Teddy
Lupin
[Six
Years Later]
Era
da qualche giorno che il cottage profumava continuamente di
marmellata alle fragole. Andromeda ne trovava tracce appiccicose
persino sui pomelli delle porte e gli asciugamani del bagno erano
sempre macchiati di rosa, come se qualcuno avesse avuto troppa fretta
di lavarsi come si deve e avesse lasciato la prova lì.
“Teddy
Lupin, vieni subito in salotto.” disse imperiosa, sapendo bene che
suo nipote era esattamente nella stanza accanto, in cucina, e stava
riempiendosi le dita di marmellata. Lo sentì saltare giù dalla
sedia e lo vide entrare con un panno bianco con cui si strofinava
energicamente le mani, lasciando le solite macchie rosa. Quel giorno
aveva i capelli blu, i suoi preferiti, e sembrava contento. C'era
solo una traccia marrone sulle punte, che significava solo una cosa:
era preoccupato per quello che sua nonna gli avrebbe detto.
“Ciao,
nonna.” disse, unendo per bene le gambe e poggiando lo straccio sul
tavolino vicino al divano. Poi mise le mani dietro la schiena e
attese il discorsetto, immobile.
“Cosa
ha da dire il mio ingordo nipote sulla marmellata di fragole?”
A
Teddy quella situazione ricordò un po' il processo descritte ne “Le
avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”, il libro che la
nonna gli aveva regalato e di cui gli leggeva un capitolo ogni sera,
prima che si addormentasse.
“Che...
è molto buona.” rispose lui.
“Così
buona che anche i pomelli delle porte e gli asciugamani del bagno te
ne hanno chiesta un po'?”
I capelli di Teddy divennero rosa. Come la marmellata.
“Sei
arrabbiata?” squittì poi. Non gli piaceva far arrabbiare la nonna,
che era così bella, brava e buona con lui. La migliore
dell'universo. “Non volevo sporcare, ma... Ma quando vado a casa
dello zio Harry, zia Ginny mi dice che il profumo della marmellata di
fragole fa smettere James di piangere...”
Andromeda
doveva sospettare che dietro la “faccenda della marmellata” si
celasse un motivo del genere. Da quando James era nato, solo pochi
mesi prima, Teddy sembrava essere impazzito. Chiedeva continuamente
se James somigliava a lui quando era così piccolo, se piangeva di
più o di meno, se poteva provare a tenerlo in braccio solo per un
po', giurando che non l'avrebbe mai fatto cadere.
“Facciamo
così, giovanotto.” Teddy tese le orecchie “Tu prendi una bella
spugna e cominci a pulire i pomelli mentre io ti preparo una pozione
che ti farà profumare di fragola.”
Sembrava
un bel compromesso, in effetti. Teddy annuì vigorosamente e corse
subito in cucina, per recuperare un altro panno pulito e una spugna.
Solo ora che sapeva che non avrebbe più dovuto mangiare marmellata
per far sorridere James sentiva che gli stava venendo un mal di
pancia tremendo.
Lee
Jordan
[Seven
Years Later]
Lee
aveva sempre saputo distinguerli.
Non
sbagliava mai nel dire chi era Fred e chi era George, neanche quando
loro tentavano ogni sorta di trucchetto per sviarlo. Lee sapeva che
Fred era un tantino più alto, ma roba di un capello, e che George
aveva il vizio di grattarsi la punta del naso con l'indice.
Riconosceva la lievissima differenza nelle loro voci e non si
ingannava mai quando chiamava “Fred!” e George si voltava al
posto dell'altro. Semplicemente, scuoteva la testa e diceva: “L'altro
Fred!” E poi non c'era tempo per mettere il muso davanti
all'impossibilità di imbrogliarlo in quel gioco, perciò finivano
per ridere tutti e tre. Alla fine neanche ricordavano perché si
trovavano sul tappeto davanti al camino della Sala Comune, morti
dalla risate e con i crampi allo stomaco dalla fame.
Ma
ora che Fred non c'era più, anche dopo sette anni, Lee poteva
giurare di riuscire a intravedere nei lineamenti di George qualcosa
del suo gemello. Non sapeva se fosse nel viso, nella voce, nel modo
in cui sorrideva e poi cercava di offrirgli una Crostatina Canarina.
C'era
qualcosa di estremamente bello e doloroso in George quando,
salutandolo dalla porta, abbassava il viso e sembrava domandarsi
perché. Cosa seguisse quel perché, Lee non gliel'avrebbe mai
chiesto.
Amos
Diggory
[Eight
Years Later]
Più
di dieci anni prima, avrebbe pensato che in un giorno come quello,
pieno di sole e con un vento che ti solletica dietro le orecchie come
per dirti “esci!” sarebbe stato il giorno in cui avrebbe preso
una manciata di Polvere Volante e sarebbe apparso nel camino della
casa di suo figlio. Gli avrebbe chiesto “Che ne dici, Ced? Perché
non passiamo un giornata tra uomini, io, tu e mio nipote?”
Avrebbero
raggiunto una collina abbastanza lontana da villaggi Babbani per
giocare a Quidditch, tre generazioni a confronto, e poi rievocato i
vecchi tempi andati e Amos avrebbe lodato le capacità di suo figlio
per rendere fiero suo nipote. Cedric avrebbe fatto il modesto, come
sempre, e poi sarebbero tornati a casa per godersi una cena
deliziosa.
Amos
le sognava sempre giornate come quella, anche ora che il tempo aveva
cominciato a passare così velocemente. Passava, sì, ma non sbiadiva
mai, e quegli ultimi momenti di felicità riapparivano vividi nella
sua memoria. Dopo era come accorgersi di non avere fiato a
sufficienza per respirare.
E
non era bastato che l'assassino di suo figlio sparisse per
restituirgli ciò che aveva perduto. No... non l'avrebbe mai più
riavuto. Lo sapeva sempre: quando salutava Harry Potter al Ministero
con un sorriso triste, che voleva dire tante cose; quando andava a
trovare Cedric su quel declivio erboso dove avevano scelto di
lasciarlo riposare; quando sua moglie apparecchiava per due e non più
per tre; quando tornava a casa e la consapevolezza lo schiacciava.
La
pace, quando hai perso qualcosa di più prezioso della tua stessa
vita senza poter fare nulla per proteggerla, è amara.