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CAPITOLO 5 -
IL
VIAGGIO
RIPRENDE
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Circa sei mesi dopo gli avvenimenti di Marineford -
Ace
alla fine aveva finito con il
riprendere la via del mare. Era stata una decisione difficile, ma era
conscio
che era il solo modo per uscire dal baratro di orrore, autodistruzione
ed
infinita tristezza in cui era caduto. Andare alla ricerca di Nami
voleva dire
riaprire vecchie ferite, certo, ma anche fare luce sulla sorte di suo
fratello
e mettere la parola fine su quel triste capitolo della sua vita. Dentro
la sua
testa una vocina insistente aveva ripreso a sussurrargli che forse Rufy
poteva
essere ancora vivo, ma lui non voleva crederci. Sarebbe stato troppo
doloroso
illudersi ancora per poi ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Un
altro
buon motivo per seguire le tracce di Nami era che lo doveva a sua
sorella. Dopo
il suo tentato suicidio, Nojiko si era presa cura di Ace senza
più perderlo di
vista neppure per un attimo. La sola idea che lui potesse tentare di
nuovo a
togliersi la vita la terrorizzava.
-
Come va?
Chiese Nojiko, comparendo
all’improvviso alle spalle di Ace come faceva
spesso.
Era
pomeriggio tardi, ma
non aveva ancora iniziato a fare veramente freddo. Il sole che stava
per
tramontare aveva colorato ogni cosa con dei colori sorprendenti, tanto
che era
davvero piacevole stare all’aria aperta.
-
Non credi sia una domanda stupida?
Mormorò lui, piano, per nulla
sorpreso.
L’aveva
sentita arrivare, nonostante lei avesse cercato di fare più
piano che poteva. La ragazza sospirò, sorridendo appena.
-
Non esattamente se la fai se il
pazzo con cui viaggi ha tentato il suicidio, si addormenta
all’improvviso ed è
pericolosamente appoggiato ad una balaustra pericolante.
Mormorò lei, portandosi al suo
fianco.
Ace
stava guardando dei gabbiani che disegnavano grossi cerchi nel
cielo. Erano partiti da poco tempo ma il ragazzo sapeva che Rogue Town
sarebbe
comparsa alla loro vista di lì a poco. Il pensiero di
trovarsi sull’isola dove
suo padre, quello biologico, era nato ed era morto lo agitava e lo
lasciava
indifferente allo stesso tempo. Non provava compassione o nostalgia per
il
destino di quell’uomo, solamente rabbia. Di tutti i lutti che
aveva dovuto
sopportare nella sua vita, quello per la morte di Gol D Roger era
l’unico a
lasciarlo del tutto indifferente.
-
Sei pessimista.
Dichiarò Ace, abbozzando un sorriso.
Parlare
con Nojiko la maggior parte delle volte gli faceva bene e gli faceva
scacciare i brutti pensieri. Ogni volta riusciva a cancellare tutte le
oscure
ombre prodotte dalla sua mente, compresa quella di suo padre.
-
Tu sei matto.
Sospirò la ragazza, scuotendo la
testa.
Per
quanto si sforzasse non riusciva ancora a capirlo, non sempre
almeno. Alle volte sembrava essere in un mondo tutto suo, altre rideva
e
scherzava come se niente fosse. Non le aveva mai detto per quale motivo
avesse
cercato di togliersi la vita, ne perché aveva accettato
così facilmente di
partire con lei, ma a Nojiko non importava. Temeva che parlarne avrebbe
potuto
in qualche modo peggiorare le cose e gettare lo sconosciuto nuovamente
nello
sconforto.
-
Perché viaggi con me?
Chiese Ace, fissando la ragazza
dritta negli occhi.
Tutto
il villaggio adorava Nami ed era in pena per lei.
Sarebbe bastato mostrare l’articolo a qualcuno per formare
una ciurma numerosa
pronta a partire, ma lei non lo aveva fatto. Aveva chiesto ad Ace di
andare con
lei e aveva fatto desistere tutti gli altri dal seguirli.
-
Non ho trovato di meglio..
Scherzò Nojiko, diventando
improvvisamente più seria.
Ace
sapeva che era il pensiero per la sorte della
sorella a preoccuparla così, ma sapeva anche che qualsiasi
parole sarebbe stata
superflua. Condividere le sue parole e le sue paure con lei avrebbe
solo
peggiorato il già fragile equilibrio della ragazza.
-
Ammettilo che ti sto simpatico,
anche se onestamente non capisco perché. Non credo di avere
fatto molto per
rendermi simpatico, anzi si direbbe il contrario.
Esclamò Ace, cercando di strappare un
sorriso alla ragazza che potesse distrarla dai pensieri che dovevano
frullarle
in testa.
Nojiko
lo guardò a lungo, studiando ogni tratto del suo volto, poi
scoppiò a ridere. La sua era una risata cristallina,
liberatoria. Ace ricambiò
il suo sguardo, perplesso ma felice che la ragazza stesse meglio.
-
Non lo so nemmeno io. Forse sono
solo pazza. Non so nemmeno il tuo nome..
Sospirò Nojiko, inclinando la testa
di lato.
Rispetto
alla prima volta che lo aveva visto era decisamente più
curato ma continuava a non essere il suo tipo. Lei aveva bisogno di un
tipo
tranquillo, non di una testa calda con evidenti problemi di umore.
-
Ho molti nomi, ma a quasi tutti
sono legati ricordi dolorosi.
Sbuffò Ace.
Era
la prima volta che
dava una spiegazione, seppur vaga, al suo rifiuto.
-
Se te ne dessi uno io?
Chiese Nojiko, sorprendendo Ace.
Si
era aspettato che lei cominciasse a fare molte domande sul suo passato,
invece
lei sembrava più interessata al presente e a quello che li
aspettava.
-
Puoi provare.
Sospirò Ace, alzando le spalle.
Nojiko
si voltò e se ne andò, sorridendo per quella
piccola vittoria.
Nelle
ultime settimane tuttavia,
nonostante la ragazza non avesse il coraggio di ammetterlo ad alta
voce, le
cose avevano iniziato ad andare meglio. Certo, non conosceva ancora il
nome del
suo silenzioso compagno di avventure, ne nulla di quel passato che lo
aveva
portato quasi alla follia, tuttavia ogni tanto lo sorprendeva ridere.
Una
risata cristallina, ingenua, che riempiva il cuore della ragazza. Ace
sapeva
che loro due avevano molto in comune, a partire dall’oggetto
delle loro
ricerche. Entrambi stavano cercando i propri fratelli, la stessa ciurma
di
pirati.
Qualche
ora dopo lo scambio di
battute sul ponte, i due stavano cenando in silenzio. Nojiko sembrava
lontana,
immersa in chissà quali pensieri, mentre Ace era
semplicemente troppo annoiato
per iniziare una conversazione. Di giorno era semplice non pensare ai
suoi
incubi, complice il mare, il sole e il volo dei gabbiani, ma di notte
tutto si
faceva scuro ed ostile. I fantasmi del suo passato comparivano davanti
a suoi
occhi, uno dopo l’altro, ed iniziavano a prendersi gioco di
lui e del suo
destino.
-
Ahanu. Potrebbe andare?
Chiese improvvisamente Nojiko,
rompendo quel silenzio così strano.
-
Prego?
Chiese a sua volta Ace, perplesso,
alzando di colpo la testa.
La
ragazza sospirò, appoggiò la forchetta e
lanciò
un’occhiata impaziente al compagno di viaggio.
-
Volevi che ti dessi un nome io. Che
ne pensi di Ahanu?
Spiegò pazientemente Nojiko.
Il
ragazzo ci rifletté un po’ su, poi alzò
le spalle.
-
Se piace a te, allora va bene.
Dichiarò alla fine, riprendendo a
mangiare.
Non
gli importava che nome gli avesse dato, l’essenziale era che
non
gli ricordasse nulla del suo triste passato. Ahanu non gli diceva
niente e
questo bastava a farne un nome che gli andava di portare.
-
Non vuoi nemmeno sapere che
significa?
Chiese Nojiko, infastidita dalla
reazione del compagno.
Non
si aspettava che facesse i salti di gioia, ma almeno
che condividesse con lei le sue sensazioni in proposito. Dopo tutto non
capita
certo tutti i giorni di sentirsi dare un nome.
-
Non credo sia davvero importante.
Disse Ace, pacato.
La
ragazza non
rispose, ma riprese a mangiare. Una volta vuotati i piatti li
ritirò in un
catino e li ripose in un angolo; ci avrebbe pensato il giorno dopo a
lavarli.
Solo dopo aver fatto questo si voltò, fissando attentamente
il volto distratto
dell’amico.
-
Colui-che-ride.
Scandì Nojiko, facendo sobbalzare Ace
dalla sedia.
-
Si può sapere che blateri,
ragazzina?
Chiese Ace, infastidito per essere
stato distolto bruscamente dai suoi pensieri.
-
Ahanu vuol dire Colui-che- ride.
Quando ero bambina avrei voluto un fratello da chiamare così.
Raccontò Nojiko, abbozzando un
sorriso.
Ace
rimase stupito da quelle parole, ma non disse nulla. Di colpo in
nome che la ragazza gli aveva dato prese un significato diverso,
ricordandogli
le corse nei prati, i combattimenti e le risate con i fratelli. Gli
ricordava
la parte migliore del suo passato, quella che aveva voluto a tutti
dimenticare
dopo la morte dei suoi fratelli.
-
Ahanu.. potrebbe piacermi, credo
che mi abituerò!
Esclamò Ace, scoppiando a ridere.
***
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Un anno dopo gli avvenimenti di Marineford -
Da
quando aveva preso la via del mare
Kaja poteva dirsi felice, finalmente realizzata. Partire insieme a Sabo
alla
ricerca di Usop e di qualcuno che le insegnasse per davvero
l’arte della
medicina era stata forse la scelta più avventata che la
ragazza avesse mai
compiuto nella sua vita ma allo stesso tempo era anche la migliore.
Alla fine era
riuscita a mettere da parte le sue paure e trovare quel tanto di
coraggio che
bastava per andare verso l’avventura e l’ignoto.
Prima della sua partenza gli
abitanti del villaggio avevano manifestato chiaramente i loro dubbi:
Sabo era
un eroe, ma non sapevano nulla del suo passato. Kaja li aveva
rassicurati,
guardandosi bene dal raccontare che in realtà il ragazzo era
entrato nella sua
casa per derubarla e non per salvarla. Ad ogni modo, alla fine si era
dimostrato un tipo affidabile e con la testa sulle spalle.
L’unico neo era che lei
non sapeva quasi nulla di lui se quel poco che le aveva raccontato. Con
il
passare dei giorni e delle settimane l’umore del
rivoluzionario era decisamente
migliorato tanto che si erano trovati molte volte a ridere insieme,
quasi si
conoscessero da una vita intera. Per lo più parlavano di
lei, mai del passato
del ragazzo. Tutto quello che Sabo aveva raccontato di sé e
che una volta
faceva parte dell’armata Rivoluzionaria. Non aveva aggiunto
altro, ne sembrava
avere molta voglia di parlarne. Sembrava quasi che qualcosa lo
bloccasse,
rendendogli incredibilmente doloroso ripensare al suo passato. Quando
non si
trattava di parlare di sé tuttavia, Sabo era davvero buffo e
divertente. Molte
volte a Kaja sembrava di avere di fronte quel buffo ragazzino di gomma
con il
quale il suo amico Usop aveva preso il mare. La ragazza sapeva bene che
doveva
trattarsi di una somiglianza assurda, eppure non riusciva a togliersi
quella
strana idea dalla mente. Doveva
essere
per via del modo di fare e di ridere, unito a quella dolcezza e a
quell’altruismo con il quale il rivoluzionario la proteggeva
quando qualche
balordo li attaccava. Ogni volta si riprometteva di parlarne anche a
Sabo, ma
poi finiva sempre per dimenticarlo.
Una
mattina particolarmente calda,
Kaja si fermò ad osservare Sabo più a lungo del
solito mentre ripensava al
ragazzino con cui era salpato Usop. Era passato molto tempo, ma lei
ricordava
ancora chiaramente quel giorno. Era felice per il suo amico, certo, ma
anche
tanto triste all’idea di non trovarlo più
sull’albero di fronte alla sua
finestra a raccontarle qualcuna della sue buffe storie.
-
Che c’è?
Chiese il rivoluzionario, facendo
sobbalzare la sua compagna di viaggio.
Era
da un po’ che la fissava, persa nei
suoi pensieri, senza però trovare il coraggio di disturbarla.
-
Mi ricordi una persona.
Rispose Kaja, arrossendo
improvvisamente per la brutta figura appena fatta.
-
Un tuo amico?
Chiese Sabo, curioso.
Era
sempre
bello parlare del passato della ragazza, ogni volta scopriva qualche
dettaglio
di lei che lo lasciava senza parole.
-
Non esattamente. Era un pirata che
è passato per il villaggio tempo fa.
Spiegò meglio Kaja, giocherellando
con un bastoncino di legno.
-
Quello che ti ha salvata e che è
partito con il tuo amico?
Ipotizzò il rivoluzionario,
ripensando ai racconti dei bambini del villaggio ed a quelli che la
ragazza da
che viaggiavano insieme.
-
Si, proprio lui.
Disse lei, annuendo energicamente.
Ripensare
a quel pirata, sconosciuto e gentile, la metteva sempre di buon umore.
Se non
fosse stato per lui non sarebbe sopravvissuta, il villaggio avrebbe
fatto una
brutta fine e il suo amico Usop non sarebbe mai partito verso la
realizzazione
del suo sogno.
-
Raccontami qualcosa, avanti. Non
puoi dirmi che assomiglio a qualcuno e poi non raccontarmi nulla.
Sbuffò Sabo, più curioso che mai.
-
Non so molto di lui, davvero. Era
una persona buona, sorridente e che ispirava fiducia.
Spiegò Kaja, in difficoltà.
Non
sapeva perché gli ricordava quel ragazzo, era
così e basta.
-
Anche lui aveva cercato di
svaligiarti casa?
Chiese Sabo, strappando una risata
alla ragazza.
-
Scemo!
Sbottò lei, alzando gli occhi al
cielo.
-
Beh, se era un pirata non doveva
essere un tipo affidabile.
Commentò Sabo, pratico, facendo
riferimento alla sua conoscenza dei pirati.
Non
ne aveva incontrati molti nella
sua vita, ma tuttavia quei pochi gli erano bastati per fargli capire
che non si
trattava di gente affidabile. Il contrario di quello che sognava da
bambino,
quando giocava insieme ai suoi fratelli.
-
Lui era buono.
Ribatté Kaja, decisa a difendere il
pirata che le aveva salvato la vita.
-
Un pirata buono?
Chiese il rivoluzionario, perplesso.
Per
esperienza sapeva bene che non esistevano pirati buoni, solo pirati con
dei
principi morali che nella maggior parte delle volte non facevano nulla
senza un
qualche tornaconto personale.
-
Proprio così. Lui non derubava la
gente, la aiutava.
Spiegò lei, infastidita dal fatto che
il suo compagno di viaggio stesse mettendo in dubbio la buona fede di
quei
bravi ragazzi che le avevano salvato la vita senza pretendere nulla in
cambio.
Certo, alla fine aveva dato loro una nave, ma era sicura che non fosse
quello
il motivo per cui loro l’avessero salvata.
-
Lavorava per la marina in pratica.
Esclamò Sabo, ironico, pensando ai
pirati che componevano
Uomini
senza troppi scrupoli che
rispondevano alla marina e che erano legittimati a fare quello che
volevano
senza il rischio di incorrere in sanzioni o arresti.
-
No, anzi. Ora ha anche una taglia.
Continuò Kaja, sorridendo.
-
Se ha una taglia non può essere
tanto buono.
Mormorò Sabo, pensieroso.
Le
parole
della ragazza non avevano nessun senso. Dipingevano un ragazzo che
viveva di
ideali, senza pensare al proprio tornaconto e che tuttavia era
abbastanza forte
da andare contro la marina. In pratica, un pazzo.
-
Uffa, sei impossibile.
Dichiarò alla fine Kaja, lasciando il
rivoluzionario da solo sul ponte della nave.
***
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Due anni dopo gli avvenimenti di Marineford -
Rufy
era ripartito insieme ai
compagni verso l’isola degli uomini pesce, conscio di essere
arrivato fino a
quel punto dopo infinite peregrinazioni dall’esito tutto fuor
che scontato; a
conti fatti tra ammiragli, membri della flotta dei sette, mostri marini
e
quant’altro ci avevano messo ben più di due anni a
superare quel breve tratto
di mare che li separava dalla seconda metà del loro viaggio.
Il solo ripensare
a quanti grattacapi si erano messi sulla loro strada faceva venire il
mal di
testa persino ad un tipo deciso come lui. Ad ogni modo, tutto questo
non era
più importante. L’unico pensiero che occupava la
mente di Rufy era proseguire
il suo viaggio e riuscire a realizzare almeno qualcuno dei suoi sogni.
Quelli
che gli restavano. In quei due anni le sue prospettive erano cambiate.
Voleva
ancora diventare Re dei Pirati, ma non era più il suo
pensiero principale. La
vita dei suoi compagni, la loro felicità e la loro sicurezza
venivano al primo
posto.
Non
vi era giorno che il ragazzino
non pensasse ai suoi due fratelli maggiori ed alla loro fine. Era molto
triste
pensare che gli uomini che gli avevano insegnato a vivere avevano
finito con il
lasciarlo solo, in balia di se stesso e della sua incoscienza. Quando
pensava a
loro, per lunghi istanti il volto di Rufy si faceva serio, fin troppo
per i
suoi compagni. Rimaneva così, immobile, fino a che qualcuno
non diceva qualcosa
di stupido e tutti scoppiavano a ridere, capitano compreso. Certi
giorni invece
ripensare ai fratelli e ai bei momenti passati con loro, scappando da
Dadan, da
Makino e dagli abitanti del villaggio a cui avevano rubato del cibo lo
faceva
ridere come un bambino. Rimaneva ore a fissare il mare, sorridendo e
parlando
da solo. I compagni lo spiavano da lontani, spiazzati dai suoi campi di
umore,
ma tutto sommato sollevati. Il sorriso di Rufy come al solito aveva il
potere
di fare tornare il buonumore a tutti quanti.
Quando
si erano ritrovati sulla nave,
dopo essere sfuggiti ai vari avversari ed avere finalmente preso il
largo, il
capitano aveva guardato uno ad uno i suoi compagni, cercando sui loro
visi i
segni delle esperienze che avevano fatto in quei due anni.
L’ultima volta che
li aveva visti erano spariti uno ad uno sotto i suoi occhi, urlando
spaventati
il suo nome. Ora erano lì, sorridenti, fieri e determinati.
Rufy scrutava ogni
segno o cicatrice che tradisse se quei due anni era stati bellissimi
oppure
lunghissimi. C’era Zoro che era arrivato per primo al punto
di incontro grazie
a Perona, proprio come aveva predetto Keira. Il suo viso era segnato da
una
cicatrice nuova, ma per il resto era sempre il solito. Silenzioso ed
imperturbabile ma sempre pronto a iniziare a discutere con il cuoco.
Non disse
nulla quanto si trovò nuovamente al fianco del suo capitano,
si limitò a
sguainare le sue spade e a ingaggiare una lotta furiosa con i marine
che
avevano attaccato Rufy. Con lo spadaccino al suo fianco il capitano di
gomma si
sentì di nuovo bene, completo. Il suo braccio destro era
ancora lì, pronto a
sostenerlo. Nulla era cambiato nel loro rapporto in quei due anni.
Anche Sanji
non era cambiato per nulla, tranne per il suo ciuffo. Nonostante lui
non gli
desse peso, Rufy insisteva nel dire che si trattava di un cambiamento
epocale e
che ora appariva un uomo nuovo. Il biondo fissò perplesso il
suo capitano,
fermandosi a soppesare quelle parole a lungo, per poi scrollare le
spalle e
accendersi l’ennesima sigaretta sbuffando. Fumava meno, ma
era lo stesso troppo
per Chopper che aveva ripreso ad insistere perché smettesse.
La piccola renna
non era cambiata per niente, esattamente come Brook. Quei due anni
dovevano
essere stati molto dolorosi soprattutto per loro due. Il cuore di Rufy
si
stringeva quando ripensava all’inferno patito dallo scheletro
e dalla renna, abbandonati
per una seconda volta dal ragazzo che aveva giurato che sarebbe stato
la sua
famiglia. Il capitano sapeva che forse li aveva delusi, ma cercava di
non
pensarci troppo. Ora era lì con loro, questa volta non
avrebbe permesso a
nessuno di attaccarli o ferirli. Sarebbe stato irremovibile e
imbattibile. Il
buffo cappello di Brook ricordò a Rufy che ora lo scheletro
era una star della
musica, anche se in fondo restava lo stesso pervertito di sempre. Nami
e Robin
erano diventate ancora più belle e femminili, tanto che il
ragazzo di gomma si
stupì che fossero riuscite a tornare senza che qualcuno le
rapisse, le portasse
via o le implorasse di entrare nella sua ciurma. La navigatrice aveva
un piglio
deciso, arrabbiato, ma il suo sguardo si addolcì non appena
si posò sul suo
capitano. Per quanto non condividesse molte delle scelte che lui aveva
fatto,
era felice che si fossero ritrovati. Robin era misteriosa come sempre,
ma
guardava il suo capitano con occhi nuovi. In mezzo ai Rivoluzionari
aveva
scoperto molte cose su Rufy, sulla sua famiglia e su quello che aveva
passato
in quei due anni. Queste informazioni le avevano dato una
consapevolezza nuova
ed era più che mai decisa a seguirlo fino alla fine del
mondo. Franky se ne
stava un po’ in disparte, silenzioso, ostentando la sua aria
da duro e il suo
nuovo aspetto. Era felice di vederli, forse più tardi
avrebbe persino pianto,
ma per il momento non tradiva alcuna emozione. Aveva pulito
Dopo
aver guardato i compagni senza
dire nulla Rufy guardò se stesso, quasi fosse davanti ad uno
specchio. Riusciva
a vedere la sua immagine riflessa negli sguardi curiosi e pieni di
aspettative
dei suoi compagni. Aveva nuove cicatrici e lo sguardo di un ragazzino
che è
stato costretto a crescere troppo in fretta, ma tutto sommato era
felice. Di
fronte a sé aveva la sua ciurma, quella che a poco a poco
era diventata la sua
famiglia. Li guardò nuovamente, prima
nell’insieme, poi soffermandosi su ognuno
di loro per qualche istante.
Erano
ancora i suoi compagni?
Credevano ancora il lui?
La
risposta non tardò ad arrivare,
soltanto qualche ora più tardi. Il ragazzo di gomma se ne
stava sdraiato sulla
polena della nave, fissando il mare. Gli era mancata quella particolare
postazione di osservazione dalla quale riusciva a controllare che ogni
cosa
funzionasse come doveva.
-
Capitano..
Chiamò Usop, emozionato, correndo via
verso la sala da pranzo avvolta nell’oscurità
senza aggiungere altro. Il
capitano, curioso, si alzò deciso a scoprire che diamine
stesse combinando il
suo cecchino.
-
Che succede?
Chiese Rufy fissando confuso il punto
in cui l’amico era sparito prima di seguirlo
sottocoperta.
Una
volta entrato si
ritrovò immerso nei ricordi di tutte le conversazioni, le
litigate e le
decisioni che erano state prese lì dentro. La stanza era
senza dubbio la stessa
di due anni prima, solo più buia e silenziosa di quanto
fosse mai stata in
precedenza. Il tavolo era apparecchiato di tutto punto, in attesa che
qualcuno
si sedesse per consumare di nuovo un pasto. Improvvisamente le luci si
accesero, rivelando una lunga serie di prelibatezze, bevande a
volontà, un
sacco di decorazioni e i suoi compagni sorridenti.
-
Festa!
Esclamò Brook, iniziando a suonare
una delle melodie che aveva scritto pensando ai compagni e al giorno in
cui
avrebbe finalmente potuto suonarle per loro.
Usop,
Franky e Chopper non se lo
fecero ripetere due volte. Alla prima nota si erano già
lanciati in balli
scatenati, coinvolgendo anche Nami e Robin. Persino Zoro e Sanji
lasciarono
perdere il loro solito contegno e si unirono ai festeggiamenti. Non
avevano
ancora compiuto nessuna impresa straordinaria da che il loro viaggio
era
ripreso, ma si erano ritrovati. Nessuno aveva mancato di rispondere
alla
chiamata.
Guardando
i suoi amici ridere,
scherzare e ballare Rufy aveva sentito gli occhi riempirsi di lacrime,
ma le
aveva coraggiosamente ricacciate indietro. Non era tempo di piangere,
ne di
darsi del fallito. I suoi compagni erano ancora lì, erano
tornati da lui. Il
viaggio era ricominciato, la vita andava avanti.
La
mattina dopo la festa tutti quanti
si svegliarono di soprassalto a causa di tremende urla. Il fastidio
iniziale
causato da tutto quel baccano fu presto spazzato via dalla
consapevolezza di
essere sulla Sunny, insieme dopo due lunghi anni. Nulla poteva
cancellare il
sorriso dai loro volti, nemmeno le poche ore di sonno, la fame ed il
mal di
testa che affliggeva tutti i presenti.
-
Per l’ultima volta, arrangiati.
Scandì Zoro, ancora troppo
addormentato per brandire a dovere una delle sue tre spade ma fin
troppo
sveglio per litigare con Sanji.
-
Non ho chiesto il tuo parere,
idiota!
Sbuffò Sanji, minacciando il compagno
con una grossa padella unta di olio che era rimasta sui fornelli dalla
festa
della sera prima.
Lo
spadaccino evitò abbastanza facilmente il colpo, storcendo
la bocca in una smorfia di disgusto.
-
Allora sta zitto e non
importunarmi.
Ribatté Zoro, infastidito, mettendo
il broncio.
Si
era svegliato circa un ora prima, ancora intontito dalla festa
della sera prima. Gli altri dormivano ancora della grossa e per non
svegliarsi
aveva deciso di uscire sul ponte, godendosi la brezza del mattino in
santa
pace. Allenarsi era fuori discussione, aveva talmente sonno che sarebbe
finito
in acqua senza rendersene conto. Tutto quel baccano era iniziato
soltanto
qualche minuto prima, quando anche il cuoco si era svegliato e gli
aveva
intimato senza troppi giri di parole di aiutarlo a sistemare il
disastro che
era rimasto dalla festa della sera prima. La risposta dello spadaccino
era
stata secca: arrangiati. Da lì era iniziato il caos che
aveva finito per
svegliare tutti quanti.
-
Ho il mal di testa, avete tre
secondi per stare zitti. Tutti e due.
Sibilò Nami, furiosa.
Quei
due erano
incredibili, erano talmente incompatibili da litigare in ogni
occasione, ma
anche questo in fondo era piacevole. Si trattava di un segno
inequivocabile che
tutto era tornato come prima, liti comprese. In passato i due avevano
toccato
in fondo una notte, quando i compagni li avevano sorpresi a litigare
nel sonno:
entrambi erano addormentati e sognavano, ma nel frattempo non si
risparmiavano
insulti, calci e schiaffi. Quella volta erano davvero andati vicini a
farsi
male sul serio, rischiando di coinvolgere anche gli altri nella rissa.
-
Certo luce dei miei occhi.
Gongolò il cuoco, osservando ammirato
la perfezione della sua adorata navigatrice.
Era
bellissima persino appena
sveglia, con gli occhi ancora gonfi dal sonno. Dopo due anni passati
insieme ad
un gruppo di forzutissimi ed insistenti omoni travestiti da donna
vedere una
figura così perfetta e femminile era un sogno.
-
La colazione è pronta?
Chiese Usop, affamato, ignorando gli
sguardi in cagnesco che si scambiavano Sanji e Zoro.
-
Mi sono alzato cinque minuti da, se
hai tutta questa fame arrangiati.
Sbuffò Sanji, seccato, accendendosi
la prima di quella che prometteva essere una lunga serie di
sigarette.
Non
solo
Zoro non collaborava, ma nessuno sembrava prendere sul serio le sue
proteste.
In poche parole, i suoi compagni nonostante i due anni passati erano
rimasti i
soliti ingrati.
-
Che razza di cuoco sei?
Chiese Zoro, scuotendo la testa e sbadigliando
rumorosamente.
-
Sta zitto, testa di muschio. Se
invece di alzare la voce e svegliare Nami mi avresti dato retta, la
colazione
sarebbe pronta.
Ringhiò il biondo, completamente
fuori di sé.
Certo,
la cucina così come la cambusa e le provviste erano una sua
responsabilità, ma un aiuto con i piatti una volta tanto non
sarebbe stato un
disonore ma solamente una dimostrazione di collaborazione e
civiltà.
-
Chiamami quando hai fatto..
Mormorò Usop, alzando le spalle e
voltandosi a guardare il mare.
Nonostante
la leggera brezza era piatto come una
tavola, perfetto per pescare qualcosa di prelibato con cui riempire
l’acquario.
-
Fermo lì! Nessuno si muove fino a
che non mi date una mano a sistemare questo disastro.
Precisò Sanji, gli occhi che ormai
mandavano fiamme.
Ormai
non era più una richiesta garbata ma una questione di
principio: dovevano aiutarlo, oppure avrebbero dovuto risponderne a lui.
-
Stai scherzando?
Chiese Nami, bella e terribile come
suo solito, con le braccia appoggiate ai fianchi e un piede che batteva
isterico ed insistente.
Sanji
si volto verso di lei, bastò una semplice
occhiata perché il suo battito accelerasse e la sua testa
iniziasse a
vorticare.
-
Luce dei miei occhi, non c’è
bisogno che tu e Robin roviniate le vostre belle mani. Andate pure,
faremo noi.
Gongolò il cuoco, ignorando gli
effetti che quelle parole avrebbero portato sui compagni.
-
Sei sicuro?
Chiese Robin, preoccupata,
sporgendosi per dare un’occhiata al disastro che era rimasto
dalla festa della
notte precedente.
La
loro nave non era mai stata particolarmente ordinata, ma
questa volta la sala da pranzo era conciata peggio del solito. Nemmeno
se
avessero combattuto una feroce battaglia a bordo avrebbero potuto fare
peggio
di così.
-
Certo bellissima Robin. Facciamo in
un baleno, così potremo fare colazione.
Pigolò Sanji, gongolando, pregustando
l’istante in cui avrebbe servito le sue pietanze alle sue due
principesse ed
ignorando le occhiate furbe che si scambiavano gli altri componenti
della
ciurma mentre lui era distratto.
-
Idiota.
Sbuffò Zoro a mezza voce, abbastanza
forte perché il biondo lo sentisse chiaramente.
-
Vuoi litigare?
Chiese Sanji, più che mai irritato
per la scarsa, anzi nulla, collaborazione dei compagni.
-
No, ma visto che non hai bisogno di
Nami e Robin allora non hai bisogno nemmeno di me.
Concluse lo spadaccino con toni
pacati, allontanandosi prima che Sanji riuscisse a realizzare la frase
ed
elaborare una risposta.
Il
biondo rimase immobile con la sigaretta appoggiata
alle labbra che si consumava da sola. Lo avevano fregato. Anzi, a dire
il vero
si era addirittura fregato da solo.
-
La penso come lui.
Dichiarò Franky, grattandosi la
testa.
-
Anche io.
Si unì Brook, complice.
-
Ma ragazzi..
Protestò Sanji, guardando i compagni
unirsi e fare fronte comune contro di lui.
-
Vieni Chopper, andiamo a pescare.
Franky?
Propose Usop, con le canne da pesca
già pronte nelle sue mani.
-
Arrivo.
Rispose il cyborg, eccitato all’idea
di rilassarsi un po’ insieme agli amici.
-
Fantastico, siamo alle solite.
Borbottò Sanji, parlando più a se
stesso che a qualcuno in particolare.
Alla
fine ognuno aveva trovato da fare e
lui era rimasto solo con i piatti, le pentole e la colazione da
preparare.
-
Non prendertela, a loro piace
scherzare.
Rispose Rufy, cogliendo di sorpresa
l’amico che si voltò di scatto.
-
Rufy?
Si stupì Sanji, fissando incredulo il
capitano.
Di
solito il ragazzo di gomma era sempre il primo a svegliarsi,
piombare in cucina e pretendere che il biondino preparasse qualcosa per
lui.
Normalmente era anche il primo a svignarsela con Usop quando il cuoco
cercava
volontari per aiutarlo in cucina. Trovarselo davanti era una vera
sorpresa.
-
Non sono bravo a lavare i piatti,
li rompo sempre.. però posso sparecchiare.
Il cuoco continuò a fissare Rufy per
un po’, immobile.
Era
l’ultima persona da cui si aspettava collaborazione,
eppure era lì. Sorrideva come suo solito, quasi non
risentisse degli effetti dei
festeggiamenti della notte precedente.
-
Grazie.
Mormorò Sanji, arrotolando le maniche
per cominciare a lavare i piatti.
-
Faccio solo il mio dovere.
Rispose il capitano.
L’altro
non
poteva vederlo, ma era sicuro che stesse sorridendo. In quei due anni,
semi
abbandonato su un’isola praticamente deserta, il ragazzo di
gomma aveva dovuto
imparare ad arrangiarsi. Non c’era più Sanji,
Makino o altri a preparargli il
pranzo e la cena. Rey era stato chiarissimo: anche se siamo insieme,
dovrai
arrangiarti. Questo voleva dire trovare del cibo, assicurarsi che fosse
commestibile e cucinarlo in qualche modo. Dopo vari tentativi
disastrosi Rufy
aveva cominciato a diventare bravo, ma non vi era giorno che non
ripensasse ai
manicaretti di Sanji o a quanto fosse tutto più semplice
insieme ai suoi
compagni. Solo allora aveva imparato veramente quanto fosse essenziale
un cuoco
a bordo, quanto fosse stato fortunato a trovare Sanji e soprattutto
quanto era
sempre stato egoista a lasciare che facesse tutto lui senza offrirsi
mai di
aiutarlo.
-
No, fai di più. Tu fai sempre di
più.
Rispose Sanji, assorto.
Quel
gesto,
per quanto piccolo e insignificante fosse, aveva ricordato al cuoco
quanto Rufy
tenesse a loro. Ogni sua decisione, per quanto poco assennata
sembrasse, teneva
sempre in conto la loro sicurezza e la loro felicità. Quando
tutti lo avevano
lasciato solo con i piatti, il capitano era rimasto. Quando i nemici li
minacciavano e avevano bisogno di una mano, lui c’era. Non vi
era mai stato
giorno in quei due lunghissimi anni in Sanji cui non aveva pensato a
lui, a
quanto il capitano avesse fatto per loro e a come loro non fossero
stati in
grado di stargli accanto quando dovevano. Era preoccupato, dopo tutto
le
notizie sul giornale non erano certo confortanti, ma più che
altro era
determinato. Voleva diventare più forte, essere il braccio
sinistro che ancora
Rufy non aveva designato. Sapeva che il ruolo di vice capitano era
sempre stato
di Zoro, eppure lui non voleva essere da meno.
-
Ti sei mai pentito di avere
lasciato il Baratie per venire con me?
Chiese Rufy improvvisamente,
interrompendo il flusso dei pensieri dell’amico.
Il
suo tono era serio, ma
tradiva una punta di insicurezza che il cuoco non aveva mai sentito
nella voce
del suo spensierato capitano di gomma. Sanji si bloccò per
qualche istante,
stupito dalla domanda ma certo di quale fosse la sua risposta.
-
Mai. Sono orgoglioso di fare parte
della tua ciurma, capitano.
Disse il biondino, deciso.
Rufy
abbozzò un sorriso, rassicurato.
-
Come sono andati questi anni,
Sanji?
Chiese ancora il capitano, voltandosi
a guardare l’amico.
La
sera prima Usop aveva raccontato loro nei dettagli le
sue avventure, con tanto di balli e di canti che aveva composto lui
stesso.
Nessuno sapeva quanto di vero ci fosse nei suoi racconti, ma li avevano
ascoltati volentieri. Solo il capitano ad un certo punto era sparito,
prima che
il cecchino terminasse il suo racconto. Rufy sapeva che tutti erano
impazienti
di sapere cosa avesse fatto lui, ma non si sentiva pronto a dividere
quelle esperienze
con loro. Voleva dimenticarle, non riviverle ancora.
-
Sono stati durissimi e terribili,
ma sono diventato più forte. Tu, invece?
Disse Sanji, fiero di poter affermare
di avere battuto ognuno degli avversari che gli si erano parati
davanti. Rufy
non rispose subito, ma sembrò quasi esitare.
-
È stato uno spasso, davvero. Rey è
troppo simpatico. Questi due anni sono passati in un baleno.
Esclamò alla fine, sorridendo.
Sanji
lo guardò appena, giusto un istante. Lo conosceva abbastanza
per sapere che stava
mentendo. Il suo sorriso, persino il suo entusiasmo non erano gli
stessi della
sera prima quando si erano rincontrati. C’era qualcosa in
quei due anni che il
ragazzo di gomma non voleva dividere con i compagni, forse per non
rattristarli
o forse perché non era ancora pronto. Ad ogni modo, Sanji
non si diede per
vinto.
-
Che mi dici della cicatrice?
Chiese ancora il cuoco, indicando
appena il grosso segno che gli deturpava l’addome.
Era
stata la prima cosa che
aveva notato quando si era trovato davanti l’amico, ma non
aveva fatto domande.
Nessuno di loro lo aveva fatto, si erano limitati a salutarlo ed
abbracciarlo.
-
Non ci pensare, è solo un
graffietto.
Lo rassicurò Rufy, accarezzandosi
appena la grossa cicatrice.
Nel
farlo la sua mano incontrò il medaglione che
gli aveva dato Keira. Ancora una volta il ragazzo si chiese cosa fosse,
ma
decise di non dargli peso. A tempo debito avrebbe avuto tutte le
risposte.
-
Allora, questa colazione?
Chiese Zoro, buttando la testa nella
stanza con un aria seccata.
-
Se tu ci dessi una mano finiremmo
molto prima, ma il grande Zoro non si sporca le mani per aiutare i
compagni con
le faccende di tutti i giorni..
Protestò Sanji, alzando gli occhi al
soffitto, troppo impegnato con i piatti e con i misteri del suo
capitano per
riuscire ad essere veramente cattivo.
In
fondo lo spadaccino gli era mancato in
quei due anni. Alle volte, tra un combattimento e l’altro, si
trovava a pensare
anche a lui. In alcune occasioni aveva anche fatto appello ai suoi
insegnamenti
in fatto di onore e determinazione per riuscire a vincere.
-
Rufy? Che fai?
Chiese Zoro, sorprendendosi di
trovare lì il suo capitano.
In
cucina di solito il ragazzo di gomma ci andava
solo per mangiare, non certo per aiutare. O meglio, lo faceva solo se
costretto
e alla prima occasione fuggiva a pescare con Usop, Franky e Chopper.
-
Aiuto Sanji, così mangiamo prima!
Rispose Rufy, allegro.
Zoro
si
immobilizzò per un attimo, poi si avvicinò al
cuoco.
-
Che devo fare?
Chiese lo spadaccino, senza il solito
tono strafottente che di solito usava per rivolgersi a Sanji.
Il
biondo si
stupì di quell’improvviso cambio di opinione, ma
decise di non essere cattivo.
In fondo Zoro era un bravo ragazzo. Un po’ ottuso, certo, ma
fedele al suo
capitano al punto di decidere di dare una mano anche senza che gli
venisse
ordinato.
-
Ti sei deciso quindi.. bene,
finisci di lavare i piatti mentre io vado in cambusa.
Disse Sanji, asciugandosi le mani e
lasciando Zoro e Rufy alle prese con quello che rimaneva dei
piatti.
Il
biondo
aveva provveduto a lavare per prima le cose delicate, in modo che quei
due
babbei non potessero fare troppi danni una volta lasciati soli.
Per
un po’ i due rimasero in
silenzio. Era evidente che entrambi avevano molte domande da fare, ma
nessuno
dei due si decideva ad aprire bocca. Nella loro amicizia parlare era
una cosa
inutile, riservata solo alle grandi occasioni oppure ai momenti
cruciali della
battaglia.
-
Ti sei allenato con Perona?
Si decise alla fine a chiedere Rufy,
curioso.
Era
stato Sanji la sera prima a dire che lo spadaccino era riuscito ad
arrivare per primo al punto di incontro solo grazie a lei.
-
No, con l’uomo dagli occhi di
falco.
Rispose lo spadaccino, pacato, sorprendendo
il proprio capitano che si voltò a guardarlo perplesso.
-
Credevo volessi batterlo, non
diventare suo allievo.
Commentò il ragazzo di gomma,
stupito.
Zoro
si lasciò scappare un sorriso. Sapeva che una volta tornato
alla
Sunny Rufy, Sanji o qualcuno degli altri avrebbe detto una cosa del
genere. Era
preparato a rispondere a quella domanda dallo stesso momento in cui
aveva
chiesto al suo nemico di aiutarlo ed allenarlo.
-
La famiglia è più importante
dell’orgoglio. Avrò tempo per diventare il
più forte, ora voglio solo essere
abbastanza forte da essere al tuo fianco nel momento del bisogno.
Spiegò Zoro, guardando negli occhi l’amico perché non fraintendesse le sue parole.
Non
si era allenato così a
lungo perché non credeva in lui, al contrario, voleva essere
degno di poter
restare al suo fianco fino alla fine, conservando il suo titolo di
vice. Non
avrebbe permesso a Sanji di portaglielo via, ne a Nami o agli altri.
Lui era
arrivato primo, al punto di incontro così come nella ciurma,
ed era il braccio
destro di Cappello di Paglia, punto. Era sempre stato così e
le cose non
sarebbe certo cambiate.
-
Grazie, senza un vice capitano come
te il mio viaggio sarebbe finito tanto tempo fa.
Mormorò Rufy, abbassando gli occhi
perché lo spadaccino non notasse la tristezza che vi
albergava.
Era
fiero di
avere dei compagni così forti e decisi, ma allo stesso tempo
aveva paura di non
meritarli o di non essere in grado di difenderli nonostante le sue
buone
intenzioni e la sua determinazione. Due anni prima non era bastato.
-
Non è vero, lo sai. Io sono forte,
certo, ma è il tuo buon umore e la tua testardaggine che ci
tiene uniti. Senza
contare che non sono stato io a stendere il tizio con il piccione, o
Arlong e
nemmeno Crocodile.
Lo corresse Zoro, serio.
Rufy
si
immobilizzò per un momento, alzando lo sguardo ad incontrare
quello del
compagno.
-
Credi che io sia ancora all’altezza
di essere il vostro capitano?
Chiese Rufy, dando fiato al dubbio
che lo tormentava da quasi due anni.
Zoro
si irrigidì, stupito da quella
domanda che improvvisamente gli permise di capire quanto era grande
l’affetto
che il capitano provava per loro. Certo, lui era sempre pronto ad
aiutare
tutti, ma per i suoi compagni provava un affetto quasi viscerale che lo
aveva
portato ad accantonare le sue tristezze e le sue paure per essere un
capitano
forte, un ancora alla quale i suoi amici potevano fare affidamento.
-
Perché non dovresti?
Chiese lo spadaccino, senza tradire
la minima emozione nella voce.
-
Mi sono lasciato sconfiggere, ho
permesso che vi spedisse lontano e non sono riuscito a salvare mio
fratello. Ho
passato due anni ad allenarmi, convinto che se fossi diventato
più forte avrei
smesso di sentirmi un fallito..
Rispose Rufy, senza prendere fiato.
Zoro
lo ascoltava, il silenzio. Per la prima volta il capitano messo da
parte
il suo perenne sorriso e aveva condiviso con qualcuno parte dei suoi
timori
rilevando come dietro la sua inesauribile forza si nascondesse un
ragazzino
sperduto e insicuro. Non lo aveva fatto perché tenesse a
Zoro più che agli
altri, ma solo perché sapeva che con lui non c’era
bisogno di sorridere per
forza. Lo spadaccino lo capiva anche quando era stanco, debole o
irritato.
-
Vedi questa cicatrice? Ricordi
quando me la sono fatta..
Iniziò Zoro, scoprendosi il petto e
rivelando la grossa cicatrice che gli aveva lasciato l’Uomo
dagli Occhi di
Falco tanto tempo prima, quando si erano incontrati per la prima volta
nel mare
Orientale.
-
Certo.
Rispose Rufy, confuso e pensieroso.
Ricordava
bene quel momento. In quei terribili attimi sembrava quasi che il
tempo si fosse fermato o quanto meno avesse rallentato bruscamente.
Vedeva Zoro
che stava per essere colpito, accusare il colpo e cadere in acqua ma
non
riusciva a fare nulla per aiutarlo. Il suo primo compagno era caduto
sotto i
suoi occhi, senza che lui avesse potuto aiutarlo. Solo quando Usop gli
aveva
assicurato che lo spadaccino stava bene si era permesso di riprendere a
respirare, non prima.
-
La cicatrice che ti solca il petto
è un po’ come la mia.
Continuò Zoro, pacato.
Rufy
lo
ascoltava, rapito e confuso. Il ragazzo di gomma aveva sempre pensato
che lui e
lo spadaccino fossero molto simili, ma non aveva mai pensato di poter
paragonare anche le cicatrici che portavano addosso.
-
Non se ne andrà mai, resterà lì per
sempre a ricordarti che quel giorno sei stato debole ma che un giorno
avrai la
tua occasione per riscattarti. Fino ad allora dovrai allenarti, proprio
come
faccio io. Una cicatrice non è un disonore per un guerriero,
è solo il simbolo
del suo coraggio e della sua determinazione a non arrendersi di fronte
ad un
nemico.
Concluse Zoro, parlando più di quanto
avesse mai fatto in vita sua.
-
Basta parlare, muoviti con quei
piatti.
Sbuffò Nami, sulla porta.
Rufy
sussultò e si voltò verso la navigatrice,
sorpreso di trovarla lì. Non disse nulla,
si limitò a sorridere e a lanciare uno sguardo di
ringraziamento a Zoro. Non
serviva altro, lo sapeva bene.
La
ragazza aveva sentito tutto il
discorso, ma non decise di non dire nulla in proposito. Era una
conversazione
troppo privata e a dir poco surreale quella che aveva sentito tra il
capitano
ed il suo vice.
-
Ci mancava solo la mocciosa a dare
ordini, come se non bastasse il damerino.
Sbuffò Zoro, fingendosi infastidito.
In
quei due anni lo spadaccino non aveva solo migliorato la sua tecnica ma
aveva
anche imparato che nella vita non esiste solo il combattimento e la
lotta.
Quello che gli era mancato di più non era
l’avventura ma la vita quotidiana
fatta di incomprensioni, confusione, faccende domestiche, rumore,
discussioni e
screzi. Era tutto ciò che dava un senso alla lotta e li
spingeva a combattere
come fratelli, pronti a dare la vita per difendersi l’un
l’altro.
-
Dove è finito, Sanji?
Chiese Nami, guardandosi intorno,
stranita che il biondo non si fosse ancora precipitato da lei per farle
la corte.
-
In cambusa.
Rispose Rufy, togliendo le ultime
cose dal tavolo.
-
Rufy, posso parlarti?
Chiese ancora la ragazza, abbassando
lo sguardo.
Zoro
alzò lo sguardo per un momento, poi tornò a
dedicare tutte le
sue attenzioni ai piatti che stava lavando. Se ne avesse rotto qualcuno
Sanji
avrebbe cominciato a fare un sacco di storie, annoiandolo a morte.
Rufy
sembrava confuso ma seguì
l’amica sul ponte, lontano dalle orecchie dei compagni.
-
Che c’è?
Chiese Rufy, cercando di indovinare
cosa stava passando per la mente della ragazza.
-
Ero preoccupata. Ho passato due
anni ad odiarti, a maledirti ed a essere preoccupata per te. Alla fine
tu
sbuchi con quella cicatrice, non dici nulla, aiuti Sanji e non fai il
cretino.
Esclamò Nami, isterica ed indignata.
La
reazione del capitano alle sue parole la lasciò di sasso. La
ragazza di
aspettava che Rufy scoppiasse a ridere, magari dicendo una cavolata
delle sue,
ma così non fu. Il ragazzo di gomma rimase incredibilmente
serio, sostenendo lo
sguardo di Nami, poi lo abbassò e parlò a bassa
voce.
-
Perdonami, non ho mantenuto la mia
promessa.
Disse Rufy.
La
ragazza lo fissò a
lungo, chiedendosi se il suo capitano fosse cresciuto così
tanto in quei due
anni o se era stata lei a non accorgersi mai di quanto fosse maturo.
-
Quale?
Chiese la navigatrice, confusa.
-
Non mi sono preso cura di te, ti ho
fatta piangere..
Rispose Rufy, sorridendo mesto.
-
Sei diventato grande, Cappello di
Paglia?
Chiese Nami, inclinando leggermente
la testa di lato.
-
No, non credo.. forse solo un
pochino..
Esclamò Rufy, scoppiando a ridere.
-
Meno male!
Sospirò Nami, più sollevata.
Quando Rufy sorrideva era impossibile non provare un immediato senso di sicurezza e di protezione. Era tornato. Il suo capitano aveva dovuto affrontare l’inferno da solo, senza che loro potessero sostenerlo, ma alla fine era riuscito a tornare da loro.
-
Chiamò Sanji, mettendo fine alla
conversazione prima che cominciasse a farsi troppo intima ed
imbarazzante per
entrambi.
-
Andiamo, veloci, prima che Brook ci
mangi tutto!
Scherzò Rufy prendendo Nami per un
braccio e lanciandosi nella sala da pranzo con la sua consueta poca
grazia.
ANGOLO DELL'AUTRICE
Eccomi di nuovo qui, con un nuovo e lungo capitolo per farmi perdonare la lunga sparizione. Ho seguito il suggerimento di alcuni di voi e ho inserito dei riferimenti temporali per rendervi tutto più semplice.
Che altro dire, BUONA LETTURA!
Tre 88: per prima cosa, grazie per i complimenti. immagino che sarai stata felice di apprendere che il vecchio Ace è tornato una persona normale e ha messo da parte la sua tristezza! Nojiko non ha fatto caso al tatuaggio sul braccio, ne lo ha riconosciuto. per lei è solamente uno sconosciuto un po' strambo. nel prossimo capitolo il viaggio continuerà.. vedrai!
Kuruccha: grazie per i complimenti, sono contenta tu abbia apprezzato lo scorso capitolo. :D in questo capitolo tutto si è ribaltato: Rufy e la ciurma hanno decisamente molto più spazio, ma nel prossimo capitolo si parlerà più che altro di Ace e Sabo. :D
Smemo92: ti ringrazio per la franchezza, ed anche per la fiducia. felice di non averti deluso! :D la descrizione che hai fatto di Rufy è semplicemente perfetta, un sogno. hai colto esattamente tutte le sfumature del mio personaggio. con Ace è molto più facile che con Sabo, ma allo stesso tempo con Sabo ho meno limitazioni. hai colto anche il prologo: quello sarà l'apice conclusivo della mia storia. :D
Brando: in questo capitolo ho introdotto delle etichette temporali, spero di averti semplificato le cose. ad ogni modo, si, le avventure si svolgono in tempi differenti!
raffa_chan: è ancora presto perchè tutti si incontrino, ma diciamo che adesso che sono partiti sono tutti sulla buona strada. solo, come minimo dovrà passare del tempo!
Akemichan: spero che il mio Sabo non ti disturbi al punto da non farti più leggere la mia storia. se hai consigli sono pronta ad ascoltarli, dopo tutto di lui sappiamo talmente poco! :D