Capitolo
2
-
TU SEI UN
UOMO MORTO! – sbraitò la ragazza, arrossendo fino
alla fronte.
Non
che
comunque l’imbarazzo potesse spingerla ad abbandonare
l’istinto omicida con il
quale si stava slanciando contro il locandiere, incurante ormai anche
del vasto
piano di legno scuro che da quello la divideva. Johnny si
ritrovò nuovamente
delle mani davvero poco cortesi al collo, questa volta neanche
lontanamente interessate
a trattenerlo per il bavero, ma artigliate alla pelle.
-
Ma… -
cercò di dire il cliente misterioso, facendo il gesto di
allungare le braccia,
forse per allontanare l’aggressore.
-
Tranquillo…
- lo rassicurò il gestore, con un cenno placido della mano
– Sopravvivo ogni
giorno ad almeno un assalto così… -
Principessa,
per tutta risposta, digrignò i denti come una tigre e
strinse più forte.
-
Però se
fai così, crepo davvero… - la avvisò,
rauco per la presa questa volta davvero
soffocante.
La
ragazza
fissò con scetticismo il suo volto diventare cianotico e si
decise a mollarlo.
-
Se ti
ammazzo finisco anche braccata dalla Marina. Come se non fosse
abbastanza
vivere in questo postaccio. - sentenziò, tornando a sedersi
con un tonfo
brusco.
-
Quindi è
questa la vostra vera voce? –
Principessa,
persa ogni voglia di interpretare la donna per bene, rivolse al cliente
ignoto
un’occhiata minacciosa e una smorfia terribile:
-
E
allora…? -
Aveva
ancora un certo rossore sulle gote, ma ormai non le importava
più che quel suo
orrendo nome fosse stato scoperto. Ora che al rispetto che avrebbe
voluto
suscitare si sarebbero certo sostituite risatine e battute, non aveva
più
importanza la sua patina di indorata perfezione, se mai la decisione e
la
rudezza del suo vero carattere. Che poi lo straniero pensasse quello
che
voleva, ma non osasse prendersi gioco di lei o se ne sarebbe pentito
amaramente.
-
Maleducata… - osservò Johnny, che aveva appena
ripreso un colorito salutare,
scuotendo l’indice in segno di ammonimento.
-
Sarei
lieta di dirti cosa sei tu! Crepa, maledizione! –
esclamò, vicina
all’isterismo.
Le
rivolse
un sorrisetto, come se fosse deliziato dalle sue espressioni di odio, e
si
limitò ad indicarla con un gesto plateale delle braccia.
-
Sono
lieto di presentarti, nel suo massimo splendore, McFerson Principessa,
la
strega di Ward-Golfe! – esclamò il locandiere,
rivolto all’avventore
misterioso.
-
“STREGA”
UN EMERITO… - iniziò per tutta risposta lei,
pronta a sfogare tutta la
frustrazione in quella semplice imprecazione.
-
Non si
dice! – le parlò sopra il locandiere, ancora con
atteggiamento da maestro
elementare.
-
No, infatti!
Non si dice che cosa rischi chi mi chiama “strega”!
– minacciò, alzando un
battagliero pugno verso tutti e nessuno.
-
Vedi
perché ti chiamo
“Principessa”… ? –
osservò sarcastico.
-
E io ti
ho detto di chiamarmi “Prin”! E’ un
diminutivo! E’ civile! E’ gradevole! Tu
invece devi sempre farmi inca… -
-
Non ho
deciso io quel soprannome offensivo, è inutile che te la
prendi con me. Io tifo
perché ti si chiami “Principessa”!
– rispose, conciliante.
-
Non mi
stai a sentire! – spostando il pugno pericolosamente vicino
al suo naso – PRIN!
DEVI CHIAMARMI PRIN! –
-
Ma non
vuol dire nulla. – intervenne la voce pacata del ragazzo
mantellato, che i due
litiganti avevano preso ad ignorare, troppo assorbiti da quello scambio
di
battute.
-
Visto? –
sottolineò subito il locandiere, con un’occhiata
di ringraziamento allo
sconosciuto.
-
E
“Principessa” cosa vorrebbe dire!? –
esclamò lei, indignata dall’intromissione,
oltretutto contro di lei, del nuovo arrivato.
-
Significa
che una persona importante per voi vi ha dato quel nome. –
rispose, calmo.
Quella
frase la lasciò per un istante senza parole. Se
c’era una cosa che non si
aspettava, era che lo straniero sfoggiasse anche questo fastidioso
istinto alla
sentenza melodrammatica. Sentiva un bisogno istintivo di rispondergli
male, per
il gusto di imporre tutto il suo disprezzo verso quelle facili
affermazioni che
sembravano citazioni di poesie di altri tempi.
Ma
non fece
in tempo a preparare un’osservazione ostile prima che
l’altro riprendesse a
parlare:
-
Se
ritenete che un nome simile sia un po’ troppo strano, stupido
o inadatto, la
vostra opinione è ciò che conta. Con questo,
potevate risolvere facilmente il
problema. -
-
Che cosa
ne sai…!? – protestò lei, stizzita.
-
I nomi si
possono cambiare. Molti lo fanno. – osservò,
quieto – Se non ci avete mai
pensato, forse è perché inconsciamente ci siete
affezionata. Allora, tanto vale
che lo disprezziate.–
-
Non è
vero! Lo odio! – esclamò lei.
-
Però
piaceva ad una persona che vi è cara, per questo lo tenete
stretto. –
Lei
non
rispose, improvvisamente incupita.
Il
tono del
ragazzo era serio, chiaro, non severo ma sicuro, proprio di chi sa di
cosa
parla. Principessa fissava l’ombra scura del cappuccio dove
era certa ci
fossero i suoi occhi e avrebbe voluto ordinargli di scoprirsi e
guardarla
davvero mentre pontificava a quel modo. Eppure era certa che il suo
sguardo
fosse pienamente ricambiato e poteva immaginare un volto sereno e
gentile,
anche se i tratti nascosti erano davvero troppi.
-
Per
quanto vi impegniate, quel nome è scritto sulla vostra
pelle. – e lo
sconosciuto sospirò amaramente – Fin troppe cose
funzionano così e prendersela
non serve a nulla. -
-
Ho sempre
desiderato cambiare identità. –
confessò istintivamente e lei stessa sobbalzò
di stupore quando si accorse di essere arrivata ad una tale confidenza
dal
nulla.
-
Anch’io.
– affermò da parte sua l’avventore
misterioso, mettendola subito a suo agio,
dopo quell’affermazione tanto intima – Cancellare
un’eredità che mi disgustava
e non avevo mai desiderato. L’ho fatto a modo mio e per ora
funziona. –
-
Quindi si
può fare…? – domandò la
ragazza, in sospeso. Non si era neanche resa conto di
aver smesso di sbraitare.
-
Non posso
dirvi che ci si riesce completamente, ma abbastanza per tornare in pace
con se
stessi, quanto basta. –
Principessa
inclinò la testa, pensierosa, ma di nuovo quieta.
L’ignoto
con mantello aspettò un istante prima di ricominciare a
parlare: - Ma, anche
nel caso in cui vi liberaste dalla vostra identità,
riuscireste ad abbandonare
il vostro nome? –
Era
pronta
ad affermarlo, senza rimpianti. Sognava da
un’eternità di non sentire più,
alternati nella bocca dei concittadini, il soprannome pieno di
disprezzo e quel
nome usato come facile scherzo. Se avesse potuto ricominciare da capo
con una
nuova vita, in nessun caso avrebbe sopportato di portarsi dietro un
bagaglio
tanto pesante di facili ironie. Era l’unica cosa sensata da
farsi…
Sapeva
fin
troppo bene, però, a chi doveva quel nome. Sua madre aveva
avuto quella
brillante idea e per molto tempo, da bambina, aveva creduto si
trattasse di un
contrappasso, ai suoi danni, compiuto su chi a sua volta aveva scelto
“Carmen” per
la sua genitrice. Poi le aveva chiesto il perché e la
verità l’aveva stupita:
sua madre sognava un futuro incredibile per lei, un avvenire speciale,
fin
troppo per chi aveva ereditato un umile mestiere su un’isola
sperduta
nell’oceano… Da molto tempo aveva deposto le
fantasie e preso a canzonare
l’assurda speranza di Carmen. Eppure, quando ci pensava,
proprio come in quel
momento, realizzava che davvero ciò era quanto le rimaneva
della donna che
l’aveva messa al mondo. Non poteva voltarle le spalle a quel
modo, senza
ragione alcuna.
Lo
straniero aveva ragione e l’aveva avuta fin
dall’inizio, da quella sentenza
inizialmente considerata facile e sdolcinata. Non le piaceva ammettere
che
qualcuno avesse nettamente ragione perché inevitabilmente le
sembrava di sottintendere
il suo torto.
Un
solo
monosillabo non sarebbe stato faticoso, forse…
-
Probabilmente… No. – rispose, con una smorfia.
La
risata
argentina e sincera del suo interlocutore le sembrò
stranamente gradevole,
anche in quella situazione.
-
Vi
capisco. - affermò, cortese – Neanch’io
sarei mai riuscito a rinunciarvi. -
Non
appena
quello scambio di battute, svoltosi in un’atmosfera di strana
empatia, terminò
in qualche momento di silenzio, Principessa tentò di nuovo
l’assalto:
-
Non è che
già che ci sei potresti dirmelo, il tuo nome…?
–
Lo
sconosciuto rise di nuovo in quel modo sincero e contagioso. Ormai
aveva girato
lo sgabello verso la ragazza ed evidentemente la guardava attentamente
attraverso la penombra e l’anonimato di quel mantello.
Indossava dei calzoni
corti, cosa strana in quella stagione, e delle scarpe da combattimento.
Non poteva
riconoscere nulla di nuovo oltre a questo.
-
Siete
testarda. - osservò, divertito.
-
Sai,
com’é. – insistette con il
“tu”, sostenuta – Non so che faccia hai,
non so chi
sei, mentre tu hai chiaramente la possibilità di scoprire
tutto quello che vuoi
su di me. –
-
So solo
il vostro nome e che aspetto avete… - osservò,
vagamente in difficoltà.
-
Appunto.
– decretò lei, secca.
Si
portò
una mano alla testa, o meglio al cappuccio, e per un attimo la giovane
sperò
che avesse finalmente deciso almeno di scoprirsi il capo. Rimase
piuttosto
delusa quando capì che si trattava solo di un gesto
imbarazzato.
-
Non ne
avrei l’intenzione, ve lo assicuro… -
-
L’intenzione di restare nascosto o di sapere qualcosa di
me…? – buttò lì, con
una smorfia.
L’altro
rimase immobilizzato per un istante. Lei poteva immaginarlo sgomento,
occhi
spalancati, bocca semi-aperta.
-
Io… Cioè…
- cominciò a farfugliare – Di avere questo
mantello! Che domanda…! –
Poi
prese
fiato e sbuffò. Infine incrociò le mani sul
ventre, in una posa paziente: - Vi
divertite molto a fare queste domande assurde per mettere in
difficoltà il
prossimo, direi. – osservò, tranquillo.
-
Non sono
assurde. Per quel che ne so, potresti anche preferire tagliare la corda
al
restare ancora cinque minuti seduto qui a parlare con me… -
commentò,
sventolando una mano davanti al viso in un gesto stizzito.
-
Una cosa
simile sarebbe assurda. Non mi avete fatto nulla di male. –
rispose, quanto più
possibile onesto.
-
Io
riformulerei questa osservazione… - insinuò
Johnny, appena tornato al banco
dopo aver servito al tavolo.
-
Perché? –
chiesero entrambi, uno stupito, l’altra minacciosa.
-
Perché
sei troppo cortese e per nulla onesto: ti ha tartassato di domande, non
ti ha
ancora lasciato il tempo di finire di bere e fa di tutto per
indispettirti. In
più, se continui così, potrebbe anche decidere di
fare sul serio e sarebbe
capace di rovinarti davvero la vita. - spiegò,
un sorriso sgargiante di malizia su
entrambi.
-
Magnifico, con questo ti sei guadagnato un altro biglietto sola andata
PER
L’INFERNO! – lo minacciò Principessa.
-
La
signorina non mi sta dando problemi, sono sincero. –
commentò l’altro, come se
il suo tono sereno non fosse abbastanza chiaro sulla sua
onestà.
- E tu invece me ne stai
dando, e parecchi! –
urlò di nuovo lei, un dito puntato come una lama sullo
straniero.
-
Perché…? Sono
indiscreto se…? – fece per domandare, lui stesso
incerto su quale fosse la cosa
giusta da dire di fronte a quell’ingiustificato scatto
d’ira.
-
No! Sei
dannatamente discreto! Sei dannatamente cortese! Sei dannatamente
saggio! – rispose,
battendo insistentemente l’indice sul petto, o meglio sul
mantello,
dell’interlocutore – Ma darmi del
“voi”…! Ma ti sembra possibile darmi
insistentemente del “voi”! –
-
Ad una
giovane donna appena conosciuta… - cercò di
spiegare, riportando probabilmente
qualche nota regola di buone maniere.
-
Se hai la
mia età e mi dai del “voi”, mi fai
sentire vecchia, dannazione! Me ne frego del
galateo se mi fai pensare di apparirti una megera sessantenne!
– lo interruppe
ancora Principessa, le labbra rosse tirate in una espressione
disgustata.
-
Non
credevo. – affermò, portandosi una mano al mento,
probabilmente.
-
Ti sembro
una vecchia!? – lo provocò ancora, nefasta.
-
Proprio
no! Però credevo fosse buona norma…
Così mi hanno insegnato!– esclamò anche
lui
e, vedendola pronta a rispondere malamente, fece per fermarla con un
gesto
della mano – E poi, insomma, credevo fosse giusto vedendo
quanto sono
importanti le formalità nel tuo comportamento. Avevo capito
così. Ma se non
vuoi, va bene… -
-
Non è
questione! Hai la mia età o no? – insistette lei.
L’avventore
misterioso sembrò scrutarla dalla testa ai piedi per qualche
momento.
-
Più o
meno, direi. – constatò.
-
Appunto!
Non ci si può dare del lei tra coetanei! – poi
scosse la testa tra se e precisò
- O meglio si può, ma ci vogliono certe circostanze
precise… Altrimenti è
troppo formale e dà fastidio! –
-
Va bene.
– ammise, molto tranquillo.
-
Certo che
sei una bella ipocrita, Principessa. – Johnny
sghignazzò.
-
Ecco,
sentiamo la vaccata che devi sparare ora… -
commentò la ragazza, ormai
abbastanza esaurita da non avere la forza di urlargli qualche insulto.
Infatti
si limitò ad appoggiare il braccio al bancone e a
rivolgergli una delle sue
peggiori espressioni di fastidio.
-
Sono
assolutamente certo che se ti avesse dato del “tu”
da subito ti saresti offesa!
– poi si rivolse al ragazzo ammantato per dargli una gomitata
amichevole – Sei un
ottimo osservatore, questa è davvero presissima con le sue
apparenze da
“principessa”… -
-
Neanche
vivessi nella mia testa, rompiballe! – lo
rimproverò lei con tali parole
colorite, alzando gli occhi al cielo.
-
L’importante è che ci siamo capiti, ora.
– minimizzò lo straniero, sicuramente
con un sorriso conciliante nascosto dalla penombra sul viso.
La
giovane,
per tutta risposta, sospirò sonoramente.
-
Certo che
sei un tipo ben strano, tu… - osservò, fingendo
un’indifferenza sempre meno
reale. Quel personaggio oscuro la incuriosiva in modo quasi
incontrollabile,
ormai.
-
Non
credo, ma se lo dici tu… – rispose, tornando
infine a sollevare il suo boccale,
ancora mezzo pieno.
-
Non te
l’ha mai detto nessuno? - domandò
l’altra.
-
No. –
ammise, tra un sorso e l’altro.
-
Immagino
che tu non conosca neanche una persona normale… Siamo a
posto… - sentenziò la
ragazza, ironica.
-
Oh,
perché tu ti giudichi normale? Sul serio? –
intervenne, divertito, il
proprietario del locale.
Ma
appena
Principessa cercò di contraddirlo, o forse aggredirlo, la
precedette: - Va
bene, certo, andrò all’Inferno, mi riduci in
briciole, finirò i miei giorni in
un vasetto di conserva… Però è ora che
tu vada a casa. – e le indicò con un
gesto pigro l’orologio appeso alla parete.
-
Uff… Ed è
pure tardi, maledizione… - si lamentò quella,
alzandosi prontamente dallo
sgabello.
-
Quel
poveraccio ti aspetterà per cenare e tu come al solito sei
in giro a
divertirti. – la sgridò ancora il locandiere.
-
Come se
tu non ne avessi guadagno! – osservò con una
smorfia e appoggiando quanto gli
doveva sul bancone.
-
Ne avrei
di più se non mi facessi sempre scappare tutti i
clienti… - sbuffò e scrollò le
spalle.
-
Se tu mi
lasciassi in pace… - ma si interruppe e sbuffò
ravvivandosi la lunga chioma
rossa – Oh, ma a che serve… Dannato psicopatico!
–
-
Che sarai
tu… - la insolentì, imitando un bambino
dell’asilo.
-
Buona
serata, straniero. – salutò lei, con un sorriso
vagamente sardonico.
-
Buonasera
anche a te, Principessa. – le rispose quello, posando il
boccale ormai vuoto
con un tonfo sul bancone e rivolgendole un cenno di saluto con la mano.
Mentre
si
allontanava, dopo aver afferrato l’ombrello
all’entrata, la sentirono
bofonchiare, con una smorfia:
-
Ci
mancava un altro che mi chiamasse in quel modo… -
Quando
i
tacchi smisero di ticchettare sui gradini, il cigolio lontano del
cancelletto
da saloon avvisò i presenti che se n’era andata.
Un
sospiro
di vago sollievo si diffuse nella sala, accompagnato da qualche
sussurro e
risatina.
Johnny
scosse la testa per quella reazione dei clienti, ma non disse nulla.
-
Non è
molto amata. – osservò mestamente il giovane
mantellato.
-
Si vede,
eh…? – confermò quello, afferrando il
boccale per lavarlo subito sotto l’acqua
corrente – Gli abitanti in genere la schivano. E questa
è la reazione abituale
degli estranei.-
Quello
non
commentò, ma lanciò ugualmente
un’occhiata intorno nella penombra. Personaggi
più o meno loschi si erano seduti nell’ombra dei
tavolini più lontani. Erano
ben pochi, ma non sembravano davvero semplici cittadini, ma gente di
mare.
Della peggior risma, in realtà.
-
Hai
sempre questo genere di clienti…? –
domandò.
Il
padrone
scrollò le spalle: - Be’, se facessi servizio solo
alla comunità dell’isola,
non farei affari. Ci sono sempre meno marinai che pirati da queste
parti e devo
pure campare. Questo, come certo sai, è una specie di porto
franco, caro sia ai
pirati che alla Marina. Tra l’altro per la stessa
ragione… -
Fece
un
cenno allo straniero, che rispose facilmente al suo posto: - La
Fratellanza dei
Mercanti.-
-
Esatto. –
sospirò – Come se ci fossero dei vantaggi a
trattare direttamente con quegli
usurai… Lo fa ormai solo la Marina e riesce a guadagnarci
esclusivamente quando
presenta un simpatico mandato governativo. Allora si sente Lucas F.
Tyner bestemmiare
per tutta la città due giorni buoni… -
-
Gente
pericolosa? – buttò lì lo sconosciuto,
con un tono repentinamente mutato, da
quieto a cupo.
Johnny
alzò
un sopraciglio: - I Lucas F. sono decisamente i peggiori rappresentanti
della
Fratellanza, sia per la loro tendenza alla truffa sia per
l’esercito di
malintenzionati che usano come guardie del corpo. La difesa della loro
lobby è
l’unica cosa per la quale siano disposti a spendere soldi,
per il resto pensano
solo a spillarne agli altri. – poi gli rivolse un sorriso
sghembo – Non mi
stupisce che anche “voi” preferiate fare
riferimento ad un intermediario per le
provviste… -
-
Se
qualcuno dovesse rimetterli al loro posto… - prese a dire,
con un atteggiamento
che avrebbe forse voluto essere colloquiale, ma nascondeva un evidente
interesse alla realizzazione di quell’ipotesi.
-
Non
pensarci neanche! – esclamò il proprietario,
notando subito il pericolo reale
celato in quelle parole fintamente casuali – Non sono pirati,
che a nessuno
importa ci siano o no! E’ un’associazione garantita
dal governo! Non ti fai
idea dei guai che ti tireresti sulla testa! –
Per
quanto
sentisse quasi un fastidioso bruciore fisico all’idea di
lasciar passare
comportamenti così evidentemente ingiusti, si
ricordò che aveva promesso di non
farsi riconoscere e non provocare disastri sull’isola. Forse
sfidare
un’organizzazione governativa, per quanto decisamente losca,
rientrava nelle
cose che aveva giurato di evitare…
-
E’ sempre
così che funziona, il potere… -
commentò, quietandosi forzatamente.
Ma
digrignò
per un istante i denti, ricordandosi che avrebbe dovuto chiedere,
quanto prima
e certo prima di ripartire, se potevano fare qualcosa per mettere in
quadro
quella compagnia di usurai. Era tutto da dimostrare che fossero
pericolosi, più
di lui no di certo. Tuttavia, non spettava a lui scegliere cosa fare,
se la
responsabilità cadeva poi su tutta la ciurma.
-
Certo che
si. – osservò l’altro in risposta,
pettinandosi all’indietro i capelli chiari
con le dita – Finché non combini qualcosa contro i
potenti, ai poveracci puoi
fare quello che vuoi e senza che nessuno venga a protestare. E a tutte
le cose
buone risparmiate dai Lucas F. pensano i pirati. Anche se hanno smesso
di
trattare con la Fratellanza, trovano ancora molto conveniente arrivare
su
quest’isola per derubare i poveri intermediari, che tirano
solo a campare tra
usura e tasse doganali… -
-
Ecco
perché si è preoccupata quando mi ha sentito dire
che ero andato a quella
bottega. – osservò il giovane mantellato,
pensieroso.
-
In genere
un pirata ci va per rubare, non per trattare civilmente la merce.
– ma allora
sogghignò e rivolse un occhiolino al viso nascosto dal
cappuccio – Mi scuserai
se generalizzo sulla tua categoria… -
-
Figurati.
L’assalto al negozio è una scena molto comune. Io
stesso ne ho visti tanti da
quando vado per mare. – rispose, tranquillo, ma vagamente
mesto.
-
E
scommetto che sei il tipo da non sopportare queste cose… -
-
… diciamo
che se metto le mani addosso a quei ladri, non hanno più
modo di vantarsene… -
concluse, di nuovo con quel tono piuttosto pericoloso.
-
Si,
Principessa, ha ragione: sei davvero un personaggio particolare.
– osservò il
locandiere, sorridendo sotto i baffetti biondi – Anche se
già da quello che si
dice in giro si poteva intuire. Una carriera interessante, sempre in
salita, e
stranamente pulita per un fuorilegge. –
-
Umh,
quindi hai capito chi sono… - disse, quasi preoccupato
all’idea di essere stato
riconosciuto nonostante le precauzioni.
-
Quando ti
sei addormentato, ci sono arrivato. Ma come ho già detto a
quella folle
impicciona, so tenere i segreti. –
-
Bene. –
rispose, molto rassicurato e con un cenno di ringraziamento del capo
coperto.
-
D’altra
parte, mi chiedo come abbia fatto lei a non capire subito…!
E dire che dovrebbe
sapere quasi tutto su di “voi”… - si
chiese Johnny, a bassa voce, arricciando
le labbra, sovrappensiero.
Comunque,
lo
straniero non gli stava più prestando attenzione.
Aveva
appena notato un coprispalle color panna appoggiato sul bancone.
-
Che
dannato freddo! – esclamò tra sé
Principessa, mentre si affrettava verso casa.
Durante
la
sua permanenza nel locale, aveva almeno smesso di piovere, cosa che le
permetteva di portare l’ombrello bianco attaccato per il
manico ricurvo al
braccio piegato. Sapeva bene che si trattava dell’unico modo
per evitare di
batterlo, anche solo involontariamente, sulla strada di terra nuda,
resa
fangosa dai lunghi giorni di pioggia. Afferrò ancora un
lembo del lungo abito,
ma sbuffò all’idea delle macchie di terra che
avevano sporcato ugualmente il
tessuto panna e gli stivaletti in tinta, che avrebbe impiegato tutta la
sera
per lucidare.
Mentre
svoltava a destra, per passare dietro la drogheria con il suo passo
veloce, una
folata di vento freddo sgusciò tra gli edifici per sferzarle
il viso e
scompigliare i capelli fiamma. La pelle d’oca la
attraversò dalla testa ai
piedi, concentrandosi in realtà sulle braccia lasciate
scoperte. Dopo un verso
di disappunto, si fermò bruscamente sul posto.
-
Ho
dimenticato il copri-spalle! – esclamò a tutti e a
nessuno nel bel mezzo della
strada – Porco cane! – imprecò poi,
battendosi una mano sulla fronte.
Non
poteva
tornare indietro, era davvero molto tardi e non aveva intenzione di
essere
obbligata dalle circostanze a giustificarsi con nessuno. Per una
dimenticanza,
poi.
Insomma,
capitava a tutti, no?
Certo,
ad
alta voce non l’avrebbe mai ammesso, ma poteva pensarlo, con
fastidio: a lei
succedeva abbastanza spesso. Se si pensa che, nonostante il temporale
di quel
pomeriggio, aveva rischiato di uscire senza ombrello… Si,
questa smemoratezza
stava cominciando ad essere un problema.
Però
si
ricordava sempre delle cose importanti, quindi non poteva dirsi
così grave.
E
certo non
era importante quella cosa che Johnny si ostinava tanto a
ricordarle… Si,
quella… La solita… Ne aveva sempre una fissa, di
menata… Ecco, “quella”…
Al
diavolo,
le sarebbe tornato in mente il giorno dopo, andando a recuperare la
stupida
giacchetta!
-
Ehi,
vecchio diavolo, sono tornata! – esclamò entrando
in casa dalla porta sul
retro.
Posò
con un
tonfo il parapioggia nel vaso adibito a portaombrelli e fece vagare lo
sguardo
per la sala da pranzo silenziosa. Si persuase che c’era
qualcuno in casa quando
vide la tavola perfettamente preparata per due.
-
Meno
male, è pronta la cena! – le rispose una voce
maschile dal cucinino, da dove,
se ne accorse in quel momento, proveniva un buon profumo di arrosto.
-
Allora
sono in orario, fai meno il sofisticato, Clay… -
borbottò lei, buttandosi scompostamente
sulla sedia posta dal suo lato abituale.
Un
ragazzo
di pochi anni più giovane della ragazza emerse dalla
stanzetta laterale adibita
a piccola cucina, portando una pentola piena con un enorme guanto
imbottito.
La
pelle
chiarissima, lisciata sulle guance da una perfetta rasatura, e gli
occhi grandi
e color nocciola gli davano un’aria gentile e amichevole. I
capelli biondo
cenere, mossi e lunghi fino alle spalle, gli scorrevano ai due lati del
volto e
del collo sottile. Di statura poteva essere considerato piuttosto alto
per la
sua età, ma la corporatura esile tradiva la sua attitudine
ad attività
sedentarie.
Sorrise
appoggiando il contenitore sul tavolo e levandosi il guantone da
cucina: -
Giusto in tempo, ho solo detto. Anche se saresti potuta tornare prima
per
mettere avanti l’arrosto, dato che avevo ancora clienti.
– precisò.
-
Non lo
sapevo, ma tanto ce l’hai fatta lo stesso. –
minimizzò, afferrando il
coltellaccio per affettare il grande pezzo di carne dorata.
-
Potresti
aiutarmi, una volta ogni tanto… - osservò lui,
sedendosi educatamente dal lato
opposto e accostando la sedia al piano della tovaglia.
-
E’ meglio
che stia lontana dall’emporio, prima che la mia presenza
allontani i clienti. –
disse, fissando ostinatamente l’azione
dell’affilato strumento, che stringeva
con particolare forza in quel momento.
-
Prin, sai
che è una tua convinzione, vero? – le
domandò, osservando quella stretta
convulsa e il modo in cui tentava di uccidere di nuovo quel povero
pezzo di
carne – E’ il negozio di nostra madre, tutti sanno
a chi appartiene, quindi non
cambia nulla chi di noi due sia dietro il bancone. Ogni tanto mi
farebbe
piacere avere di fianco mia sorella. –
Principessa
strinse le labbra.
Suo
fratello era sempre terribilmente sentimentale in queste cose.
Non
si
lamentava mai di essere lasciato praticamente solo a gestire
quell’emporio,
semmai del fatto che lei non volesse entrarci appositamente, a causa di
quella
cattiva nomea che le spirava intorno. Fortunatamente lui non subiva lo
stesso
trattamento che era riservato alla “Strega”. Certo,
neanche il più giovane
McFerson veniva visto così benignamente, ma la gente aveva
imparato a
conoscerlo per chi era e per questo continuava a comprare presso il
loro
piccolo negozio. Se ci fosse stata lei al suo posto le cose sarebbero
state
molto diverse: non solo perché il suo carattere non le
avrebbe permesso la
necessaria cortesia nei confronti dei clienti, ma perché la
sua presenza stessa
avrebbe dissuaso i più. Ne era certa.
Clayton
era
sempre stato migliore di lei in questo campo, nelle relazioni con il
pubblico,
soprattutto perché era spontaneamente buono e generoso.
Al
resto
però aveva sempre pensato lei. Teneva i conti in modo
inflessibile, gli
ricordava di riscuotere i debiti alla prima occasione e gli impediva di
dare
credito per troppo tempo, sorda ad ogni sollecitazione alla
misericordia. E gli
aveva imposto di disfarsi di abitudini stravaganti e fin troppo
spontanee,
trasformandolo nel comune negoziante tipo. Non l’aveva fatto
volentieri e
sapeva che il fratellino ne aveva all’inizio sofferto, ma del
resto si trattava
dello stesso tipo di violenza che faceva a se stessa ogni giorno,
volontariamente, per apparire il più possibile educata e
gradevole.
La
ricerca
della normalità era sempre complicata.
Alzò
lo
sguardo sugli occhi espressivi di Clay cercando di trasmettere totale
impassibilità: - Ne abbiamo già parlato. Tu te la
cavi benissimo e non voglio
rovinarti la piazza dalla quale entrambi otteniamo di che vivere. Fine
della
questione. –
Quando
arrivava a quel genere di sentenza, tutti sapevano che dire altro era
assolutamente inutile.
Il
ragazzo
sospirò e le portò via il coltello: - Meglio che
lo tagli io. –
Solo
allora
si accorse dei brandelli informi che aveva prodotto e
arricciò il naso: -
Pignolo. –
Mentre
stavano ormai spreparando la tavola, Clayton era arrivato quasi alla
fine del
suo racconto della giornata lavorativa:
-
… Insomma,
sai come va a finire quando chiedono quel genere di liquore:
è un manicomio!
Poi l’avevamo finito. -
-
Non è
possibile! – esclamò lei, alzando lo sguardo
repentinamente dal ripiano di
legno sul quale stava passando lo strofinaccio – Con la
fornitura del mese
scorso ce ne eravamo fatti mandare quattro barili! –
-
Insomma,
non so cosa dirti… Domani andrò a parlare dai
Lucas F. … Tanto devo richiedere una
serie di cose, quindi non mi costa niente trattare anche per un
rifornimento di
liquore. – osservò, pratico.
-
Eh no, io
sono certa ce ne fosse ancora! Quindi deve saltare fuori!–
insistette lei.
-
Ne sei
così sicura perché l’hai usato ancora
“per addormentarti”? – le
domandò improvvisamente,
con uno sguardo che avrebbe voluto essere severo, ma appariva
soprattutto
preoccupato.
Lei
preferì
ignorare la vaga apprensione che vi traspariva e rispose, aspra:
-
Fatti gli
affari tuoi e non permetterti di sgridarmi con quell’aria da
“fratello
maggiore”, sai che non lo sopporto! -
-
Se
diventa un vizio… - cominciò, senza lasciarsi
abbattere da quell’atteggiamento
di sfida.
-
Non è un
vizio! – gridò, arrabbiata, scrollando con stizza
il telo bagnato – Ogni tanto
mi tira su! Smettila di insistere! –
-
Sono solo
preoccupato. –
-
Allora
fattelo passare! – rispose, ma non riuscì a
sostenere gli occhi nocciola del
fratello – Domani cerco quel barile e stai certo che lo
trovo! –
Un
momento
di silenzio seguì quell’ultima frase quasi urlata.
Clay finì di passare la
scopa e si sciolse il grembiule da cucina. Principessa si era riseduta
al
tavolo e guardava ostinatamente altrove, le labbra tirate.
Il
fratello
non riuscì a non pensare che in fondo la colpa era sua, dal
momento che aveva
tirato fuori lui quell’argomento. Era inutile, lo preoccupava
troppo il fatto
che da qualche tempo la sorella, l’unico affetto che avesse,
si dilettasse a
bere. Non che si ubriacasse, ma una volta si limitava al boccale di
birra da
Johnny o a qualche sorso di vino ai pasti, ora attingeva alla loro
riserva
d’emporio più che ogni tanto e alle ore
più disparate. Una sera, quando l’aveva
beccata a riempirsi un bel bicchiere di un extra - alcolico, dopo
averlo
mandato malamente al diavolo per averla spaventata, aveva sentenziato
che le
serviva “per addormentarsi”. Una spiegazione che
sarebbe suonata bene solo alle
orecchie di un bambino e forse era così che lo considerava.
Ogni
tanto,
come in quella occasione, tentava di imporsi, di farla ragionare. Ma la
verità era che non sapeva
neanche per cosa lei cercasse una soluzione… Di un sacco di
cose si rifiutava di
parlare e lui, da parte sua, aveva ben pochi ricordi della sua infanzia
prima
che la loro madre morisse. Poi i suoi tentativi diventavano doppiamente
inutili,
perché proprio non ce la faceva ad andare fino in fondo con
quelle critiche. Non
solo perché era comunque più piccolo di lei: la
morte della loro genitrice
aveva fatto di una ragazzina di soli cinque anni più grande
quel tipo di
“adulto” a cui bisogna obbedire, questo era
evidente. Che fosse la verità o
un’idea che si era fatto lui in passato e aveva fatto radici,
trovava che ciò
non fosse per nulla cambiato nel corso degli anni. Il fattore vero,
però, per
il quale non sarebbe mai riuscito a risultare autorevole quanto
desiderava era
la reazione che aveva Principessa ogni volta: strillava, si infuriava,
finiva
per insultarlo o aggredirlo ordinandogli di “tornare al suo
posto”, come per
ogni altra cosa in realtà – con quel caratteraccio
che sfoggiava in tutte le
occasioni, anche le più stupide - , ma infine si chiudeva in
se stessa come un
riccio, fingendo un atteggiamento offeso e sostenuto che, solo in quel
caso,
rappresentava una semplice autodifesa.
E
di fronte
a quel comportamento Clayton provava sempre, era più forte
di lui, una stretta
al cuore, che lo spingeva a tentare di rimediare, nell’unico
modo possibile…
-
Allora lo
cerchiamo domani. Altrimenti non importa: un cliente mi ha chiesto
cinque
“Forniture di Carmen”, quindi devo comunque andare
dai Lucas F.. – affermò, con
tono malfermo.
Lei
alzò
gli occhi mesti a rivolgergli un’occhiata.
Quel
suo
stupido fratellino, tenero e sensibile com’era, aveva di
nuovo gli occhi lucidi
e quell’aria da cane bastonato. Quando sarebbe cresciuto?
Quando sarebbe
riuscito a tirare fuori un po’ di carattere? Quando avrebbe
smesso di
preoccuparsi, come se fosse lei stessa sotto la sua
responsabilità e non il
contrario?
-
Chi
diavolo ti ha richiesto le “Forniture di Carmen”?
Fin troppa gente ultimamente
comincia ad approfittarsene. – osservò, ancora
aggressiva ma intenzionata a
ricominciare a parlare per rinfrancarlo.
-
No,
questo tipo non sembrava il solito approfittatore che sceglie il
pacchetto più
conveniente del nostro elenco di “kit-dispensa”.
– rispose, con un sollievo
evidente che gli permise anche di appoggiarsi con finta nonchalance ad
una
piattaia – Sapeva esattamente cos’era venuto ad
ordinare. Tanto più che mi ha
chiesto, testualmente, di “togliere dalle spezie i semi di
papavero, che non
piacciono a nessuno” e ha riportato i ringraziamenti del loro
cuoco “per gli
ottimi tagli di vitello che ci avete procurato”. –
Principessa
rimase per un istante pensierosa e l’immagine dello straniero
incontrato da
Johnny le riaffiorò subito nella mente.
-
Stai
pensando fosse uno di “loro”…?
– domandò il fratello, mettendo molta enfasi su
quell’ultima parola e studiando le reazioni della
consanguinea.
-
E’ molto
probabile. Sono gli unici abitudinari di quel genere di pacchetto
preimpostato di
provviste. L’aveva studiato nostra madre apposta per
“loro”... – poi aggiunse,
incerta – Solo che normalmente si presentano senza problemi
quando vengono a
comprare da noi… -
-
Niente da
fare, aveva addosso un mantellaccio e si è limitato a queste
ordinazioni e
osservazioni… Molto educato, comunque. –
osservò lui e fece una smorfia
ricordando quante volte invece si era trovato di fronte a prepotenti
della
peggior risma.
-
Mah, non
capisco. – si arrese allora lei.
-
Però,
Prin, non abbiamo più riserve sufficienti per ricreare
addirittura cinque
“Forniture di Carmen”, quindi devo per forza
contrattare con la Fratellanza… -
-
E
contando quanto siano a buon mercato quelle forniture, come al solito
il
guadagno sarà solo di quei bastardi dei mercanti.
– sbuffò e si alzò.
-
Abbiamo
proprio scelto il mestiere sbagliato, vero? –
scherzò lui.
Principessa
sorrise con quell’espressione dolce che riservava al fratello
minore e raramente
anche a lui. Eppure a lui piaceva vederle quel volto rilassato che gli
portava subito
alla mente uno dei suoi pochi ricordi della madre, a lei tanto simile.
-
Assolutamente.
–
In
un
istante, però, i tratti del viso divennero cupi, anche se la
sentenza suonò vagamente
ironica: - Se avessimo comprato una nave mercantile e questa fosse
affondata,
ci saremmo arricchiti di più. Ed è tutto
dire… -
Ed era già sulle scale per salire alla sua camera e prepararsi per la notte.
§ §
§ § § § § §
§ § § § §
Buongiorno!!!
Davvero un bel giorno perché torno dal primo esame di questa sessione con un voto più che buono e ho voglia di festeggiare! Nonostante i mille e uno problemi che mi si affollano nella mente in questo periodaccio (e mentre tento di mettere giù il capitolo 4) giungo infine ad aggiornare!
Ecco come finisce la discussione tra "mantellato" (e cosa ve lo dico a fare XD) e Principessa e il corredo del piccolo dialogo che presenta infine i Lucas F. Non bella gente, decisamente pesante e indisponente, ma ancora più di quanto avete letto (perché Johnny é uomo diplomatico XD).
Molto più essenziale la comparsa del fratellino Clayton: affettuoso, giovane, ingenuo (ma non tanto come sembra), pacifico, tranquillo, ma parecchio eccentrico (e si vedrà). Quindi siamo a due personaggi essenziali della vicenda che si vanno a scoprire... Per il terzo bisogna aspettare. XD
Grazie a tutti coloro che sono passati di qui ma hanno letto! Grazie a chi ha messo la storia tra preferiti/seguiti! Grazie in anticipo a chi lascerà una recensione: risponderò direttamente al più presto e mi farete felice! ^_^