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Autore: sihu    18/03/2011    7 recensioni
La loro non era mai stata una vita facile, mai.
Fin da quando erano venuti al mondo avevano dovuto fare i conti con la crudeltà delle persone, sperimentando fin da subito l’isolamento e l’abbandono. Per gli altri non erano altro che rifiuti della società, i figli del demonio.
Trovare un motivo per tirare avanti ogni santo giorno, magari sorridendo, non per niente facile. A volte neppure per un tipo vulcanico come Rufy.
Era lui il vero fulcro del trio. Nei momenti peggiori ai due fratelli più grandi bastava guardarlo ridere, ingenuo come quando era bambino, per trovare il coraggio di continuare a sfidare il mondo. Tutto sommato si era sempre trattato di uno scambio piuttosto equo: i due fratelli più grandi insegnavano al piccolo a vivere, lui li faceva ridere e li metteva di buon umore.
Ora però, ogni cosa è andata persa; il trio è distrutto.
Tre uomini sull’orlo del baratro incontrano tre donne destinate ad influenzare le loro vite, sia nel bene che nel male. Riusciranno i tre fratelli a tenere fede alla promessa?
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- CAPITOLO 5 -

IL VIAGGIO RIPRENDE

- Circa sei mesi dopo gli avvenimenti di Marineford -

Ace alla fine aveva finito con il riprendere la via del mare. Era stata una decisione difficile, ma era conscio che era il solo modo per uscire dal baratro di orrore, autodistruzione ed infinita tristezza in cui era caduto. Andare alla ricerca di Nami voleva dire riaprire vecchie ferite, certo, ma anche fare luce sulla sorte di suo fratello e mettere la parola fine su quel triste capitolo della sua vita. Dentro la sua testa una vocina insistente aveva ripreso a sussurrargli che forse Rufy poteva essere ancora vivo, ma lui non voleva crederci. Sarebbe stato troppo doloroso illudersi ancora per poi ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Un altro buon motivo per seguire le tracce di Nami era che lo doveva a sua sorella. Dopo il suo tentato suicidio, Nojiko si era presa cura di Ace senza più perderlo di vista neppure per un attimo. La sola idea che lui potesse tentare di nuovo a togliersi la vita la terrorizzava.

- Come va?
Chiese Nojiko, comparendo all’improvviso alle spalle di Ace come faceva spesso. 

Era pomeriggio tardi, ma non aveva ancora iniziato a fare veramente freddo. Il sole che stava per tramontare aveva colorato ogni cosa con dei colori sorprendenti, tanto che era davvero piacevole stare all’aria aperta.

- Non credi sia una domanda stupida?
Mormorò lui, piano, per nulla sorpreso. 

L’aveva sentita arrivare, nonostante lei avesse cercato di fare più piano che poteva. La ragazza sospirò, sorridendo appena.

- Non esattamente se la fai se il pazzo con cui viaggi ha tentato il suicidio, si addormenta all’improvviso ed è pericolosamente appoggiato ad una balaustra pericolante.
Mormorò lei, portandosi al suo fianco. 

Ace stava guardando dei gabbiani che disegnavano grossi cerchi nel cielo. Erano partiti da poco tempo ma il ragazzo sapeva che Rogue Town sarebbe comparsa alla loro vista di lì a poco. Il pensiero di trovarsi sull’isola dove suo padre, quello biologico, era nato ed era morto lo agitava e lo lasciava indifferente allo stesso tempo. Non provava compassione o nostalgia per il destino di quell’uomo, solamente rabbia. Di tutti i lutti che aveva dovuto sopportare nella sua vita, quello per la morte di Gol D Roger era l’unico a lasciarlo del tutto indifferente.

- Sei pessimista.
Dichiarò Ace, abbozzando un sorriso. 

Parlare con Nojiko la maggior parte delle volte gli faceva bene e gli faceva scacciare i brutti pensieri. Ogni volta riusciva a cancellare tutte le oscure ombre prodotte dalla sua mente, compresa quella di suo padre.

- Tu sei matto.
Sospirò la ragazza, scuotendo la testa. 

Per quanto si sforzasse non riusciva ancora a capirlo, non sempre almeno. Alle volte sembrava essere in un mondo tutto suo, altre rideva e scherzava come se niente fosse. Non le aveva mai detto per quale motivo avesse cercato di togliersi la vita, ne perché aveva accettato così facilmente di partire con lei, ma a Nojiko non importava. Temeva che parlarne avrebbe potuto in qualche modo peggiorare le cose e gettare lo sconosciuto nuovamente nello sconforto.

- Perché viaggi con me?
Chiese Ace, fissando la ragazza dritta negli occhi. 

Tutto il villaggio adorava Nami ed era in pena per lei. Sarebbe bastato mostrare l’articolo a qualcuno per formare una ciurma numerosa pronta a partire, ma lei non lo aveva fatto. Aveva chiesto ad Ace di andare con lei e aveva fatto desistere tutti gli altri dal seguirli.

- Non ho trovato di meglio..
Scherzò Nojiko, diventando improvvisamente più seria. 

Ace sapeva che era il pensiero per la sorte della sorella a preoccuparla così, ma sapeva anche che qualsiasi parole sarebbe stata superflua. Condividere le sue parole e le sue paure con lei avrebbe solo peggiorato il già fragile equilibrio della ragazza.

- Ammettilo che ti sto simpatico, anche se onestamente non capisco perché. Non credo di avere fatto molto per rendermi simpatico, anzi si direbbe il contrario.
Esclamò Ace, cercando di strappare un sorriso alla ragazza che potesse distrarla dai pensieri che dovevano frullarle in testa. 

Nojiko lo guardò a lungo, studiando ogni tratto del suo volto, poi scoppiò a ridere. La sua era una risata cristallina, liberatoria. Ace ricambiò il suo sguardo, perplesso ma felice che la ragazza stesse meglio.

- Non lo so nemmeno io. Forse sono solo pazza. Non so nemmeno il tuo nome..
Sospirò Nojiko, inclinando la testa di lato. 

Rispetto alla prima volta che lo aveva visto era decisamente più curato ma continuava a non essere il suo tipo. Lei aveva bisogno di un tipo tranquillo, non di una testa calda con evidenti problemi di umore.

- Ho molti nomi, ma a quasi tutti sono legati ricordi dolorosi.
Sbuffò Ace. 

Era la prima volta che dava una spiegazione, seppur vaga, al suo rifiuto.

- Se te ne dessi uno io?
Chiese Nojiko, sorprendendo Ace. 

Si era aspettato che lei cominciasse a fare molte domande sul suo passato, invece lei sembrava più interessata al presente e a quello che li aspettava.

- Puoi provare.
Sospirò Ace, alzando le spalle. 

Nojiko si voltò e se ne andò, sorridendo per quella piccola vittoria.

Nelle ultime settimane tuttavia, nonostante la ragazza non avesse il coraggio di ammetterlo ad alta voce, le cose avevano iniziato ad andare meglio. Certo, non conosceva ancora il nome del suo silenzioso compagno di avventure, ne nulla di quel passato che lo aveva portato quasi alla follia, tuttavia ogni tanto lo sorprendeva ridere. Una risata cristallina, ingenua, che riempiva il cuore della ragazza. Ace sapeva che loro due avevano molto in comune, a partire dall’oggetto delle loro ricerche. Entrambi stavano cercando i propri fratelli, la stessa ciurma di pirati.

Qualche ora dopo lo scambio di battute sul ponte, i due stavano cenando in silenzio. Nojiko sembrava lontana, immersa in chissà quali pensieri, mentre Ace era semplicemente troppo annoiato per iniziare una conversazione. Di giorno era semplice non pensare ai suoi incubi, complice il mare, il sole e il volo dei gabbiani, ma di notte tutto si faceva scuro ed ostile. I fantasmi del suo passato comparivano davanti a suoi occhi, uno dopo l’altro, ed iniziavano a prendersi gioco di lui e del suo destino.

- Ahanu. Potrebbe andare?
Chiese improvvisamente Nojiko, rompendo quel silenzio così strano.

- Prego?
Chiese a sua volta Ace, perplesso, alzando di colpo la testa. 

La ragazza sospirò, appoggiò la forchetta e lanciò un’occhiata impaziente al compagno di viaggio.

- Volevi che ti dessi un nome io. Che ne pensi di Ahanu?
Spiegò pazientemente Nojiko. 

Il ragazzo ci rifletté un po’ su, poi alzò le spalle.

- Se piace a te, allora va bene.
Dichiarò alla fine, riprendendo a mangiare. 

Non gli importava che nome gli avesse dato, l’essenziale era che non gli ricordasse nulla del suo triste passato. Ahanu non gli diceva niente e questo bastava a farne un nome che gli andava di portare.

- Non vuoi nemmeno sapere che significa?
Chiese Nojiko, infastidita dalla reazione del compagno. 

Non si aspettava che facesse i salti di gioia, ma almeno che condividesse con lei le sue sensazioni in proposito. Dopo tutto non capita certo tutti i giorni di sentirsi dare un nome.

- Non credo sia davvero importante.
Disse Ace, pacato. 

La ragazza non rispose, ma riprese a mangiare. Una volta vuotati i piatti li ritirò in un catino e li ripose in un angolo; ci avrebbe pensato il giorno dopo a lavarli. Solo dopo aver fatto questo si voltò, fissando attentamente il volto distratto dell’amico.

- Colui-che-ride.
Scandì Nojiko, facendo sobbalzare Ace dalla sedia.

- Si può sapere che blateri, ragazzina?
Chiese Ace, infastidito per essere stato distolto bruscamente dai suoi pensieri.

- Ahanu vuol dire Colui-che- ride. Quando ero bambina avrei voluto un fratello da chiamare così.
Raccontò Nojiko, abbozzando un sorriso. 

Ace rimase stupito da quelle parole, ma non disse nulla. Di colpo in nome che la ragazza gli aveva dato prese un significato diverso, ricordandogli le corse nei prati, i combattimenti e le risate con i fratelli. Gli ricordava la parte migliore del suo passato, quella che aveva voluto a tutti dimenticare dopo la morte dei suoi fratelli.

- Ahanu.. potrebbe piacermi, credo che mi abituerò!
Esclamò Ace, scoppiando a ridere.

***

- Un anno dopo gli avvenimenti di Marineford -

Da quando aveva preso la via del mare Kaja poteva dirsi felice, finalmente realizzata. Partire insieme a Sabo alla ricerca di Usop e di qualcuno che le insegnasse per davvero l’arte della medicina era stata forse la scelta più avventata che la ragazza avesse mai compiuto nella sua vita ma allo stesso tempo era anche la migliore. Alla fine era riuscita a mettere da parte le sue paure e trovare quel tanto di coraggio che bastava per andare verso l’avventura e l’ignoto. Prima della sua partenza gli abitanti del villaggio avevano manifestato chiaramente i loro dubbi: Sabo era un eroe, ma non sapevano nulla del suo passato. Kaja li aveva rassicurati, guardandosi bene dal raccontare che in realtà il ragazzo era entrato nella sua casa per derubarla e non per salvarla. Ad ogni modo, alla fine si era dimostrato un tipo affidabile e con la testa sulle spalle. L’unico neo era che lei non sapeva quasi nulla di lui se quel poco che le aveva raccontato. Con il passare dei giorni e delle settimane l’umore del rivoluzionario era decisamente migliorato tanto che si erano trovati molte volte a ridere insieme, quasi si conoscessero da una vita intera. Per lo più parlavano di lei, mai del passato del ragazzo. Tutto quello che Sabo aveva raccontato di sé e che una volta faceva parte dell’armata Rivoluzionaria. Non aveva aggiunto altro, ne sembrava avere molta voglia di parlarne. Sembrava quasi che qualcosa lo bloccasse, rendendogli incredibilmente doloroso ripensare al suo passato. Quando non si trattava di parlare di sé tuttavia, Sabo era davvero buffo e divertente. Molte volte a Kaja sembrava di avere di fronte quel buffo ragazzino di gomma con il quale il suo amico Usop aveva preso il mare. La ragazza sapeva bene che doveva trattarsi di una somiglianza assurda, eppure non riusciva a togliersi quella strana idea dalla mente.  Doveva essere per via del modo di fare e di ridere, unito a quella dolcezza e a quell’altruismo con il quale il rivoluzionario la proteggeva quando qualche balordo li attaccava. Ogni volta si riprometteva di parlarne anche a Sabo, ma poi finiva sempre per dimenticarlo.

Una mattina particolarmente calda, Kaja si fermò ad osservare Sabo più a lungo del solito mentre ripensava al ragazzino con cui era salpato Usop. Era passato molto tempo, ma lei ricordava ancora chiaramente quel giorno. Era felice per il suo amico, certo, ma anche tanto triste all’idea di non trovarlo più sull’albero di fronte alla sua finestra a raccontarle qualcuna della sue buffe storie.

- Che c’è?
Chiese il rivoluzionario, facendo sobbalzare la sua compagna di viaggio. 

Era da un po’ che la fissava, persa nei suoi pensieri, senza però trovare il coraggio di disturbarla.

- Mi ricordi una persona.
Rispose Kaja, arrossendo improvvisamente per la brutta figura appena fatta.

- Un tuo amico?
Chiese Sabo, curioso. 

Era sempre bello parlare del passato della ragazza, ogni volta scopriva qualche dettaglio di lei che lo lasciava senza parole.

- Non esattamente. Era un pirata che è passato per il villaggio tempo fa.
Spiegò meglio Kaja, giocherellando con un bastoncino di legno.

- Quello che ti ha salvata e che è partito con il tuo amico?
Ipotizzò il rivoluzionario, ripensando ai racconti dei bambini del villaggio ed a quelli che la ragazza da che viaggiavano insieme.

- Si, proprio lui.
Disse lei, annuendo energicamente. 

Ripensare a quel pirata, sconosciuto e gentile, la metteva sempre di buon umore. Se non fosse stato per lui non sarebbe sopravvissuta, il villaggio avrebbe fatto una brutta fine e il suo amico Usop non sarebbe mai partito verso la realizzazione del suo sogno.

- Raccontami qualcosa, avanti. Non puoi dirmi che assomiglio a qualcuno e poi non raccontarmi nulla.
Sbuffò Sabo, più curioso che mai.

- Non so molto di lui, davvero. Era una persona buona, sorridente e che ispirava fiducia.
Spiegò Kaja, in difficoltà. 

Non sapeva perché gli ricordava quel ragazzo, era così e basta.

- Anche lui aveva cercato di svaligiarti casa?
Chiese Sabo, strappando una risata alla ragazza.

- Scemo!
Sbottò lei, alzando gli occhi al cielo.

- Beh, se era un pirata non doveva essere un tipo affidabile.
Commentò Sabo, pratico, facendo riferimento alla sua conoscenza dei pirati. 

Non ne aveva incontrati molti nella sua vita, ma tuttavia quei pochi gli erano bastati per fargli capire che non si trattava di gente affidabile. Il contrario di quello che sognava da bambino, quando giocava insieme ai suoi fratelli.

- Lui era buono.
Ribatté Kaja, decisa a difendere il pirata che le aveva salvato la vita.

- Un pirata buono?
Chiese il rivoluzionario, perplesso. 

Per esperienza sapeva bene che non esistevano pirati buoni, solo pirati con dei principi morali che nella maggior parte delle volte non facevano nulla senza un qualche tornaconto personale.

- Proprio così. Lui non derubava la gente, la aiutava.
Spiegò lei, infastidita dal fatto che il suo compagno di viaggio stesse mettendo in dubbio la buona fede di quei bravi ragazzi che le avevano salvato la vita senza pretendere nulla in cambio. Certo, alla fine aveva dato loro una nave, ma era sicura che non fosse quello il motivo per cui loro l’avessero salvata.

- Lavorava per la marina in pratica.
Esclamò Sabo, ironico, pensando ai pirati che componevano la Flotta dei Sette. 

Uomini senza troppi scrupoli che rispondevano alla marina e che erano legittimati a fare quello che volevano senza il rischio di incorrere in sanzioni o arresti.

- No, anzi. Ora ha anche una taglia.
Continuò Kaja, sorridendo.

- Se ha una taglia non può essere tanto buono.
Mormorò Sabo, pensieroso. 

Le parole della ragazza non avevano nessun senso. Dipingevano un ragazzo che viveva di ideali, senza pensare al proprio tornaconto e che tuttavia era abbastanza forte da andare contro la marina. In pratica, un pazzo.

- Uffa, sei impossibile.
Dichiarò alla fine Kaja, lasciando il rivoluzionario da solo sul ponte della nave.

***

- Due anni dopo gli avvenimenti di Marineford -

Rufy era ripartito insieme ai compagni verso l’isola degli uomini pesce, conscio di essere arrivato fino a quel punto dopo infinite peregrinazioni dall’esito tutto fuor che scontato; a conti fatti tra ammiragli, membri della flotta dei sette, mostri marini e quant’altro ci avevano messo ben più di due anni a superare quel breve tratto di mare che li separava dalla seconda metà del loro viaggio. Il solo ripensare a quanti grattacapi si erano messi sulla loro strada faceva venire il mal di testa persino ad un tipo deciso come lui. Ad ogni modo, tutto questo non era più importante. L’unico pensiero che occupava la mente di Rufy era proseguire il suo viaggio e riuscire a realizzare almeno qualcuno dei suoi sogni. Quelli che gli restavano. In quei due anni le sue prospettive erano cambiate. Voleva ancora diventare Re dei Pirati, ma non era più il suo pensiero principale. La vita dei suoi compagni, la loro felicità e la loro sicurezza venivano al primo posto.

Non vi era giorno che il ragazzino non pensasse ai suoi due fratelli maggiori ed alla loro fine. Era molto triste pensare che gli uomini che gli avevano insegnato a vivere avevano finito con il lasciarlo solo, in balia di se stesso e della sua incoscienza. Quando pensava a loro, per lunghi istanti il volto di Rufy si faceva serio, fin troppo per i suoi compagni. Rimaneva così, immobile, fino a che qualcuno non diceva qualcosa di stupido e tutti scoppiavano a ridere, capitano compreso. Certi giorni invece ripensare ai fratelli e ai bei momenti passati con loro, scappando da Dadan, da Makino e dagli abitanti del villaggio a cui avevano rubato del cibo lo faceva ridere come un bambino. Rimaneva ore a fissare il mare, sorridendo e parlando da solo. I compagni lo spiavano da lontani, spiazzati dai suoi campi di umore, ma tutto sommato sollevati. Il sorriso di Rufy come al solito aveva il potere di fare tornare il buonumore a tutti quanti.

Quando si erano ritrovati sulla nave, dopo essere sfuggiti ai vari avversari ed avere finalmente preso il largo, il capitano aveva guardato uno ad uno i suoi compagni, cercando sui loro visi i segni delle esperienze che avevano fatto in quei due anni. L’ultima volta che li aveva visti erano spariti uno ad uno sotto i suoi occhi, urlando spaventati il suo nome. Ora erano lì, sorridenti, fieri e determinati. Rufy scrutava ogni segno o cicatrice che tradisse se quei due anni era stati bellissimi oppure lunghissimi. C’era Zoro che era arrivato per primo al punto di incontro grazie a Perona, proprio come aveva predetto Keira. Il suo viso era segnato da una cicatrice nuova, ma per il resto era sempre il solito. Silenzioso ed imperturbabile ma sempre pronto a iniziare a discutere con il cuoco. Non disse nulla quanto si trovò nuovamente al fianco del suo capitano, si limitò a sguainare le sue spade e a ingaggiare una lotta furiosa con i marine che avevano attaccato Rufy. Con lo spadaccino al suo fianco il capitano di gomma si sentì di nuovo bene, completo. Il suo braccio destro era ancora lì, pronto a sostenerlo. Nulla era cambiato nel loro rapporto in quei due anni. Anche Sanji non era cambiato per nulla, tranne per il suo ciuffo. Nonostante lui non gli desse peso, Rufy insisteva nel dire che si trattava di un cambiamento epocale e che ora appariva un uomo nuovo. Il biondo fissò perplesso il suo capitano, fermandosi a soppesare quelle parole a lungo, per poi scrollare le spalle e accendersi l’ennesima sigaretta sbuffando. Fumava meno, ma era lo stesso troppo per Chopper che aveva ripreso ad insistere perché smettesse. La piccola renna non era cambiata per niente, esattamente come Brook. Quei due anni dovevano essere stati molto dolorosi soprattutto per loro due. Il cuore di Rufy si stringeva quando ripensava all’inferno patito dallo scheletro e dalla renna, abbandonati per una seconda volta dal ragazzo che aveva giurato che sarebbe stato la sua famiglia. Il capitano sapeva che forse li aveva delusi, ma cercava di non pensarci troppo. Ora era lì con loro, questa volta non avrebbe permesso a nessuno di attaccarli o ferirli. Sarebbe stato irremovibile e imbattibile. Il buffo cappello di Brook ricordò a Rufy che ora lo scheletro era una star della musica, anche se in fondo restava lo stesso pervertito di sempre. Nami e Robin erano diventate ancora più belle e femminili, tanto che il ragazzo di gomma si stupì che fossero riuscite a tornare senza che qualcuno le rapisse, le portasse via o le implorasse di entrare nella sua ciurma. La navigatrice aveva un piglio deciso, arrabbiato, ma il suo sguardo si addolcì non appena si posò sul suo capitano. Per quanto non condividesse molte delle scelte che lui aveva fatto, era felice che si fossero ritrovati. Robin era misteriosa come sempre, ma guardava il suo capitano con occhi nuovi. In mezzo ai Rivoluzionari aveva scoperto molte cose su Rufy, sulla sua famiglia e su quello che aveva passato in quei due anni. Queste informazioni le avevano dato una consapevolezza nuova ed era più che mai decisa a seguirlo fino alla fine del mondo. Franky se ne stava un po’ in disparte, silenzioso, ostentando la sua aria da duro e il suo nuovo aspetto. Era felice di vederli, forse più tardi avrebbe persino pianto, ma per il momento non tradiva alcuna emozione. Aveva pulito la Sunny dalla poppa alla prua, lucidando ogni pomello, balaustra ed asse della nave perché fosse al meglio per il loro nuovo viaggio verso l’ignoto.

Dopo aver guardato i compagni senza dire nulla Rufy guardò se stesso, quasi fosse davanti ad uno specchio. Riusciva a vedere la sua immagine riflessa negli sguardi curiosi e pieni di aspettative dei suoi compagni. Aveva nuove cicatrici e lo sguardo di un ragazzino che è stato costretto a crescere troppo in fretta, ma tutto sommato era felice. Di fronte a sé aveva la sua ciurma, quella che a poco a poco era diventata la sua famiglia. Li guardò nuovamente, prima nell’insieme, poi soffermandosi su ognuno di loro per qualche istante. 

Erano ancora i suoi compagni? Credevano ancora il lui?

La risposta non tardò ad arrivare, soltanto qualche ora più tardi. Il ragazzo di gomma se ne stava sdraiato sulla polena della nave, fissando il mare. Gli era mancata quella particolare postazione di osservazione dalla quale riusciva a controllare che ogni cosa funzionasse come doveva.

- Capitano..
Chiamò Usop, emozionato, correndo via verso la sala da pranzo avvolta nell’oscurità senza aggiungere altro. Il capitano, curioso, si alzò deciso a scoprire che diamine stesse combinando il suo cecchino.

- Che succede?
Chiese Rufy fissando confuso il punto in cui l’amico era sparito prima di seguirlo sottocoperta. 

Una volta entrato si ritrovò immerso nei ricordi di tutte le conversazioni, le litigate e le decisioni che erano state prese lì dentro. La stanza era senza dubbio la stessa di due anni prima, solo più buia e silenziosa di quanto fosse mai stata in precedenza. Il tavolo era apparecchiato di tutto punto, in attesa che qualcuno si sedesse per consumare di nuovo un pasto. Improvvisamente le luci si accesero, rivelando una lunga serie di prelibatezze, bevande a volontà, un sacco di decorazioni e i suoi compagni sorridenti.

- Festa!
Esclamò Brook, iniziando a suonare una delle melodie che aveva scritto pensando ai compagni e al giorno in cui avrebbe finalmente potuto suonarle per loro. 

Usop, Franky e Chopper non se lo fecero ripetere due volte. Alla prima nota si erano già lanciati in balli scatenati, coinvolgendo anche Nami e Robin. Persino Zoro e Sanji lasciarono perdere il loro solito contegno e si unirono ai festeggiamenti. Non avevano ancora compiuto nessuna impresa straordinaria da che il loro viaggio era ripreso, ma si erano ritrovati. Nessuno aveva mancato di rispondere alla chiamata.

Guardando i suoi amici ridere, scherzare e ballare Rufy aveva sentito gli occhi riempirsi di lacrime, ma le aveva coraggiosamente ricacciate indietro. Non era tempo di piangere, ne di darsi del fallito. I suoi compagni erano ancora lì, erano tornati da lui. Il viaggio era ricominciato, la vita andava avanti.

La mattina dopo la festa tutti quanti si svegliarono di soprassalto a causa di tremende urla. Il fastidio iniziale causato da tutto quel baccano fu presto spazzato via dalla consapevolezza di essere sulla Sunny, insieme dopo due lunghi anni. Nulla poteva cancellare il sorriso dai loro volti, nemmeno le poche ore di sonno, la fame ed il mal di testa che affliggeva tutti i presenti.

- Per l’ultima volta, arrangiati.
Scandì Zoro, ancora troppo addormentato per brandire a dovere una delle sue tre spade ma fin troppo sveglio per litigare con Sanji.

- Non ho chiesto il tuo parere, idiota!
Sbuffò Sanji, minacciando il compagno con una grossa padella unta di olio che era rimasta sui fornelli dalla festa della sera prima. 

Lo spadaccino evitò abbastanza facilmente il colpo, storcendo la bocca in una smorfia di disgusto.

- Allora sta zitto e non importunarmi.
Ribatté Zoro, infastidito, mettendo il broncio. 

Si era svegliato circa un ora prima, ancora intontito dalla festa della sera prima. Gli altri dormivano ancora della grossa e per non svegliarsi aveva deciso di uscire sul ponte, godendosi la brezza del mattino in santa pace. Allenarsi era fuori discussione, aveva talmente sonno che sarebbe finito in acqua senza rendersene conto. Tutto quel baccano era iniziato soltanto qualche minuto prima, quando anche il cuoco si era svegliato e gli aveva intimato senza troppi giri di parole di aiutarlo a sistemare il disastro che era rimasto dalla festa della sera prima. La risposta dello spadaccino era stata secca: arrangiati. Da lì era iniziato il caos che aveva finito per svegliare tutti quanti.

- Ho il mal di testa, avete tre secondi per stare zitti. Tutti e due.
Sibilò Nami, furiosa. 

Quei due erano incredibili, erano talmente incompatibili da litigare in ogni occasione, ma anche questo in fondo era piacevole. Si trattava di un segno inequivocabile che tutto era tornato come prima, liti comprese. In passato i due avevano toccato in fondo una notte, quando i compagni li avevano sorpresi a litigare nel sonno: entrambi erano addormentati e sognavano, ma nel frattempo non si risparmiavano insulti, calci e schiaffi. Quella volta erano davvero andati vicini a farsi male sul serio, rischiando di coinvolgere anche gli altri nella rissa.

- Certo luce dei miei occhi.
Gongolò il cuoco, osservando ammirato la perfezione della sua adorata navigatrice. 

Era bellissima persino appena sveglia, con gli occhi ancora gonfi dal sonno. Dopo due anni passati insieme ad un gruppo di forzutissimi ed insistenti omoni travestiti da donna vedere una figura così perfetta e femminile era un sogno.

- La colazione è pronta?
Chiese Usop, affamato, ignorando gli sguardi in cagnesco che si scambiavano Sanji e Zoro.

- Mi sono alzato cinque minuti da, se hai tutta questa fame arrangiati.
Sbuffò Sanji, seccato, accendendosi la prima di quella che prometteva essere una lunga serie di sigarette. 

Non solo Zoro non collaborava, ma nessuno sembrava prendere sul serio le sue proteste. In poche parole, i suoi compagni nonostante i due anni passati erano rimasti i soliti ingrati.

- Che razza di cuoco sei?
Chiese Zoro, scuotendo la testa e sbadigliando rumorosamente.

- Sta zitto, testa di muschio. Se invece di alzare la voce e svegliare Nami mi avresti dato retta, la colazione sarebbe pronta.
Ringhiò il biondo, completamente fuori di sé. 

Certo, la cucina così come la cambusa e le provviste erano una sua responsabilità, ma un aiuto con i piatti una volta tanto non sarebbe stato un disonore ma solamente una dimostrazione di collaborazione e civiltà.

- Chiamami quando hai fatto..
Mormorò Usop, alzando le spalle e voltandosi a guardare il mare. 

Nonostante la leggera brezza era piatto come una tavola, perfetto per pescare qualcosa di prelibato con cui riempire l’acquario.

- Fermo lì! Nessuno si muove fino a che non mi date una mano a sistemare questo disastro.
Precisò Sanji, gli occhi che ormai mandavano fiamme. 

Ormai non era più una richiesta garbata ma una questione di principio: dovevano aiutarlo, oppure avrebbero dovuto risponderne a lui.

- Stai scherzando?
Chiese Nami, bella e terribile come suo solito, con le braccia appoggiate ai fianchi e un piede che batteva isterico ed insistente. 

Sanji si volto verso di lei, bastò una semplice occhiata perché il suo battito accelerasse e la sua testa iniziasse a vorticare.

- Luce dei miei occhi, non c’è bisogno che tu e Robin roviniate le vostre belle mani. Andate pure, faremo noi.
Gongolò il cuoco, ignorando gli effetti che quelle parole avrebbero portato sui compagni.

- Sei sicuro?
Chiese Robin, preoccupata, sporgendosi per dare un’occhiata al disastro che era rimasto dalla festa della notte precedente. 

La loro nave non era mai stata particolarmente ordinata, ma questa volta la sala da pranzo era conciata peggio del solito. Nemmeno se avessero combattuto una feroce battaglia a bordo avrebbero potuto fare peggio di così.

- Certo bellissima Robin. Facciamo in un baleno, così potremo fare colazione.
Pigolò Sanji, gongolando, pregustando l’istante in cui avrebbe servito le sue pietanze alle sue due principesse ed ignorando le occhiate furbe che si scambiavano gli altri componenti della ciurma mentre lui era distratto.

- Idiota.
Sbuffò Zoro a mezza voce, abbastanza forte perché il biondo lo sentisse chiaramente.

- Vuoi litigare?
Chiese Sanji, più che mai irritato per la scarsa, anzi nulla, collaborazione dei compagni.

- No, ma visto che non hai bisogno di Nami e Robin allora non hai bisogno nemmeno di me.
Concluse lo spadaccino con toni pacati, allontanandosi prima che Sanji riuscisse a realizzare la frase ed elaborare una risposta. 

Il biondo rimase immobile con la sigaretta appoggiata alle labbra che si consumava da sola. Lo avevano fregato. Anzi, a dire il vero si era addirittura fregato da solo.

- La penso come lui.
Dichiarò Franky, grattandosi la testa.

- Anche io.
Si unì Brook, complice.

- Ma ragazzi..
Protestò Sanji, guardando i compagni unirsi e fare fronte comune contro di lui.

- Vieni Chopper, andiamo a pescare. Franky?
Propose Usop, con le canne da pesca già pronte nelle sue mani.

- Arrivo.
Rispose il cyborg, eccitato all’idea di rilassarsi un po’ insieme agli amici.

- Fantastico, siamo alle solite.
Borbottò Sanji, parlando più a se stesso che a qualcuno in particolare. 

Alla fine ognuno aveva trovato da fare e lui era rimasto solo con i piatti, le pentole e la colazione da preparare. 

- Non prendertela, a loro piace scherzare.
Rispose Rufy, cogliendo di sorpresa l’amico che si voltò di scatto.

- Rufy?
Si stupì Sanji, fissando incredulo il capitano. 

Di solito il ragazzo di gomma era sempre il primo a svegliarsi, piombare in cucina e pretendere che il biondino preparasse qualcosa per lui. Normalmente era anche il primo a svignarsela con Usop quando il cuoco cercava volontari per aiutarlo in cucina. Trovarselo davanti era una vera sorpresa.

- Non sono bravo a lavare i piatti, li rompo sempre.. però posso sparecchiare.
Il cuoco continuò a fissare Rufy per un po’, immobile. 

Era l’ultima persona da cui si aspettava collaborazione, eppure era lì. Sorrideva come suo solito, quasi non risentisse degli effetti dei festeggiamenti della notte precedente.

- Grazie.
Mormorò Sanji, arrotolando le maniche per cominciare a lavare i piatti.

- Faccio solo il mio dovere.
Rispose il capitano. 

L’altro non poteva vederlo, ma era sicuro che stesse sorridendo. In quei due anni, semi abbandonato su un’isola praticamente deserta, il ragazzo di gomma aveva dovuto imparare ad arrangiarsi. Non c’era più Sanji, Makino o altri a preparargli il pranzo e la cena. Rey era stato chiarissimo: anche se siamo insieme, dovrai arrangiarti. Questo voleva dire trovare del cibo, assicurarsi che fosse commestibile e cucinarlo in qualche modo. Dopo vari tentativi disastrosi Rufy aveva cominciato a diventare bravo, ma non vi era giorno che non ripensasse ai manicaretti di Sanji o a quanto fosse tutto più semplice insieme ai suoi compagni. Solo allora aveva imparato veramente quanto fosse essenziale un cuoco a bordo, quanto fosse stato fortunato a trovare Sanji e soprattutto quanto era sempre stato egoista a lasciare che facesse tutto lui senza offrirsi mai di aiutarlo.

- No, fai di più. Tu fai sempre di più.
Rispose Sanji, assorto. 

Quel gesto, per quanto piccolo e insignificante fosse, aveva ricordato al cuoco quanto Rufy tenesse a loro. Ogni sua decisione, per quanto poco assennata sembrasse, teneva sempre in conto la loro sicurezza e la loro felicità. Quando tutti lo avevano lasciato solo con i piatti, il capitano era rimasto. Quando i nemici li minacciavano e avevano bisogno di una mano, lui c’era. Non vi era mai stato giorno in quei due lunghissimi anni in Sanji cui non aveva pensato a lui, a quanto il capitano avesse fatto per loro e a come loro non fossero stati in grado di stargli accanto quando dovevano. Era preoccupato, dopo tutto le notizie sul giornale non erano certo confortanti, ma più che altro era determinato. Voleva diventare più forte, essere il braccio sinistro che ancora Rufy non aveva designato. Sapeva che il ruolo di vice capitano era sempre stato di Zoro, eppure lui non voleva essere da meno.

- Ti sei mai pentito di avere lasciato il Baratie per venire con me?
Chiese Rufy improvvisamente, interrompendo il flusso dei pensieri dell’amico. 

Il suo tono era serio, ma tradiva una punta di insicurezza che il cuoco non aveva mai sentito nella voce del suo spensierato capitano di gomma. Sanji si bloccò per qualche istante, stupito dalla domanda ma certo di quale fosse la sua risposta.

- Mai. Sono orgoglioso di fare parte della tua ciurma, capitano.
Disse il biondino, deciso. 

Rufy abbozzò un sorriso, rassicurato.

- Come sono andati questi anni, Sanji?
Chiese ancora il capitano, voltandosi a guardare l’amico. 

La sera prima Usop aveva raccontato loro nei dettagli le sue avventure, con tanto di balli e di canti che aveva composto lui stesso. Nessuno sapeva quanto di vero ci fosse nei suoi racconti, ma li avevano ascoltati volentieri. Solo il capitano ad un certo punto era sparito, prima che il cecchino terminasse il suo racconto. Rufy sapeva che tutti erano impazienti di sapere cosa avesse fatto lui, ma non si sentiva pronto a dividere quelle esperienze con loro. Voleva dimenticarle, non riviverle ancora.

- Sono stati durissimi e terribili, ma sono diventato più forte. Tu, invece?
Disse Sanji, fiero di poter affermare di avere battuto ognuno degli avversari che gli si erano parati davanti. Rufy non rispose subito, ma sembrò quasi esitare.

- È stato uno spasso, davvero. Rey è troppo simpatico. Questi due anni sono passati in un baleno.
Esclamò alla fine, sorridendo. 

Sanji lo guardò appena, giusto un istante. Lo conosceva abbastanza per sapere che stava mentendo. Il suo sorriso, persino il suo entusiasmo non erano gli stessi della sera prima quando si erano rincontrati. C’era qualcosa in quei due anni che il ragazzo di gomma non voleva dividere con i compagni, forse per non rattristarli o forse perché non era ancora pronto. Ad ogni modo, Sanji non si diede per vinto.

- Che mi dici della cicatrice?
Chiese ancora il cuoco, indicando appena il grosso segno che gli deturpava l’addome. 

Era stata la prima cosa che aveva notato quando si era trovato davanti l’amico, ma non aveva fatto domande. Nessuno di loro lo aveva fatto, si erano limitati a salutarlo ed abbracciarlo.

- Non ci pensare, è solo un graffietto.
Lo rassicurò Rufy, accarezzandosi appena la grossa cicatrice. 

Nel farlo la sua mano incontrò il medaglione che gli aveva dato Keira. Ancora una volta il ragazzo si chiese cosa fosse, ma decise di non dargli peso. A tempo debito avrebbe avuto tutte le risposte.

- Allora, questa colazione?
Chiese Zoro, buttando la testa nella stanza con un aria seccata.

- Se tu ci dessi una mano finiremmo molto prima, ma il grande Zoro non si sporca le mani per aiutare i compagni con le faccende di tutti i giorni..
Protestò Sanji, alzando gli occhi al soffitto, troppo impegnato con i piatti e con i misteri del suo capitano per riuscire ad essere veramente cattivo. 

In fondo lo spadaccino gli era mancato in quei due anni. Alle volte, tra un combattimento e l’altro, si trovava a pensare anche a lui. In alcune occasioni aveva anche fatto appello ai suoi insegnamenti in fatto di onore e determinazione per riuscire a vincere.

- Rufy? Che fai?
Chiese Zoro, sorprendendosi di trovare lì il suo capitano. 

In cucina di solito il ragazzo di gomma ci andava solo per mangiare, non certo per aiutare. O meglio, lo faceva solo se costretto e alla prima occasione fuggiva a pescare con Usop, Franky e Chopper.

- Aiuto Sanji, così mangiamo prima!
Rispose Rufy, allegro. 

Zoro si immobilizzò per un attimo, poi si avvicinò al cuoco.

- Che devo fare?
Chiese lo spadaccino, senza il solito tono strafottente che di solito usava per rivolgersi a Sanji. 

Il biondo si stupì di quell’improvviso cambio di opinione, ma decise di non essere cattivo. In fondo Zoro era un bravo ragazzo. Un po’ ottuso, certo, ma fedele al suo capitano al punto di decidere di dare una mano anche senza che gli venisse ordinato.

- Ti sei deciso quindi.. bene, finisci di lavare i piatti mentre io vado in cambusa.
Disse Sanji, asciugandosi le mani e lasciando Zoro e Rufy alle prese con quello che rimaneva dei piatti. 

Il biondo aveva provveduto a lavare per prima le cose delicate, in modo che quei due babbei non potessero fare troppi danni una volta lasciati soli.

Per un po’ i due rimasero in silenzio. Era evidente che entrambi avevano molte domande da fare, ma nessuno dei due si decideva ad aprire bocca. Nella loro amicizia parlare era una cosa inutile, riservata solo alle grandi occasioni oppure ai momenti cruciali della battaglia.

- Ti sei allenato con Perona?
Si decise alla fine a chiedere Rufy, curioso. 

Era stato Sanji la sera prima a dire che lo spadaccino era riuscito ad arrivare per primo al punto di incontro solo grazie a lei.

- No, con l’uomo dagli occhi di falco.
Rispose lo spadaccino, pacato, sorprendendo il proprio capitano che si voltò a guardarlo perplesso.

- Credevo volessi batterlo, non diventare suo allievo.
Commentò il ragazzo di gomma, stupito. 

Zoro si lasciò scappare un sorriso. Sapeva che una volta tornato alla Sunny Rufy, Sanji o qualcuno degli altri avrebbe detto una cosa del genere. Era preparato a rispondere a quella domanda dallo stesso momento in cui aveva chiesto al suo nemico di aiutarlo ed allenarlo.

- La famiglia è più importante dell’orgoglio. Avrò tempo per diventare il più forte, ora voglio solo essere abbastanza forte da essere al tuo fianco nel momento del bisogno.

Spiegò Zoro, guardando negli occhi l’amico perché non fraintendesse le sue parole. 

Non si era allenato così a lungo perché non credeva in lui, al contrario, voleva essere degno di poter restare al suo fianco fino alla fine, conservando il suo titolo di vice. Non avrebbe permesso a Sanji di portaglielo via, ne a Nami o agli altri. Lui era arrivato primo, al punto di incontro così come nella ciurma, ed era il braccio destro di Cappello di Paglia, punto. Era sempre stato così e le cose non sarebbe certo cambiate.

- Grazie, senza un vice capitano come te il mio viaggio sarebbe finito tanto tempo fa.
Mormorò Rufy, abbassando gli occhi perché lo spadaccino non notasse la tristezza che vi albergava. 

Era fiero di avere dei compagni così forti e decisi, ma allo stesso tempo aveva paura di non meritarli o di non essere in grado di difenderli nonostante le sue buone intenzioni e la sua determinazione. Due anni prima non era bastato.

- Non è vero, lo sai. Io sono forte, certo, ma è il tuo buon umore e la tua testardaggine che ci tiene uniti. Senza contare che non sono stato io a stendere il tizio con il piccione, o Arlong e nemmeno Crocodile.
Lo corresse Zoro, serio. 

Rufy si immobilizzò per un momento, alzando lo sguardo ad incontrare quello del compagno.

- Credi che io sia ancora all’altezza di essere il vostro capitano?
Chiese Rufy, dando fiato al dubbio che lo tormentava da quasi due anni. 

Zoro si irrigidì, stupito da quella domanda che improvvisamente gli permise di capire quanto era grande l’affetto che il capitano provava per loro. Certo, lui era sempre pronto ad aiutare tutti, ma per i suoi compagni provava un affetto quasi viscerale che lo aveva portato ad accantonare le sue tristezze e le sue paure per essere un capitano forte, un ancora alla quale i suoi amici potevano fare affidamento.

- Perché non dovresti?
Chiese lo spadaccino, senza tradire la minima emozione nella voce.

- Mi sono lasciato sconfiggere, ho permesso che vi spedisse lontano e non sono riuscito a salvare mio fratello. Ho passato due anni ad allenarmi, convinto che se fossi diventato più forte avrei smesso di sentirmi un fallito..
Rispose Rufy, senza prendere fiato. 

Zoro lo ascoltava, il silenzio. Per la prima volta il capitano messo da parte il suo perenne sorriso e aveva condiviso con qualcuno parte dei suoi timori rilevando come dietro la sua inesauribile forza si nascondesse un ragazzino sperduto e insicuro. Non lo aveva fatto perché tenesse a Zoro più che agli altri, ma solo perché sapeva che con lui non c’era bisogno di sorridere per forza. Lo spadaccino lo capiva anche quando era stanco, debole o irritato.

- Vedi questa cicatrice? Ricordi quando me la sono fatta..
Iniziò Zoro, scoprendosi il petto e rivelando la grossa cicatrice che gli aveva lasciato l’Uomo dagli Occhi di Falco tanto tempo prima, quando si erano incontrati per la prima volta nel mare Orientale.

- Certo.
Rispose Rufy, confuso e pensieroso. 

Ricordava bene quel momento. In quei terribili attimi sembrava quasi che il tempo si fosse fermato o quanto meno avesse rallentato bruscamente. Vedeva Zoro che stava per essere colpito, accusare il colpo e cadere in acqua ma non riusciva a fare nulla per aiutarlo. Il suo primo compagno era caduto sotto i suoi occhi, senza che lui avesse potuto aiutarlo. Solo quando Usop gli aveva assicurato che lo spadaccino stava bene si era permesso di riprendere a respirare, non prima.

- La cicatrice che ti solca il petto è un po’ come la mia.
Continuò Zoro, pacato. 

Rufy lo ascoltava, rapito e confuso. Il ragazzo di gomma aveva sempre pensato che lui e lo spadaccino fossero molto simili, ma non aveva mai pensato di poter paragonare anche le cicatrici che portavano addosso.

- Non se ne andrà mai, resterà lì per sempre a ricordarti che quel giorno sei stato debole ma che un giorno avrai la tua occasione per riscattarti. Fino ad allora dovrai allenarti, proprio come faccio io. Una cicatrice non è un disonore per un guerriero, è solo il simbolo del suo coraggio e della sua determinazione a non arrendersi di fronte ad un nemico.
Concluse Zoro, parlando più di quanto avesse mai fatto in vita sua.

- Basta parlare, muoviti con quei piatti.
Sbuffò Nami, sulla porta. 

Rufy sussultò e si voltò verso la navigatrice, sorpreso di trovarla lì. Non disse nulla, si limitò a sorridere e a lanciare uno sguardo di ringraziamento a Zoro. Non serviva altro, lo sapeva bene.

La ragazza aveva sentito tutto il discorso, ma non decise di non dire nulla in proposito. Era una conversazione troppo privata e a dir poco surreale quella che aveva sentito tra il capitano ed il suo vice.

- Ci mancava solo la mocciosa a dare ordini, come se non bastasse il damerino.
Sbuffò Zoro, fingendosi infastidito. 

In quei due anni lo spadaccino non aveva solo migliorato la sua tecnica ma aveva anche imparato che nella vita non esiste solo il combattimento e la lotta. Quello che gli era mancato di più non era l’avventura ma la vita quotidiana fatta di incomprensioni, confusione, faccende domestiche, rumore, discussioni e screzi. Era tutto ciò che dava un senso alla lotta e li spingeva a combattere come fratelli, pronti a dare la vita per difendersi l’un l’altro.

- Dove è finito, Sanji?
Chiese Nami, guardandosi intorno, stranita che il biondo non si fosse ancora precipitato da lei per farle la corte.

- In cambusa.
Rispose Rufy, togliendo le ultime cose dal tavolo.

- Rufy, posso parlarti?
Chiese ancora la ragazza, abbassando lo sguardo. 

Zoro alzò lo sguardo per un momento, poi tornò a dedicare tutte le sue attenzioni ai piatti che stava lavando. Se ne avesse rotto qualcuno Sanji avrebbe cominciato a fare un sacco di storie, annoiandolo a morte.

Rufy sembrava confuso ma seguì l’amica sul ponte, lontano dalle orecchie dei compagni.

- Che c’è?
Chiese Rufy, cercando di indovinare cosa stava passando per la mente della ragazza.

- Ero preoccupata. Ho passato due anni ad odiarti, a maledirti ed a essere preoccupata per te. Alla fine tu sbuchi con quella cicatrice, non dici nulla, aiuti Sanji e non fai il cretino.
Esclamò Nami, isterica ed indignata. 

La reazione del capitano alle sue parole la lasciò di sasso. La ragazza di aspettava che Rufy scoppiasse a ridere, magari dicendo una cavolata delle sue, ma così non fu. Il ragazzo di gomma rimase incredibilmente serio, sostenendo lo sguardo di Nami, poi lo abbassò e parlò a bassa voce.

- Perdonami, non ho mantenuto la mia promessa.
Disse Rufy. 

La ragazza lo fissò a lungo, chiedendosi se il suo capitano fosse cresciuto così tanto in quei due anni o se era stata lei a non accorgersi mai di quanto fosse maturo.

- Quale?
Chiese la navigatrice, confusa.

- Non mi sono preso cura di te, ti ho fatta piangere..
Rispose Rufy, sorridendo mesto.

- Sei diventato grande, Cappello di Paglia?
Chiese Nami, inclinando leggermente la testa di lato.

- No, non credo.. forse solo un pochino..
Esclamò Rufy, scoppiando a ridere.

- Meno male!
Sospirò Nami, più sollevata. 

Quando Rufy sorrideva era impossibile non provare un immediato senso di sicurezza e di protezione. Era tornato. Il suo capitano aveva dovuto affrontare l’inferno da solo, senza che loro potessero sostenerlo, ma alla fine era riuscito a tornare da loro.

- LA COLAZIONE!
Chiamò Sanji, mettendo fine alla conversazione prima che cominciasse a farsi troppo intima ed imbarazzante per entrambi.

- Andiamo, veloci, prima che Brook ci mangi tutto!
Scherzò Rufy prendendo Nami per un braccio e lanciandosi nella sala da pranzo con la sua consueta poca grazia.

ANGOLO DELL'AUTRICE

Eccomi di nuovo qui, con un nuovo e lungo capitolo per farmi perdonare la lunga sparizione. Ho seguito il suggerimento di alcuni di voi e ho inserito dei riferimenti temporali per rendervi tutto più semplice. 

Che altro dire, BUONA LETTURA!

Tre 88: per prima cosa, grazie per i complimenti. immagino che sarai stata felice di apprendere che il vecchio Ace è tornato una persona normale e ha messo da parte la sua tristezza! Nojiko non ha fatto caso al tatuaggio sul braccio, ne lo ha riconosciuto. per lei è solamente uno sconosciuto un po' strambo. nel prossimo capitolo il viaggio continuerà.. vedrai!

Kuruccha: grazie per i complimenti, sono contenta tu abbia apprezzato lo scorso capitolo. :D in questo capitolo tutto si è ribaltato: Rufy e la ciurma hanno decisamente molto più spazio, ma nel prossimo capitolo si parlerà più che altro di Ace e Sabo. :D

Smemo92: ti ringrazio per la franchezza, ed anche per la fiducia. felice di non averti deluso! :D la descrizione che hai fatto di Rufy è semplicemente perfetta, un sogno. hai colto esattamente tutte le sfumature del mio personaggio. con Ace è molto più facile che con Sabo, ma allo stesso tempo con Sabo ho meno limitazioni. hai colto anche il prologo: quello sarà l'apice conclusivo della mia storia. :D

Brando: in questo capitolo ho introdotto delle etichette temporali, spero di averti semplificato le cose. ad ogni modo, si, le avventure si svolgono in tempi differenti! 

raffa_chan: è ancora presto perchè tutti si incontrino, ma diciamo che adesso che sono partiti sono tutti sulla buona strada. solo, come minimo dovrà passare del tempo!

Akemichan: spero che il mio Sabo non ti disturbi al punto da non farti più leggere la mia storia. se hai consigli sono pronta ad ascoltarli, dopo tutto di lui sappiamo talmente poco! :D

  
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