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Autore: Keiko    23/03/2011    2 recensioni
“Vuoi capire cosa c’è di strano nella famiglia Black, Ninfadora? Io ti risponderei nulla. Ci sono solo tante scelte fatte e strade che hanno diviso persone legate dallo stesso sangue, questo si. Di sbagliato credo non ci sia nulla ma tu potrai trarre una conclusione differente dalla mia dopo aver visto tutto quel che voglio mostrarti.”
Ninfadora Tonks è al suo primo ad Hogwarts quando Lord Voldemort pare essere sconfitto dai coniugi Potter e il loro figlioletto essere sopravvissuto all’eccidio. Ninfadora è scettica ma per lei non è certo quello il problema: è sapere Sirius rinchiuso ad Azkaban ad indurla ad una lenta ma inevitabile metamorfosi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Narcissa Malfoy, Nimphadora Tonks
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Avevano sempre sfilato per Hogwarts con la spavalderia che la casta purosangue conferiva loro o meglio, era una spavalderia che assumeva particolari connotati a seconda che appartenesse a Narcissa, Andromeda o Bellatrix.
Narcissa aveva ammaliato con la sua bellezza tipicamente nordica Lucius Malfoy al loro primo incontro, dopo essere stata smistata nella casa di Salazar da un Cappello Parlante in vena di raccomandazioni ed avevano vissuto il quotidiano di Hogwarts coronandolo dell’aristocrazia raffinata che avrebbe contraddistinto la loro futura vita coniugale. Bellatrix, già donna a sedici anni, aveva deciso che in fondo per lei il vero destino era legato non ad un uomo, bensì ad una causa che doveva ancora trovare tra le mille strade che si snodavano innanzi a lei, a cui il destino non aveva negato nulla. E poi c’era Andromeda, sempre china sui libri della biblioteca ignorando che si sarebbe innamorata del figlio di due babbani sfuggendo al destino che la famiglia Black le aveva riservato divenendo l’unica signora Black realmente libera dalla sua stessa famiglia.
All’ombra di uno dei secolari alberi che separavano la Foresta Proibita dal resto di Hogwarts, le tre sorelle Black avevano preso l’abitudine di scambiare le proprie confidenze come erano solite fare nell’imponente castello di famiglia sedute su comodi divani barocchi ormai consunti.
Narcissa sedeva al lato destro di Bellatrix e Andromeda a quello sinistro con i loro tre modi di essere donna. Narcissa aveva ereditato i lunghi boccoli biondi e l’intenso azzurro degli occhi di sua madre mentre Bellatrix e Andromeda possedevano i tratti tipici dei Black, riconoscibili dai folti capelli corvini e gli occhi dello stesso cupo colore che avevano contraddistinto anche il giovane Sirius e suo fratello Regulus.
Andromeda e Bellatrix sembravano decisamente sangue dello stesso sangue e tuttavia Andromeda amava passare le proprie giornate in compagnia di Narcissa che possedeva l’amore per lo studio che aveva spinto Andromeda verso la casa di Corvonero. Bellatrix era indomita e appassionata, una donna già a diciassette anni quando Narcissa si perdeva dietro mille cavilli sui sentimenti che andavano via via delineandosi nei confronti di Malfoy e quando Andromeda non riusciva a confessare nemmeno a sé stessa di essersi invaghita di quel taciturno e talentuoso pozionista che la casa di Salazar possedeva e che aveva occhi solo per i propri libri, tutt’al più qualche acida occhiata diretta ai Malandrini o qualche sguardo altrettanto fuggevole indirizzato alla fulva chioma della Evans.
Ed era stato proprio in quel luogo, un pomeriggio di aprile ancora freddo per il ritardo con cui la primavera accennava a risvegliare la scuola, che Bellatrix aveva deciso di rendere alle due sorelle minori la confidenza che avrebbe inevitabilmente scisso un trio pressoché compatto.
Si era meticolosamente riposta dietro l’orecchio una ciocca di lunghi capelli corvini in un gesto consueto che spesso tradiva una certa emozione.
“Bellatrix di cosa dovevi parlarci?”
“Narcissa era agitata, sorella. Non tenerci sulle spine.”
Bellatrix aveva sorriso sollevando la manica del pesante maglione di lana e con essa quella della camicia sottostante. Narcissa e Andromeda si avvicinarono ulteriormente a Bellatrix per scrutare ciò che aveva da mostrare loro e la minore delle tre si ritrasse con una smorfia di terrore dipinta sul viso mentre su quello della secondogenita si era dipinta l’espressione interrogativa tipica dello studioso che non riesce a rendersi conto di un’evidenza troppo palese perché possa essere veritiera.
“Cos’hai fatto, Bellatrix?”
“Quello che abbiamo fatto tutti. Il Signore Oscuro ci ha chiamati, noi gli eredi di Salazar, la purezza del sangue. Dobbiamo lottare e mondare Hogwarts dall’immondizia che Silente ha portato qui.”
La voce della ragazza era un sibilo sottile mentre il serpente tatuato sul suo avambraccio sinistro si muoveva sinuosamente all’interno delle orbite incavate del teschio che andavano a formare il Marchio Nero.
“In quanti Bellatrix?”
“Solo alcuni dei Serpeverde. Il Signore Oscuro ritiene che non sia ancora tempo per aprire le porte a chiunque.”
Andromeda aveva scosso il capo con fare rassegnato per poi tornare a posare lo sguardo in quello della sorella. Vi era una nuova luce, più cupa e sinistra che le dava una rinnovata bellezza più selvaggia e spietata di quanto non la ricordasse.
Bellatrix si era sollevata di scatto lasciando le due sorelle minori sedute a terra avvolte nei pesanti mantelli di lana e tuttavia continuavano a tremare tanto era il gelo che spirava attorno alla maggiore di loro.

Quando Nixtor Bartle li aveva avvicinati nei vicoli di Nocturne Alley, lei e Rabastan erano diretti in uno dei piccoli negozietti che vendevano per lo più cianfrusaglie e reliquie di antichi signori ormai caduti. Negozi che spesso non avevano nulla di così potente da indurre due Serpeverde come loro a muoversi così rapidamente e attentamente tra vicoli che conoscevano alla perfezione dopo anni di ricerche e studi nel reparto proibito della biblioteca di Hogwarts e in quelle delle loro imponenti magioni, ma erano i fiorenti tempi in cui Lord Voldemort andava a rinfoltire le proprie schiere e per i giovani ambiziosi della Casa di Salazar nulla era più allentate se non fare qualcosa che potesse renderli qualcuno agli occhi del Signore Oscuro. Bellatrix poteva vantare sangue puro, superbia e quell’intrinseca vena di devozione che le tre sorelle Black avevano sviluppato seppur indirizzandoloaa lati diametralmente opposti di una stessa scala. Se Narcissa aveva votato tutto all’uomo della sua vita e alla famiglia aristocratica che aveva deciso di condurre con la perizia vittoriana dei Malfoy, parallelamente Andromeda aveva investito tutto su un marito mezzosangue ed una figlia che poteva vantare di essere l’onta dei Black dopo sua madre e Sirius. Bellatrix invece, aveva votato sé stessa ad una causa e conseguentemente, all’uomo che la guidava prima ancora di ammettere a sé stessa che un cuore lo possedeva anche lei e batteva da tempo per Rodolphus.
“Lestrange?”
La voce dell’uomo che li aveva avvicinati era bassa e profonda, una di quelle voci che non si dimenticano facilmente a causa della lenta inflessione maligna. Bellatrix si era voltata a fissare il volto del suo interlocutore mentre Rabastan era intento ad osservare antichi cimeli per valutarne l’effettivo valore al bancone della bettola in cui erano entrati furtivamente.
Signora Lestrange.”
Stava giocando con un Mago Oscuro probabilmente. Un uomo che sapeva chi era e cosa faceva meglio di quanto non lo sapesse lei stessa e che sotto il lungo mantello di un malevolo color verde muschio poteva avere una bacchetta puntata su di lei pronta a schiantarla od ucciderla con una maledizione senza perdono.
“Già signora alla sua età, miss?”
“Fa differenza forse?”
“Mi chiedo solo se Silente accetti di avere all’interno della sua scuola due giovani sposi…evidentemente la sua sciocca apertura mentale che si manifesta in un patetico buonismo filo-babbano gli ha fatto perdere completamente il senno. Siete studenti di Hogwarts, no? I colori delle vostre sciarpe non danno adito a dubbi: due degni eredi di Salazar. Bellatrix Black e Rabastan Lestrange. Rodolphus ci ha parlato molto di voi.”
Bellatrix aveva lanciato una rapida occhiata alle proprie spalle, osservando le pallide dita di Rabastan tenere sollevate alla fioca luce di alcune lampade ad olio vecchi monili.
“Cosa le ha detto Rodo? E lei chi è?”
“Nixtor Bartle, miss Black. Per servirla...”
L’uomo tarchiato si prodigò in un buffo quanto inadatto inchino e sollevò gli occhi sul viso di Bellatrix come se cercasse di carpirne una vaga forma di paura che non possedeva o che dissimulava perfettamente.
“…e per condurla al cospetto del Signore Oscuro.”
“Cosa significa?”
“Il Signore Oscuro si è interessato a voi miss…e ai signori Lestrange. Rodolphus già da qualche tempo milita tra le nostre schiere e ora è tempo di nuove leve tra le fila di noi Mangiamorte.”
“Attendetemi.”
Bellatrix si era portata al fianco di Rabastan sussurrandogli qualcosa all’orecchio e lasciando una sacca di zellini sul bancone aveva infilato nella tasca interna del proprio mantello di raffinata fattura un piccolo pacchetto avvolto in sudicia carta.
“Andiamo.”
Bellatrix aveva preceduto il Mangiamorte con fare arrogante e supponente. “Il tipico atteggiamento da purosangue” constatò Bartle con un leggero sorriso ad increspargli le labbra sottili, unito al regale portamento e alla selvaggia bellezza che la differenziava dalle sorelle. Non a caso Rodolphus aveva chiesto la mano della ragazza a Cygnus l’estate che aveva sancito l’inizio del loro ultimo anno ad Hogwarts e che aveva visto nascere una rinnovata complicità tra i due grazie a lunghe giornate trascorse nella tenuta di famiglia dei Lestrange affondati in antichi tomi a cui solo Andromeda avrebbe fatto la corte in tempi normali. Ma quelli non erano tempi comuni e il richiamo dell’Oscuro Signore era sempre più forte, un’eco che dirompente sovrastava la voce accorata di Albus Silente e di tutti coloro che un giorno sarebbero stati gli Auror che l’avrebbero contrastato. Rodolphus aveva scacciato ogni dubbio e aveva chiesto la mano di Bellatrix a patto che questa apprendesse la notizia solo una volta ottenuti i M.A.G.O. nonostante in cuor suo Cygnus avesse già acconsentito a cedere la figlia maggiore alla casata dei Lestrange, complice la netta convinzione che alla ragazza tutto sommato, Rodolphus piacesse per ciò che era: un giovane affabile dalla bellezza mediterranea che a ben vedere non aveva nulla in comune con l’emaciato Lucius che in più di un’occasione aveva strappato sospiri alla piccola Narcissa.
Era stato facile smaterializzarsi e riapparire in un sotterraneo buio e umido in cui la luce della luna non entrava affatto. Bellatrix si strinse nelle spalle, la bacchetta puntata innanzi a sé a rischiare un corridoio gelido e dalla puzza fetida che conduceva ad un’ampia sala che avrebbe imparato a conoscere alla perfezione negli anni a venire.
Un uomo sedeva su di un ampio scranno di pietra, un re d’altri tempi avvolto in vesti smeraldine ai cui piedi era acciambellato un basilisco, terrificante e splendido avvolto in quell’aura di malignità selvaggia e concreta tangibile da ognuno dei cinque sensi.
La ragazza dopo il primo attimo di smarrimento, accentuato dalle maschere di teschio che le giravano attorno senza che potesse distinguere un qualsiasi volto familiare che potesse rassicurarla, si era inginocchiata ai piedi del Signore Oscuro a pochi centimetri da Nagiri tenendo innalzato il pacchetto che aveva recuperato poco prima.
“Io Bellatrix Black porto in dono a voi, Lord Voldemort, il bracciale in opali appartenuto a Cosetta Corvonero come pegno per la mia devozione e quella di Rabastan Lestrange.”
Voldemort aveva spalancato i profondi occhi rubicondi alzandosi dal seggio e prendendo l’involucro dalle mani della ragazza.
“Alzati Bella. Era tanto tempo che cercavo queste reliquie…anni spesi dietro ad esse e tu mi hai portato un così grande dono.”
“La devozione la si misura con i fatti, mio Signore. Non con le parole. Gli oratori sono bravi ad impastarsi la bocca con stucchevoli perifrasi ma chiunque è in grado di farlo. Ma nei fatti quanti dei qui presenti uccideranno e monderanno il Mondo Magico? Quanti davvero lo faranno?”
Nella stanza si era sollevato un mormorio di disappunto e Lord Voldemort aveva sollevato una mano scheletrica con un gesto secco che aveva riportato all’istante la quiete nella sala.
“Bella e Rabastan. Venite avanti.”
Bellatrix aveva dovuto semplicemente alzarsi in piedi mentre Rabastan era avanzato di qualche passo uscendo dal capannello circolare di maghi oscuri che attorniava il Signore della Morte.
L’uomo aveva mantenuto inalterata la bellezza che un tempo era appartenuta all’ambizioso Tom Riddle e tuttavia il suo viso si deformava in pantomime di orrore e morte, come se tutti gli studi che andava intraprendendo lo stessero portando ad un particolare, quanto desiderato, stato di trascendenza.
Aveva alzato la mano destra impugnando la bacchetta e l’aveva puntata contro Bellatrix e successivamente contro Rabastan salmodiando un incantesimo che nessuno di loro aveva mai udito prima, sentendo la pelle dell’avambraccio destro bruciare ardentemente. Rabastan emise un singulto di dolore e Bellatrix non poté fare a meno di tremare mordendosi il labbro inferiore sino a farlo sanguinare, il sapore ferroso che le inondava la gola ma senza grida e senza lacrime, solo tremito e sangue uniti ad un dolore indicibile che l’aveva strappata alla sua adolescenza per non restituirgliela mai più. Il dolore che causava quel tatuaggio impresso a fuoco che bruciava e faceva male pizzicando la pelle che andava a cicatrizzarsi rapidamente attorno ad esso uniformandolo con il corpo stesso dell’ospitante in un tutt’uno tra marchio e padrone, era nulla in confronto alla bellezza perversa che emanava sul suo braccio candido ora sporco di un qualcosa che l’avrebbe accompagnata per sempre e si ritrovò a lanciare a quel soffitto umido una risata quasi isterica, il capo a ricaderle all’indietro lasciando che la folta chioma corvina le scivolasse lungo la schiena scoprendole completamente il volto facendo risaltare la sua selvaggia bellezza di nobildonna.
“Da oggi, Bellatrix Black e Rabastan Lestrange sono Mangiamorte. Da tempo vi stavamo studiando, da tempo attendevamo un momento propizio per avvicinarvi. Rodolphus, Lucius…e tu, Severus. Fatevi avanti.”
Bellatrix aveva spostato lo sguardo sorpreso sulle tre figure di cui non distingueva i lineamenti del viso e nemmeno la corporatura ma che riconosceva dalle movenze che aveva imparato a distinguere in ognuno di loro negli anni che avevano vissuto ad Hogwarts, una scuola che presto avrebbero lasciato per dare spazio ad un progetto grande in cui credevano davvero.
I tre giovani si inginocchiarono dinnanzi a Lord Voldemort in un rinnovato tacito giuramento di fedeltà, ognuno nascosto dietro maschere che non lasciavano trapelare alcun sentimento ma solo una sudditanza eterna che traspariva dai loro capi chini quasi a sfiorare il pavimento di marmo scuro in un totale segno di sottomissione e devozione.
Rodolphus le si era poi avvicinato senza parlare ma con la consapevolezza assoluta che quel marchio li avrebbe indissolubilmente legati senza lasciarli liberi, senza renderli puri ma macchiandoli del sangue di innocenti che loro ritenevano la feccia del Mondo Magico, compagni di scuola che si sarebbero poi rivelati abili Auror e che per una Profezia avrebbero assassinato.
Senza più cuore, senza più amore e solo devozione che avrebbe spezzato ogni legame di sangue, che avrebbe reso più saldo l’amore che sfociava su entrambi i fronti e più forte l’ardore di combattenti.
Solo morte che sarebbe stata dispensata ed accolta con la violenza degli aguzzini ed il martirio dei santi.
Un solo inizio per due guerre che avrebbero calcato il suolo del mondo intero.
   
 
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