernali e pericoli per le caviglie.
– Cammina e
stai zitta.– La guardò male perché
sapeva che stava per
lamentarsi ancora perciò la interruppe ancora prima che
aprisse
bocca.
Inutile dire che colpì tutti gli ostacoli in pieno; non
sapeva camminare in modo normale o sensuale, ormai aveva
l’andatura
da ballerina con i piedi semi aperti.
E’ una tragedia.
Pensò
Giorgio. Un
caso disperato e tra un mese io sarò buttato fuori per colpa
sua.
Più
volte ebbe l’istinto di sbattere la testa contro il muro,
disperato, ma si trattenne; mosso da buona volontà e
compassione
decise di aiutarla ancora una volta e mostrarle come avrebbe dovuto
camminare. Con naturalezza ma nello stesso tempo sarebbe dovuta
apparire sensuale, avrebbe dovuto avere il potere di far cascare ogni
uomo ai suoi piedi con un solo sguardo o andamento del bacino: lei
queste cose non sapeva farle eppure era una donna e avrebbe dovuto.
–
Togli i tacchi e dammeli: ti faccio vedere cosa dovresti
fare.– In
realtà neanche lui c'aveva mai provato ma l'aveva visto fare
il
primo giorno di lezione l'anno prima a un'insegnante, aveva pensato
fosse un modo strano di insegnare ma aveva avuto i suoi frutti.
Completò il percorso e quando si voltò verso
Marta la vide con la
bocca spalancata e allibita – Riesci a farlo?– Le
chiese facendo
finta di nulla, come se lui camminasse su quelle scarpe ogni giorno
da sempre.
– Posso provarci– Gli rispose indossando di nuovo i
trampoli – Ma non vedo quanto possa essere utile.
– E’ utile
perché lo dico io.– Giorgio aveva perso quel poco
di pazienza che
gli era rimasta. – FALLO! – Le urlò
vedendola perdere tempo.
Un
secondo disastro, ecco cos'era stato;
Sembra
che abbia un palo su per il sedere che stia cercando di fare non so
cosa.
Per la seconda volta Giorgio avrebbe voluto
sprofondare, andare da Marco Pochero e dirgli che era lui ad
abbandonare l'accademia ancora prima d'essere buttato fuori
perché,
di quel passo, era sicuro che avrebbe perso il posto; Marta invece,
si sentiva in imbarazzo e in difetto con se stessa: era la prima
volta che falliva in qualcosa e non riusciva a perdonarselo. Giorgio
sospirò stanco e afflitto e le si avvicinò.
– Proviamo
insieme.
Le posò delicato le mani sui fianchi e il cuore di Marta
si fermò per un attimo, per la prima volta Giorgio l'aveva
toccata
senza aggredirla e con cura e inoltre era da anni che un ragazzo non
la sfiorava; fece il primo passo con le mani di Giorgio a guidarla,
il suo sedere ondeggiava lento e sensuale sotto la sua
guida.
Riuscì a terminare il percorso senza colpire gli ostacoli,
sorrise
soddisfatta mentre lui le parlava.
– Domani proverai a farlo da
sola. – Glielo disse con le mani ancora strette al suo corpo:
l’aria era diventata irrespirabile, Marta fece un passo
avanti
liberandosi di quella presa che ormai era diventata inutile.
– A
cosa mi è servito tutto ciò?
– A camminare. – Erano tornati
quelli di prima, quel contatto fisico non era servito a nulla.
–
Adesso cominciamo la lezione, facciamo la coreografia di ieri.
A
sentire quella notizia, ovviamente, le venne il panico, credeva che
la prima lezione consistesse ormai, solo nell'imparare a camminare,
ancheggiare e muoversi in modo sensuale, ormai che aveva imparato
potevano andare a casa. Purtroppo aveva pensato male, perché
Giorgio
aveva in mente di farle imparare quasi tutte le coreografie del suo
maestro, solo che lei ancora non poteva saperlo.
– Dato che non
so fare nulla, e questo è assodato, non possiamo cominciare
con
qualcosa di semplice? – Gli chiese mentre si toglieva le
scarpe una
volta e per tutte e le poggiava su una panca mezza rotta.
Giorgio
la guardò accigliato. – Ma è semplice.
– Cosa? Ma hai visto
i passi? Sono troppo veloci e tutti quei movimenti poi...
Quando
era nervosa gesticolava, da buona Siciliana che era, e il ragazzo se
ne accorse; si stupì anche di come potesse trovare
complicata una
coreografia come quella del giorno precedente dove c'erano i passi
base della danza moderna. Scosse la testa ridendo, scacciando un
pensiero.
– Come fai ad imparare tutte le variazioni di danza
classica senza problemi e dire che il pezzo di ieri era
difficile?
Marta fece spallucce e indossò le sue amate punte,
voleva fargli vedere una cosa; andò a un angolo della stanza
e
cominciò a volteggiare in diagonale avvicinandosi sempre di
più a
lui, si fermò a un passo dal suo naso, ammiccando orgogliosa
di
quello che aveva fatto e dell'espressione meravigliata sul viso di
Giorgio. Lui, di tutta risposta, le sorrise e le dimostrò, a
sua
volta, di cosa era capace: fece il Moonwalk, il famoso passo di
Micheal Jackson, in tutte le direzioni e la stupì sfidandola
a
ballare ancora; rilanciò con dei fouettés e lui
iniziò a ballarle
intorno, con il telecomando fece partire la musica, una a caso:
Labyrinth di Elisa e, invece di ballare divisi come
se fosse
una sfida senza vincitori, le prese la mano facendola girare su se
stessa sulle punte.
– Scenda dalle punte signorina. – Le
sussurrò all'orecchio, scostandole i capelli dal collo
– Impara a
usarle di meno e lasciati trasportare dalla musica, da me –
Si
guardano per qualche istante, quanto bastava per perdere il
controllo. – Lasciati andare.
Fece come lui aveva detto e il
risultato non fu affatto male, aveva ballato per la prima volta
qualcosa che non fosse la danza classica in modo naturale e non gli
aveva fatto neanche tanto schifo. Aveva riso e scherzato, si era
lasciata trasportare dalla musica e l'unico pensiero era stato quello
di divertirsi. Era quella la differenza quindi? La danza classica non
le permetteva di scherzare ed essere sciolta?
– Non male.– La
voce di Giorgio la distrasse dai suoi pensieri – Ci vediamo
domani
alla stessa ora.
– Tutto qui? Abbiamo finito? – Gli corse
incontro fermandolo – Non marchiamo i passi?
Glielo chiese con
ovvietà perché era quello che faceva lei ogni
volta dopo le prove,
ripassare e provare fino a migliorare sempre di più, non
riusciva a
credere che Giorgio stesse andando via lasciando la lezione a
metà.
–
Chi se li ricorda, era tutto improvvisato. – Le sorrise e lei
ebbe
l'istinto di ucciderlo. – Domani studieremo una coreografia
semplice.
Marta lo osservò andare via e mentre raccoglieva la sua
roba pensava a un modo per farlo fuori e nello stesso tempo non
essere incolpata, prima o poi ci sarebbe riuscita.
Quando
tornò a casa non riusciva a togliersi di mente Giorgio: quel
ragazzo
la irritava da morire. Primo, perché non faceva parte del
suo mondo
e secondo perché era molto arrogante, si credeva la versione
maschile di Venere, il Dio della bellezza, solo perché aveva
un bel
corpo e sapeva usarlo bene, artisticamente parlando ovviamente
perché
lei avrebbe mai potuto fare pensieri di altro genere su di lui.
Cercò di rilassarsi e pensare ad altro perché era
arrivato il
momento per dedicarsi allo studio, era tardi e aveva perso troppo
tempo nel tergiversare su problemi futili e infantili; era al terzo
anno di università, in teoria, si sarebbe dovuta laureare
alla fine
dell’anno accademico ma, per quanto i suoi sforzi fossero
evidenti,
non ce l’avrebbe fatta in tempo, sperava almeno per la
sessione
estiva: quella più difficile, quella che avrebbe coinciso
con vari
saggi e spettacoli anche con alcune date della tournée in
giro per
l'Italia, se mai avesse continuato a far parte della compagnia.
Non
riusciva a studiare con tutti quei pensieri decise di lasciar perdere
i libri per quella sera e li chiuse con un colpo secco, prese il suo
I-pod e si rilassò sul letto: doveva pur esserci una canzone
che le
trasmettesse pace e serenità, Breathe me
di Sia le sembrò la
più adatta: chiuse gli occhi e respirò a fondo
ascoltando il testo,
li riaprì di scatto quando le venne un'idea brillante; si
posizionò
davanti allo specchio e, a occhi chiusi, si lasciò
trasportare dalla
melodia: si muoveva in modo fluido, come se fosse la canzone stessa a
ballare per lei, mimava ogni parola della canzone con il corpo,
cercando di non pensare ad altro ma lasciando fuori dalla sua testa
le preoccupazioni e i problemi.
Solo lei e la musica.
Lei e il
suo corpo.
All'ultima nota riaprì gli occhi e capì tutto:
aveva
ragione lei, doveva immedesimarsi nel brano, non doveva solo ballare
e usare la tecnica ma raccontare una storia.
Solo grazie a una
doccia calda riuscì a rilassarsi come voleva e dopo a
studiare, si
addormentò esausta; il giorno dopo, ancora non lo sapeva,
sarebbe
stata una giornata ancora più stressante e difficile da
sopportare.
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In
questo terzo capitolo iniziano le “lezioni private”
in cui
Giorgio e Marta sono costretti a stare insieme a loro malgrado;
vorrei essere al posto di Marta perché essere sfiorata in
quel modo
da uno bello e bravo come Giorgino non sarebbe male! XD
Una
nota
tecnica: Il Gran Pas Classique è una scena di un balletto, La
Bayadère ed
è uno dei pezzi più celebrati del balletto
classico tanto che spesso viene rappresentato come pezzo a
sé
stante.
Il
moonwalk penso lo conosciate tutti, è il famoso passo
di Micheal Jackson, esempio:
QUI.
I
Fouettés sono un passo di danza e, se non li conoscete sono
QUESTI.
Grazie
a tutti per essere qui, per aver recensito lo scorso capitolo.
A
presto.
CAPITOLO
REVISIONATO IL 28 OTTOBRE 2012
(NOTE EDITATE.)