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Autore: Melina     23/03/2011    2 recensioni
[traduzione da Katie Forsythe]
THE THREE FAVOURS, ovvero come il signor Sherlock Holmes smise di scrivere telegrammi, come l'Ispettore Lestrade di Scotland Yard non mantenne il segreto professionale e come il dottor John Watson ignorò i malanni dei suoi pazienti per questi due motivi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci! non vi faccio stare troppo sulle spine XD ringrazio samek e minnow per i loro complimenti che mi hanno fatto sciogliere sulla tastiera del computer.
In questa parte le cose si complicano e la trama si infittisce, entra in campo il mio amato Ispettore Lestrade <3 e dà prova di una grande umanità.
Invidio immensamente la vostra situazione di privilegio di non aver ancora letto questa fic, rimpiango la prima volta che l'ho letta io e la felicità che mi ha dato. Spero di fare altrettanto con voi tramite la mia traduzione che, ve lo giuro, è fatta con tutto il mio affetto per il signor Sherlock Holmes, il dottor John Watson e l'Ispettore Geoffrey Lestrade.

 

The three favours - I tre doni, ovvero come il signor Sherlock Holmes smise di scrivere telegrammi,
come l'Ispettore Lestrade di Scotland Yard non mantenne il segreto professionale e come il dottor
John Watson ignorò i malanni dei suoi pazienti per questi due motivi.

LA FIC SI SVOLGE DURANTE GLI AVVENIMENTI DE "IL COSTRUTTORE DI NORWOOD"

 

-PARTE SECONDA-

 

Quando alla fine girai la chiave nella serratura della mia porta d'ingresso e misi piede nel corridoio, arredato con gusto anche se in modo austero, dello stabile che mi faceva da casa e ambulatorio, rimasi fermo nel mezzo del tappeto senza la benché minima idea di quello che avrei fatto di me stesso. È possibile che ci rimasi per dieci minuti, con gli avvenimenti della giornata a rincorrersi l'un l'altro nella mia mente come cani da caccia. Avevo ascoltato la disgraziata storia di McFarlane che era stata, come avrebbe detto Holmes, non del tutto priva di punti d'interesse. Poi ero fuggito, rifiutando l'invito di Holmes ad accompagnarlo a Blackheath con educazione se non con calore in presenza degli agenti di Scotland Yard. E trovarmi a casa, e di nuovo solo, fu ben più sorprendente di quanto mi fossi potuto aspettare.
Mi diressi verso il mio studio e mi sedetti alla scrivania poggiando la testa sul piano. Desiderai, con tutta la fervente volontà che ci colpisce quando meno ce lo si aspetta, che Mary potesse essere qui e parlare con me. Holmes aveva acconsentito, in quel suo supremamente logico modo di essere, al fatto che mi sposassi. E credeva che ciò sarebbe stato meglio per tutti. Se fossi stato pazzamente innamorato di mia moglie senza dubbio lui avrebbe messo in atto delle piccole catastrofi naturali, ma sapeva benissimo quale fosse il mio reale campo d'interesse. Mary era stata per me la migliore delle amiche, gentile, attraente e profondamente comprensiva. Molto più tagliata per la vita domestica che per quella dell'amante, e lui non la temeva. Gli bastava guardarmi in faccia ogni volta che lui entrava nella stessa stanza dov'ero io per sapere chi monopolizzava la mia attenzione.
Ero sprofondato in un tale abisso di disperazione alla supposta morte di Holmes che anche la presenza di Mary aveva fatto poca differenza, non importava quanto bene le volessi e quanto duramente sarei stato capace di lottare per lei. C'è un'enorme differenza fra un uomo in piedi sulla terra ferma e un uomo che affoga in un lago. C'è una sottile differenza invece fra un uomo che affoga in un lago e uno che affoga nell'oceano, perché l'effetto è lo stesso.
Credo di essermi addormentato lì, con la testa appoggiata al braccio, e di essermi svegliato al suono del campanello alla porta. Sapevo che doveva essere il mio primo cliente, quindi mi alzai con fatica. Il mio cliente… Holmes aveva insistito nel dire che McFarlane fosse il nostro cliente, non il suo. Aveva fatto così per molti anni. Desiderava condividere tutto con me, come aveva sempre fatto prima del nostro viaggio in Svizzera. E mi aveva baciato come non ero mai stato baciato in vita mia, nemmeno da lui.
Non potevo pensarci senza sentire la solita vecchia stretta all'altezza del petto. Holmes aveva inscenato la sua morte perché io ne scrivessi la storia. Ci sono crimini più gravi persino degli omicidi. Localizzai la mia borsa medica e cercai brevemente, prima che il mio paziente entrasse in studio, di calmare il tremore che ancora scuoteva le mie mani.

 

-«oOo»-

 

La mattina dopo mi svegliai a quello che immaginai dovesse essere il rumore dei ragazzini che spazzavano le strade, anche se non era affatto l'ora di quell'attività e il suono era molto più forte. Quando mi decisi a scendere dalla mia camera da letto al primo piano trovai che la governante, con un'espressione compiaciuta sulla faccia, stava sorvegliando un operaio occupato a imbiancare la facciata del mio palazzo.
"Signora Garrison" dissi "cosa diamine sta succedendo? È stata lei ad aprire a questo tizio?".
"Oh sì, dottore" mi rispose con un sorriso "lei stava ancora dormendo, quindi quando loro mi hanno spiegato per quale motivo fossero qui li ho lasciati cominciare"
"Loro?"
"Be', sì" disse perplessa "Sono stati assunti per rinfrescare la facciata, signore. Non ha dato lei l'ordine?"
"No" sospirai "ma non si preoccupi, signora Garrison, so chi lo ha fatto. Immagino che stiano pulendo i mattoni, aggiustando la crepa sul davanzale, questo genere di cose?"
"Sì, dottore. E stanno facendo anche un buon lavoro. E quando avranno finito con mattoni e davanzali hanno detto che intendono sostituire le parti in ferro delle scalette d'ingresso perché i corrimano iniziano ad essere abbastanza vecchi e si stanno arrugginendo. E guardi, ecco la nuova placchetta in ottone per il numero civico. È molto elegante, signore. Ha fatto una buona scelta".
Osservando quella placchetta così ben tornita tentai di arrabbiarmi. Ottenni solamente una sorta di irritata rassegnazione.
"Sarò nel mio ufficio, signora Garrison. Potrebbe farmi portare là la mia colazione, per piacere? Molte grazie".
Stavo sfogliando il libro degli appuntamenti della giornata da non più di dieci minuti quando la cameriera, Sally, arrivò con la mia colazione su un vassoio.
"Grazie, mia cara"
"Dottore, la signora Garrison mi ha chiesto di dirle che il nuovo tappeto per l'ingresso è appena arrivato" gli occhi blu della ragazza brillavano dell'eccitazione che tutto quel movimento le provocava "i facchini desiderano sapere se preferisca tenere quello vecchio o se invece se lo possano portare via loro".
La guardai con tanto d'occhi per un momento, poi mi ripresi. "Be', Sally, suppongo che dovremmo essere generosi con i nostri bravi facchini. Che lo prendano pure"
"Sì, grazie signore. E c'è un messaggio per lei, signore"
"Un telegramma?"
"No, signore. Un biglietto. È stato consegnato a mano da un altro fattorino" Me lo porse e uscì con grazia dalla stanza.
Spiegai il messaggio con cautela perché la fluida e spigolosa grafia mi era ben più che familiare. Era scritto sulla carta del blocchetto di Holmes e diceva:
Mio caro amico, quando avrai finito con i tuoi appuntamenti, posso suggerirti di unirti a me a Norwood? Il caso è contro il nostro cliente e, anche se vedo della luce fendere l'oscurità, ho bisogno del tuo aiuto. Il mio istinto va da una parte mentre i fatti vanno dall'altra. Se venissi lo considererei un gran favore, e così anche il signor McFarlane, non ho dubbi.
Tuo,
Sherlock Holmes

Strappai il foglio in lunghe strisce che prontamente gettai nel cestino. Mi presi un'abbondante mezz'ora per sbrigare il resto del lavoro e della corrispondenza, finii le mie uova, rimisi le mie lettere nelle loro rispettive buste e sbattei il palmo della mano sulla scrivania con impazienza. Cancellai tutti gli appuntamenti e partii per Lower Norwood nel delicato bagliore del sole mattutino.

 

-«oOo»-

 

Trovai l'ispettore Lestrade sulla scena del crimine, in piedi nell'ingresso. Un'espressione di piacevole sorpresa balenò sul suo viso affilato quando posò gli occhi su di me, finì velocemente di dare disposizioni ai due agenti presenti che infine si avviarono con aria indaffarata verso il giardino sul retro della casa.
"Benvenuto a Deep Dane House, dottor Watson" Lestrade mi sorrise "immagino lei voglia sapere dove si trovi il signor Holmes".
"È un piacere vederla, Lestrade. Ebbene, lui dov'è?" risposi forse senza tutto l'entusiasmo che il buon ispettore si sarebbe aspettato.
"Be'" disse l'omino pensieroso, in quel suo modo didattico "in quest'ultima ora ha perso tempo gironzolando per il prato a quattro zampe. Non ho problemi a dirglielo, dottore: questa volta il signor Holmes ha preso un granchio. I fatti non potrebbero essere più chiari di così. Se non lo conoscessi bene, direi che sta investigando per pura testardaggine".
"Sherlock Holmes è di certo uno degli individui più testardi di questo mondo. Avrei dovuto saperlo" sospirai. "Come sta procedendo il suo caso, ispettore?".
"Non potrebbe andare meglio" disse scrollando le spalle. Il gesto era per due terzi zelo e per un terzo un tentativo di umiltà, e mi stupii nello scoprire che mi faceva davvero piacere sentirli ancora entrambi. "Abbiamo in mano tutte le prove che potessimo sperare. Ben più di questo, in effetti, e la cosa accade abbastanza di rado. Ma venga con me, la porto dal signor Holmes. Come sta, dottor Watson? La abbiamo vista poco in giro ultimamente".
"Sono stato estremamente occupato, professionalmente parlando" risposi mentre uscivamo dalla casa. C'era un luccichio inquisitorio negli occhi castano chiaro dell'ispettore, una luce che non vi vedevo spesso. Ma annuì affabilmente.
"Sono felice di sentirlo. Signor Holmes, se mi volesse fare la cortesia di lasciare le prove intatte gliene sarei grato" aggiunse con foga.
Sherlock Holmes, il volto illuminato dal sole, si era tolto la giacca di tweed e stava in piedi in mezzo a pile di legno bruciato con le maniche arrotolate mentre si aggirava fra le braci carbonizzate. Non diede al suo amico di Scotland Yard la soddisfazione di alzare gli occhi.
"Lestrade, lei sta parlando di residui, qualsiasi cosa essi fossero prima, e questi residui sono stati raccolti e buttati su quella pila di legna. Non sto facendo nessun male alle sue prove. Non abbiamo a che fare con schizzi di sangue o traiettorie di proiettili"
"Per tutti i…" mugugnò l'ispettore. Ma proprio in quel momento un agente gli si avvicinò con una domanda e i due si allontanarono lungo il lato della casa per discutere non si capiva bene cosa.
Mi schiarii la gola. "E allora con che cosa abbiamo a che fare?".
Gli occhi di Holmes guizzarono a incontrare i miei, erano sorpresi e gioiosi. E qualsiasi cosa stesse tenendo in mano gli cadde di nuovo nella cenere.
"Il dottor John Watson" disse mentre un sorriso si faceva largo nei suoi tratti spigolosi "Sulla mia vita! Voglio dire… perdonami mio caro amico, infelice scelta di termini" si corresse frettolosamente. "Intendevo dire… tu sei qui, il che è un'osservazione imperdonabilmente ovvia, eppure decisamente sorprendente…".
Lo interruppi non tanto perché desiderassi venirgli in aiuto, quanto perché non l'avevo mai visto così in difficoltà. Non avevo la minima idea di cosa ci facessi ancora una volta vicino a lui e il suo turbamento era troppo attraente perché potessi lasciarlo continuare.
"Il signor McFarlane ha strappato a entrambi la promessa che avremmo fatto tutto ciò che fosse stato in nostro potere" dissi con freddezza "quindi ora, se non ti dispiace dirmi cosa posso fare a patto che non sia oltre le mie possibilità…"
"Certamente" disse, ma non aveva ancora recuperato il suo solito distacco. In effetti mi stava fissando con uno sguardo così evidentemente carico di affetto che fui felice gli agenti di Scotland Yard non fossero nei paraggi "se ti va potresti dare un'occhiata ai documenti della vittima, te ne sarei grato. Io sono in un tale stato da non poter iniziare un lavoro del genere" mormorò guardandosi le braccia imbrattate di cenere. Poi aggiunse "Naturalmente non sei obbligato a farlo se non sei qui per lavorare al caso" e il suo tono era magistralmente architettato per sembrare indifferente.
"Che assurdità. Sono qui per essere d'aiuto, è la mia particolare abilità di questa esistenza" ribattei. Intendevo pronunciare la frase con ironia, invece mi era uscita tagliente. Il viso di Holmes si rabbuiò ancora di più. "Sarò all'interno fino a che non avrò finito o tu avrai bisogno di un mio rapporto".
Girai i tacchi e corsi dietro all'ispettore Lestrade sul lato della casa.
"Dove teneva le sue carte il signor Oldacre?" gli chiesi senza fiato.
"Entri dalla porta di servizio, poi prenda la seconda porta alla sua sinistra" mi rispose guardandomi con decisamente troppa attenzione. Mi chiesi brevemente cosa avesse sentito. Non mi preoccupavo di quello che una terza persona avrebbe potuto origliare da quando Sherlock Holmes era morto, pensai con una stretta al cuore.
"Grazie" dissi e scappai dal giardino come se esso fosse popolato da un assortimento completo di bestie carnivore invece che dal più famoso consulente investigativo di Londra.
Sebbene lo studio della vittima fosse piccolo, era confortevole, e la stanza vantava una finestra dalla quale potevo intravedere i pini che crescevano sul limitare del prato. Per mia fortuna, le carte che Holmes mi aveva chiesto di esaminare erano di natura finanziaria e per questo egualmente comprensibili da un medico come da un esperto criminologo. Ci stavo lavorando da due ore, Holmes in giro a investigare chissà dove, quando attaccai l'ultima delle scatole. Una leggera bussata alla porta mi interruppe e alzai gli occhi per vedere Lestrade avvicinarsi alla scrivania dove stavo faticando sulle cifre, un'espressione pensierosa sulla sua faccia da roditore. Senza preamboli si sedette sulla sedia di fronte alla mia e si intrecciò le dita in grembo.
"Non le sembra di essere stato un po' duro con lui, dottore?".
Era in fede mia l'ultima delle domande che mi sarei aspettato uscisse dalla bocca dell'ispettore Lestrade, e in onore dell'enormità dell'evento lasciai cadere quello che avevo in mano per fissarlo con un disagio interdetto.
"Non ho idea di quello che lei stia dicendo" risposi.
Si limitò a stringersi nelle spalle "Potrei essere io ad aver capito male, dottor Watson, e se così fosse non esiterei ad ammetterlo. Se sto ficcando il naso dove non devo, lei non deve far altro che dirmelo. Le assicuro che non intendevo offenderla".
"Non mi ha offeso" risposi, ma l'ispettore non aveva finito.
"I fatti rimangono, tuttavia. Sembra chiaro che lei e il signor Holmes non stiate andando molto d'accordo dalla sua riapparizione… inaspettata. Ma potrei sbagliarmi".
Mentre mi guardava realizzai che non ero capace di mentire a Lestrade né mi sentivo incline a farlo. Senza pensare di portare la conversazione in un'altra direzione, mi appoggiai stancamente con il mento alla mano.
"Non si sbaglia".
"Le creerebbe dei problemi se le facessi una domanda personale, dottore?"
"Questo dipenderebbe in gran misura da quale fosse questa domanda".
Ridacchiò alla mia battuta e scosse la testa. "No, no dottor Watson. Volevo solo chiederle se fosse arrabbiato con il signor Holmes per l'ovvia ragione o per qualche altra ragione".
Non riuscii a pensare a niente che fosse imprudente in quello che Lestrade voleva sapere "È l'ovvia ragione, se per ovvia ragione intende che ha fatto finta di essere morto per tre anni".
Il piccolo ispettore annuì saggiamente, come se molta gente fingesse di essere morta per lunghi periodi di tempo. "Per lei è stato più difficile di certo" disse piano. "Tutti noi ne siamo stati afflitti, non mi fraintenda, ma lei lavorava vicino al signor Holmes come nessun agente di Scotland Yard ha mai fatto. Un colpo terribile, l'ho sempre detto, ma per lei… deve essere stato mostruoso, dottore. Penso che nemmeno il fratello del signor Holmes ne fosse rimasto così sconvolto. Aver vissuto per tre anni immaginandolo morto deve di certo averla…"
"Non l'ho immaginato morto per tre anni" dissi piano e con voce roca, poi lasciai che la mia mano andasse a coprirmi gli occhi.
"No?" chiese Lestrade. Mi guardò con una comprensione che adesso sconfinava nella curiosità. "Credo di non capire quello che intende dire, dottor Watson. Certamente noi tutti speravamo che fosse vivo…"
"Io sapevo che fosse vivo" dissi, aspettandomi che i miei occhi si appannassero come ogni volta che ci ripensavo. Con mio sollievo c'era solamente un tono lugubre nella mia voce "L'ho creduto morto per due settimane, fino ai funerali qui a Londra. Dopo lo seppi. Lo so da allora".
Lestrade adesso mi stava fissando sbigottito. "Glielo ha detto lui? Le ha mandato una lettera o…"
"Suo fratello" non riuscivo a riconoscere la voce che stava parlando, perché non era la mia. Suonava come la voce di un fantasma. "Suo fratello me lo ha detto. Dopo il funerale".
"Dio del cielo" sussurrò Lestrade "Quindi per tutto questo tempo lui pensava che noi lo credessimo morto e invece lei sapeva che lui…"
"Sì, lo sapevo"
"Dottor Watson, credo che questa sia una delle cose peggiori che abbia mai sentito"
"È di certo una delle cose peggiori che io abbia mai vissuto".
Socchiuse gli occhi. "Il signor Holmes sa che lei era al corrente della sua morte fittizia?"
"No di certo" risposi con un amaro entusiasmo costruito. "È convinto che i suoi piani si siano svolti in modo superbo come al solito"
"Non c'è da meravigliarsi che lei non sia tornato in Baker Street".
Quando gli lanciai un'occhiata atterrita, l'ispettore ebbe la decenza di abbassare gli occhi ai suoi stivali ripulendone uno da una piccola macchia di cenere e facendolo ritornare alla sua originale lucentezza immacolata. Poi esaminò con cura anche l'altro come per rassicurare se stesso sul fatto che fosse anch'esso pulito. Quando tornò a guardarmi avevo fatto in tempo a recuperare gran parte del mio autocontrollo.
"Lestrade" dissi lentamente "devo chiederle cosa intendeva dire con…"
"No" disse l'ufficiale minuto con fermezza "non deve. Io sono, come lei ben sa, un ispettore di Scotland Yard. E ormai potrebbe anche aver capito che sono entrato in Polizia nel tentativo di fare qualcosa di buono. E rimane questo il mio obiettivo. Alla luce di questo, dunque, le garantisco che non deve chiedermi di spiegarle cosa intendessi".
Fu questa affermazione e non l'aver narrato dei miei momenti dolorosi a far spuntare nei miei occhi un principio di lacrime. Inspirai a fondo e cercai di riportare me stesso alla normalità.
"Adesso avrebbe ben poca importanza" cominciai, ma Lestrade mi interruppe all'improvviso.
"Deve chiedergli di parlarle di Moran"
"Come scusi?" chiesi, già confuso.
"Dottor Watson" disse dolcemente, tutta la sua impazienza e la sua avarizia erano come sparite dal suo viso "lei è, come ho sempre pensato, un uomo ammirevole sotto ogni punto di vista. Il signor Holmes è sulla buona strada per impazzire e senza dubbio finirà i suoi giorni in una clinica psichiatrica. Ho solo una vaga idea del perché lei riesca a sopportarlo e nessuna sul perché riesca a farlo io. Comunque sia" continuò con calma "lei ed io siamo entrambi uomini ragionevolmente intelligenti, anche se non sappiamo riconoscere a prima vista un uomo che lavora come venditore ambulante o a quale temperatura l'acqua salata produce effetti distruttivi sui denti falsi. Ci devono pur essere delle ragioni per cui gli concediamo la nostra compagnia. Se ne ricorda una o ha anche solo intenzione di ricordarla, deve chiedergli di parlarle del Colonnello Moran".
"Come fa a sapere queste cose?" domandai in modo ingrato "perché lei dovrebbe essere al corrente di qualcosa che Holmes mi ha deliberatamente tenuto nascosto? E se lo è, perché io dovrei abbassarmi a chiederlo a lui?"
Lestrade si alzò e andò verso la porta, la sua caratteristica natura impaziente infondeva un'inesplicabile umanità.
"Perché, come ricorderà, ho arrestato io stesso il Colonnello. A lei converrà essere messo a parte della situazione da un punto di vista che non sia il mio. Non mi è possibile divulgare l'informazione, ma le assicuro che merita di essere saputa. E debbo insistere: anche se quello che le dirà dovesse angosciarla, se tiene in una qualche considerazione il pazzo che attualmente scorrazza là fuori calpestando le mie prove, deve chiedergli del Colonnello Moran" finì. Poi Lestrade uscì chiudendo gentilmente la porta dietro di lui.

 

 


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