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Autore: May90    22/03/2011    6 recensioni
Abitare a Ward-Golfe é molto difficile: tra pirati e marinai é il peggiore tra i porti di mare sulla rotta più ambita.
Lavorare a Ward-Golfe é un incubo: la Fratellanza dei Mercanti gioca con i rialzi doganali, con la fornitura di merci, alla fine con la vita stessa dei poveri abitanti.
Tirare avanti a Ward-Golfe é impossibile se non fai parte della massa informe: essere nota come "Strega", avere un carattere un tantinino forte e una famiglia controversa sono quelle che potremmo chiamare aggravanti...
(Prima storia della serie "Come..." )
(Tre assurdi personaggi originali e comprimari vari ^_^)
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '"Come..."'
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Capitolo 2

 

- TU SEI UN UOMO MORTO! – sbraitò la ragazza, arrossendo fino alla fronte.

Non che comunque l’imbarazzo potesse spingerla ad abbandonare l’istinto omicida con il quale si stava slanciando contro il locandiere, incurante ormai anche del vasto piano di legno scuro che da quello la divideva. Johnny si ritrovò nuovamente delle mani davvero poco cortesi al collo, questa volta neanche lontanamente interessate a trattenerlo per il bavero, ma artigliate alla pelle.

- Ma… - cercò di dire il cliente misterioso, facendo il gesto di allungare le braccia, forse per allontanare l’aggressore.

- Tranquillo… - lo rassicurò il gestore, con un cenno placido della mano – Sopravvivo ogni giorno ad almeno un assalto così… -

Principessa, per tutta risposta, digrignò i denti come una tigre e strinse più forte.

- Però se fai così, crepo davvero… - la avvisò, rauco per la presa questa volta davvero soffocante.

La ragazza fissò con scetticismo il suo volto diventare cianotico e si decise a mollarlo.

- Se ti ammazzo finisco anche braccata dalla Marina. Come se non fosse abbastanza vivere in questo postaccio. - sentenziò, tornando a sedersi con un tonfo brusco.

- Quindi è questa la vostra vera voce? –

Principessa, persa ogni voglia di interpretare la donna per bene, rivolse al cliente ignoto un’occhiata minacciosa e una smorfia terribile:

- E allora…? -

Aveva ancora un certo rossore sulle gote, ma ormai non le importava più che quel suo orrendo nome fosse stato scoperto. Ora che al rispetto che avrebbe voluto suscitare si sarebbero certo sostituite risatine e battute, non aveva più importanza la sua patina di indorata perfezione, se mai la decisione e la rudezza del suo vero carattere. Che poi lo straniero pensasse quello che voleva, ma non osasse prendersi gioco di lei o se ne sarebbe pentito amaramente.

- Maleducata… - osservò Johnny, che aveva appena ripreso un colorito salutare, scuotendo l’indice in segno di ammonimento.

- Sarei lieta di dirti cosa sei tu! Crepa, maledizione! – esclamò, vicina all’isterismo.

Le rivolse un sorrisetto, come se fosse deliziato dalle sue espressioni di odio, e si limitò ad indicarla con un gesto plateale delle braccia.

- Sono lieto di presentarti, nel suo massimo splendore, McFerson Principessa, la strega di Ward-Golfe! – esclamò il locandiere, rivolto all’avventore misterioso.

- “STREGA” UN EMERITO… - iniziò per tutta risposta lei, pronta a sfogare tutta la frustrazione in quella semplice imprecazione.

- Non si dice! – le parlò sopra il locandiere, ancora con atteggiamento da maestro elementare.

- No, infatti! Non si dice che cosa rischi chi mi chiama “strega”! – minacciò, alzando un battagliero pugno verso tutti e nessuno.

- Vedi perché ti chiamo “Principessa”… ? – osservò sarcastico.

- E io ti ho detto di chiamarmi “Prin”! E’ un diminutivo! E’ civile! E’ gradevole! Tu invece devi sempre farmi inca… -

- Non ho deciso io quel soprannome offensivo, è inutile che te la prendi con me. Io tifo perché ti si chiami “Principessa”! – rispose, conciliante.

- Non mi stai a sentire! – spostando il pugno pericolosamente vicino al suo naso – PRIN! DEVI CHIAMARMI PRIN! –

- Ma non vuol dire nulla. – intervenne la voce pacata del ragazzo mantellato, che i due litiganti avevano preso ad ignorare, troppo assorbiti da quello scambio di battute.

- Visto? – sottolineò subito il locandiere, con un’occhiata di ringraziamento allo sconosciuto.

- E “Principessa” cosa vorrebbe dire!? – esclamò lei, indignata dall’intromissione, oltretutto contro di lei, del nuovo arrivato.

- Significa che una persona importante per voi vi ha dato quel nome. – rispose, calmo.

Quella frase la lasciò per un istante senza parole. Se c’era una cosa che non si aspettava, era che lo straniero sfoggiasse anche questo fastidioso istinto alla sentenza melodrammatica. Sentiva un bisogno istintivo di rispondergli male, per il gusto di imporre tutto il suo disprezzo verso quelle facili affermazioni che sembravano citazioni di poesie di altri tempi.

Ma non fece in tempo a preparare un’osservazione ostile prima che l’altro riprendesse a parlare:

- Se ritenete che un nome simile sia un po’ troppo strano, stupido o inadatto, la vostra opinione è ciò che conta. Con questo, potevate risolvere facilmente il problema. -

- Che cosa ne sai…!? – protestò lei, stizzita.

- I nomi si possono cambiare. Molti lo fanno. – osservò, quieto – Se non ci avete mai pensato, forse è perché inconsciamente ci siete affezionata. Allora, tanto vale che lo disprezziate.–

- Non è vero! Lo odio! – esclamò lei.

- Però piaceva ad una persona che vi è cara, per questo lo tenete stretto. –

Lei non rispose, improvvisamente incupita.

Il tono del ragazzo era serio, chiaro, non severo ma sicuro, proprio di chi sa di cosa parla. Principessa fissava l’ombra scura del cappuccio dove era certa ci fossero i suoi occhi e avrebbe voluto ordinargli di scoprirsi e guardarla davvero mentre pontificava a quel modo. Eppure era certa che il suo sguardo fosse pienamente ricambiato e poteva immaginare un volto sereno e gentile, anche se i tratti nascosti erano davvero troppi.

- Per quanto vi impegniate, quel nome è scritto sulla vostra pelle. – e lo sconosciuto sospirò amaramente – Fin troppe cose funzionano così e prendersela non serve a nulla. -

- Ho sempre desiderato cambiare identità. – confessò istintivamente e lei stessa sobbalzò di stupore quando si accorse di essere arrivata ad una tale confidenza dal nulla.

- Anch’io. – affermò da parte sua l’avventore misterioso, mettendola subito a suo agio, dopo quell’affermazione tanto intima – Cancellare un’eredità che mi disgustava e non avevo mai desiderato. L’ho fatto a modo mio e per ora funziona. –

- Quindi si può fare…? – domandò la ragazza, in sospeso. Non si era neanche resa conto di aver smesso di sbraitare.

- Non posso dirvi che ci si riesce completamente, ma abbastanza per tornare in pace con se stessi, quanto basta. –

Principessa inclinò la testa, pensierosa, ma di nuovo quieta.

L’ignoto con mantello aspettò un istante prima di ricominciare a parlare: - Ma, anche nel caso in cui vi liberaste dalla vostra identità, riuscireste ad abbandonare il vostro nome? –

Era pronta ad affermarlo, senza rimpianti. Sognava da un’eternità di non sentire più, alternati nella bocca dei concittadini, il soprannome pieno di disprezzo e quel nome usato come facile scherzo. Se avesse potuto ricominciare da capo con una nuova vita, in nessun caso avrebbe sopportato di portarsi dietro un bagaglio tanto pesante di facili ironie. Era l’unica cosa sensata da farsi…

Sapeva fin troppo bene, però, a chi doveva quel nome. Sua madre aveva avuto quella brillante idea e per molto tempo, da bambina, aveva creduto si trattasse di un contrappasso, ai suoi danni, compiuto su chi a sua volta aveva scelto “Carmen” per la sua genitrice. Poi le aveva chiesto il perché e la verità l’aveva stupita: sua madre sognava un futuro incredibile per lei, un avvenire speciale, fin troppo per chi aveva ereditato un umile mestiere su un’isola sperduta nell’oceano… Da molto tempo aveva deposto le fantasie e preso a canzonare l’assurda speranza di Carmen. Eppure, quando ci pensava, proprio come in quel momento, realizzava che davvero ciò era quanto le rimaneva della donna che l’aveva messa al mondo. Non poteva voltarle le spalle a quel modo, senza ragione alcuna.

Lo straniero aveva ragione e l’aveva avuta fin dall’inizio, da quella sentenza inizialmente considerata facile e sdolcinata. Non le piaceva ammettere che qualcuno avesse nettamente ragione perché inevitabilmente le sembrava di sottintendere il suo torto.

Un solo monosillabo non sarebbe stato faticoso, forse…

- Probabilmente… No. – rispose, con una smorfia.

La risata argentina e sincera del suo interlocutore le sembrò stranamente gradevole, anche in quella situazione.

- Vi capisco. - affermò, cortese – Neanch’io sarei mai riuscito a rinunciarvi. -

 

Non appena quello scambio di battute, svoltosi in un’atmosfera di strana empatia, terminò in qualche momento di silenzio, Principessa tentò di nuovo l’assalto:

- Non è che già che ci sei potresti dirmelo, il tuo nome…? –

Lo sconosciuto rise di nuovo in quel modo sincero e contagioso. Ormai aveva girato lo sgabello verso la ragazza ed evidentemente la guardava attentamente attraverso la penombra e l’anonimato di quel mantello. Indossava dei calzoni corti, cosa strana in quella stagione, e delle scarpe da combattimento. Non poteva riconoscere nulla di nuovo oltre a questo.

- Siete testarda. - osservò, divertito.

- Sai, com’é. – insistette con il “tu”, sostenuta – Non so che faccia hai, non so chi sei, mentre tu hai chiaramente la possibilità di scoprire tutto quello che vuoi su di me. –

- So solo il vostro nome e che aspetto avete… - osservò, vagamente in difficoltà.

- Appunto. – decretò lei, secca.

Si portò una mano alla testa, o meglio al cappuccio, e per un attimo la giovane sperò che avesse finalmente deciso almeno di scoprirsi il capo. Rimase piuttosto delusa quando capì che si trattava solo di un gesto imbarazzato.

- Non ne avrei l’intenzione, ve lo assicuro… -

- L’intenzione di restare nascosto o di sapere qualcosa di me…? – buttò lì, con una smorfia.

L’altro rimase immobilizzato per un istante. Lei poteva immaginarlo sgomento, occhi spalancati, bocca semi-aperta.

- Io… Cioè… - cominciò a farfugliare – Di avere questo mantello! Che domanda…! –

Poi prese fiato e sbuffò. Infine incrociò le mani sul ventre, in una posa paziente: - Vi divertite molto a fare queste domande assurde per mettere in difficoltà il prossimo, direi. – osservò, tranquillo.

- Non sono assurde. Per quel che ne so, potresti anche preferire tagliare la corda al restare ancora cinque minuti seduto qui a parlare con me… - commentò, sventolando una mano davanti al viso in un gesto stizzito.

- Una cosa simile sarebbe assurda. Non mi avete fatto nulla di male. – rispose, quanto più possibile onesto.

- Io riformulerei questa osservazione… - insinuò Johnny, appena tornato al banco dopo aver servito al tavolo.

- Perché? – chiesero entrambi, uno stupito, l’altra minacciosa.

- Perché sei troppo cortese e per nulla onesto: ti ha tartassato di domande, non ti ha ancora lasciato il tempo di finire di bere e fa di tutto per indispettirti. In più, se continui così, potrebbe anche decidere di fare sul serio e sarebbe capace di rovinarti davvero la vita. -  spiegò, un sorriso sgargiante di malizia su entrambi.

- Magnifico, con questo ti sei guadagnato un altro biglietto sola andata PER L’INFERNO! – lo minacciò Principessa.

- La signorina non mi sta dando problemi, sono sincero. – commentò l’altro, come se il suo tono sereno non fosse abbastanza chiaro sulla sua onestà.

-  E tu invece me ne stai dando, e parecchi! – urlò di nuovo lei, un dito puntato come una lama sullo straniero.

- Perché…? Sono indiscreto se…? – fece per domandare, lui stesso incerto su quale fosse la cosa giusta da dire di fronte a quell’ingiustificato scatto d’ira.

- No! Sei dannatamente discreto! Sei dannatamente cortese! Sei dannatamente saggio! – rispose, battendo insistentemente l’indice sul petto, o meglio sul mantello, dell’interlocutore – Ma darmi del “voi”…! Ma ti sembra possibile darmi insistentemente del “voi”! –

- Ad una giovane donna appena conosciuta… - cercò di spiegare, riportando probabilmente qualche nota regola di buone maniere.

- Se hai la mia età e mi dai del “voi”, mi fai sentire vecchia, dannazione! Me ne frego del galateo se mi fai pensare di apparirti una megera sessantenne! – lo interruppe ancora Principessa, le labbra rosse tirate in una espressione disgustata.

- Non credevo. – affermò, portandosi una mano al mento, probabilmente.

- Ti sembro una vecchia!? – lo provocò ancora, nefasta.

- Proprio no! Però credevo fosse buona norma… Così mi hanno insegnato!– esclamò anche lui e, vedendola pronta a rispondere malamente, fece per fermarla con un gesto della mano – E poi, insomma, credevo fosse giusto vedendo quanto sono importanti le formalità nel tuo comportamento. Avevo capito così. Ma se non vuoi, va bene… -

- Non è questione! Hai la mia età o no? – insistette lei.

L’avventore misterioso sembrò scrutarla dalla testa ai piedi per qualche momento.

- Più o meno, direi. – constatò.

- Appunto! Non ci si può dare del lei tra coetanei! – poi scosse la testa tra se e precisò - O meglio si può, ma ci vogliono certe circostanze precise… Altrimenti è troppo formale e dà fastidio! – 

- Va bene. – ammise, molto tranquillo.

- Certo che sei una bella ipocrita, Principessa. – Johnny sghignazzò.

- Ecco, sentiamo la vaccata che devi sparare ora… - commentò la ragazza, ormai abbastanza esaurita da non avere la forza di urlargli qualche insulto. Infatti si limitò ad appoggiare il braccio al bancone e a rivolgergli una delle sue peggiori espressioni di fastidio.

- Sono assolutamente certo che se ti avesse dato del “tu” da subito ti saresti offesa! – poi si rivolse al ragazzo ammantato per dargli una gomitata amichevole – Sei un ottimo osservatore, questa è davvero presissima con le sue apparenze da “principessa”… -

- Neanche vivessi nella mia testa, rompiballe! – lo rimproverò lei con tali parole colorite, alzando gli occhi al cielo.

- L’importante è che ci siamo capiti, ora. – minimizzò lo straniero, sicuramente con un sorriso conciliante nascosto dalla penombra sul viso.

La giovane, per tutta risposta, sospirò sonoramente.

- Certo che sei un tipo ben strano, tu… - osservò, fingendo un’indifferenza sempre meno reale. Quel personaggio oscuro la incuriosiva in modo quasi incontrollabile, ormai.

- Non credo, ma se lo dici tu… – rispose, tornando infine a sollevare il suo boccale, ancora mezzo pieno.

- Non te l’ha mai detto nessuno? - domandò l’altra.

- No. – ammise, tra un sorso e l’altro.

- Immagino che tu non conosca neanche una persona normale… Siamo a posto… - sentenziò la ragazza, ironica.

- Oh, perché tu ti giudichi normale? Sul serio? – intervenne, divertito, il proprietario del locale.

Ma appena Principessa cercò di contraddirlo, o forse aggredirlo, la precedette: - Va bene, certo, andrò all’Inferno, mi riduci in briciole, finirò i miei giorni in un vasetto di conserva… Però è ora che tu vada a casa. – e le indicò con un gesto pigro l’orologio appeso alla parete.

- Uff… Ed è pure tardi, maledizione… - si lamentò quella, alzandosi prontamente dallo sgabello.

- Quel poveraccio ti aspetterà per cenare e tu come al solito sei in giro a divertirti. – la sgridò ancora il locandiere.

- Come se tu non ne avessi guadagno! – osservò con una smorfia e appoggiando quanto gli doveva sul bancone.

- Ne avrei di più se non mi facessi sempre scappare tutti i clienti… - sbuffò e scrollò le spalle.

- Se tu mi lasciassi in pace… - ma si interruppe e sbuffò ravvivandosi la lunga chioma rossa – Oh, ma a che serve… Dannato psicopatico! –

- Che sarai tu… - la insolentì, imitando un bambino dell’asilo.

- Buona serata, straniero. – salutò lei, con un sorriso vagamente sardonico.

- Buonasera anche a te, Principessa. – le rispose quello, posando il boccale ormai vuoto con un tonfo sul bancone e rivolgendole un cenno di saluto con la mano.

Mentre si allontanava, dopo aver afferrato l’ombrello all’entrata, la sentirono bofonchiare, con una smorfia:

- Ci mancava un altro che mi chiamasse in quel modo… -

Quando i tacchi smisero di ticchettare sui gradini, il cigolio lontano del cancelletto da saloon avvisò i presenti che se n’era andata.

 

Un sospiro di vago sollievo si diffuse nella sala, accompagnato da qualche sussurro e risatina.

Johnny scosse la testa per quella reazione dei clienti, ma non disse nulla.

- Non è molto amata. – osservò mestamente il giovane mantellato.

- Si vede, eh…? – confermò quello, afferrando il boccale per lavarlo subito sotto l’acqua corrente – Gli abitanti in genere la schivano. E questa è la reazione abituale degli estranei.-

Quello non commentò, ma lanciò ugualmente un’occhiata intorno nella penombra. Personaggi più o meno loschi si erano seduti nell’ombra dei tavolini più lontani. Erano ben pochi, ma non sembravano davvero semplici cittadini, ma gente di mare. Della peggior risma, in realtà.

- Hai sempre questo genere di clienti…? – domandò.

Il padrone scrollò le spalle: - Be’, se facessi servizio solo alla comunità dell’isola, non farei affari. Ci sono sempre meno marinai che pirati da queste parti e devo pure campare. Questo, come certo sai, è una specie di porto franco, caro sia ai pirati che alla Marina. Tra l’altro per la stessa ragione… -

Fece un cenno allo straniero, che rispose facilmente al suo posto: - La Fratellanza dei Mercanti.-

- Esatto. – sospirò – Come se ci fossero dei vantaggi a trattare direttamente con quegli usurai… Lo fa ormai solo la Marina e riesce a guadagnarci esclusivamente quando presenta un simpatico mandato governativo. Allora si sente Lucas F. Tyner bestemmiare per tutta la città due giorni buoni… -

- Gente pericolosa? – buttò lì lo sconosciuto, con un tono repentinamente mutato, da quieto a cupo.

Johnny alzò un sopraciglio: - I Lucas F. sono decisamente i peggiori rappresentanti della Fratellanza, sia per la loro tendenza alla truffa sia per l’esercito di malintenzionati che usano come guardie del corpo. La difesa della loro lobby è l’unica cosa per la quale siano disposti a spendere soldi, per il resto pensano solo a spillarne agli altri. – poi gli rivolse un sorriso sghembo – Non mi stupisce che anche “voi” preferiate fare riferimento ad un intermediario per le provviste… -

- Se qualcuno dovesse rimetterli al loro posto… - prese a dire, con un atteggiamento che avrebbe forse voluto essere colloquiale, ma nascondeva un evidente interesse alla realizzazione di quell’ipotesi.

- Non pensarci neanche! – esclamò il proprietario, notando subito il pericolo reale celato in quelle parole fintamente casuali – Non sono pirati, che a nessuno importa ci siano o no! E’ un’associazione garantita dal governo! Non ti fai idea dei guai che ti tireresti sulla testa! –

Per quanto sentisse quasi un fastidioso bruciore fisico all’idea di lasciar passare comportamenti così evidentemente ingiusti, si ricordò che aveva promesso di non farsi riconoscere e non provocare disastri sull’isola. Forse sfidare un’organizzazione governativa, per quanto decisamente losca, rientrava nelle cose che aveva giurato di evitare…

- E’ sempre così che funziona, il potere… - commentò, quietandosi forzatamente.

Ma digrignò per un istante i denti, ricordandosi che avrebbe dovuto chiedere, quanto prima e certo prima di ripartire, se potevano fare qualcosa per mettere in quadro quella compagnia di usurai. Era tutto da dimostrare che fossero pericolosi, più di lui no di certo. Tuttavia, non spettava a lui scegliere cosa fare, se la responsabilità cadeva poi su tutta la ciurma.

- Certo che si. – osservò l’altro in risposta, pettinandosi all’indietro i capelli chiari con le dita – Finché non combini qualcosa contro i potenti, ai poveracci puoi fare quello che vuoi e senza che nessuno venga a protestare. E a tutte le cose buone risparmiate dai Lucas F. pensano i pirati. Anche se hanno smesso di trattare con la Fratellanza, trovano ancora molto conveniente arrivare su quest’isola per derubare i poveri intermediari, che tirano solo a campare tra usura e tasse doganali… -

- Ecco perché si è preoccupata quando mi ha sentito dire che ero andato a quella bottega. – osservò il giovane mantellato, pensieroso.

- In genere un pirata ci va per rubare, non per trattare civilmente la merce. – ma allora sogghignò e rivolse un occhiolino al viso nascosto dal cappuccio – Mi scuserai se generalizzo sulla tua categoria… -

- Figurati. L’assalto al negozio è una scena molto comune. Io stesso ne ho visti tanti da quando vado per mare. – rispose, tranquillo, ma vagamente mesto.

- E scommetto che sei il tipo da non sopportare queste cose… -

- … diciamo che se metto le mani addosso a quei ladri, non hanno più modo di vantarsene… - concluse, di nuovo con quel tono piuttosto pericoloso.

- Si, Principessa, ha ragione: sei davvero un personaggio particolare. – osservò il locandiere, sorridendo sotto i baffetti biondi – Anche se già da quello che si dice in giro si poteva intuire. Una carriera interessante, sempre in salita, e stranamente pulita per un fuorilegge. –

- Umh, quindi hai capito chi sono… - disse, quasi preoccupato all’idea di essere stato riconosciuto nonostante le precauzioni.

- Quando ti sei addormentato, ci sono arrivato. Ma come ho già detto a quella folle impicciona, so tenere i segreti. –

- Bene. – rispose, molto rassicurato e con un cenno di ringraziamento del capo coperto.

- D’altra parte, mi chiedo come abbia fatto lei a non capire subito…! E dire che dovrebbe sapere quasi tutto su di “voi”… - si chiese Johnny, a bassa voce, arricciando le labbra, sovrappensiero.

Comunque, lo straniero non gli stava più prestando attenzione.

Aveva appena notato un coprispalle color panna appoggiato sul bancone.

 

- Che dannato freddo! – esclamò tra sé Principessa, mentre si affrettava verso casa.

Durante la sua permanenza nel locale, aveva almeno smesso di piovere, cosa che le permetteva di portare l’ombrello bianco attaccato per il manico ricurvo al braccio piegato. Sapeva bene che si trattava dell’unico modo per evitare di batterlo, anche solo involontariamente, sulla strada di terra nuda, resa fangosa dai lunghi giorni di pioggia. Afferrò ancora un lembo del lungo abito, ma sbuffò all’idea delle macchie di terra che avevano sporcato ugualmente il tessuto panna e gli stivaletti in tinta, che avrebbe impiegato tutta la sera per lucidare.

Mentre svoltava a destra, per passare dietro la drogheria con il suo passo veloce, una folata di vento freddo sgusciò tra gli edifici per sferzarle il viso e scompigliare i capelli fiamma. La pelle d’oca la attraversò dalla testa ai piedi, concentrandosi in realtà sulle braccia lasciate scoperte. Dopo un verso di disappunto, si fermò bruscamente sul posto.

- Ho dimenticato il copri-spalle! – esclamò a tutti e a nessuno nel bel mezzo della strada – Porco cane! – imprecò poi, battendosi una mano sulla fronte.

Non poteva tornare indietro, era davvero molto tardi e non aveva intenzione di essere obbligata dalle circostanze a giustificarsi con nessuno. Per una dimenticanza, poi.

Insomma, capitava a tutti, no?

Certo, ad alta voce non l’avrebbe mai ammesso, ma poteva pensarlo, con fastidio: a lei succedeva abbastanza spesso. Se si pensa che, nonostante il temporale di quel pomeriggio, aveva rischiato di uscire senza ombrello… Si, questa smemoratezza stava cominciando ad essere un problema.

Però si ricordava sempre delle cose importanti, quindi non poteva dirsi così grave.

E certo non era importante quella cosa che Johnny si ostinava tanto a ricordarle… Si, quella… La solita… Ne aveva sempre una fissa, di menata… Ecco, “quella”…

Al diavolo, le sarebbe tornato in mente il giorno dopo, andando a recuperare la stupida giacchetta!

 

- Ehi, vecchio diavolo, sono tornata! – esclamò entrando in casa dalla porta sul retro.

Posò con un tonfo il parapioggia nel vaso adibito a portaombrelli e fece vagare lo sguardo per la sala da pranzo silenziosa. Si persuase che c’era qualcuno in casa quando vide la tavola perfettamente preparata per due.

- Meno male, è pronta la cena! – le rispose una voce maschile dal cucinino, da dove, se ne accorse in quel momento, proveniva un buon profumo di arrosto.

- Allora sono in orario, fai meno il sofisticato, Clay… - borbottò lei, buttandosi scompostamente sulla sedia posta dal suo lato abituale.

Un ragazzo di pochi anni più giovane della ragazza emerse dalla stanzetta laterale adibita a piccola cucina, portando una pentola piena con un enorme guanto imbottito.

La pelle chiarissima, lisciata sulle guance da una perfetta rasatura, e gli occhi grandi e color nocciola gli davano un’aria gentile e amichevole. I capelli biondo cenere, mossi e lunghi fino alle spalle, gli scorrevano ai due lati del volto e del collo sottile. Di statura poteva essere considerato piuttosto alto per la sua età, ma la corporatura esile tradiva la sua attitudine ad attività sedentarie.

Sorrise appoggiando il contenitore sul tavolo e levandosi il guantone da cucina: - Giusto in tempo, ho solo detto. Anche se saresti potuta tornare prima per mettere avanti l’arrosto, dato che avevo ancora clienti. – precisò.

- Non lo sapevo, ma tanto ce l’hai fatta lo stesso. – minimizzò, afferrando il coltellaccio per affettare il grande pezzo di carne dorata.

- Potresti aiutarmi, una volta ogni tanto… - osservò lui, sedendosi educatamente dal lato opposto e accostando la sedia al piano della tovaglia.

- E’ meglio che stia lontana dall’emporio, prima che la mia presenza allontani i clienti. – disse, fissando ostinatamente l’azione dell’affilato strumento, che stringeva con particolare forza in quel momento.

- Prin, sai che è una tua convinzione, vero? – le domandò, osservando quella stretta convulsa e il modo in cui tentava di uccidere di nuovo quel povero pezzo di carne – E’ il negozio di nostra madre, tutti sanno a chi appartiene, quindi non cambia nulla chi di noi due sia dietro il bancone. Ogni tanto mi farebbe piacere avere di fianco mia sorella. –

Principessa strinse le labbra.

Suo fratello era sempre terribilmente sentimentale in queste cose.

Non si lamentava mai di essere lasciato praticamente solo a gestire quell’emporio, semmai del fatto che lei non volesse entrarci appositamente, a causa di quella cattiva nomea che le spirava intorno. Fortunatamente lui non subiva lo stesso trattamento che era riservato alla “Strega”. Certo, neanche il più giovane McFerson veniva visto così benignamente, ma la gente aveva imparato a conoscerlo per chi era e per questo continuava a comprare presso il loro piccolo negozio. Se ci fosse stata lei al suo posto le cose sarebbero state molto diverse: non solo perché il suo carattere non le avrebbe permesso la necessaria cortesia nei confronti dei clienti, ma perché la sua presenza stessa avrebbe dissuaso i più. Ne era certa.

Clayton era sempre stato migliore di lei in questo campo, nelle relazioni con il pubblico, soprattutto perché era spontaneamente buono e generoso.

Al resto però aveva sempre pensato lei. Teneva i conti in modo inflessibile, gli ricordava di riscuotere i debiti alla prima occasione e gli impediva di dare credito per troppo tempo, sorda ad ogni sollecitazione alla misericordia. E gli aveva imposto di disfarsi di abitudini stravaganti e fin troppo spontanee, trasformandolo nel comune negoziante tipo. Non l’aveva fatto volentieri e sapeva che il fratellino ne aveva all’inizio sofferto, ma del resto si trattava dello stesso tipo di violenza che faceva a se stessa ogni giorno, volontariamente, per apparire il più possibile educata e gradevole.

La ricerca della normalità era sempre complicata.

Alzò lo sguardo sugli occhi espressivi di Clay cercando di trasmettere totale impassibilità: - Ne abbiamo già parlato. Tu te la cavi benissimo e non voglio rovinarti la piazza dalla quale entrambi otteniamo di che vivere. Fine della questione. –

Quando arrivava a quel genere di sentenza, tutti sapevano che dire altro era assolutamente inutile.

Il ragazzo sospirò e le portò via il coltello: - Meglio che lo tagli io. –

Solo allora si accorse dei brandelli informi che aveva prodotto e arricciò il naso: - Pignolo. –

 

Mentre stavano ormai spreparando la tavola, Clayton era arrivato quasi alla fine del suo racconto della giornata lavorativa:

- … Insomma, sai come va a finire quando chiedono quel genere di liquore: è un manicomio! Poi l’avevamo finito. -

- Non è possibile! – esclamò lei, alzando lo sguardo repentinamente dal ripiano di legno sul quale stava passando lo strofinaccio – Con la fornitura del mese scorso ce ne eravamo fatti mandare quattro barili! –

- Insomma, non so cosa dirti… Domani andrò a parlare dai Lucas F. … Tanto devo richiedere una serie di cose, quindi non mi costa niente trattare anche per un rifornimento di liquore. – osservò, pratico.

- Eh no, io sono certa ce ne fosse ancora! Quindi deve saltare fuori!– insistette lei.

- Ne sei così sicura perché l’hai usato ancora “per addormentarti”? – le domandò improvvisamente, con uno sguardo che avrebbe voluto essere severo, ma appariva soprattutto preoccupato.

Lei preferì ignorare la vaga apprensione che vi traspariva e rispose, aspra:

- Fatti gli affari tuoi e non permetterti di sgridarmi con quell’aria da “fratello maggiore”, sai che non lo sopporto! -

- Se diventa un vizio… - cominciò, senza lasciarsi abbattere da quell’atteggiamento di sfida.

- Non è un vizio! – gridò, arrabbiata, scrollando con stizza il telo bagnato – Ogni tanto mi tira su! Smettila di insistere! –

- Sono solo preoccupato. –

- Allora fattelo passare! – rispose, ma non riuscì a sostenere gli occhi nocciola del fratello – Domani cerco quel barile e stai certo che lo trovo! –

Un momento di silenzio seguì quell’ultima frase quasi urlata. Clay finì di passare la scopa e si sciolse il grembiule da cucina. Principessa si era riseduta al tavolo e guardava ostinatamente altrove, le labbra tirate.

Il fratello non riuscì a non pensare che in fondo la colpa era sua, dal momento che aveva tirato fuori lui quell’argomento. Era inutile, lo preoccupava troppo il fatto che da qualche tempo la sorella, l’unico affetto che avesse, si dilettasse a bere. Non che si ubriacasse, ma una volta si limitava al boccale di birra da Johnny o a qualche sorso di vino ai pasti, ora attingeva alla loro riserva d’emporio più che ogni tanto e alle ore più disparate. Una sera, quando l’aveva beccata a riempirsi un bel bicchiere di un extra - alcolico, dopo averlo mandato malamente al diavolo per averla spaventata, aveva sentenziato che le serviva “per addormentarsi”. Una spiegazione che sarebbe suonata bene solo alle orecchie di un bambino e forse era così che lo considerava.

Ogni tanto, come in quella occasione, tentava di imporsi, di farla ragionare. Ma la verità era che non sapeva neanche per cosa lei cercasse una soluzione… Di un sacco di cose si rifiutava di parlare e lui, da parte sua, aveva ben pochi ricordi della sua infanzia prima che la loro madre morisse. Poi i suoi tentativi diventavano doppiamente inutili, perché proprio non ce la faceva ad andare fino in fondo con quelle critiche. Non solo perché era comunque più piccolo di lei: la morte della loro genitrice aveva fatto di una ragazzina di soli cinque anni più grande quel tipo di “adulto” a cui bisogna obbedire, questo era evidente. Che fosse la verità o un’idea che si era fatto lui in passato e aveva fatto radici, trovava che ciò non fosse per nulla cambiato nel corso degli anni. Il fattore vero, però, per il quale non sarebbe mai riuscito a risultare autorevole quanto desiderava era la reazione che aveva Principessa ogni volta: strillava, si infuriava, finiva per insultarlo o aggredirlo ordinandogli di “tornare al suo posto”, come per ogni altra cosa in realtà – con quel caratteraccio che sfoggiava in tutte le occasioni, anche le più stupide - , ma infine si chiudeva in se stessa come un riccio, fingendo un atteggiamento offeso e sostenuto che, solo in quel caso, rappresentava una semplice autodifesa.

E di fronte a quel comportamento Clayton provava sempre, era più forte di lui, una stretta al cuore, che lo spingeva a tentare di rimediare, nell’unico modo possibile…

- Allora lo cerchiamo domani. Altrimenti non importa: un cliente mi ha chiesto cinque “Forniture di Carmen”, quindi devo comunque andare dai Lucas F.. – affermò, con tono malfermo.

Lei alzò gli occhi mesti a rivolgergli un’occhiata.

Quel suo stupido fratellino, tenero e sensibile com’era, aveva di nuovo gli occhi lucidi e quell’aria da cane bastonato. Quando sarebbe cresciuto? Quando sarebbe riuscito a tirare fuori un po’ di carattere? Quando avrebbe smesso di preoccuparsi, come se fosse lei stessa sotto la sua responsabilità e non il contrario?

- Chi diavolo ti ha richiesto le “Forniture di Carmen”? Fin troppa gente ultimamente comincia ad approfittarsene. – osservò, ancora aggressiva ma intenzionata a ricominciare a parlare per rinfrancarlo.

- No, questo tipo non sembrava il solito approfittatore che sceglie il pacchetto più conveniente del nostro elenco di “kit-dispensa”. – rispose, con un sollievo evidente che gli permise anche di appoggiarsi con finta nonchalance ad una piattaia – Sapeva esattamente cos’era venuto ad ordinare. Tanto più che mi ha chiesto, testualmente, di “togliere dalle spezie i semi di papavero, che non piacciono a nessuno” e ha riportato i ringraziamenti del loro cuoco “per gli ottimi tagli di vitello che ci avete procurato”. –

Principessa rimase per un istante pensierosa e l’immagine dello straniero incontrato da Johnny le riaffiorò subito nella mente.

- Stai pensando fosse uno di “loro”…? – domandò il fratello, mettendo molta enfasi su quell’ultima parola e studiando le reazioni della consanguinea.

- E’ molto probabile. Sono gli unici abitudinari di quel genere di pacchetto preimpostato di provviste. L’aveva studiato nostra madre apposta per “loro”... – poi aggiunse, incerta – Solo che normalmente si presentano senza problemi quando vengono a comprare da noi… -

- Niente da fare, aveva addosso un mantellaccio e si è limitato a queste ordinazioni e osservazioni… Molto educato, comunque. – osservò lui e fece una smorfia ricordando quante volte invece si era trovato di fronte a prepotenti della peggior risma.

- Mah, non capisco. – si arrese allora lei.

- Però, Prin, non abbiamo più riserve sufficienti per ricreare addirittura cinque “Forniture di Carmen”, quindi devo per forza contrattare con la Fratellanza… -

- E contando quanto siano a buon mercato quelle forniture, come al solito il guadagno sarà solo di quei bastardi dei mercanti. – sbuffò e si alzò.

- Abbiamo proprio scelto il mestiere sbagliato, vero? – scherzò lui.

Principessa sorrise con quell’espressione dolce che riservava al fratello minore e raramente anche a lui. Eppure a lui piaceva vederle quel volto rilassato che gli portava subito alla mente uno dei suoi pochi ricordi della madre, a lei tanto simile.

- Assolutamente. –

In un istante, però, i tratti del viso divennero cupi, anche se la sentenza suonò vagamente ironica: - Se avessimo comprato una nave mercantile e questa fosse affondata, ci saremmo arricchiti di più. Ed è tutto dire… -

Ed era già sulle scale per salire alla sua camera e prepararsi per la notte.


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Buongiorno!!!

Davvero un bel giorno perché torno dal primo esame di questa sessione con un voto più che buono e ho voglia di festeggiare! Nonostante i mille e uno problemi che mi si affollano nella mente in questo periodaccio (e mentre tento di mettere giù il capitolo 4) giungo infine ad aggiornare! 

Ecco come finisce la discussione tra "mantellato" (e cosa ve lo dico a fare XD) e Principessa e il corredo del piccolo dialogo che presenta infine i Lucas F. Non bella gente, decisamente pesante e indisponente, ma ancora più di quanto avete letto (perché Johnny é uomo diplomatico XD). 

Molto più essenziale la comparsa del fratellino Clayton: affettuoso, giovane, ingenuo (ma non tanto come sembra), pacifico, tranquillo, ma parecchio eccentrico (e si vedrà). Quindi siamo a due personaggi essenziali della vicenda che si vanno a scoprire... Per il terzo bisogna aspettare. XD

Grazie a tutti coloro che sono passati di qui ma hanno letto! Grazie a chi ha messo la storia tra preferiti/seguiti! Grazie in anticipo a chi lascerà una recensione: risponderò direttamente al più presto e mi farete felice! ^_^

  
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